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1. Inquadramento generale

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SOMMARIO: 1. Inquadramento generale. 2. L'evoluzione dei controlli sulle partecipate. 3. Il piano di razionalizzazione previsto dalla L. 190/2014. 3.1. Il ruolo della Corte dei conti. 4. La riforma Madia. 5. Il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175).

1. Inquadramento generale

L’ente locale ha visto una radicale trasformazione delle proprie attività, da soggetto gestore a soggetto regolatore, che controlla una pluralità di enti che si pongono in un nesso di strumentalità rispetto alla realizzazione delle sue finalità. In questa sua attività di regolazione l’ente deve giustificare la convenienza, in termini di realizzazione del buon andamento, delle proprie attività, analizzando i singoli servizi e dando vita, allo scopo, ad enti strumentali. Questi enti, in primis le società commerciali, debbono, dunque, essere contributive del buon andamento, sia al momento della loro costituzione, sia con riferimento al loro mantenimento. Oltre alle società direttamente partecipate dallo Stato, ve ne sono un numero elevato anche di partecipate dagli enti locali.

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Province e Comuni detengono quote societarie.

Diversi gli ambiti in cui operano, tutti relativi ai servizi pubblici (come il mantenimento di strade, le gestione dei rifiuti e quella idrica, i trasporti, ecc.).

Il d.l. 174/2012, nel ridisegnare in modo complessivo, come si è visto1, l'articolazione del sistema dei controlli interni – oltre a confermare le indicazioni generali contenute nel TUEL – lo ha novellato prevedendo altre forme di controllo interno tra le quali ha inserito una specifica disciplina riferita alle società partecipate.

La nuova disposizione è contenuta nell'art. 147 -quater del TUEL che delinea la metodologia per l'effettuazione delle attività di verifica, fornendo alcune indicazioni generali che devono essere modulate da ciascun ente, secondo le specifiche particolarità che caratterizzano, in concreto, le relazioni con le partecipate, recitando così, al comma 1 :

«L'ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società non quotate, partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente locale, che ne sono

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76 responsabili».

Le società pubbliche locali sono lo strumento tramite cui gli EE.LL. assolvono le funzioni che hanno deciso di gestire al di fuori dell'organizzazione dell' ente, ma pur sempre attraverso un organismo che , sebbene esterno, risponde all'ente proprietario. Inoltre, della loro gestione ne rispondono direttamente se il controllo è qualificabile come «analogo»2, ossia la partecipazione è interamente pubblica, ed il servizio è stato affidato senza procedura in gara (in house providing)3.

Negli ultimi anni si è assistito alla sempre più diffusa costituzione di società partecipate, in misura totalitaria, maggioritaria e anche minoritaria, da enti pubblici, affidatarie di lavori pubblici da parte dell'ente partecipante, quando non, più semplicemente, incaricate di effettuare attività di interesse della Comunità di riferimento.

Con la diffusione di tale fenomeno, si è peraltro affermata la consapevolezza che l'utilizzo di forme di diritto privato non sia così idoneo alla realizzazione o perseguimento di uno «specifico interesse pubblico», considerato che le società di capitali, sono

2 È il controllo esercitato sulle società in controllo totalitario pubblico, che parte

dalle AAPP proprietarie, «analogo» a quello che esercitano sui propri servizi.

3

A. ZIRUOLO, Valore pubblico e società partecipate. Tendenze evolutive della

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caratterizzate, per definizione, dallo scopo di lucro e, quindi, della finalizzazione dell'attività di impresa al perseguimento di un utile: declinare il perseguimento di obiettivi di interesse pubblico attraverso l'utilizzo di istituti che, per caratteristiche e natura, hanno derivazione privatistica, non sempre ha prodotto i risultati attesi. Parallelamente, in materia di società pubbliche, si è registrato un notevole sforzo legislativo, finalizzato a circoscrivere il perimetro dello strumento societario, al fine di tutelare la libera concorrenza, ridurre la spesa pubblica e scongiurare il ricorso alla forma societaria quale mezzo per eludere norme pubblicistiche di finanza pubblica o attività contrattuale.

Come detto prima e come rilevato dalla giurisprudenza contabile, lo «strumento societario è per legge correlato ai fini dell'ente pubblico ed è inerente allo svolgimento di attività di competenza per l'ente medesimo», e deve essere utilizzato per «effettive necessità istituzionali per gli enti territoriali» e non come «veicolo per eludere le normative pubblicistiche in tema di controlli sulla finanza pubblica e di patto di stabilità interno, nonché strumento abusivo per evitare le procedure ad evidenza pubblica che presiedono all'attività contrattuale delle

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78 amministrazioni locali»4.

Il proliferare di bisogni sempre più complessi da parte della collettività, unitamente alla progressiva evoluzione della società e delle sue dinamiche, ha modificato il ruolo della Pubblica Amministrazione che, da semplice erogatore di prestazioni, è divenuta responsabile della fornitura di servizi essenziali nella vita di ciascun individuo-cittadino. Ne è derivata la necessità della P.A. di evolversi, di rivedere il proprio assetto organizzativo, alla stregua di una vera e propria «azienda» privata. È con riferimento all’attività amministrativa svolta dagli enti territoriali che nasce la nozione di «Servizio Pubblico Locale».

Il quadro legislativo di riferimento è stato sempre piuttosto incerto e instabile, disponendo di vincoli sempre più stringenti per gli enti locali ma anche continui ripensamenti in materia di liberalizzazione dei servizi (decreti legge, sentenze della Corte costituzionale, ecc.). Ma in particolare è stata data grande importanza agli strumenti di controllo sui costi e sulla qualità dei servizi, in un contesto di grave crisi economica generale.

Per identificare correttamente il quadro delle tipologie di

4

Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, 8 luglio 2008 n. 48, in Giurisdiz. Amm., 2008, III, p. 679.

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società partecipate bisogna partire dalle tipologie di servizi gestiti che ne qualificano la forma e le norme di cui sono soggette. Provando a riassumere il quadro giuridico troviamo questa prima classificazione die servizi, prevista in dottrina: a) servizi pubblici locali (art. 112 TUEL). Sono i servizi erogati direttamente al pubblico che si suddividono in 2 categorie: 1) a rilevanza economica, qualora caratterizzati da margini signficativi di redditività, anche se potenziale (ad esempio la raccolta dei rifiuti); 2) privi di rilevanza economica (esempio la gestione di un canile); b) servizi «strumentali» (art. 13 d.l. n. 223/2006). Sono i servizi erogati dall’ente locale, di cui i cittadini beneficiano solo indirettamente (esempio i servizi informatici), sono tutti i quei beni e servizi erogati da società a diretto e immediato supporto di funzioni amministrative, di natura pubblicistica, di cui resta titolare l’ente pubblico di riferimento per provvedere al perseguimento dei propri fini istituzionali. Le modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, il cui panorama normativo è improntato all’ordinamento europeo, saranno comunque esposte a breve nel paragrafo successivo.

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2. L'evoluzione dei controlli sulle partecipate

L'obbligo dei controlli sulle partecipate entra in vigore con gradualità sul territorio nazionale, per dare modo alle Amministrazioni locali di organizzarsi, prevedendo, peraltro, che gli enti di maggiori dimensioni siano dotati di risorse umane e strumentali sufficientemente adeguate per dare immediata applicazione all'articolato sistema di verifiche e controlli.

In coerenza con tali adempimenti, viene disposto, all'art. 243, comma 3-bis del TUEL – anch'esso introdotto ex novo dal d.l. 174/2012 – che i contratti di servizio fra Enti locali e società partecipate rechino clausole volte a prevedere, nell'ipotesi in cui si verifichino condizioni di deficit strutturale, la riduzione delle spese di personale delle società medesime.

Si osserva che il controllo sulle partecipate, nelle forme ora descritte, rientra nell'ampia gamma di controlli interni che, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.l. 174/2012, dovranno essere messi appunto e resi operativi in forza di un apposito regolamento da adottarsi a cura dell'organo consiliare dell'ente5.

L'introduzione di un siffatto controllo più organico sulla

5 Il termine di adozione del testo era fissato entro il 10 gennaio 2013, decorso il

quale risultava prevista dapprima una diffida del Prefetto a prevedere entro 60 giorni, e poi, in caso di persistente inadempienza, nientemeno che la procedura di scioglimento del Consiglio.

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gestione delle partecipate non appare casuale, ma è piuttosto un importante tassello di una precisa scelta strategica, orientata ad una profonda diffidenza verso le esternalizzazioni e volta a contrastare il fenomeno delle società in perdita, viste dal legislatore come «rami secchi» da recidere per garantire una gestione più sana ed efficiente della Pubblica Amministrazione.

Ed è proprio nello specifico atto regolamentare, alla luce dunque di una rivisitata disciplina dei controlli interni, che l’Ente locale è spinto ad approvare nella propria autonomia organizzativa e regolamentare, uno specifico atto che svolge un ruolo centrale nel sistema di controllo. Esso, infatti, riassume i tempi e le modalità per attivare le funzioni di controllo, puntualizza le verifiche da svolgere sul rispetto del Contratto di servizio, della Carta dei servizi e, più in generale, sui profili di efficacia, efficienza ed economicità.

Nel Regolamento è necessario specificare le forma di controllo che l’Ente locale intende attivare sulle società partecipate e che possono essere così riassunte: controllo sulla gestione della società; controllo sulla situazione economica e finanziaria della società; controllo sull’efficienza, sull’efficacia e

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sulla qualità del servizio; controllo di regolarità6. Materialmente l’Ente dovrà, prima, giustificare la costituzione della società nel momento in cui decide di utilizzare per un dato servizio lo strumento societario; poi giustificare il mantenimento in capo alla società della gestione del servizio; verificare comunque che la suddetta gestione si realizzi secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, come per qualsiasi altra attività dell’ente , ma in particolare in queste fattispecie, verificando il rispetto dei giudizi di convenienza7 (sulla base dei quali è stato deciso l’affidamento diretto in capo a una società, o lo stesso è stato mantenuto nel tempo).

Cambia dunque la governance per l’Ente interessato. I servizi non sono prodotti attraverso l’organizzazione dell’ente, ma sono esternalizzati, attraverso gestioni autonome ed elastiche, che utilizzano lo strumento privatistico della società e sono discipinate dal diritto societario. L’Ente locale «regolatore» non potrà pertanto ignorare le suddette società. Dovrà invece

6

A. ROMOLINI, Il controllo sulle società partecipate dopo il d.l. «Enti Locali», in (a cura di) GORI E, POZZOLI S., Il sistema dei controlli negli Enti locali, cit., p. 500.

7 Il giudizio di convenienza non potrà essere di natura descrittiva ma quantitativa e

dovrà dimostrare la presenza di uno o di entrambi i seguenti criteri, riferito ad ogni servizio e poi alla società nel suo complesso: sotto il profilo dell’efficienza, per i minori costi (consumo di risorse) connessi alla esternalizzazione; sotto il profilo dell’efficacia, per la migliore qualità del servizio a parità di costi; per entrambi, tenendo conto delle risorse da impiegare, strumentali e personali, chiarire gli effetti che le medesime avranno sul bilancio dell’ente, unitamente ai risultati che conseguiranno dalle attività esternalizzate.

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attrezzarsi per indirizzarle e controllarle, poichè esse sviluppano attività che sono «strumentali» alla realizzazione delle sue finalità.

I profili da considerare sono sempre diretti ai criteri relativi al buon andamento ed in tal modo devono esprimersi in termini di correttezza, di rispetto della legalità e per le società partecipate si dovranno sviluppare i processi di programmazione e di controllo, che portano alla predisposizione di programmi, piani e rendiconti (sempre in relazione alle già menzionate tipologie di controlli).

La scelta, dunque, delle modalità di affidamento del servizio viene rimessa agli Enti locali che eserciteranno un potere discrezionale ma nel rispetto: a) dei principi europei di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione die servizi; b) dell’obbligo di motivazione; c) dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.

Le tre modalità previste dalla normativa europea sono:

1. L’affidamento all’esterno tramite gara ad evidenza pubblica (in applicazione delle norme inerenti gli appalti o le concessioni di servizi di cui al d.lgs. n. 163/2006;

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privato con procedura di gara per la scelta del socio privato a cui attribuire compiti operativi connessi alla gestione del servizio (procedura c.d A doppio oggetto);

3. l’affidamento diretto a società c.d. in-house.

Nel caso di opzione per la prima ipotesi, cioè previa gara, che rimane comunque il sistema ordinario di affidamento, non si ritiene sia necessaria alcuna motivazione. Occorre che sia data adeguata pubblicità alle regole di gara, consentendo a tutti gli operatori di parteciparvi, in situazione di par condicio, e che le regole siano adeguate e proporzionate all’oggetto di gara.

La società mista, prevista dalla seconda opzione, rientra nella categoria dei «contratti di partenariato pubblico-privato». La gara a doppio oggetto fa riferimento alla scelta del partner e all’affidamento die servizi che devono essere esattamente definiti e determinati.

La terza via, cioè la possibilità di gestire il servizio con affidamento diretto, pur rientrando a pieno titolo tra le possibili forme di gestione del Servizio Pubblico Locale, deve essere opportunamente motivata attraverso una valutazione comparativa di convenienza. In tale tipologia contrattuale la pubblica amministrazione si rivolge al suo interno, senza fare ricorso al

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mercato, per la produzione di beni o servizi. Si verifica una sorta di amministrazione indiretta (tali società pur appartenenti all’organizzazione amminstrativa che fa loro capo, non costituiscono un’articolazione interna della stessa e allo stesso tempo, pur dotate di personalità giuridica, non si pongono in un rapporto di terzietà con l’ente pubblico8

), nella quale la gestione di un servizio resta saldamente nella mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto della società affidataria, la quale svolge esclusivamente la sua attività in favore di questo, un «controllo analogo» a quello dall’ente stesso esercitato sui propri servizi. In altri termini non ci può essere affidamento in-house senza controllo analogo, che ne è il presupposto essenziale.

Il sistema dei controlli delle società partecipate è complesso perchè deve conciliare i diversi aspetti che attengono la sfera pubblicistica con duplice attenzione vuoi al controllo analogo, elemento necessario perchè l’ente pubblico possa procedere a un affidamento diretto del servizio pubblico, vuoi al controllo che l’ente-socio può esercitare sulla partecipata in virtù degli strumenti di diritto privato.

La duplice natura dei controlli, se opportunamente integrata

8 La società in-house, non è qualificabile nella sostanza come ente di diritto privato,

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in un’ottica non burocratica ma manageriale, potrebbe costituire un rafforzamento degli strumenti necessari per il raggiungimento die fini aziendali, di soddisfacimento die bisogni mediante l’utilizzo efficiente delle risorse pubbliche. Nello stesso tempo, sarebbe necessario perseguire gli equilibri economico-finanziari cui le società che assumono la veste giuridica di ente commerciale dovrebbero tendere nello svolgimento della loro attività produttiva finalizzata all’erogazione del servizio al cittadino.

In questa ottica sembra muoversi il legislatore che, abbandonando la procedura di imporre dei paradigmi dall’alto, ha affidato alla regolamentazione interna degli enti locali la definizione dei rapporti con le partecipate, per quanto attiene la sfera del controllo analogo, e ha lasciato il controllo di tipo privatistico agli statuti e ai regolamenti delle singole società. Anche l’art 147-quater del TUEL, infatti, come sottolineato al primo paragrafo, va in tale direzione.

È stabilito, in sistesi, che l’Ente deve prima definire gli obiettivi gestionali della società partecipata, poi deve organizzare un sistema informativo che rilevi i rapporti finanziari tra l’ente proprietario e la società, nonché la situazione contabile,

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gestionale e organizzativa della società. È inoltre previsto un monitoraggio periodico sull’andamento economico di queste società, che deve analizzare gli scostamenti rispetto ali obiettivi assegnati, individuando le opportune azioni correttive. Tale fonte normativa disciplina, di fatto, una serie di adempimenti articolati e complessi, che arrivano a inquadrare l’obbligo dell’ente socio di impartire azioni correttive alla gestione della relativa società partecipata, quando quest’ultima, in base al monitoragio svolto, presenti un andamento anomalo suscettibile di generare perdite d’esercizio9, tutt’altro che di equilibrio.

Nel contesto di un evoluto quadro normativo e di disciplina della materia, vi è stata una radicale sostituzione dei vincoli, previsti originariamente, sulle società controllate e partecipate dagli enti locali. In particolare, la legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147) ha prodotto una serie di effetti sugli enti locali, venendo meno sia il divieto di costituire società ex novo a carico dei comuni più piccoli, sia il divieto di dismissione delle società in perdita nell’ultimo triennio 2010-2012, che aveva come scadenza il 30 settembre 2013 per i comuni con meno di 30.000 abitanti e il 31 dicembre per i comuni fino a 50.000

9 A. COSTA, Il sistema dei controlli a supporto della funzionalità degli enti locali,

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abitanti; è intervenuta annullando la soppressione, l’accorpamento e la riduzione degli oneri finanziari (in misura non inferiore al 20 per cento) degli enti, delle agenzie e degli organismi che esercitavano «funzioni fondamentali» previste dall’art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione o «funzioni amministrative spettanti ai comuni, province e città metropolitane». Modifica che ha toccato altri molti aspetti, tutti però, nella sostanza, rivolti all’armonizzazione delle norme ai principi comunitari e ad una riduzione e «razionalizzazione» del numero delle società partecipate. Nasce un nuovo sistema di controlli con notevoli responsabilità di programmazione, monitoraggio e vigilanza dei flussi contabili. Un sistema articolato e complesso tutto da costruire, nella pratica, a carico degli enti-soci10.

3. Il piano di razionalizzazione previsto dalla L. 190/2014. Dopo un lungo percorso normativo teso allo sfoltimento della partecipate locali, un nuovo intervento è previsto dalla legge di stabilità 2015 (art. 1, commi da 609 a 616, legge 190 del 23 dicembre 2014).

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MORIGI P., Il nuovo controllo di gestione negli enti locali, Santarcengelo di Romagna, Maggioli, 2014, p. 291 ss.

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Fra le tante disposizioni, la legge di stabilità introduce la disciplina relativa alla predisposizione di un piano di razionalizzazione delle società partecipate locali con l’obiettivo di ridurre il numero dei costi della stesse.

I destinatari attivi della norma sono esplicitamente individuati nelle regioni, nelle province, nei comuni, nelle camere di commercio, nelle università, negli istituti di istruzione universitaria pubblici e nelle autorità portuali.

L’obbligo di approvare il piano di razionalizzazione è di competenza degli orhsni di vertice delle amministrazioni sopra elencate. Rimangono fuori dal perimetro di operatività della norma le amministrazioni centrali.

I destinatari passivi sono individuati nelle società e nelle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute (società partecipate, società consortili, società cooperative).

Riprendendo il contenuto dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008, modificata dalla legge 147/2013 (legge di stabilità per il 2014), viene ribadito che al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni pubbliche, elencate nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni

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e servizi che non siano strettamente necessarie per il conseguimento delle proprie finalità istituzionali. Esse non possono assumere o mantenere direttamente partecipazioni in tali società strumentali.

Il piano di razionalizzazione, persegue lo stesso obiettivo degli altri interventi normativi che l’hanno preceduto e precisamente quello di diminuire il numero delle partecipate locali p di ridurre il costo che grava sui bilanci locali.

Fra gli strumenti che possono essere utlizzati per il raggiungimento del suddetto obiettivo la norma annovera:

a) l’eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali, anche attraverso gli istituti della liquidazione o della cessione;

b) la soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori;

c) la soppressione delle società nelle quali gli amministratori siano in numero superiore a quello die dipendenti;

d) l’eliminazione di partecipazioni in società con oggetto analogo o similare che svolgono analoghe attività o similari a quelle svolte da altre soietà partecipate o da enti pubblici

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strumentali (anche tramite l’istituto della fusione o attraverso la internalizzazione delle funzioni);

e) l’aggregazione delle società che svolgono servizi pubblici locali.

Altresì, un ulteriore indirizzo è dato dal contenimento die costi di funzionamento delle società, da attuarsi anche attraverso il riassetto sia degli organi amministrativi, che degli organi di controllo societari, che delle strutture aziendali, con contestuale riduzione delle remunerazioni e dei costi della struttura aziandale.

Da un lato, quindi, la riduzione del numero delle società partecipate con le procedure di liquidazione, di fusione e di internalizzazione dei servizi, dall’altro l’utilizzo di processi di riorganizzazione aziendale, tendenti a ridurre le spese di produzione e le spese generali di funzionamento attraverso la ricerca di una maggiore economicità, efficienza ed efficacia dei servizi forniti. Un numero elevato di società comporta, infatti, una percentuale consistente, rilevante e notevole, di costi del personale.

Alla luce di tutto ciò, allora, ogni ente locale dovrà costruire un proprio piano di razionalizzazione sulla base delle proprie

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necessità, esigenze ed obiettivi specifici. È la norma strssa che indica alcune azioni che possono formare oggetto del piano. In ogni caso esse rappresentano un minimun operativo e non sono esaustive delle possibilità offerte all’ente locale. Le azioni dovranno essere necessariamente finalizzate alla riduzione del numero delle partecipate e dei costi di bilancio.

La redazione del piano operativo, accompagnato dalla relazione tecnica, deve tener conto, poi, di alcuni importanti elementi, quali: il quadro giuridoco nell’ambito del quale opera il suddetto piano; una descrizione analitica del gruppo societario coinvolto nel processo di razionalizzazione (per quindi poter valutare la convenienza economica al suo mantenimento e alla sua dismissione); le azioni di razionalizzazione – elencate poco fa , dalla lettera a) alla lettera e) – che dovranno essere attuate con il relativo piano.

Il piano operativo di razionalizzazione deve essere accompagnato dalla predisposizione di una relazione, sull’attuazione dello stesso, contenente i risultati ottenuti dall’azione di razionalizzazione. Entrambi i documenti sono soggetti a pubblicazione nel sito web dell’ente locale interessato. Tale pubblicazione costituisce un preciso adempimento in

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ottemperanza alle disposizioni del d.lgs. n. 33/2013 e deve avvenire entro il termine ultimo per la predisposizione del piano. Sempre entro lo stesso termine, il piano dovrà essere trasmesso alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, che si esprimerà sulla sua validità.

La scelta operata dal legislatore nell’adozione delle disposizioni in materia di razionalizzazione della struttura delle società partecipate sembra, in parte, discostarsi dalle prevsioni legislative precedenti, non dettando dei criteri rigidi e ben definiti, ma lasciando la libertà di scelta gli enti locali, nell’ambito di criteri generali dettati11

. Non prevede nemmeno sanzioni per il mancato rispetto normativo, se non quelle previste in caso di mancata pubblicazione delle relazioni.

Se questo modus operandi può essere ritenuto positivo per aver valorizzato l’autonomia degli enti locali, dall’altro crea il rischio che, in assenza di disposizioni immediatamente precettive, solo gli enti che sempre hanno dimostrato serietà e

11

Fermo quanto previsto dall’art.3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire

società. Entro il 31 dicembre 2010 i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni. La disposizione di cui al presente comma no si applica alle società, con partecipazione paritaria ovvero proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più di comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31 dicembre 2010 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite.

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competenza rispondano positivamente alle disposizioni legislative. Sicuramente, la scelta di individuare la Corte dei conti come destinatario finale del piano di razionalizzazione e della relativa relazione, può rappresentare un valido deterrente per il rispetto della normativa12.

3.1. Il ruolo della Corte dei Conti

Nell’attuale situzione non esistomo controlli esterni diretti sulle società partecipate. Le Sezioni regionali di controllo intervengono in sede di esame di bilanci dell’ente (e talora in sede consultiva) per far emergere i riflessi su tali bilanci delle società partecipate13.

Doveroso è, però, soffermarsi sul ruolo cardine che assume la Corte dei conti (in sede di controllo) sia nella fase di programmazione che di attuazione dei piani di razionalizzazione, alla stregua della legge 190/2014.

Il controllo esercitato è propriamente di gestione14: con

12

COCCO A., Il piano operativo di razionalizzazione delle società partecipate dagli

enti locali, in www.leggioggi.it, 9 marzo 2015.

13 LILLO F., Il ruolo della Corte dei conti nella riforma degli enti locali e

nell’attuazione del federalismo, Milano, Giuffrè, 2013, p. 165.

14 In materia di controlli si tenga presente la L. 20/1994 e successive modifiche la

quale prevede che la Corte dei conti, nell’esercizio di detta funzione è chiamata a verificare

la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna Amministrazione. La Corte, inoltre, accerta anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti

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riguardo al piano operativo di razionalizzazione il controllo assume carattere formale in quanto finalizzato a valutare l’astratta idoneità delle misure individuate a raggiungere l’obiettivo di razionalizzazione; mentre sulla, relativa, relazione dei risultati conseguiti (anche in termini di risparmio di spesa) ha carattere sostanziale. In altri termini il controllo è finalizzato a verificare che l’azione amministrativa sia stata economica, efficiente ed efficace ed abbia raggiunto gli obiettivi stabiliti. L’esito del controllo di gestione si concretizza nella predisposizione di relazioni e osservazioni destinate alle Amministrazioni controllate. Queste ultime, in caso di giudizio negativo, dovranno attenersi alle indicazioni della Corte dei conti al fine di eliminare i fattori di scarsa efficacia della gestione e migliorare la propria azione, comunicando alla Corte le misure adottate a seguito delle predette osservazioni.

dalla legge valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa. Con particolare riferimento al controllo di gestione la L. 131/2003 (art. 7,

comma 7) prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel

rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati.

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96 4. La riforma Madia

Il lavoro di razionalizzazione, «semplificazione» e riduzione del numero delle società partecipate dalle Amministrazioni pubbliche è continuato ed è stato portato avanti dalla Legge delega 124/2015, meglio conosciuta come Legge Madia, di Riforma alla Pubblica Amministrazione. La legge è costituita da 23 articoli, così suddivisi: artt. 1-7: semplificazioni amministrative; artt. 8-10: organizzazione; artt. 11-15: personale; artt. 16-23: deleghe per la semplificazione normativa. Il provvedimento contiene numerose deleghe di ampio raggio che, tra l’altro, abbraccia anche il delicato campo dell’anticorruzione e trasparenza, nonché della digitalizzazione della Pubblica amministrazione (CAD).

Spostiamo l’attenzione sul tema che però ci riguarda. L’ambito soggettivo di applicazine delle disposizioni contenute nel decreto è rappresentato dalle società previste al titolo V del libro V del Codice Civile, che sono partecipate totalmente o parzialmente, direttamente o indirettamente, dalle Amministrazioni pubbliche previste dall’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 165/2001. Sono escluse dall’ambito di applicazione delle nuove norme, per espressa previsione: gli enti associativi diversi

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dalla società, le fondazioni, le società costituite in forza di legge per la gestione di servizi di interesse generale (SIG) e di servizi di interesse economico generale (SIEG). Al ricorrere di determinate esigenze di carattere pubblico, su proposte del Ministro dell’Economia e delle Finanze (per le società statali) o dell’organo di vertice dell’Amministrazione pubblica partecipante (per le altre società pubbliche), potrà essere deliberata dal Consiglio dei Ministri l’esclusione totale o parziale dell’applicazione delle disposizioni del decreto per specifiche società. Questa previsione, tenuto conto dell’eterogeneità delle società in controllo pubblico, appare di buon senso.

Oltre a molte conferme, il decreto contiene diverse significative novità:

a) tipi di società ammesse: le Amministrazioni pubbliche potranno partecipare solo a «società per azioni» e a «società a responsabiltà limitata»;

b) organo di controllo: nelle società a responsabilità limitata a controllo pubblico, in deroga alle norme del Codice Civile, lo Statuto dovrà sempre prevedere la nomina dell’organo di controllo o di un revisore. Nelle società per azioni in controllo pubblico, invece, la revisione legale dei conti non potrà essere

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effidata al Collegio, con inevitabili incrementi di costi per le società;

c) costituzione di nuove società o acquisizione di partecipazioni in società esistenti: è bene chiarire che il decreto non vieta né la costituzione di nuove società pubbliche, né l’acquisizione di nuove partecipazioni, anche indirette, in società già esistenti da parte delle Amministrazioni pubbliche, ma impone un iter più complesso sia per la costituzione, che per il loro monitoraggio. In particolare, per la costituzione di nuove società l’atto deliberativo dovrà essere analiticamente motivato e, per i soli Enti locali, sarà soggetto a forme di consultazione pubblica preventiva. Per gli Enti locali viene confermato che l’organo competente all’adozione dell’atto deliberativo è rappresentato dal Consiglio comunale, che sarà competente anche in materia di successive modifiche dell’oggetto sociale, per la trasformazione della società, per il trasferimento delle sede sociale all’estero (caso molto raro nella prassi) e per la revoca dello stato di liquidazione;

d) parere obbligatorio della Corte dei conti: per procedere alla costituzione di una nuova società esistente, l’Amministrazione pubblica dovrà preventivamente inviare lo

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schema di atto deliberativo alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per l’acquisizione di un parere obbligatorio, preventivo, ma non vincolante. La Corte dei conti dovrà rilasciare il parere entro 30 giorni e potrà chiedere solo una volta chiarimenti all’Amministrazione richiedente. L’atto deliberativo per la costituzione di una nuova società o per l’acquisizione di una partecipazione in una società esistente dovrà essere motivato con specifico riferimento agli eventuali rilievi effettuati dalla Corte dei conti.

Vi sono poi numerose altre novità, numerosi altri interventi, tra cui assumono rilevanza, per il tema preso in considerazione in questo ultimo capitolo: 1) la previsione di un’attività di monitoraggio, indirizzo e coordinamento attraverso la costituzione, da parte del MEF, di un’apposita struttura, dotata di poteri ispettivi circa l’attuazione delle disposizioni del decreto. Saranno promosse buone pratiche presso le società a partecipazione pubblica adottando, per le stesse, direttive sulla trasparenza e sulla separazione contabile; 2) l’introduzione dell’obbligo per le Amministrazioni pubbliche di effettuare annualmente un’analisi dell’assetto complessivi delle società di cui detengono partecipazioni dirette e indirette (mediante la

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predisposizione di piani di razionalizzazione, che prevedano il riassetto, la fusione o la liquidazione delle società), pena l’applicazione di sanzioni. Saranno altresì monitorati i rispettivi piani, attraverso l’approvazione di una specifica Relazione, che dovrà poi essere trasmessa alla competente Sezione regionale della Corte dei conti.

La riforma Madia, nella sua azione di semplificazione, ha dovuto tener conto delle conosciute ragioni della situazione amministrativa italiana, che hanno comportato oneri di carattere burocratico a carico del sistema delle imprese e dei cittadini, rallendando, per via della moltiplicazione di nuovi adempimenti, lo sviluppo socio-economico del paese e tarpando le ali alla competitività dei soggetti privati che operano nel mercato, a causa dell’insufficiente utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche e all’assenza di coordinamento amministrativo.

La semplificazione è stata ravvisata come sinonimo di liberalizzazione: ovverosia la deregulation delle attività private con la soppressione di licenze, autorizzazioni e concessioni e, in definitiva, la previsione di denuncia di inizio attività e silenzio assenso invece di atti amministrativi (allo scopo di evitare che le posizioni dei soggetti controllati rimangano sacrificate dal ritardo

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101 della risposta dell’Amministrazione).

In generale, la riforma Madia, racchiude come, comune denominatore, l’esigenza di contemperare la pretesa del privato limitandone, a suo carico, gli oneri e soddisfare quanto più celere possibile la pretesa stessa15.

5. Il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175)

Il fenomeno delle società partecipate , presente da diversi anni nel nostro Paese, è divenuto ormai uno delle modalità più significative e diffuse della gestione amministrativa italiana. In particolare, nell’ultimo decennio, il fenomeno in oggetto è stato al centro di un’intensa attività normativa che, in difetto di una mirata azione di coordinamento, ha prodotto nel tempo una confusa ed a volte contraddittoria stratificazione di norme. All’interno di una situazione di concalmata mala gestio dei pubblici operatori e di spreco di denaro pubblico, si è riconosciuta la centralità dell’intero settore delle Società Partecipate, quale ambito ottimale per la promozione del

15 S. PIOVESAN, T. TESSARO, La riforma Madia del procedimento

amministrativo. La legge 241/90 dopo la legge 124/2015, Santarcangelo di Romagna,

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processo di efficiente riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato. Il tutto, ha orientato l’intervento normativo verso la semplificazione delle norme vigenti in materia di partecipate. Ciò attraverso il riordino delle disposizioni nazionali e la creazione di una disciplina genarale organica.

L’enorme perdita di denaro pubblico con modalità che non collimano mai con il concetto di erogazione dei servizi, ha portato, con la volontà precisa del legislatore, alla riduzione del numero delle società partecipate, attraverso lo strumento del piano di razionalizzazione. L’intento è riuscito mediante il decreto legislativo, 19 agosto 2016, n. 175 – attuativo dell’art. 18 della Legge Madia – che rappresenta la nuova attuale disciplina organica (Testo Unico) in materia di partecipate. La necessità di operare una generale semplificazione e stabilizzazione normativa16 è stata attività prodromica all’effettiva attuazione delle norme in materia di partecipazioni e, di conseguenza, al miglior utilizzo delle risorse pubbliche, soprattutto mediante la rimozione delle fonti di spreco. L’obiettivo evidenziato, di razionalizzazione e riduzione delle società partecipate, di individiazione di criteri qualitativi e quantitativi, lo si è voluto

16 Grazie alla delega al Governo concessa dal Parlamento con l’art. 8 della legge 7

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perseguire attraverso la chiarezza delle regole, la semplificazione delle norme, la garanzia della tutela e della promozione del fondamentale principio della concorrenza.

L’iter che ha portato alla pubblicazione sulla Gazzetta del decreto legislativo, è stato lungo e articolato.

La gestione delle società partecipate dagli Enti territoriali costituisce un nodo cruciale nel coordinamento della finanza pubblica, al centro dei controlli della Corte dei conti a livello centrale e territoriale. Proprio quest’ultima ha più volte evidenziato come l’Amministrazione Pubblica, in sede di costituzione o partecipazione a una società, debba prestare particolare attenzione al proprio oggetto sociale, al fine di evitare l’assunzione di rischi in attività puramente imprenditoriali o non conformi alla propria missione istituzionale. Ha evidenziato, altresì, come le delibere di assunzione o mantenimento di partecipazioni debbano in primis tenere conto della situzione economica e patrimoniale della società, in ossequio al principio di legalità17 finanziaria che conforma l’azione amministrativa.

È chiaro, infatti, che la scelta di assumere o mantenere

17 La tematica del principio di legalità assume specifica valenza nel nuovo

ordinamento costituzionale dei rapposrti tra Stato ed Autonomie, anche per l’esigenza di assicurare un efficace coordinamento della finanza pubblica, in linea con gli obiettivi di stabilizzazione fissati dall’Unione Europea e la nuova posizione costituzionale delle Autonomie.

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partecipazione presuppone, in capo all’ente pubblico, una preliminare valutazione di efficacia ed economicità, corollario del principio del buon andamento dell’azione amministrativa18 (art. 97 Costituzione), oggi rafforzato, nella prospettiva della sana gestione finanziaria, dall’introduzione dell’obbligo dell’equilibrio di bilancio per tutte le Amministrazioni Pubbliche19.

È prevista una drastica riduzione del numero delle società partecipate (circa 5.000 società in meno) che non rispettano una serie di requisiti. Vengono chiuse quelle inutili ed inefficienti e viene data la massima priorità all’attuazione: se le amministrazioni non dismettono interviene il MEF a farlo.

Più precisamente, il D.Lgs. 175/2016 prevede che la ridu-zione delle stesse partecipate avvenga tenendo conto dei seguenti criteri:

a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societa-rie non indispensabili al perseguimento delle propsocieta-rie finalità isti-tuzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione (art. 4);

18 L’art. 97 Costituzione esige che la Pubblica Amministrazione agisca secondo il

principio del buon andamento e dell’imparzialità. Efficacia è la qualità del servizio reso; efficienza è il minimo costo a una data qualità.

19 P. COSMAI, R. IOVINO, Riforma delle società partecipate. Guida operativa al

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b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre so-cietà partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;

d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rile-vanza economica;

e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni.

Tra i requisiti previsti, vi sono tipologia societaria e ambiti di attività. L’art. 3, del Testo Unico partecipate, prevede che le amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, per azioni ed a responsabilità limitata. Inoltre per le società a responsabilità limitata a controllo pubbli-co, lo statuto deve prevedere la nomina dell’organo di controllo o di un revisore, mentre è specificato che nelle società per azioni a

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controllo pubblico, tale ultimo ruolo non può essere affidato al collegio sindacale.

L’art. 4 che si occupa, come accennato poco fa, del delicato aspetto delle finalità perseguibili attraverso le società partecipa-te20, al secondo comma, prevede espressamente che le ammini-strazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costi-tuire società ovvero mantenere o acquisire partecipazioni solo per le sotto elencate attività:

a) produzione di un SIG, inclusa la realizzazione e la ge-stione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi stessi;

b) progettazione e realizzazione di un’opera in base ad un accordo di programma fra PP.AA. e, ove opportuno attraverso la costituzione di una società pubblica di progetto, senza scopo di lucro, anche consortile, partecipata dai soggetti aggiudicatori e dagli altri soggetti pubblici interessati (art. 193 del d.lgs. n. 50/2016, c.d. nuovo codice appalti);

c) realizzazione e gestione di un’opera pubblica o di un SIG mediante la costituzione di società mista, avente ad oggetto e-sclusivo l’attività inerente l’appalto o la concessione, con

20 Riprendendo quanto ormai sancito già dalla legge n. 244/2007, finanziaria 2008, il

provvedimento dispone che le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indi-rettamente, detenere partecipazioni acquisire o mantenere società aventi ad oggetto attività di produzioni di beni e servizi non strettamente necessarie alle proprie finalità istituzionali.

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prenditore privato selezionato mediante procedura ad evidenza-pubblica a c.d. doppio oggetto (sottoscrizione o acquisto parteci-pazione quote societarie da parte del privato e contestuale affi-damento del contratto di appalto o concessione), avente quota di partecipazione non inferiore al 30% del capitale;

d) autoproduzione di beni e servizi strumentali all’ente o en-ti pubblici partecipanen-ti;

e) servizi di committenza, incluse quelle ausiliarie, a sup-porto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni dello Sta-to; enti pubblici territoriali; altri enti pubblici non economici; or-ganismi di diritto pubblico; associazioni, unioni, consorzi, co-munque denominati, costituiti da detti soggetti (art. 3, c.1, lett. a, del d.lgs. n. 50/2016).

Il perimetro di operatività delle partecipate, di cui all’art. 4, risulta, dunque, chiaramente individuato dal TU, ed è imposto a-gli enti. Non esistono altre possibilità o alternative.

Ai sensi dell’art. 5, ad eccezione dei casi in cui la costitu-zione di una società o l’acquisto di una partecipacostitu-zione […] av-venga in conformità a espresse previsioni legislative, l’atto deli-berativo di costituzione di una società a partecipazione, deve es-sere motivato analiticamente, con riferimento alla necessità della

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società per il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all’art. 4, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giusti-ficano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e in considerazione della possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impegnate, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato.

La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economi-cità dell’azione amministrativa.

Analizzando altri punti salienti del TU, notiamo come l’articolo 20 preveda la razionalizzazione periodica delle parteci-pazioni pubbliche.

Fermo restando la revisione «straordinaria» delle partecipa-zioni prevista dal successivo articolo 24, il decreto dispone (comma 1) che siano effettuati annualmente, attraverso un prov-vedimento, piani di razionalizzazione, mediante messa in liqui-dazione, alienazioni e dismissioni di società.

Tali piani di razionalizzazione, corredati dalla relazione tec-nica (comma 2) sono adottati se, in sede di analisi, l’amministrazione riscontra anche uno solo dei seguenti elementi:

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- partecipazioni societarie in categorie non ammesse ai sensi dell’articolo 4 del decreto;

- società prive di dipendenti ovvero con numero amministra-tori superiore ai dipendenti;

- partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o simili ad altre società o enti pubblici strumentali;

- partecipazioni in società che nel triennio precedente hanno conseguito un fatturato medio non superiore a 1 mln di euro;

- partecipazioni in società per servizi diversi da SIG aventi risultato d’esercizio negativo, 4 esercizi su 5;

- contenimento dei costi di funzionamento;

- necessità di aggregare società esercenti attività consentite ai sensi del provvedimento.

L’analisi ed i piani di razionalizzazione (c. 3) sono adottati entro il 31 dicembre di ogni anno e trasmessi alla Corte dei Conti ed alla struttura di monitoraggio prevista dal decreto. Entro il 31 dicembre dell’anno successivo all’adozione va invece trasmessa alla Sezione regionale della Corte dei Conti una relazione di at-tuazione del piano.

Importante segnalare che i succitati adempimenti inerenti la razionalizzazione periodica, decorrono, ai sensi dell’articolo 26,

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comma 1, del provvedimento, dall’anno 2018, con riferimento al-la situazione al 31.12.2017. Ciò contribuisce sicuramente ad evi-tare la sovrapposizione fra piani di revisione straordinaria ed or-dinaria già in fase di applicazione, che avrebbe portato a conse-guenti problematiche operative per le amministrazioni. Senza tale intervento infatti le scadenze ravvicinate avrebbero creato confu-sione ed incertezza applicativa.

Per l’attuazione del decreto, una grande attenzione è riservata ai piani di razionalizzazione, su cui vigilerà la Corte dei conti, che gli Enti locali sono tenuti a compilare per varare le eventuali dismissioni. Entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, infatti, gli Enti locali dovranno predisporre e presentare un piano di razionalizzazione straordinario di ricognizione e verifica del rispetto dei requisiti del decreto, relativamente alle proprie partecipazioni.

La stessa Corte dei conti che, nell’ultima versione del decreto, ha visto ampliati i suoi poteri di controllo anche in riferimento al danno erarariale (art. 12) causato dalla stessa società partecipata, che quindi è oggetto della giurisdizione dei giudici contabili. «I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni

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civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti della società», recita la versione definitiva.

Il piano di razionalizzazione , comunque, riguarda tutte le società adempienti ai nuovi parametri, che dovranno effettuare una revisione straordinaria del personale per individuare eventuali esuberi (artt. 19 e 25), i quali in prima fase saranno gestiti dalle regioni.

In tema di governance delle società a controllo pubblico, l’Esecutivo ha confermato la preferenza per l’Amministratore unico (art. 11, comma 2), anche se poi spetterà ad un apposito DPCM, definire i criteri in base ai quali sia possibile optare per un Cda composto da tre o cinque membri (comma 3).

La lacuna imputabile al TU è quella dedicata alle definizioni, dove ci si limita a riassumere il quadro normativo vigente, senza incidere sulla nozione di pubblica amministrazione lasciata al diritto pretorio, con la conseguenza che, di massima e salvo il caso dell’in house, le società partecipate restano autonomi e distinti soggetti di diritto rispetto alle amministrazioni e pertanto rimangono sottoposte alle norme

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civilistiche, in quanto non espressamente derogate.

Come già accennato, nell’ordinamento nazionale, in forza della generale capacità di diritto privato riconosciuta agli enti pubblici, la pubblica amministrazione può costituire società o acquistare partecipazioni sociali, solo se ciò corrisponda all’interesse pubblico. Infatti, in ossequio al costituzionalizzato principio di legalità, gli enti pubblici possono creare società o divenirne soci esclusivamente per il perseguimento dei propri fini istituzionali, tipicamente non lucrativi (ciò per evitare che soggetti dotati di privilegi, ad esempio per essere in parte beneficiari di finanziamenti pubblici, operino in mercati concorrenziali). Tuttavia, il diritto positivo, per come formulato, non consente di escludere la legittimità della costituzione di società commerciali da parte di pubbliche amministrazioni, unicamente finalizzate a procacciare risorse economiche da destinare allo svolgimento delle suddette attività tipiche, con inevitabile perdita di pregnanza della limitazione, la quale, di fatto, resta solo minacciata.

Diversamente, il legislatore, sembra adesso muovere – almeno all’apparenza – nel corpo del decreto delegato recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, dove,

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dopo essersi ribadito il limite della funzionalizzazione dell’acquisizione di partecipazioni societarie ai fini istituzionali dell’ente, si riconosce alle amministrazioni pubbliche la facoltà di «costituire società e acquisire o mantenere, direttamente o indirettamente, partecipazioni in società» esclusivamente per la produzione di servizi d’interesse generale, ovvero per la progettazione, realizzazione e gestione di un’opera pubblica, oppure per l’autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti, o ancora per lo svolgimento di servizi di committenza. Infine, è specificamente previsto, al solo fine di ottimizzare e valorizzare il patrimonio immobiliare, che tutte le amministrazioni pubbliche, a prescindere dai fini istituzionali, possano acquisire partecipazioni in società tramite il conferimento di immobili allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore di mercato.

Non divagando troppo, circa il raggio d’azione del TU, in generale, il legislatore cerca adesso, con la riforma delle partecipate, di stabilizzare un sistema binario tra le partecipazioni societarie che la pubblica amministrazione voglia motivatamente

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acquisire o mantenere e quelle che deve dismettere21, o perché non rientranti nelle tipologie tassativamente ammesse o perché non più detenibili motivatamente, anche in forza dei rilievi della Corte dei conti cui vengono trasmessi i piani amministrativi di razionalizzazione, cercando di superare la legislazione, talvolta ad efficacia temporale limitata, succedutasi nella materia.

L’ipotizzato sistema binario, sul versante delle dismissioni, si articola poi nella razionalizzazione ordinaria, a scansione annuale (di cui all’art. 20, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175) da apprezzarsi a regime, e nella revisione straordinaria, tesa ad avviare il riassetto alla luce dei più stringenti limiti all’acquisto di partecipazioni societarie, ora introdotti (art. 24, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175)22.

Per comprendere la portata del nuovo approccio «razionalizzatore» delle partecipazioni esistenti occorre quindi fare cenno al contesto normativo cui il TU inerisce.

21 Ciò si desume dalla lettura combinata dell’ articolo 5 con gli artt. 20 e 24.

22Si ricordi che in caso di mancata adozione dell’atto ricognitivo (entro sei mesi

dall’entrata in vigore del TU), ovvero di mancata alienazione entro i termini previsti (nei successivi dodici mesi), il socio pubblico non può esercitare i diritti sociali nei confronti della società e, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la medesima è liquidata in denaro in base alle norme del c.c. (art. 24, comma 5). Sull’adempimento degli obblighi vigila la Corte dei conti, cui gli atti ricognitivi devono essere trasmessi. Stessa sorte per l’omissione della ricognizione annuale (cui si aggiunge la comminazione di sanzioni amministrative pecuniarie), da effettuarsi a regime, entro il 31 dicembre di ogni anno. Dubbi, però, sono sorti sulla tenuta costituzionale di queste sanzioni non limitate alle strumentali locali, come previsto dalla delega.

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In riferimento alle alienazione correlate al piano di razionalizzazione periodica, il TU ribadisce che «I relativi atti di scioglimento delle società o di alienazione delle partecipazioni sociali sono disciplinati, salvo quanto diversamente disposto nel presente decreto, dalle disposizioni del codice civile [..]»23.

Prima del TU partecipate, infatti, il diritto positivo si è frammentato nelle disposizioni applicabili unicamente alle partecipazioni detenute in via diretta da Stato ed enti pubblici, in altre concernenti partecipazioni di controllo dirette o indirette in titolarità di pubbliche amministrazioni locali, o che comunque considerano come destinatari esclusivi gli enti pubblici detentori delle stesse.

In questi determinati casi, le partecipazioni vietate perché non funzionali agli stretti scopi istituzionali, dovevano essere alienate nel rispetto di procedure ad evidenza pubblica. Fin troppo facile intuire, intanto, che un sistema così disomogeneo si presti a facili lacune, come è il caso – ancora una volta – delle partecipazioni indirette, in linea di massima, assoggettate alle consuete regole civilistiche in tema di alienazione.

Attualmente il TU, più in generale – in quanto prescinde dal

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settore di attività – sottopone l’alienazione delle «partecipazioni» al rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione, ammettendo, tuttavia, che la cessione possa avvenire all’esito di negoziazione diretta con un singolo acquirente quando l’ente pubblico sia in grado di dare «analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita».

Le società partecipate sono titolari del diritto fondamentale d’impresa, il quale può essere limitato soltanto nel rispetto della riserva di legge che può imporre programmi e controlli per la tutela d’interessi generali. Pertanto, sono illegittimi limiti allo svolgimento dell’attività d’impresa e, segnatamente, alla libera trasferibilità delle partecipazioni societarie, in assenza di una disposizione normativa specifica in tal senso (principio generale rinvenibile nell’art. 41 della Costituzione).

«In ossequio ad un principio comune a tutti gli enti dotati di personalità giuridica, la società si configura come un soggetto di diritto pienamente autonomo e distinto, sia rispetto a coloro che, di volta in volta, ne impersonano gli organi sia rispetto ai soci, ed

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è titolare di un proprio patrimonio, riferibile ad essa sola e non a chi ne detenga le azioni o le quote di partecipazione»24.

In definitiva, lo strumento societario, una volta costituito e distaccato dall’apparato, tramite interposizione societaria, tende naturalmente ad essere attratto nell’orbita privatistica, dominata, fra l’altro, dai principi di libera circolazione dei capitali; l’effetto di ciò, tuttavia, è destinato ad avere ripercussioni su quella stessa finanza pubblica di cui ogni partecipazione indiretta è inevitabile emanazione. Ne consegue l’urgente necessità di porre delle limitazioni al proliferare di questa tipologia di partecipazioni, connotate dall’illustrato «rischio specifico» per le ragioni della stabilità finanziaria, perché, di fatto, rimesse all’autonoma determinazione delle società intermedie rispetto all’amministrazione25

.

24 Ne deriva che i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle

società partecipate rispondono dei danni diretti arrecati all’ente societario dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, potendo essere sottoposti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina comune dettata nel c.c. Resta salva, invece, la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. Di contro, la Corte dei conti conserva la giurisdizione per il danno erariale direttamente arrecato all’ente pubblico socio «ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione» (art. 12, D.Lgs. n. 175/2016).

25

M. PASSALACQUA, Obblighi di alienazione e processi di aggregazione di

so-cietà partecipate, in S. LUCHENA, M.L. ZUPPETTA (a cura di), Il riordino delle soso-cietà partecipate nella riforma Madia. Profili giuridici ed economici, Roma, Aracne, 2016, p.

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