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1 I GRUPPI AZIENDALI 1.1

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1 I GRUPPI AZIENDALI

1.1

La dimensione d’impresa, considerazioni introduttive.

La scelta dimensionale “non rappresenta un entità immutabile nel tempo, ma è soggetta alla variabilità, talora intensa, dell’ambiente e dei processi interni. Poiché l’azienda in senso globale è sottoposta a continui mutamenti, cambia la sua struttura, la linea politica dell’attività svolta, il rapporto con l’esterno. Tendono perciò a variare, più o meno intensamente, anche i

suoi caratteri dimensionali” 1.

Dalla semplice riflessione proposta, si intuisce facilmente che intervenire sulle dimensioni aziendali rappresenta un’operazione complessa ed impegnativa che deve essere affrontata con estrema attenzione se si vuole salvaguardare l’obiettivo del raggiungimento o del miglioramento dell’equilibrio economico a valere nel tempo.

Vi è un diffuso luogo comune secondo il quale la grande dimensione è maggiormente conveniente rispetto alla piccola, si tratta tuttavia di una concezione errata: se è vero che le aziende di grandi dimensioni possono usufruire di economie di scala, è altrettanto vero che la loro gestione è contraddistinta da livelli di difficoltà operativa più elevati.

Altro luogo comune è quello di ritenere la grande dimensione come capace di ridurre i rischi. Tale considerazione, in linea di principio condivisibile, non può però ritenersi valida in senso assoluto.

Infatti alcune classi di rischio tipiche delle grandi aziende tendono a scomparire nelle combinazioni produttive di dimensioni più piccole, le quali, sotto diversi aspetti, risultano decisamente più flessibili.

La grande dimensione, in effetti, può condurre ad un “gigantismo” strutturale che rischia di “ingessare” l’azienda burocratizzando le relative azioni, in questo senso, può risultare estremamente interessante la possibilità, in alternativa alla crescita “interna”, di operare un’ aggregazione aziendale.

Attraverso l’aggregazione, infatti , due o più aziende che necessitano di “espandere” la propria attività possono ovviare agli svantaggi della grande dimensione (burocratizzazione, irrigidimento strutturale, complessità della gestione, ecc.).

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Ciò si può attuare mediante forme collaborative più o meno stringenti che consentono in ogni caso di mantenere l’indipendenza formale delle singole unità produttive. Non tutte le fattispecie aggregative consentono di raggiungere pienamente tale risultato, ma solo quelle in cui le relazioni che si vengono a creare tra le aziende coinvolte sono più strette e durature: si tratta, in particolare, delle aggregazioni basate su rapporti di tipo patrimoniale, fenomeni noti nel nostro paese come “gruppi” aziendali.

I gruppi, tra le diverse tipologie di aggregazioni sono particolarmente interessanti in quanto possono crearsi non solo in conseguenza di un processo aggregativo, ma anche di un processo disaggregativo. In quest’ultimo caso un’azienda più grande, attraverso l’operazione di scorporo, enuclea uno o più rami trasferendoli ad un’altra combinazione produttiva. In questa circostanza il gruppo, nascendo come frazionamento di un’azienda indivisa, consente di ridurre le dimensioni delle singole unità produttive che scaturiscono dall’operazione senza però diminuire quelle complessive dell’aggregato, con le relative conseguenze positive in termini di flessibilità.

In concreto, quindi, i processi aggregativi possono nascere da relazioni “esterne” o addirittura da, scelte “interne” volte a ripartire l’attività di una sola azienda in più unità formalmente indipendenti.

Detto ciò, esistono anche altre tipologie di aggregazioni oltre a quelle basate su rapporti patrimoniali. Si tratta delle aggregazioni fondate su rapporti di tipo personale e su rapporti di tipo contrattuale.

Le prime, si rivelano normalmente come le più deboli in quanto meno penetranti dal punto di vista della durata e/o dell’integrazione operativa tra le aziende coinvolte, mentre le altre si pongono in una posizione “intermedia” tra queste e le aggregazioni di tipo patrimoniale. Per chiarire quali siano gli elementi di stimolo alla crescita dimensionale, basti osservare come questi ultimi decenni si siano caratterizzati, fra l’altro, per il notevole sviluppo che ha interessato tanto singole aziende quanto interi mercati. Si è assistito ad un incremento quasi esponenziale della produzione di beni e servizi, nonché dei relativi consumi. Altri importanti segnali di tale crescita si rinvengono nell’ intensificazione delle interdipendenze economiche fra i diversi paesi e nella globalizzazione e massificazione dei mercati.

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Tutto questo ha comportato rilevanti conseguenze sulle singole combinazioni produttive, le quali per mantenere e consolidare la propria posizione, hanno dovuto fronteggiare problematiche sempre più complesse e insidiose.

Fino a quando i mercati di riferimento sono rimasti “statici”, la mancanza di complessità induceva le aziende a limitarsi a svolgere la propria attività secondo un impostazione “artigianale”, la quale, se da un lato inibiva le possibilità di sviluppo, dall’altro garantiva alle combinazioni produttive condizioni favorevoli in termini di equilibrio economico durevole. Anche se il fenomeno ha subito una decisa accelerazione negli ultimi decenni,già a partire dal XIX secolo le combinazioni produttive hanno cominciato a considerare l’ambiente non più come una variabile di scarso rilievo o da “subire”, ma come un insieme di elementi di vitale importanza per la determinazione delle proprie strategie di gestione, nonché come un

elemento sul quale, a determinate condizioni, si può e si deve convenientemente influire2.

In altri termini, l’azienda ha assunto sempre più i connotati di un sistema aperto che interagisce con il sistema ambientale, il passaggio dell’azienda da sistemi “chiusi” a sistemi “aperti” è dovuto essenzialmente a tre fattori :

- Lo sviluppo, quantitativo e qualitativo, delle reti di trasporto e comunicazione

- L’espansione vertiginosa dei consumi

- La progressiva tendenza all’integrazione delle economie dei diversi paesi e la crescita

economica dei cosiddetti “paesi sottosviluppati”3

Pare quindi opportuno illustrare le ragioni che , in seno alle singole aziende, inducono al loro ampliamento. Gli elementi di stimolo alla crescita dimensionale possono essere sinteticamente raggruppati in quattro categorie: economico-produttivo, commerciale, ambientale e amministrativo.

I motivi di ordine economico-produttivo si riconnettono all’esigenza di adottare procedimenti di produzione sempre più avanzati, alla necessità di coprire l’intero ciclo di lavorazione al fine di ridurre la dipendenza dall’esterno, all’ottimizzazione della “leva operativa”, alla massimizzazione delle “economie di scala” e di “scopo”.

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L’ambiente a cui si fa riferimento è quello specifico, ovvero il sistema economico in cui l’azienda opera, inteso come mercato di approvvigionamento dei fattori e mercato di sbocco della produzione. Non deve tuttavia escludersi una notevole interdipendenza anche con altri sub-sistemi dell’ambiente generale, il quale, oltre a quello economico, comprende i sub-sistemi politico-istituzionale, culturale-tecnologico e demografico-sociale. SCIARELLI S., Economia e gestione delle impresa, Cedam, Padova, 1997.

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I motivi di ordine commerciale risiedono soprattutto nella necessità di ottenere una maggiore forza contrattuale sui fornitori e sui canali distributivi, al fine di controllare sempre più ampie quote di mercato, offrendo ai propri clienti beni e servizi differenziati e qualificati. Oltre a ciò l’ampliamento dimensionale può contribuire a ridurre l’incidenza dei cosiddetti costi transazionali, costi connessi agli scambi commerciali, dovuti all’imperfetto funzionamento dei mercati.

I motivi di ordine ambientale si riferiscono essenzialmente alla volontà di incidere positivamente sull’ambiente di riferimento come ad esempio mobilitare grandi masse di manodopera, incidere sul progresso scientifico e tecnologico, influire sulle decisioni dei sindacati, delle forze politiche e dello stato.

Infine i motivi di ordine amministrativo consistono nella possibilità di ottimizzare il rendimento delle politiche gestionali con riferimento all’area commerciale, produttiva, finanziaria e organizzativa.

Se la crescita può procurare una serie di vantaggi non indifferenti, è anche vero che accentua alcuni problemi, che possono essere espressi come elementi di “freno” alla crescita dimensionale. Tali elementi possono essere sintetizzati in quattro categorie esemplificative : elementi tecnici (appesantimento strutturale,aumento della complessità della gestione, difficoltà di controllo/coordinamento, rischio di un eccessiva incidenza dei costi fissi), elementi organizzativi (aumento del numero delle funzioni, rischio di gigantismo e burocratizzazione, riduzione del grado di elasticità di reazione), elementi finanziari (difficoltà nel reperimento di risorse finanziarie necessarie nei tempi e nelle forme tecniche per un processo di crescita equilibrato) ed infine elementi di mercato (organizzazione commerciale complessa, necessità di collocare maggiori volumi produttivi, allargamento del mercato a zone decentrate, maggiore incidenza dei costi commerciali).

Concludendo le considerazioni introduttive, lo ribadiamo, lo “sviluppo” dell’ azienda non deve essere confuso con la crescita delle sue dimensioni, ma può concretizzarsi sia in un’espansione che in un ridimensionamento della struttura aziendale e, come segnalato in precedenza, come alternative all’espansione diretta possono a tal fine dimostrarsi estremamente utili alcune forme aggregative fondate su rapporti che possono essere ti tipo personale, contrattuale o patrimoniale. In quest’ ultima categoria rientra anche il “gruppo aziendale”. Peraltro, negli ultimi anni le aziende hanno sempre più perseguito delle politiche

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aggregative, proprio per usufruire, contemporaneamente, dei vantaggi della grande e della

piccola dimensione4 .

1.2

Le diverse tipologie di aggregazioni aziendali

I tempi moderni si caratterizzano per l’allargamento dell’operatività aziendale e,contemporaneamente, per il tentativo di contenere le dimensioni delle singole unità produttive entro termini che evitino il gigantismo strutturale.

Una delle alternative, perseguita da molte aziende, è quella della collaborazione. La scelta di dirigersi verso forme di partnership è guidata da diverse motivazioni: ti tipo economico, come ad esempio le economie di scala, di scopo o di raggio d’azione,che rendono più conveniente l’aggregazione di attività economiche; oppure la distinzione dei rischi e il fabbisogno di differenziazione che portano alla disaggregazione delle grandi unità aziendali; di tipo personale degli agenti decisionali; di tipo istituzionale, cioè riguardanti la normativa economica fiscale o le agevolazioni per l’accesso al mercato dei capitali.

Le integrazioni presentano rispetto all’ opzione della crescita interna una serie di vantaggi, tra questi indubbiamente quello della rapidità: la crescita che è resa possibile dall’ integrazione di due o più entità economiche già operanti ed organizzate è in grado di garantire indubbi vantaggi rispetto all’opzione dello sviluppo per le linee interne che invece si scontra con problematiche che richiedono tempi più dilatati di intervento e maggiori condizionamenti esterni.

Peraltro, la crescita della competizione ha alimentato la tendenza a stringere forme di collaborazione, più o meno strutturate tra le aziende. Del resto, la caratterizzazione dell’azienda nei termini di un istituto economico-sociale con dominanti caratteri e finalità di tipo economico si traduce in una continua tensione all’instaurazione di complesse relazioni di tipo cooperativo con l’ambiente esterno: le possibili forme di collaborazione interaziendale danno origine a unioni, intese, coalizioni, aggregazioni di imprese e, tra queste ultime, appunto i gruppi aziendali.

Tali forme collaborative possono assumere caratteri estremamente diversi: si va infatti da quelle che presentano legami molto labili fino a quelle in cui il vincolo è talmente stringente

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da poter considerare le diverse unità produttive, sotto il profilo sostanziale, come un’azienda unitaria.

Le tipologie di aggregazioni aziendali sono estremamente numerose, per chiarezza è pertanto utile raggrupparle in categorie omogenee. I criteri discriminatori possono essere vari. Secondo il Coronella, quello che risulta di più immediata comprensione risiede nella formalizzazione delle relazioni tra le aziende, a cui corrispondono differenti gradi di libertà/vincoli per le unità produttive che vi partecipano.

Sotto questo profilo possono individuarsi:

Aggregazioni basate su rapporti informali , le quali rappresentano delle aggregazioni “di fatto”, sprovviste di strutture convenzionali, che presentano quindi caratteristiche estremamente variegate in quanto create al di fuori di schemi prestabiliti e formalizzati. Talvolta sorgono addirittura in maniera spontanea per risolvere determinati problemi che affliggono le combinazioni produttive.

Nella maggior parte dei casi la finalità che si intende raggiungere con esse è contingente, ovvero legata alla soluzione di specifiche problematiche, al tentativo di superare congiunture sfavorevoli o sfruttare situazioni congiunturali favorevoli. Per

Questo motivo, di sovente esse si interrompono cosi come sono nate qualora vengano a mancare le condizioni che ne hanno decretato l’avvio. Le più interessanti e studiate in dottrina, non solo economico-aziendale, sono senz’altro quelle che conducono a collegamenti a carattere tecnico-produttivo, tra cui si rammentano le lavorazioni su commessa, i rapporti e le reti di subfornitura, le imprese satellite dell’indotto di un’ unica grande impresa. A queste vanno aggiunte le aggregazioni basate su collegamenti di carattere finanziario che possono discendere dalla “dipendenza finanziaria” di alcune aziende rispetto ad altre, e quelle fondate su collegamenti di carattere personale come ad esempio i gentlemen’s agreements, che non rappresentano alcun legame né operativo, né finanziario, ma esclusivamente connesso alla conoscenza e all’accordo tra gentiluomini che sono i soggetti dominanti delle aziende stesse. Aggregazioni formali su base contrattuale, questa tipologia si crea in conseguenza di un accordo specifico che lega tra loro le aziende per una collaborazione economica più o meno continuativa o per lo svolgimento in comune di determinate attività di gestione. Sono caratterizzate dalla presenza di accordi scritti che, determinando l’ambito dell’interazione, fissano impegni e responsabilità a carico delle parti oltre alle sanzioni in caso di

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inadempimento. Il contratto rappresenta quindi lo strumento di congiunzione tra le imprese firmatarie e l’intensità del vincolo viene garantita dall’obbligatorietà delle clausole previste. Questo modello aggregativo asseconda esigenze di stabilità e risponde a istanze di medio lungo periodo, distinguendosi dalla prima fattispecie, conseguente ai bisogni legati alla congiuntura. Esempi di questa modalità di aggregazione sono: i consorzi, i contratti di franchising, il contratto di affitto d’azienda, l’associazione in partecipazione, le joint venture, le associazioni temporanee di impresa (ATI) e i GEIE.

Aggregazioni formali patrimoniali, quelle cioè fondate su partecipazioni di controllo al capitale delle aziende. Il tramite di collegamento è sempre la partecipazione al patrimonio e per questo motivo il collegamento che si instaura è molto forte e tendenzialmente di lungo periodo. Esse si costituiscono infatti in una prospettiva di continuità non legata a termini o condizioni risolutive, anche se l’ingresso o l’uscita di singole aziende sono fenomeni sempre possibili. L’impresa o la società che acquista la partecipazione al capitale di un’altra società acquisisce lo status di socio ed esercita di diritto una serie di poteri che gli consente di influenzare l’attività della partecipata. La coesione tra le aziende è massima in quanto non si hanno semplici rapporti di collaborazione o intese per l’esercizio in comune di particolari attività, bensì l’integrale congiunzione delle combinazioni produttive fino a costituire un complesso economico avente direzione unitaria. A questa tipologia di aggregazione fanno parte : i gruppi aziendali, “figli” in un certo senso del più antico trust, e tutte le relative varianti tipiche di particolari paesi, quali il tedesco konzern, la holding company statunitense, il group inglese, il keiretsu giapponese.

1.3

I gruppi di aziende

1.3.1 Definizione

Nella dottrina aziendale la definizione di gruppo ha subito molteplici e complesse interpretazioni. Nella sostanza esse possono essere ricondotte a tre, di cui la più strutturata, ovvero quella che pone maggiori vincoli all’identificazione del “gruppo aziendale” e che delimita il fenomeno in maniera meno incerta e aleatoria considerando gli aspetti più propriamente formali è la definizione secondo il quale un gruppo aziendale è un complesso economico costituito da più aziende, aventi in prevalenza la forma giuridica di società per azioni, le quali, pur mantenendo inalterata la loro autonomia giuridica vengono controllate,

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mediante partecipazioni al capitale, da un medesimo soggetto economico che coordina le attività di ognuna secondo un indirizzo gestionale unitario.5

Questa prima definizione, oltre a essere tradizionale e largamente accolta dalla migliore dottrina economico-aziendale italiana, mette in risalto gli elementi tipici, la cui presenza è necessaria affinchè si possa parlare di “gruppo”:

1) La presenza di più imprese ciascuna dotata di propria autonomia giuridica, tale

requisito consente infatti di distinguere gli aggregati inter-aziendali da quelli intra-aziendali.

2) La veste giuridica delle singole imprese componenti il gruppo in forma di società di

capitali (struttura azionaria o, più raramente, a responsabilità limitata) non ritenendo idonea al raggiungimento degli obiettivi tipici dell’aggregato la forma della società di persone né tantomeno quella della ditta individuale.

3) Il legame finanziario rappresentato dal possesso, da parte di una società del gruppo,

della maggioranza o di una parte delle quote di capitale nelle altre combinazioni produttive che le consenta di esercitare il potere di controllo e direzione di queste.

Una seconda definizione, più ampia, fonda invece il concetto di “gruppo” sulla sola circostanza che un’azienda possa esercitare su altre il potere di gestione, ovvero che più combinazioni produttive condividano lo stesso soggetto economico che impone linee di governo comuni e ciò indipendentemente dalla presenza di un rapporto partecipativo. La sussistenza delle partecipazioni è vista come un elemento non necessariamente decisivo, perché il potere di direzione e di controllo può essere suscitato anche da un contratto, da una situazione “di fatto” e, in generale, da qualsiasi fattore che consente, in concreto, di esercitarlo.

A tal proposito il Saraceno definisce il gruppo come un complesso di imprese che, pur dotate ciascuna di un proprio soggetto giuridico hanno in comune il soggetto economico; in altri termini, si ha un gruppo quando una persona o un gruppo di persone hanno il potere di determinare l’indirizzo di gestione di più imprese che si presentano come autonome.6

Come si nota agevolmente, rispetto alla precedente questa definizione non ritiene indispensabile il rapporto partecipativo per creare il legame di subordinazione tra le aziende (che può quindi attuarsi anche mediante altri mezzi, ad esempio dei contratti o altri rapporti) e

5

TERZANI S., Il bilancio consolidato, Cedam, Padova , 1992 6

questa definizione è accolta da una parte, seppur minoritaria della più qualificata dottrina economico-aziendale. SARACENO P., La produzione industriale, libreria universitaria, Venezia, 1967.

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non giudica neppure decisivo il fatto che le aziende debbono possedere la forma di società di capitali. Ne consegue che questa definizione inquadra come “gruppi aziendali”fenomeni aggregativi che in base alla prima definizione non sono tali.

Una terza definizione, ancora più ampia, interpreta come gruppo qualsiasi aggregazione aziendale in cui le aziende sono collegate sia in maniera formale che informale, purchè il loro legame sia più forte e stabile rispetto ad un accordo di breve periodo. Secondo tale definizione, diffusa prevalentemente all’estero, il concetto di gruppo viene ad assumere confini estremamente vasti e il gruppo potrebbe addirittura configurarsi in occasione di gentlemen’s agreements o altri rapporti di natura finanziaria o produttiva non formalizzati, purchè protratti nel tempo.

Quelle illustrate sin ora sono le più importanti definizioni che si hanno in campo economico-aziendale, le quali si vanno a integrare con la normativa civilistica, nonché con i principi contabili nazionali ed internazionali.

1.3.2 La disciplina giuridica del gruppo

Il nostro ordinamento non prevede una definizione e una regolamentazione organica del gruppo aziendale. La disciplina interna si basa infatti su una serie di norme presenti nel codice civile e nella regolamentazione dei mercati mobiliari, dettate prevalentemente a tutela dei terzi

e delle minoranze azionarie.7

Fondamentale è l’art. 2359 c.c che fornisce la definizione di “controllo” di un’azienda, (solamente con la riforma del 1974, legge 216/74, che ha modificato tale articolo si ha un primo riferimento a questo tipo di fenomeno).

Tale articolo ci fornisce una definizione di che cosa si intenda per società “controllata” e “collegata” sottolineando cosi due tipi di rapporto/influenza distinti che presuppone nel primo caso un dominio della società, attuato mediante il controllo di diritto,di fatto e contrattuale, mentre nel secondo caso un’ influenza notevole sulle decisioni societarie, quindi non presuppone il totale dominio della società, ma solo la possibilità di influire, seppure in maniera non determinante, sulle relative scelte.

L’art. 2359 c.c è da considerarsi centrale per il nostro ordinamento. Da tale articolo scaturiscono infatti una serie di obblighi per i gruppi aziendali, come tuttavia si nota il codice civile non ha fornito una definizione di gruppo aziendale, ma si è limitato ad indicare quando si può parlare di relazione di controllo e di collegamento. Quindi in un certo senso, possiamo affermare che l’ordinamento giuridico italiano giunge a fornire una definizione di gruppo

7

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soltanto indirettamente, grazie all’identificazione del rapporto di controllo instaurabile tra le aziende.

Il concetto di gruppo è spesso richiamato da numerose leggi speciali, le quali comunque partono sempre dalla disciplina codicistica dell’articolo 2359, tra queste vale la pena di segnalare la legge 418/81 all’articolo 1 comma 8, modificata dalla legge 67/87 sull’editoria; la legge 223/90 all’articolo 37 sulle imprese radiotelevisive; e la legge 287/90 ovvero la disciplina antitrust : va sottolineato tuttavia che queste normative sono dettate per evitare il formarsi di posizioni dominanti e non forniscono una definizione vera e propria di gruppo aziendale.

La definizione del concetto di gruppo si ha in altre leggi speciali come il D.Lgs 358/93 all’articolo 60 che detta la definizione di gruppo, e il D.Lgs 270/99 sull’ amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, tale decreto all’articolo 80 spiega il concetto di “direzione comune”.

Con il D. Lgs 127/1991 viene recepita la VII Direttiva CEE che ha introdotto nel nostro paese l’obbligo di redigere il bilancio consolidato, il quale viene considerato il bilancio delle società unite tra loro da rapporti di controllo e di collegamento e non come bilancio di gruppo.

Anche la riforma del diritto societario, D.Lgs 6/2003, non da una definizione di gruppo, in quanto, nella relazione accompagnatoria al decreto, chiarisce che una qualsiasi pronunziazione in tal senso non sarebbe mai riuscita a tener conto dei molteplici aspetti, presenti e futuri del fenomeno.

Oltre alla necessità di redazione, salvi i previsti casi di esonero, del bilancio consolidato, il D.Lgs 6/2003 ha introdotto ulteriori vincoli che pongono in maggiore evidenza i rapporti e le responsabilità che scaturiscono dalle relazioni di gruppo, in cui è evidente il dominio di un soggetto capogruppo. In particolare tale riforma va a modificare l’art 2497 e seguenti, che regolamentano l’attività di direzione e coordinamento unitario della capogruppo sulle altre società per evitare che il soggetto controllante, violando i principi di corretta gestione possa pregiudicare la consistenza patrimoniale, il valore delle azioni e la capacità di produrre redditi delle società controllate.

L’art. 2497-sexies c.c ci propone la definizione di soggetto capogruppo come: colui che è tenuto a redigere il bilancio consolidato, esercita il controllo secondo l’art 2359 c.c e svolge attività di direzione e coordinamento di società sia su base contrattuale sia che sia previsto dal loro statuto.

Si necessita di menzionare anche il fatto che negli ultimi anni si sono prodotte importanti innovazioni sotto il profilo fiscale, il D.Lgs 344/03 ha istituito il “consolidato fiscale” che

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consente alle imprese consociate di optare per una tassazione consolidata che prevede un’ unica base imponibile, data dalla somma algebrica delle basi imponibili delle società consociate, cercando così di limitare le operazioni infragruppo a scopi elusivi.

Infine, vale la pena ricordare le legge n°262/2005 che ai fini della tutela del risparmio, ha imposto norme particolarmente stringenti per contrastare la scarsa informazione connessa ai gruppi le cui società hanno sede in stati che non garantiscono la trasparenza societaria. Necessità, questa, particolarmente sentita soprattutto dopo i crack finanziari di grandi gruppi industriali italiani (in particolare in gruppo Parmalat).

1.4

Le caratteristiche costitutive dei gruppi

Secondo la prima e più restrittiva definizione in materia esposta nel paragrafo 1.3.1, il gruppo aziendale è rappresentato da un istituto economico costituito da più aziende dotate di autonomia giuridica ma soggette al controllo economico, mediante partecipazioni al capitale, da parte di un unico soggetto che governa lo stesso secondo un indirizzo unitario. In “senso stretto”, pertanto, si può parlare di “gruppo aziendale” quando si manifestano, contemporaneamente, le seguenti condizioni:

1) Pluralità dei “soggetti giuridici” (le singole aziende)

2) Unicità del “soggetto economico” (il dominus, per conto del quale viene svolta

l’attività aziendale)

3) Controllo tramite partecipazioni al capitale

4) Direzione unitaria

1.4.1 La pluralità dei soggetti giuridici

Il “soggetto giuridico” può essere definito come la persona fisica o la persona giuridica a cui fanno capo gli obblighi e i diritti derivanti dall’esercizio dell’impresa cioè, colui che esercita tutte le funzioni legali inerenti la vita dell’azienda. Con riferimento ai gruppi aziendali si è fatto presente che è necessaria la presenza di più aziende formalmente indipendenti in quanto in assenza di essa si avrebbe un’azienda unica.

Per questo motivo la distinzione giuridica delle varie aziende appartenenti al gruppo diventa elemento sostanziale, che porta con se implicazioni di carattere economico.

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La problematica però non sta tanto nella determinazione della “pluralità” dei soggetti giuridici, ma piuttosto nella tipologia di persona (fisica o giuridica) che sta dietro al soggetto giuridico e quindi se le aziende facenti parte al gruppo debbano essere società di capitali o società di persone.

Solo la forma giuridica di società di capitali infatti consente di realizzare appieno l’autonomia giuridica delle diverse entità del gruppo: autonomia garantita, per l’appunto, dalla presenza di “personalità giuridica”. Sebbene questa sia l’opinione prevalente, non può non rilevarsi il

fatto che per alcuni autori8 la forma giuridica “di capitali” non sia indispensabile, ammettendo

quindi come lecita la presenza anche di aziende individuali e di società di persone.

Per quanto riguarda le aziende individuali, le problematiche risiedono nel fatto che è difficile per una società poter concretamente esercitare il “controllo” su di loro, ciò in quanto l’azienda individuale è tipica della piccola dimensione e, per sua natura, strettamente connessa alla figura del titolare. Si caratterizza infatti per una relazione pressoché indissolubile tra l’imprenditore e la combinazione produttiva stessa, tanto che il patrimonio dell’imprenditore e quello dell’azienda sono considerati tutt’uno.

Ne consegue quindi che l’eventuale legame tra controllante e controllata (azienda individuale) dovrebbe instaurarsi grazie ad altri strumenti, come relazioni informali o contrattuali, ma verrebbe cosi a mancare una delle caratteristiche essenziali del gruppo in senso stretto, non si può così parlare di gruppo ma di un’altra tipologia di aggregato dove i legami hanno forma diversa (contratto di collaborazione, di affitto, rapporti di subfornitura, finanziamenti di grossa entità o relazioni personali).

Un’azienda individuale può invece essere la “capogruppo”, quindi il soggetto che detiene in portafoglio le partecipazioni in altre società.

Per quanto riguarda le società di persone il ragionamento è invece differente, la loro partecipazione al gruppo potrebbe essere accettata in quanto anche se prive di personalità giuridica, possiedono un’autonomia patrimoniale (imperfetta). Inoltre il D.Lgs 6/2003 ha definitivamente sancito (cfr. l’art. 2361) che una partecipazione al capitale di una società di persone può essere acquisita anche da un’altra società (di capitali) , sia pure con alcune cautele:

1) L’assunzione di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata deve essere

deliberata dall’assemblea;

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2) Gli amministratori devono dare specifiche informazioni nella nota integrativa del bilancio su tali partecipazioni;

3) Se tutti o soci illimitatamente responsabili di una società di nome collettivo oppure di

una società in accomandita semplice sono società di capitali, il bilancio della società in accomandita semplice deve essere redatto secondo le norme della società per azioni e,

ricorrendone i presupposti, deve redigersi anche il bilancio consolidato9.

Nonostante la normativa italiana permetta la partecipazione delle società di capitali al capitale delle società di persone, nella realtà i gruppi sono principalmente costituiti da società di capitali, in quanto si ha un’effettiva separazione tra le società e i soci.

1.4.2 L’unicità del soggetto economico

L’unicità del soggetto economico è un presupposto fondamentale per la qualificazione di un “gruppo aziendale”. Sebbene le diverse aziende siano formalmente indipendenti dal punto di vista giuridico, per poter identificare un gruppo occorre infatti che il soggetto economico sia unico e identico per tutte. Senza l’autonomia giuridica tra le varie unità produttive non si potrebbe parlare di “aggregazione aziendale”, ma senza la comunanza del soggetto economico, non si potrebbe parlare di “gruppo”.

Nel gruppo inteso “in senso stretto”, ovvero quello costituito grazie alle partecipazioni al capitale delle diverse aziende, tale circostanza consente di concentrare in una sola figura, il soggetto economico (sia essa una persona o un gruppo di persone ) il potere di dominio sull’aggregato, determinandone l’indirizzo economico e le linee strategiche delle politiche di gestione.

Nel gruppo, il collegamento sulla base di partecipazioni patrimoniali di controllo permette il dominio da parte dell’azienda controllante, che determina quindi l’indirizzo strategico e influenza in maniera determinante la politiche di gestione delle società controllate. In pratica, il soggetto che determina i piani e i programmi di gestione, quantomeno a livello strategico, è unico per l’intero aggregato e di conseguenza i soggetti operativi delle singole aziende sono “condizionati” dai piani e dalle strategie di gruppo nel loro operare. Si ha un'unica volontà economica ispirata alla visione sistemica di gruppo con la valutazione delle convenienze economiche in termini globali e sistemici prescindendo dagli interessi dei singoli.

Bisogna però notare che a seconda della tipologia di gruppo e a seconda del rapporto di controllo, il grado di ingerenza di tale soggetto cambia. Ad esempio, nei “gruppi finanziari”,

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costituiti essenzialmente al solo fine d’investimento, le diverse società godono di un notevole margine di autonomia decisionale, o nei gruppi multinazionali dove la struttura operativa e le diverse realtà in cui sorgono rendono difficile la ricerca di un accentramento decisionale.

1.4.3 Controllo tramite partecipazioni al capitale

Mentre i precedenti presupposti possono considerarsi caratteristica comune a tutte le definizioni di gruppo aziendale, questo terzo presupposto è tipico della definizione di “gruppo in senso stretto”.

Peraltro, deve trattarsi di una partecipazione che consenta di esercitare il pieno controllo, ovvero, il concreto potere di gestione dell’azienda partecipata. In questo senso, la presenza di partecipazioni in altre aziende è condizione necessaria ma non sufficiente affinchè si configuri un gruppo. Esse devono essere presenti in misura tale da consentire l’esercizio del controllo economico da parte della società titolare. Non è possibile indicare quale debba essere l’importo del capitale, ovvero della partecipazione, che consente di ottenere il controllo di altre società, ciò dipende da numerosi fattori che mutano a seconda delle condizioni oggettive e soggettive delle aziende. In questo senso, è comunque decisiva la possibilità di esercitare il dominio delle assemblee sociali, le cui deliberazioni indicano le manifestazioni di volontà delle società. È infatti, in seno all’assemblea che vengono deliberate le scelte strategiche e operative della combinazione produttiva, nonché le composizioni degli organi di governo ( amministratori, consiglio di amministrazione, consiglio di gestione ) che a tali scelte devono dare attuazione. Per raggiungere questo scopo non è sempre necessaria la maggioranza assoluta del capitale ma si può ottenere forza nelle assemblee anche con quote ridotte di capitale, a causa dei fenomeni della dispersione e del frazionamento delle azioni, dell’assenteismo, dalla presenza delle azioni senza diritto di voto, dall’esistenza di sindacati di voto o di blocco.

Ne discende che, il “pacchetto di controllo” può anche essere relativamente ristretto e richiedere un limitato impiego dei mezzi finanziari, senza che ne venga penalizzata la stabilità della gestione societaria.

Nelle società di grandi dimensioni, in particolare, il controllo dell’assemblea è spesso garantito con maggioranze non particolarmente elevate, a titolo di esempio si pensi che la famiglia Agnelli, tramite le proprie società finanziarie, detiene “solo” il 30% circa delle azioni FIAT S.p.a ed ha il totale controllo dell’assemblea, altro caso è quello di FININVEST S.p.a la quale detiene “solo” il 36% circa delle azioni Mediaset, pur esercitando pienamente il suo potere di controllo su di essa.

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Pertanto il “pacchetto di controllo” può anche essere relativamente ristretto e richiedere un impiego di mezzi finanziari limitato.

Questo fenomeno può essere ulteriormente enfatizzato dallo sfruttamento della “leva azionaria” che consente alla capogruppo, attraverso successivi rapporti di partecipazione “a cascata”, di controllare indirettamente numerose altre aziende con un esborso ridotto di capitale.

Poniamo ad esempio10 il caso in cui la società ALFA S.p.a con un capitale sociale di 1000

possieda il 51% del capitale sociale di BETA S.p.a (pari a 500), la quale possiede a sua volta il 51% del capitale sociale di GAMMA S.p.a (Pari a 300) che possiede, infine il 51% del capitale sociale di DELTA S.p.a (pari a 200).

Per controllare tutte queste aziende (capitale sociale complessivo 2000), occorre soltanto il 51% del capitale sociale della società capogruppo ALFA, pari a 510, ovvero ad un quarto del capitale sociale nominale complessivo dell’aggregazione, benché la partecipazione sia in tutti i casi maggioritaria (51%). Il vantaggio si nota anche se ci riferiamo al capitale nominale “effettivo”, ovvero quello ottenuto eliminando le duplicazioni fittizie di valori dovute alle partecipazioni, e che nel nostro esempio ammonta a 1490, il controllo è infatti comunque garantito da un investimento effettivo pari a circa un terzo del suo importo.

È comunque evidente che il legame tra le aziende sarà qualitativamente migliore tanto più le singole combinazioni produttive presenteranno affinità e complementarietà a livello tecnico e commerciale (gruppi “economici” o “industriali”), tuttavia, anche quando le aziende del gruppo operano in settori produttivi differenti (gruppi “finanziari”) tra di esse vengono comunque a crearsi dei vincoli economici mediati dalla capogruppo.

1.4.4 Direzione unitaria

Disporre il diritto di esercitare il controllo mediante congrue partecipazioni al capitale delle aziende partecipate, è condizione necessaria ma non sufficiente perché si possa identificare un “gruppo”. Occorre altresì che tale diritto sia effettivamente esercitato, ed il mezzo per l ‘esercizio del controllo e del coordinamento è rappresentato in genere dalla partecipazione nei consigli dei amministrazione delle società partecipate di soggetti di fiducia della capogruppo

o holding, in grado di far seguire le direttive del gruppo11. Inoltre spetta sempre alla

capogruppo intraprendere, sia direttamente sia con l’ausilio di società di servizio appositamente costituite, tutte quelle azioni indispensabili per conferire unitarietà al gruppo.

10

esempio tratto da CORONELLA S., Aggregazioni e gruppi di aziende, RIREA, 2009. 11

(16)

Spesso però promuovere la coesione e sviluppare le sinergie tra le unità del gruppo non è facile e richiede di porre l’accento sui fattori critici per il razionale funzionamento del sistema. Inoltre, è la stessa struttura morfologica dei gruppi che a volte impedisce alla capogruppo di intervenire con profitto.

1.5

Tipologie di gruppo – brevi cenni

I gruppi aziendali possono essere classificati in relazione a diverse variabili prese come riferimento (dimensione, natura del soggetto dominante, area geografica di operatività, ecc.) . Si individuano pertanto numerose tipologie di gruppo, illustrate nella schematizzazione seguente ( senza pretesa di esaustività ) :

Una tale suddivisione si rende necessaria ai soli fini espositivi, per meglio evidenziare le diverse tipologie di gruppo che si possono riscontrare nella realtà operativa. In ogni caso, esse devono essere interpretate in maniera “congiunta”, in quanto ciascun gruppo appartiene, contemporanemente, ad ognuna di queste categorie. Si possono riscontrare gruppi economici privati di piccole dimensioni a carattere padronale e ti tipo orizzontale a struttura semplice con attività nazionale e non quotati in borsa, gruppi finanziari privati di grandi dimensioni con

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struttura menageriale e di tipo conglomerale a struttura complessa con attività multinazionale e quatati in borsa, ecc., ecc.

Come si comprende, la combinazione delle diverse variabili tende a identificare un numero estremamente elevato di gruppi operanti nella realtà e ad individuare, pertanto, una conseguente serie di “ forme ideali” a cui, almeno teoricamente, possono essere ricondotti tutti i gruppi esistenti.

Esaminando brevemente, da un punto di vista formale, i livelli e le forme in cui i gruppi possono articolarsi, la struttura più semplice è quella che prevede una capogruppo che controlla un’ affiliata; in questo caso, il gruppo si sviluppa su due livelli con un solo centro di direzione e coordinamento. Strutture più complesse si contraddistinguono per il maggior numero di livelli verticali e orizzontali in cui si può articolare il gruppo. Da questo punto di vista i gruppi possono essere:

Gruppi a struttura semplice, nei quali la società capogruppo esercita direttamente il controllo sulle altre società del gruppo tramite la totalità o la maggioranza assoluta o relativa delle azioni votanti costituenti il capitale sociale di altre società;

Gruppi a struttura complessa, traggono invece origine dalle partecipazioni indirette, le forme tipiche sono rappresentate dai “gruppi a cascata” e dai “gruppi a livelli successivi di raggruppamento”. Nei primi la società capogruppo controlla con una partecipazione diretta un’altra società che, a sua volta, controlla una terza società e così via. In tal modo la società capogruppo detiene il controllo indiretto di tutte le società legate “a cascata” tra loro. Nei gruppi a livelli successivi di raggruppamento, invece, il controllo delle varie società del gruppo si realizza, da parte della

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capogruppo, attraverso le stesse società controllate in modo diretto, assumendo le funzioni di sub-holding o socetà intermedie.

Gruppi a struttura a catena, infine, derivano dalle partecipazioni reciproche, dirette o indirette, anche se la loro costituzione risulta tuttavia molto contenuta per effetto di alcune disposizioni di legge volte ad evitare possibili “annaquamenti di capitale”.

Gruppi a struttura mista, i quali sono caratterizzati dal fatto di avere un mix di elementi delle altre tipologie appena esposte. Molto spesso nella realtà operativa le strutture dei gruppi sono talmente intricate che è impossibile ricondurle esattamente ad una delle tipologie sopra esposte. I gruppi che hanno tale struttura hanno una configurazione estremamente articolata e si modificano in base alle loro dimensioni, estensione territoriale, eterogeneità delle attività svolte, ecc,.

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Altro elemento che ci aiuta a classificare i gruppi aziendali, è il grado di

complementarietà tecnico-operativa tra le diverse società del gruppo, che li distingue in gruppi economici, gruppi finanziari e gruppi misti. Tale distinzione e richiamata dal

Documento n. 17 dei Principi Contabili emanati dal Consiglio dei dottori commercialisti e dei ragionieri nel 1996.

Secondo questa classificazione, i gruppi economici, si caratterizzano per una certa omogeneità delle attivita svolte e le aziende appartenenti ad esso sono legati da vincoli di natura produttiva che portano a strette collaborazioni e frequenti scambi di beni. In questa tipologia, possiamo trovare:

• Gruppi integrati orizzontalmente, cioè che svolgono attivita analoghe all’interno dello

stesso settore ricercando così, un maggior peso sul mercato, un’ ampliamento della gamma dei prodotti, una riduzione dei costi pubblicitari, organizzativi, etc.;

• Gruppi integrati verticalmente, dove le aziende che si aggregano svolgono fasi

successive del processo di produzione, spesso per risolvere problemi di approvvigionamento o di commercializzazione, ottenendo vantaggi migliorando lo sfruttamento dei fattori e servizi comuni, rispettando esigenze di qualità, quantità e tempi richieste dal gruppo e cosi via;

(20)

riuscendo in questo modo a diversificare il rischio connesso all’operare in un unico settore produttivo.

Nei gruppi finanziari si ha una eterogeneità delle attività produttive, dove l’unica logica unitaria va ricercata nel vantaggio della capogruppo a detenere partecipazioni

diversificate riducendo, in questo modo, il rischio derivante dagli investimenti. Una tale struttura favorisce una maggiore possibilità di accesso al mercato del credito e una maggiore elasticità, in termini di acquisto, vendite e permutazioni di pacchetti azionari.

In fine, i gruppi misti, i quali hanno caratteristiche comuni sia con i gruppi economici che con quelli finanziari.

Un’ altra classificazione generalmente condivisa è quella che distingue i gruppi in base al tipo di attività svolta dalla capogruppo. Abbiamo così :

la holding pura, in cui la capogruppo ha come unica attività la gestione e il

coordinamento di un complesso di imprese senza avere alcun ruolo produttivo e/o commerciale. Risultano quindi decentarte le strategie industiali e la gestione operativa. Tale forma è efficace per i gruppi di vaste dimensioni, con settori diversificati che richiedono competenze specifiche a livello di unità periferiche, dove il vertice aziendale deve occuparsi della formulazione di strategie finanziarie di gruppo;

la holding mista, in tal caso la capogruppo mantiene accanto alla funzione di gestione

e coordinamento delle partecipate anche la propria oroginaria attività produttiva o distributiva;

I gruppi industriali, sono quelli in cui le strategie industriali di medio-lungo termine,

le acquisizioni e le allocazioni delle risorse rimangono di competenza esclusiva della

capogruppo.12

I gruppi aziendali possono essere classificati anche in base alla loro dimensione e abbiamo: gruppi piccoli, medi e grandi; in base alla natura della società capogruppo: gruppi pubblici e privati; in base all’area geografica di operatività: locali, nazionali, internazionali, multinazionali e globali; ma anche dal grado di apertura della proprietà: padronali, manageriali, e consociativi. Le variabili su cui si puo far leva per cercare di catalogare i gruppi sono svariate a seconda degli elementi che si vogliono evidenziare e del focus di ricerca e studio.

12

(21)

1.6

Le motivazioni che spingono alla creazione dei gruppi aziendali

Le motivazioni che spingono alla creazione dei gruppi aziendali sono molteplici e risultano fortemente dipendenti dalle diverse modalità di costituzione dei gruppi stessi e dalle caratteristiche intrinseche dei medesimi. Ad esempio, differenti sono gli scopi perseguiti a seconda che il gruppo derivi da un fenomeno “aggregativo”(mediante l’acquisizione di partecipazioni, mediante la costituzione di una nuova società e l’apporto di partecipazioni) oppure da un fenomeno “disagregativo” (tramite il conferimento nella forma di scorporo). Sono quindi molteplici e differenti le motivazioni perseguite che spingono alla costituzione di specifiche strutture di gruppo, le quali a seconda delle circostanze, consentono di raggiungere uno scopo piuttosto che un altro. Si pensi ad esempio ai diversi motivi che possono spingere alla formazione di un “gruppo finanziario” rispetto a un “gruppo industriale”.

In ogni caso, generalizzando, per quanto possibile, la questione, e rifacendosi alla

suddivisione delle motivazioni adottata dal Coronella13 si possono individuare due categorie :

Le motivazioni di natura economica , riconducibili quindi al mantenimento, al miglioramento o , se venute meno , al ripristino delle condizioni di equilibrio economico durevole delle aziende coinvolte;

Le motivazioni di natura extra-economica , associate alla relizzazione di obietivi specifici, non necessariamente connessi al perseguimento dell’equilibrio economico a valere nel tempo.

1.6.1 Le motivazioni di natura economica

Nella vita dell’azienda non è insolito procedere ad un riassetto della struttura operativa, i motivi possono essere svariati, ad esempio la riformulazione degli obiettivi in funzione dei mutamenti aziendali e del mercato, il miglioramento delle condizioni di efficienza e di efficacia o il recupero delle medesime condizioni qualora perdute. In questo senso le ristrutturzioni aziendali possono rappresentare il mezzo per favorire lo sviluppo dell’unità produttiva, nonché la via obbligata per fronteggiare eventuali crisi.

La ristrutturazione si può ottenere tramite acquisizioni di partecipazioni di

controllo in altre società, costituzione di nuove società, conferimenti di pacchetti di

13

(22)

controllo o dallo scorporo di uno o più rami d’azienda. La scelta di una soluzione rispetto ad un’altra dipende dal fine che con esso si vuole perseguire. Ad esempio, se si vuole raggiungere un’integrazione verticale o orizzontale dell’attivita produttiva è piu probabile che i manager optino per l’acquisizione di partecipazioni dei loro fornitori o dei loro distributori; se, invece la ristrutturazione è attuata per fronteggiare una crisi è più probabile che decidano di effettuare uno scorporo, in tal modo l’azienda può “correggere” la disfunzione strutturale enucleando lo specifico ramo, decidendo se continuare a gestirlo, oppure espellerlo definitivamente ritenendolo non funzionale al core buisness.

Un’altra motivazione, può essere ricondotta alla riduzione della complessità. Nello scenario economico attuale, la competizione sempre più esasperata induce le combinazioni produttive a ricercare assetti flessibili, di più agevole governabilità, nonché maggiormente controllabili. In un’azienda indivisa, tale finalità può essere raggiunta, almeno parzialmente, adottando una struttura multidvisionale. La soluzione del gruppo resta tuttavia peferibile molto spesso, in quanto permette di dotare i diversi “centri decisionali” di autonomia giuridica e patrimoniale. La natura dei

Gruppi permette di separare le attività operative della gestione da quelle più prettamente strategiche, in modo tale da non aver quella rigidità strutturale tipica delle grandi aziende senza però rinunciare allo sfruttamento di tutti quei vantaggi che si hanno dell’operare insieme: economie di scala, incidenza sul mercato, ecc.

A spingere un soggetto economico ad articolare la propria attività utilizzando la forma del gruppo puo anche essere l’esigenza di ridurre il rischio imprenditoriale. La riduzione del rischio è riferita sia al fatto che, grazie alla leva finanziaria, l’azionista di controllo affronta responsabilità patrimoniali inferiori rispetto ad una società

conglomerale o multidivisionale, e sia al fatto di poter separare le attivita critiche dalle altre confinando così il rischio di dissesto alla singola società in cui si è manifestato. La struttura a gruppo permette anche di diversificare il rischio potendo cosi espandersi in diversi business senza gravare eccessivamente sui risultati del gruppo.

Infine, l’ultima motivazione di natura economica, che riguarda soprattutto i gruppi industriali, si riferisce alla possibilita di raggiungere “economie” tipiche delle aziende indivise: economie di scala, economie di scopo, economie da operazioni congiunte,

economie nei costi di transazione ma anche economie amministrative, queste ultime conseguibili anche nei gruppi finanziari.

(23)

una riduzione dei costi unitari medi conseguenti all’aumentare delle dimensioni aziendali. In quanto, all’aumentare delle dimensioni i costi fissi possono essere ripartiti su un numero maggiore di prodotti andando cosi a diminuire l’incidenza unitaria.

Parlando di economie di scala si può cadere in errore pensando che esse si possano applicare solo all’attivita produttiva, invece, riguardano anche altre funzioni aziendali, come ad esempio il marketing, gli acquisti, la ricerca e sviluppo, gli

approvvigionamenti, ecc. Un altro tipo di economie che viene sfruttato spesso dai gruppi integrati orizzontalmente sono le economie di scopo o raggio d’azione,

questo tipo di economie si raggiungono svolgendo congiuntamente diverse

attività produttive utilizzando le stesse risorse, gli stessi impianti e lo stesso know how.

Cioe quando la produzione o la commercializzazione di due beni differenti all’interno di un determinato aggregato aziendale consente di ottenere una riduzione dei costi rispetto alla situazione in cui tali beni sono prodotti da due aziende distinte. In pratica, siamo di fronte a questo tipo di economie, ogni qualvolta esiste o si possa ottenere un qualsiasi tipo di sinergia dalla produzione congiunta di due prodotti diversi.

Altre economie realizzabili con la struttura di gruppo sono le economie sui costi transazionali ovvero sulla riduzioni dei costi connessi agli scambi commerciali. Questo tipo di economie si hanno nei gruppi integrati verticalmente dove il costo della produzione interna di certe attività è inferiore rispetto al prezzo di acquisto dello stesso servizio da fornitore esterno.

Un tipo di vantaggio che viene raggiunto sia dai gruppi industriali integrati verticalmente ed orizzontalmente sia da quelli finanziari sono le economie di amministrative, che prevedono lo svolgimento congiunto di tutta una serie di operazioni che riguardano tutte le imprese del gruppo. La funzione amministrativa accentrata solitamente viene svolta dalla Holding o da una societa all’uopo costituita.

Le motivazioni che portano alla costituzione di un gruppo aziendale riferite all’ottenimento di economie sono svariate, oltre a quelle già elencate, il gruppo nel

cooperare insieme può raggiungere, anche, economie tecnologiche, di controllo, d’informazione, da operazioni (produzioni) congiunte, di esperienza ecc.

1.6.2 Le motivazioni di natura extra-economica

Tra le motivazioni di natura extra-economica troviamo la già citata “leva societaria” o “leva azionaria”. Grazie alla leva azionaria si ha la possibilità di esercitare il potere di direzione

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anche con una parte soltanto delle azioni. Soprattutto quando il capitale è estremamente frazionato e polverizzzato è addirittura sufficiente una maggioranza relativa che consente, facendo “leva” sulla presenza dei soci di minoranza che non riescono ad esprimere alcun potere di governo, di controllare capitali di rischio più elevati rispetto a quanto sarebbe possibile se si trattasse di un’unica azienda indivisa.

Altra motivazione extra-economica che favorisce lo sviluppo del Gruppi è senza dubbio la capacità di attrarre credito , in quanto la strutturazione sotto forma di gruppo normalmente migliora la capacità di credito bancario. Nella maggior parte dei casi, infatti, la sommatoria dei capitali che è possibile attingere mediante più aziende è maggiore dei capitali ottenibili da una sola combinazione produttiva, seppure più grande. L’assetto organizzativo di gruppo può risultare vantaggioso anche sotto il punto di vista del reperimento del capitale di rischio, in quanto si prospetta per gli investitori la possibilità di scegliere di aderire ad una determinata iniziativa fra quelle che fanno capo alla combinazione produttiva. Tale considerazione vale anche per quanto riguarda il capitale attinto al credito, infatti le istituzioni creditizie sono sempre più orientate a concedere finanziamenti mirati a realtà industriali o commerciali ben identificabili, piuttosto che a grandi aziende complesse diversificate al loro interno.

C’e poi un importante riflesso di carattere finanziario derivante dal processo di serparazione formale delle diverse società oparative, quest’ ultimo infatti concorre ad alimentare operazioni infrafruppo, le quali debbono essere compiute e ispirate all’efficiente gestione della liquidità disponibile. Il “finanziamento infragruppo” può risolversi in un fatto meramente nominale se si limita alla compensazione di crediti e debiti reciproci, ma può costituire anche un operazione estremamente delicata, in quanto tale tipo di integrazione può generare una stabilizzazione o una riduzione del fabbisogno ciclico di finanziamento delle aziende facenti parte del gruppo.

La scelta di costituire un gruppo aziendale può essere mossa dalla ricerca di

ridurre il carico fiscale. La costituzione di più unità giuridiche permette di individuare distinti soggetti passivi d’imposta. Tramite il meccanismo dei “prezzi di trasferimento”è possibile all’interno del gruppo, la cessione di bene e/o servizi a un prezzo diverso da quello di mercato attuando così un trasferimento di costi e ricavi, quindi utili e perdite da una societa all’altra.Questo può comportare lo spostamento di materia imponibile e celare quindi una politica di gruppo volta alla minimizzazione del carico fiscale. Tale meccamiso appare ancora più favorevole quando alcune aziende del gruppo abbiano sede nei cosidetti “paradisi fiscali”. Tuttavia, nel nostro ordinamento tributario c’è stata una progressiva introduzione di norme volte a contrastare tali comportamenti evasivi ed elusivi, le quali hanno reso sempre più

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difficoltoso utilizzare lo strumento del gruppo per tale fine. A tale scopo è doverso rammentare le disposizioni dell’ art. 110, commi 7 e 10 del T.U.I.R , che impongono la valutazione al valore “normale” dei componenti di reddito di un’impresa residente in Italia derivanti da operazioni con società estere facenti parte dello stesso gruppo, prevedendo l’indeducibilità dei componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con soggetti aventi sede legale in stati fiscalmente privilegiati. Inoltre con la riforma tributaria del 2003 ( D.Lgs 344/2003) viene introdotta la possibilità di consolidare le basi imponibili delle società del gruppo mediante il consoldato fiscale nazionale ( artt. 117-129 T.U.I.R) e il consolidato fiscale mondiale ( artt. 130-142 T.U.I.R) a patto che vengano rispettate le condizioni della norma. Quindi, ricorrendo a tali forme di tassazione del risultato economico di gruppo viene meno l’utilità del meccanismo dei prezzi di trasferimento per perequare il carico fiscale dell’aggregato, in quanto tale scopo viene raggiunto attraverso la tassazione consolidata.

Vi sono poi altre numerose motivazioni di natura extra-economica che portano alla formazione di gruppi aziendali, tra queste vale la pena citare l’agevolare la gestione dell’azienda familiare e la successione generazionale, in quanto ad esempio un imprenditore può creare una holding familiare da un’azienda indivisa attraverso lo strumento dello scorporo, suddividendo così poteri e responsabilità. Ma anche agevolare la cessione d’azienda o di sue parti, quotare in borsa solamente determinate attività ma anche raggiungere finalità occulte o illecite , utilizzando quindi lo strumento del gruppo per ridurre la trasparenza verso l’esterno al fine di usufruire di benefici derivanti da una “mimetizzazione giuridica”, come ad esempio nascondere la concreta situazione nella quale versa il gruppo nel suo insieme, rendendo quindi le scelte di investimento dei soggetti basate su informazioni incomplete o errate, oppure rendere più diffcoltosa la contrastazione del fenomeno delle partecipazioni incorciate oltre i limiti imposti dalla legge.

Riferimenti

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