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1. Biografia dell'autore

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Academic year: 2021

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1. Biografia dell'autore

Azouz Begag nasce il 5 febbraio 1957 à Villeurbanne, un comune limitrofo alla città di Lione, da genitori algerini, originari di El Ouricia: il padre giunge in Francia nel 1949 e trova impiego come operaio presso un'impresa di lavori pubblici e viene raggiunto dalla famiglia l'anno seguente. Azouz Begag, nato all'ospedale Edouard-Herriot di Lione, vive, insieme a sei fra fratelli e sorelle, in una bidonville a Villeurbanne finché, all'età di dieci anni, si trasferisce in una casa popolare a La Duchère. Fin da giovanissimo dimostra un particolare amore per lo studio e per la letteratura, evadendo dalla realtà precaria in cui si trova a vivere grazie alla lettura di Hemingway, Romain Gary, Albert Camus, Stefan Zweig. Dopo gli studi superiori, intraprende un brillante percorso universitario: come spiega Begag stesso in un'intervista concessa a Margaret W. Krausse:

J'ai fait des études scientifiques parce que ma famille avait dans la tête le mythe du retour et tous les enfants qui sont nés en France ont fait des études scientifiques, techniques parce que ce type d'études pouvait être utile en Algérie […]. C'est pour cela que nos parents insistaient pour que nous fassions des études techniques et non pas littéraires.4

Nel 1984 ottiene un dottorato in economia con una tesi dal titolo «L'immigré et sa ville» e diventa ricercatore presso il CNRS (Centre National de la recherche scientifique) e presso la Maison des Sciences Sociales di Lione, specializzandosi in socioeconomia urbana. Ricopre inoltre l'incarico di professore presso l'École Centrale di Lione e nel 1988 diventa il primo beur francese a insegnare negli Stati Uniti, quando l'università Cornell di New York gli attribuisce lo status di visiting professor per otto mesi. Nel 2002 è visiting professor presso il Winthrop-King Institute for Contemporary French and Francophone Studies presso la Florida State University, diventando successivamente professore onorario presso tale istituzione.

Alla carriera accademica accompagna quella politica: dal 2005 al 2007 ricopre la carica di Ministro per le Pari Opportunità per il governo de Villepin, carica da cui si dimette nel 2007 per sostenere la campagna di François Bayrou, candidatosi alle 4 M. W. Krausse, Entretien avec Azouz Begag, «The French Review», (LXXVIII, N. 3), pp. 548- 557, 2005

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elezioni presidenziali con l'Union pour la démocratie française (UDF). Nello stesso anno, entra a far parte del Mouvement Démocrate (MoDem) creato da François Bayrou, per poi unirsi a République solidaire, fondato da Dominique de Villepin. È stato nominato Cavaliere dell'Ordine nazionale al merito e ha ricevuto la Legione d'onore.

I problemi legati all'immigrazione e all'integrazione dei giovani di origine magrebina ricoprono un ruolo centrale non solo nell'ambito della sua ricerca accademica e del suo impegno politico, ma anche nella sua produzione letteraria. Begag si avvicina alla scrittura quasi per caso, raccontando gli anni passati nella bidonville in Le Gone du Chaâba, pubblicato nel 1986: questo romanzo autobiografico riceve nel 1987 il Prix Sorcières e il Prix Bobigneries e viene adattato per il grande schermo nel 1997. Da allora ha pubblicato una ventina di opere sia per adulti che per l'infanzia: fra le sue opere ricordiamo Les chiens aussi (1995), Un mouton dans la baignoire (2007), che ripercorre la sua esperienza di Ministro per le Pari Opportunità e il suo rapporto con l'allora Ministro dell'Interno Nicolas Sarkozy, Le marteau pique-cœur (2005) e Salam Ouessant (2012). Fra le opere per l'infanzia, è autore di Béni ou le paradis privé (1989), Les voleurs d'écriture (1990), Les tireurs d'étoiles (1992), Quand on est mort, c'est pour la vie (1994) e Ma maman est devenue une étoile (1995). Numerose sono anche le sue opere sociologiche: fra queste ricordiamo Écarts d'identité (1990), La ville des autres. La famille immigrée et l'espace urbain (1991), Quartiers sensibles (1994), Les dérouilleurs: ces Français de banlieue qui ont réussi (2002) e L'intégration (2003). È ambasciatore dell'ONG Bibliothèques sans frontières, il cui scopo è quello di democratizzare l'accesso al sapere e alla lettura nel mondo.

Bibliografia essenziale

Romanzi

Le Gone du Chaâba, Paris, Éditions du Seuil, Collection Points, Série Points Virgule, 1986 (Prix Sorcières 1987, Prix Bobigneries 1987)

Les chiens aussi, Paris, Éditions du Seuil, 1995

Le marteau pique-cœur, Paris, Éditions du Seuil, Collection Points, 2005 Un mouton dans la baignoire, Paris, Ed. Fayard, 2007

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Salam Ouessant, Paris, Albin Michel, 2012

Testi per l'infanzia

Béni ou le Paradis privé, Paris, Éditions du Seuil, Collection Points, Série Points Virgule, 1989

Les voleurs d'écriture, Paris, Éditions du Seuil, Collection Petit point, 1990

La force du berger, Genève, Joie de lire, 1991 (Prix Européen de Littérature Enfantine 1992)

Les tireurs d'étoiles, Paris, Éditions du Seuil, Collection Petit point, 1992

Quand on est mort c'est pour toute la vie, Paris, Gallimard Jeunesse, Collection Page blanche, 1994

Ma maman est devenue une étoile, Genève, Joie de lire, 1995

Scritti sociologico-politici

Écarts d'identité, Paris, Éditions du Seuil, Collection Points, Série Points Virgule, 1990 La ville des autres. La famille immigrée et l'espace urbain, Lyon, Presses universitaires de Lyon, 1991

Quartiers sensibles, Paris, Éditions du Seuil, Collection Points, Série Points Virgule, 1994

Les dérouilleurs: ces Français de banlieue qui ont réussi, Paris, Mille et une nuits, 2002 L'intégration, Paris, Le Cavalier Bleu, 2003

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2. La letteratura beur

2.1. Il contesto storico e politico

La nascita della letteratura detta beur è legata al flusso migratorio che interessa la Francia a partire dalla decolonizzazione e la guerra di Algeria, fra il 1954 e il 1962, quando un numero sempre più massiccio di immigrati provenienti dal Maghreb si sposta nelle regioni industriali francesi, in particolare in quella parigina, per cercare impiego come lavoratori manuali. Fra il 1946 e il 1962, la popolazione maghrebina presente in Francia passa dai 40 000 agli oltre 400 000. È a partire da questo periodo, inoltre, che si assiste a un nuovo tipo di immigrazione: non si tratta più di un'immigrazione pensata come soggiorno temporaneo in terra straniera, ma di un espatrio permanente. I figli degli immigrati maghrebini, infatti, nati e scolarizzati in Francia, fanno sì che il progetto del ritorno “au pays” diventi sempre più un mito irrealizzabile. Le famiglie immigrate si stabiliscono inizialmente in quartieri degradati, soprattutto nelle “bidonville”, baraccopoli nate spontaneamente e formate da baracche realizzate con materiali di recupero: è in questo contesto che Azouz Begag passa infatti i primi dieci anni della sua vita. A partire dagli anni '70, questi quartieri insalubri e precari vengono sostituiti dalle “cités de transit”, complessi residenziali costruiti appositamente per ospitare temporaneamente la popolazione immigrata (che tuttavia si trova spesso a risiedere in questi quartieri per anni) e, successivamente, dai quartieri HLM (habitation à loyer modéré).

Con l'elezione a presidente della repubblica di François Mitterrand, nel 1981, e la salita al potere dei socialisti, si creano le premesse per una presa di coscienza e la nascita di numerose iniziative pubbliche da parte dei giovani francesi nati dall'immigrazione maghrebina: il governo, infatti, mette fine al monopolio di Stato sulla radio, permettendo la nascita delle radio locali. È in quello stesso anno, infatti, che nasce Radio Beur, che contribuisce così a diffondere a livello mediatico l'etichetta beur, termine familiare che Kenneth Olson, nella sua tesi di dottorato dedicata alla letteratura di autori francesi di origine maghrebina, definisce, citando il Nouveau Petit Robert,

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«Jeune né en France de parents maghrébins immigrés»5. L'origine del termine risalirebbe agli anni '70 e viene così ricostruita da Michel Laronde (citato sempre da Olsson):

Le mot « arabe », a effectivement subi deux modifications et non une seule : une modification des voyelles a et e du mot « arabe » a donné le mot rebeu qui, inversé, cette fois, en verlan donne le mot « beu-re » qui à son tour devient « beur » en une syllabe. 6

Sono anni, dunque, in cui la cosiddetta “seconda generazione di immigrati” (un'etichetta, sottolinea Laronde, priva di senso, in quanto per definizione non c'è immigrazione al di là della prima generazione, e che evidenzia la marginalizzazione sociale di questi giovani) inizia a far sentire la propria voce: dopo una serie di episodi di violenza xenofoba e con l'avanzare del Front National alle elezioni locali del 1983, i giovani di origine maghrebina organizzano la Marche pour l'égalité et contre le racisme, meglio nota come Marche des beurs, che parte il 15 ottobre 1983 da Marsiglia e si conclude il 3 dicembre a Parigi, dove i manifestanti sono ricevuti dal presidente della repubblica François Mitterrand al Palazzo dell'Eliseo, e che mobilita 100 000 simpatizzanti. La marcia è seguita da altre iniziative, come la marcia organizzata l'anno seguente dal collettivo Convergence 1984 e la nascita dell'associazione SOS Racisme. Nel 1985, con il supporto del governo socialista, nasce l'organizzazione France Plus, che inizia una campagna per lanciare candidati di origine maghrebina alle elezioni locali del 1989 (un'iniziativa che riscuote un successo solo parziale, dato che i consiglieri municipali eletti grazie a questa campagna sarebbero stati non più di 150 e molti di questi avevano carriere politiche già avviate).

Il fervore di attività e iniziative legate al movimento beur inizia a declinare intorno alla fine del decennio.

5

K. Olson, Le discours beur comme positionnement littéraire. Romans et textes

autobiographiques français (2005-2006) d’auteurs issus de l’immigration maghrébine, Stockholm

University, Faculty of Humanities, Department of French, Italian and Classical Languages, 2011, p. 16. 6 Ibidem.

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2.2. L'emergere della letteratura beur

È in questo contesto di fermento politico e sociale che i primi autori francesi di origine maghrebina, nati fra gli anni '50 e '60, fanno il loro ingresso nella scena letteraria. Il primo romanzo a essere pubblicato, nel 1981, è L'amour quand même7 di

Hocine Taoubti, che tuttavia passa quasi inosservato. È con Mehdi Charef e il suo Le thé au harem d'Archi Ahmed8 (1983) che il romanzo beur diventa un fenomeno

letterario. L'opera conosce un successo straordinario e due anni dopo diventa un film, scritto e diretto dallo stesso autore. Con questo romanzo, il pubblico francese è costretto a confrontarsi con la vita quotidiana, le difficoltà e le aspirazioni dei giovani delle banlieues, nati dall'immigrazione maghrebina in Francia, divisi fra due culture, quella del paese di origine dei genitori e quella della nazione in cui hanno sempre vissuto, gravati da un doppio handicap sociale, l'origine straniera e la provenienza da un ambiente sociale svantaggiato, operaio e spesso analfabeta. Azouz Begag ci offre una testimonianza personale dell'importanza che questa opera ha rivestito per lui e per tutta una generazione di giovani desiderosi di far sentire la propria voce:

À titre personnel, je dois dire que c'est la lecture du Thé au harem de Mehdi Charef qui a provoqué un moi un tel choc que j'en ai acquis la certitude que je pouvais être aussi capable d'écrire un livre!Mon livre. C'est ainsi que j'ai commencé l'écriture de mon autobiographie. Mehdi Charef a été un pionnier, il a ouvert une brèche, rendu accessible la route vers les maisons d'éditions. […] C'était la première fois de mon existence d'enfant immigré en France qu'un livre m'offrait une telle possibilité d'identification tout à la fois communautaire, ethnique et sociale.9

Nel giro di pochi anni, escono tre romanzi che costituiscono altrettante pietre miliari nella storia della letteratura beur: Georgette!10 di Farida Belghoul, Le Sourire de

Brahim11 di Nacer Kettane e Le Gone du Chaâba di Azouz Begag. La nozione di roman

beur fa presto il suo ingresso anche nel discorso critico, in particolare grazie a due articoli, Les rêves et les cris du roman beur di Jean-Michel Ollé, pubblicato nel 1988 su «Le Monde», e Le roman beur en question di André Videau, comparso nello stesso anno

7 H. Touabti, L'amour quand même, Paris, P. Belfond, 1981.

8 M. Charef, Le thé au harem d'Archi Ahmed, Paris, Mercure de France, 1983.

9 A. Begag, Écritures marginales en France : Être écrivain d'origine maghrébine, Tangence (LIX), 1999, pp. 73-74.

10 F. Belghoul, Georgette!, Paris, Barrault, 1986.

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in «Hommes et Migrations». L'ondata di entusiasmo per questa nuova corrente letteraria, tuttavia, non tarda a smorzarsi: parallelamente all'attività politica di associazioni e organizzazioni, la letteratura beur inizia a stagnare a partire dalla fine degli anni '80, forse in concomitanza con il progressivo ritiro dalla scena politica del Front National, per ritrovare nuovo vigore all'inizio degli anni 2000, quando Jean-Marie Le Pen si candida alle elezioni presidenziali del 2002.

2.3. Come classificare la letteratura beur?

La mancanza di un vero e proprio programma letterario e sociale sistematico e coerente rende difficile una classificazione univoca della corrente beur. Jan Goes ne studia il rapporto di continuità e rottura rispetto al filone della letteratura maghrebina di lingua francese, mettendo in luce le differenze che le distanziano: mentre i testi maghrebini di lingua francese sono scritti in un contesto nazionale, da parte di autori che affermano la propria identità algerina, marocchina o tunisina, e sono legati a temi coloniali o postcoloniali (e occasionalmente al tema dell'emigrazione in Europa), i testi della letteratura beur sono saldamente ancorati allo spazio socioculturale francese, in particolare al contesto della banlieue e della periferia, e rivendicano un'identità che non corrisponde esattamente né a quella araba né a quella francese e che l'autore definisce “francarabe”. Un'altra differenza radicale fra i due filoni letterari è il rapporto rispetto alla lingua francese: mentre gli autori maghrebini di lingua francese adottano un approccio ambiguo e spesso tormentato nei confronti della lingua della métropole (lingua del colono e in quanto tale di dominio, ma anche strumento di emancipazione e di rivendicazione dell'indipendenza), per gli autori beur la scelta del francese come lingua letteraria è quasi scontata. La letteratura beur, dunque, è debitrice sotto molti aspetti nei confronti della letteratura maghrebina di lingua francese, costituendone una sorta di naturale evoluzione, ma rappresenta un filone a sé stante, con caratteristiche proprie.

Habiba Sebkhi, evidenziando il carattere “illegittimo” della letteratura beur (illegittimo sia a livello istituzionale, in quanto non trova spazio nei canoni della letteratura francese, che a livello di tessuto narrativo, in quanto tema ricorrente nei romanzi beur è la mancanza o lo sgretolarsi della figura paterna), passa in rassegna

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alcune possibili classificazioni, interrogandosi sulla loro applicabilità ai testi dei francesi di origine maghrebina: quella di “littératures de l’exiguïté”, che scarta in quanto tale etichetta definisce letterature di carattere regionalista scritte in una lingua diversa da quella della maggioranza; quella di letteratura minoritaria, che tuttavia si applica solo in parte al caso dei testi beur poiché indica una letteratura che l'istituzione esclude dal campo della legittimità e isola in posizioni marginali ma che non è necessariamente espressione di una minoranza; quella di “littérature mineure” (così definita da Deleuze e Guattari), ossia una letteratura prodotta da un gruppo minoritario nella lingua del gruppo maggioritario, etichetta che tuttavia non è corretta se applicata alla produzione beur in quanto per i suoi autori il francese rappresenta la lingua materna e spesso l'unica lingua che conoscono; quella di letteratura migrante, impropria poiché l'autore beur non ha vissuto l'esperienza della migrazione; e infine quella di letteratura postcoloniale, scorretta perché il romanzo beur non affronta le tematiche del colonialismo ma si incentra sulle rivendicazioni e l'affermazione di sé del cittadino nella società francese. Sebkhi propone quindi la nozione di “littérature naturelle”, ossia «toute littérature produite dans une marge par une minorité identifiable dans un contexte culturel dominant qui refuse, rechigne, hésite à la reconnaître»12. In quanto letteratura “naturelle”, l'opera beur è dunque un'opera che ha carattere di «urgence nécessaire»13, un atto di autolegittimazione che permette all'autore di operare una catarsi e una terapia, dando voce alla propria esperienza e facendosi soggetto, e non più oggetto, del discorso. Questo implica però che nel momento in cui l'autore beur volgerà la propria attenzione a temi più universali e meno legati alla propria autobiografia, il mondo editoriale e il pubblico perderanno interesse per la sua produzione, facendo così della letteratura “naturelle” una corrente votata alla stagnazione e alla morte (questo spiegherebbe, peraltro, perché la maggior parte degli scrittori emergenti degli anni '80 e '90 abbia scritto un solo romanzo).

Olson esamina i tentativi da parte di Alec G. Hargreaves e di Michel Laronde di applicare alla letteratura beur la nozione di “littérature mineure” (con Hargreaves che sottolinea la progressiva riduzione dell' “écart culturel” di tale produzione, mentre Laronde pone l'accento sulla strategia di decentramento rispetto a una norma), tentativi

12 H. Sebkhi,Une littérature ‘naturelle’ : Le cas de la littérature ‘beur’, «Itinéraires et contacts de cultures» (XXVII), 1er semestre, Paris: L’Harmattan et Université Paris XIII, 1999.

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che si rivelano non soddisfacenti, e prende quindi in esame il concetto di “letteratura emergente”, che si rivela anch'esso problematico. Citando Charles Bonn, Olson definisce una letteratura emergente come inseparabile da uno spazio culturale emergente, che la produzione letteraria contribuisce a definire e far emergere: una letteratura dunque «au service d’un projet identitaire collectif ou nationaliste»14: non è questo il caso della letteratura beur, che si caratterizza anzi per la mancanza di riferimenti culturali nell'ambiente da cui prende origine, e i cui autori non rappresentano alcun movimento o istanza ideologica. Lo studioso rigetta anche la proposta, da parte di Laronde, di suddividere la letteratura beur in due filoni, con la produzione che parte dagli anni '90 considerata come a sé stante, caratterizzata da una scrittura più estetica e creativa rispetto a quella degli anni '80, e in quanto tale definita come “arabo-française”: secondo Olson, infatti, sia il corpus dei primi anni che quello dei decenni successivi comprendono sia opere più strettamente etnografiche e autobiografiche che testi capaci di svincolarsi da queste tematiche. La conclusione dell'autore è che «les spécificités du roman beur semblent s’enraciner dans le besoin d’une minorité marginalisée de prendre la parole».

Per rimediare al mancato riconoscimento della letteratura beur da parte delle istituzioni letterarie e del pubblico, il gruppo Qui fait la France?, costituito da autori di varia provenienza ma con in comune un passato legato alle banlieue e ai quartieri urbani svantaggiati, ha pubblicato nel 2007 un manifesto letterario, che rivendica la validità della loro produzione nella scena letteraria francese. Laura Reeck suggerisce inoltre un possibile margine di apertura nei confronti degli autori di origine maghrebina nel contesto della littérature-monde en français, il cui manifesto è stato pubblicato da Michel Le Bris e Jean Rouaud in «Le Monde des livres» nel 2007. La loro seconda opera collettiva, Je est un autre (2010), ha visto, fra i firmatari, autori di origine algerina fra i quali Azouz Begag, Ahmed Kalouaz e Leïla Sebbar.

2.4. Temi e caratteristiche

14 K. Olson, Le discours beur comme positionnement littéraire. Romans et textes autobiographiques

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2.4.1. Il dato autobiografico

Un tratto costitutivo unificante dei testi della letteratura beur, che questi condividono con la letteratura maghrebina di espressione francese che li precede, è il loro carattere autobiografico, la loro esigenza di testimonianza: un'esigenza che, secondo Habiba Sebkhi, si riallaccia a un'esigenza di memorializzazione, di inserire il proprio vissuto in una memoria collettiva dalla quale la generazione precedente, quella della prima immigrazione in Francia, era stata esclusa a causa dell'analfabetismo, e al tempo stesso a un'esigenza di inserirsi in una prospettiva futura, di costruirsi una nuova identità, legittima e autonoma sia rispetto al patrimonio culturale dei genitori sia rispetto ai valori tipicamente occidentali. I protagonisti sono giovani francesi nati dall'immigrazione algerina, solitamente bambini o adolescenti, che spesso condividono con l'autore il nome (è il caso di Azouz ne Le Gone du Chaâba) e di cui si ripercorre la vita quotidiana, il rapporto ambivalente e tormentato sia con la famiglia di origine che con la società francese nel suo complesso, i sogni e la lotta per l'emancipazione. È un tipo di romanzo, nota Jan Goes, profondamente radicato nello spazio francese, che è protagonista dell'intreccio, e che, così come i personaggi che al suo interno si muovono, si presenta polarizzato, suddiviso fra due estremi, lo spazio periferico della banlieue o della bidonville e il “centro”, abitato dai “Français de souche” e caratterizzato da benessere e modernità ma anche da intolleranza e diffidenza verso tutto ciò che è “altro”. Il personaggio principale funge da tramite, anello di congiunzione fra questi due mondi polarizzati, e tenta di sintetizzarli in un terzo spazio nel quale possa trovare il suo posto di cittadino riconosciuto come tale, integrato ma non mutilato del proprio bagaglio culturale e identitario, che comprende anche la cultura di origine della propria famiglia. Un altro dato costante di questi romanzi è infatti la lacerazione fra due culture contrapposte e al tempo stesso complementari, fra le quali il protagonista oscilla cercando una mediazione, a volte dimostrando vergogna nei confronti delle proprie origini maghrebine e aspirando a uniformarsi al modello culturale francese, ma non rinnegando mai completamente la propria identità composita e multiculturale. Questo tipo di romanzo, secondo l'analisi di Sebkhi, presenta dunque un individuo in divenire, impegnato in un percorso di crescita individuale, ma al tempo stesso universale, per poter trovare la propria identità.

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2.4.2. Il tema dell'esilio

Altro tema unificante all'interno della letteratura beur è quello dell'esilio, vissuto dai suoi giovani protagonisti come un doppio esilio: se in Francia sono etichettati come “les sales Arabes”, nel loro paese di origine sono “les Arabes de France”. Mentre nelle opere letterarie dei migranti era centrale l'immagine della terra di origine, rievocata con un forte senso di nostalgia e di perdita, gli autori beur, sradicati sia nel paese degli avi che in quello dove sono nati e cresciuti, reagiscono alla loro condizione di esilio cercando di affermare la propria identità e di trovare uno spazio proprio, legittimo, all'interno della società francese. È così che svanisce il sogno del ritorno, coltivato dai genitori immigrati di prima generazione: riprendendo le parole di Samia Mehrez, le comunità di origine nordafricana sono qui per restare.

L'esilio vissuto dai personaggi della letteratura beur è anche di stampo socioeconomico: c'è in questi romanzi la consapevolezza dolorosa di trovarsi in un mondo in cui il benessere materiale è a portata di mano, ma al tempo stesso lontano e inaccessibile, di aver abbandonato una situazione di miseria nel paese di origine per trovare altrettanta povertà nel paese di arrivo, condizione a cui si aggiunge l'emarginazione sociale e razziale.

2.4.3. La figura paterna

Il padre, figura sacrale nell'immaginario maghrebino, ricopre un ruolo centrale all'interno del romanzo beur, ma in negativo: elemento ricorrente in queste opere è infatti l'immagine indebolita e fragile della figura paterna, che rappresenta l'incapacità del modello maghrebino di adattarsi all'interno del contesto francese. Il padre è, solitamente, analfabeta, incapace di esprimersi correttamente in francese, gelosamente attaccato alle sue tradizioni e alla sua religione, esautorato di fronte alla sempre maggiore autonomia con cui i figli intraprendono il proprio percorso di integrazione, occupa i gradini più bassi della scala socioeconomica (svolge professioni umili come l'operaio) e guarda con sospetto a tutto ciò che è “altro”, esattamente come fanno gli

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stessi francesi nei suoi confronti. Spesso il protagonista non può fare a meno di provare vergogna nei confronti del genitore.

2.4.4. L'istituzione scolastica

L'altro spazio protagonista del romanzo beur, oltre alla banlieue, è la scuola, primo luogo di apprendistato per il protagonista impegnato nel suo percorso di integrazione, sorta di anticamera alla vita nello spazio pubblico francese, che deve preparare il protagonista al suo ingresso in questo spazio inculcando in lui i valori occidentali. Tale integrazione, tuttavia, assume spesso i tratti dell'omologazione e della repressione. «En effet – commenta Belkacem Mebarki a proposito del ruolo della scuola – sa mission éducative et “civilisationnelle” devient purement idéologique lorsqu’elle défend une altérité locale qui se manifeste par le rejet de l’Autre, par la ridiculisation de ce qui vient du Sud, considéré comme anachronique»15. Anziché aiutare il protagonista

beur a trovare un equilibrio fra le diverse componenti della sua identità, fra le sue

origini e la sua “francité”, la scuola sembra contribuire alla sua confusione mentale, diventando a volte un luogo ostile, che anziché includere il protagonista contribuisce al suo sentimento di emarginazione, mettendo in luce il suo essere diverso, anche attraverso atteggiamenti implicitamente razzisti. La scuola, tuttavia, può anche diventare luogo di riscatto ed emancipazione: il protagonista beur, attraverso il suo impegno scolastico, la sua aspirazione a essere il primo della classe, trova nella scuola una dimensione di crescita, che gli permette di affrancarsi dalla sua condizione di povertà ed emarginazione, pur se al prezzo, talvolta, di alienarsi l'alleanza e la solidarietà dei suoi compagni di classe arabi, che lo accusano di essere un traditore e di aver voltato le spalle alle proprie origini.

2.5. La letteratura beur per l'infanzia

Il corpus di testi beur per l'infanzia sembra essere piuttosto ristretto: Michèle Bacholle-Bošković in Auteurs de jeunesse franco-maghrébins: un modèle

15 B. Mebarki, Azouz Begag, ou les coups de gueules identitaires d'un Beur, «Insaniyat»,(X), Janvier-Avril 2000, p. 70.

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d'intégration?16, menziona un articolo di Expressions Maghrébines che identifica tredici

autori di testi beur per l'infanzia (fra cui Azouz Begag), provenienti da orizzonti culturali e personali molto diversi e la cui produzione non si limita a quella di libri per bambini.

Come accennato in precedenza, spesso il protagonista beur è un bambino o un adolescente, che in quanto tale si trova a vivere le difficoltà legate al suo doppio statuto di ragazzino e di immigrato: alle sfide legate alla crescita e alla ricerca di un'identità propria, si aggiungono infatti quelle legate alle sue origini maghrebine, che lo bollano con l'etichetta di “straniero” nonostante sia nato e cresciuto in Francia. I romanzi beur per l'infanzia si configurano dunque come veri e propri romanzi di formazione, che attraverso lo sguardo innocente e disincantato di un bambino espongono una realtà quotidiana spesso dura e spietata.

Crystel Pinçonnat applica a questi romanzi la definizione di “récit d'enfance”, ossia «un récit autobiographique ou fictif qui narre la vie d'un enfant»17, che non si presta a grandi avventure romanzesche ma privilegia piuttosto l'evocazione della vita quotidiana e degli spazi familiari, e nota come l'immigrazione abbia contribuito ampiamente a ridefinire questi spazi in letteratura, dandone una nuova lettura in chiave urbana e sociologica: in particolare, la metropoli e la sua periferia (nel caso specifico della letteratura beur, la banlieue) diventano lo sfondo della narrazione, fornendo spunti narrativi di crudo realismo che la narrazione non cerca in alcun modo di idealizzare o mitigare, se non attraverso una certa dose di humour.

La letteratura beur per l'infanzia sembra tuttavia trascendere il dato meramente etnografico e sociologico: numerosi sono i libri che si allontanano dai temi della vita nella banlieue e della denuncia del razzismo e offrono livelli di lettura diversi, più astratti e immaginifici, come ad esempio Mona et le bateau-livre18 di Azouz Begag. La

letteratura beur per l'infanzia sembra dunque prestarsi meno a rigide classificazioni tematiche rispetto alla produzione dedicata agli adulti. Secondo Bacholle-Bošković, se si vogliono individuare dei tratti comuni occorre individuarli nella tendenza generale di questi autori a «brouiller les limites»19, ad abbattere barriere e divisioni spaziali ma

16 M. Bacholle-Bošković, Auteurs de jeunesse franco-maghrébins: un modèle d'intégration?, «Neohelicon» (XXXVI, n. 1), 2009.

17 C. Pinçonnat, L'enfance immigrée et ses lieux de mémoire, «Babel – Littératures Plurielles» (XI), 2004.

18 A. Begag, Mona et le bateau-livre, Lyon, Chardon bleu, 1996.

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anche di genere, poiché le loro opere si caratterizzano per la tendenza a mescolare il quotidiano e il fantastico.

Azouz Begag, forte della sua esperienza di incontro nelle scuole con studenti provenienti da zone urbane svantaggiate, sottolinea l'importanza del romanzo beur per ragazzi in quanto innovativo strumento pedagogico: per gli adolescenti figli di immigrati, la lettura rappresenta infatti un'imposizione, nonché il simbolo del proprio fallimento scolastico, non certo un piacere. Spesso provengono da famiglie poco alfabetizzate, dove l'unico libro ammesso è il Corano e la parola il principale veicolo di comunicazione. I libri proposti a scuola sono percepiti come lontani dal loro orizzonte di vita e il loro rifiuto della lettura diventa sintomo di un rifiuto più profondo, di un meccanismo di difesa rispetto a un mondo dal quale si sentono esclusi. Ecco che allora il romanzo beur, per la sua vicinanza all'universo culturale e sociale di questi adolescenti, può costituire un'occasione di avvicinamento alla lettura nonché di legittimazione di sé all'interno della classe: lo studente figlio di immigrati vedrà riconosciuta di fronte agli altri la propria dignità letteraria, il valore della propria esperienza di vita e del proprio orizzonte culturale, e per una volta potrà insegnare qualcosa agli altri (ad esempio traducendo e spiegando le parole in arabo contenute all'interno dei testi).

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3. I temi della letteratura beur nei testi di Azouz Begag

3.1. La figura del padre

I tre racconti che ho tradotto e che sono oggetto di questo elaborato si incentrano sul rapporto tra il protagonista, un bambino francese di origine maghrebina, e suo padre, immigrato di prima generazione: ne La leçon de francisse, tale rapporto si definisce in termini di confronto tra la conoscenza approssimativa e stentata del francese da parte del padre e quella del figlio, cresciuto ed educato in Francia; ne La force du berger, tra il patrimonio culturale e religioso del padre, fortemente legato alle proprie origini, e l'apertura e la curiosità del bambino verso la cultura occidentale, improntata alla laicità e al progresso scientifico; ne Le temps des villages, tra i ricordi di una vita pacifica e serena nel villaggio africano dell'infanzia del padre e i ritmi caotici e sfrenati della città. La figura del padre è dunque centrale in tutti e tre i racconti, elemento questo, lo abbiamo visto, caratteristico dei romanzi beur: anche in questi racconti, infatti, troviamo una figura paterna in crisi, che nell'incontro/scontro con la civiltà occidentale si ritrova privata dei suoi punti di riferimento e della sua autorità sui figli, che sfuggono al suo controllo per intraprendere un loro personale percorso di integrazione.

In tutti e tre i testi, si fa cenno, più o meno estesamente, alla condizione di analfabetismo, ignoranza e superstizione che caratterizza la figura genitoriale. Ne La leçon de francisse questo tema, come abbiamo visto, occupa uno spazio centrale: come suggerisce il titolo stesso, ciò che divide padre e figlio è principalmente la padronanza della lingua, strumento di integrazione che il protagonista, immigrato di seconda generazione possiede a un livello madrelingua, mentre il padre si esprime con un francese approssimativo, dalla pronuncia incomprensibile e fortemente influenzata dalla sua lingua madre, l'arabo. Paradossalmente, questo genitore che non riesce a parlare correttamente il francese e che crede nell'esistenza degli spiriti maligni («Mon père dit qu'il faut toujours garder entre cinq et six mètres entre les mauvais esprit et nous à cause des risques de contagion»20) accusa il figlio di ignoranza quando quest'ultimo gli chiede cosa sia il “marchipisse” (il “marché aux puces”), termine che richiede addirittura una

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traduzione da parte della sorella maggiore del protagonista. Ne La force du berger, la figura paterna è decisamente più aggressiva nella sua insicurezza e perdita di autorità: fortemente attaccato alla religione, al rito della preghiera e alle sue tradizioni, reagisce con estrema collera quando il figlio mette in discussione le sue certezze, affermando che la Terra è tonda e non piatta (minaccia il figlio di impedirgli di andare a scuola e di far licenziare il suo maestro, colpevole di «propos blasphématoires»21), per poi lasciarsi andare a un profondo scoramento quando il figlio rifiuta di obbedire ai suoi ordini e scrivere una lettera al direttore della scuola per denunciare il maestro. Del resto, il protagonista lo chiarisce fin da subito: «Il ne faut pas dire à mon père des choses contraires à la géographie qu'il a tracée dans sa tête»22 (e del resto, sostiene piccato il padre, il fatto che non sia andato a scuola non significa che sia ignorante). La sua impotenza è ulteriormente sottolineata quando dichiara di non poter andare a protestare personalmente con il maestro, non essendo in grado di parlare correttamente il francese. La fine della sua autorità paterna è sancita definitivamente quando il figlio riprende lo stesso “esperimento” a cui il padre lo aveva sottoposto in precedenza: mentre l'uomo aveva creduto di dimostrare al figlio che la Terra è piatta facendogli rovesciare un bicchiere pieno d'acqua, il bambino cerca di insegnare al padre cosa sia la forza centrifuga rovesciando e raddrizzando rapidamente un bicchiere pieno di caffè senza farne cadere neanche una goccia. Quando tuttavia è il padre a ripetere l'esperimento, il risultato è quello di rovesciarsi addosso il caffè. Ne Le temps des villages, il tema dell'analfabetismo del padre è meno approfondito, ma troviamo un riferimento alla sua incapacità di decifrare un messaggio razzista scritto in francese sulla porta di casa, che il figlio deve tradurre per lui (traduzione la sua decisamente non fedele all'originale, per evitare di ferire il genitore).

Sia ne La leçon de francisse che ne Le temps des villages troviamo riferimenti alla posizione sociale piuttosto umile del padre: ne La leçon de francisse, il personaggio lavora in cantiere, dove vive le sue giornate piegato dalla fatica fra il cemento e il calcestruzzo e dove il capomastro si rivolge a lui apostrofandolo come “Moramed”, un nome che impiega indistintamente per tutti gli arabi (e a più riprese il protagonista ribadisce la situazione umile della sua famiglia, immigrata in Francia per trovare lavoro), mentre ne Le temps des villages troviamo un riferimento alla condizione di

21 FB-TV, p. 32. 22 FB-TV, p. 12.

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«travailleur immigré»23 dell'uomo, che il bambino accampa come giustificazione per non dare soldi al clochard della chiesa davanti casa.

Queste figure paterne si caratterizzano inoltre per la diffidenza nei confronti di tutto ciò che percepiscono come “altro” rispetto alla loro cultura di origine, in un atteggiamento di chiusura non dissimile, in fondo, da quello che riservano i francesi agli stessi immigrati («[le père] “se méfie, hypocritement” de l'Autre, chez qui il s'est exilé pourtant»24). Ne La leçon de francisse, i commenti entusiasti del protagonista sulle decorazioni natalizie che adornano la città incontrano un muro di silenzio da parte del padre, come a dire che «ça ne le regarde pas, cela ne brille pas pour lui»25; il padre della Force du berger diffida degli Americani sostenendo, con atteggiamento quasi complottista, che sono tutti dei bugiardi e che le immagini dell'uomo sulla Luna sarebbero un falso, e cerca come può di proteggere il figlio dagli influssi della cultura francese (a suo parere, lo stesso maestro, con i suoi insegnamenti irrispettosi della religione, sarebbe un complice degli Americani); Le temps des villages sembra presentare una figura paterna più aperta e tollerante, sensibile verso le sofferenze altrui (nello specifico, quelle del clochard) e gentile con gli estranei (fa accomodare il postino in casa e gli offre il caffè), ma anche in questo caso troviamo segnali di chiusura e diffidenza (a parer suo, se si vogliono evitare grattacapi, bisognerebbe evitare di parlare troppo con gli altri e quando il postino nell'andarsene gli augura buon Natale, replica seccamente che i musulmani non festeggiano il Natale, per poi chiudere la porta di ingresso a doppia mandata). Ne La leçon de francisse e ne Le temps des villages assistiamo, tuttavia, a gesti distensivi che denotano un'apertura, seppur minima, alla cultura e alla società francese: nel primo testo, il padre sorprende il figlio comprandogli il trenino da lui tanto desiderato per Natale, mentre nel secondo il personaggio porta a casa per dessert dei dolciumi lionesi tipicamente natalizi. È quella che Meaghan Emery, nella sua analisi di Le Gone du Chaâba, definisce una «hybridization of of cultural mores and discourse»26, ossia un'accettazione da parte del genitore di valori e usi francesi che offre al protagonista un nuovo modello culturale, frutto di un compromesso tra due paradigmi solitamente in opposizione. Non è questo il caso del personaggio

23 FB-TV, cit., p. 51.

24 B. Mebarki, Azouz Begag, ou les coups de gueules identitaires d'un Beur, cit., p. 70. 25 LF, p. 73.

26 M. Emery, Azouz Begag's “Le Gone du Chaâba: Discovering the Beur Subject in the Margins, «The French Review» (LXXVII, n. 6), «Le Monde Francophone», 2004, p. 1154.

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paterno ne La force du berger, che rimane arroccato nelle sue posizioni anche dopo la dimostrazione “scientifica” del protagonista. Inutilmente il bambino cerca di coinvolgerlo in una discussione a proposito dell'attrazione universale e della gravitazione terrestre, il padre lo ignora con aria sprezzante e si ritVIIira a pregare («ça, c'est vrai»27 commenta), senza nemmeno accorgersi che il figlio non l'ha seguito per unirsi a lui nella preghiera: un'immagine esplicativa dell'impossibilità di comunicazione che ormai separa i due personaggi.

Queste figure di padri esautorati suscitano spesso la vergogna e la pietà dei giovani protagonisti: «L’enfant récuse ce comportement jugé inadéquat et ridicule. Ce faisant, il installe une distance entre son père [...] et lui-même»28. Da una parte, dunque, il bambino assume un atteggiamento protettivo verso il padre, esprimendo il desiderio di riscattarlo dalla sua vita dura e umile («Un jour en classe j'ai dit au maître que j'aimerais bien gagner beaucoup de revenus quand je serais grand et les donner à mon père pour qu'il se “retraite” dessus»29) e trasmettergli le conoscenze che sono state offerte a lui in quanto cittadino cresciuto e scolarizzato in Francia («J'apprends beaucoup de choses nouvelles en classe. […] Je m'empresse de les répéter à mon père pour qu'il apprenne en même temps que moi»30), dall'altra cerca di prendere le distanze dalla sua mancanza di istruzione e dai suoi comportamenti non sempre consoni a ciò che è ritenuto accettabile nella società francese. Ne La leçon de francisse, ad esempio, il bambino riflette fra sé: «C'était étrange d'avoir des parents qui parlaient un français bizarre alors qu'ils étaient en France depuis vingt ans»31, aggiungendo subito dopo che inizialmente aveva paura di dirlo al suo maestro, sintomo di un timore del giudizio da parte degli altri. Nello stesso testo, quando il cugino Amor sputa per terra di fronte a tutti clienti del mercato, il protagonista, imbarazzato, riferisce di aver proibito al padre di fare lo stesso, per paura che magari un poliziotto lo noti e lo accusi di non rispettare il suolo francese, e quando il padre commette l'ennesimo strafalcione linguistico pensa subito a cosa direbbe il suo maestro se potesse sentirlo. Ne La force du berger, un commento dell'insegnante sul fatto che nessuno ormai dubiti che la Terra è tonda mette il bambino a disagio, facendogli pensare che suo padre sia «un rescapé de l'âge de bronze»32.

27 FB-TV, p. 40.

28 B. Mebarki, Azouz Begag, ou les coups de gueules identitaires d'un Beur, cit., p. 70. 29 LF, p. 36.

30 FB-TV, p. 17. 31 LF, p. 9. 32 Ivi, p. 29.

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3.2. La figura del maestro

A questa figura fa da contrappunto quella del maestro: come abbiamo visto, la scuola gioca un ruolo di primo piano nel romanzo beur, e da questo punto di vista questi testi non fanno eccezione. Il contesto scolastico (e la figura del maestro) è preponderante ne La force du berger, poiché questo racconto è incentrato sul contrasto fra la saggezza popolare e il patrimonio religioso del padre e le nozioni di carattere scientifico che vengono impartite a scuola e che mettono in crisi le certezze del protagonista: l'intero racconto sembra strutturarsi in una sorta di movimento oscillatorio, dalla casa alla scuola, dalle superstizioni del padre alle lezioni di scienza del maestro. Quest'ultimo, dice il bambino, è una persona gentile ma questa gentilezza sembra motivata da un certo paternalismo pietistico nei confronti del figlio di immigrati («Il est persuadé que dans ma famille, on est pauvre et misérable, parce qu'on vient d'un autre pays»33). La scuola si presenta comunque sotto una luce positiva, come un ambiente stimolante che offre al protagonista occasioni di apprendimento e crescita, catalizzatore sì di una crisi personale e nei confronti del padre, ma che lo aiuta nel suo percorso di ricerca di un'identità propria, autonoma da quella delle proprie origini, ma non passivamente ritagliata su quella francese. A questo proposito, Meaghan Emery osserva: «Interestingly, the development of this successful Beur subject transpires through the traditionally “assimilationist” institution of the French public school system»34. Il protagonista, come del resto molti dei personaggi della produzione letteraria di Begag, dimostra grande amore per lo studio, strumento di emancipazione per il futuro, e sembra ansioso di compiacere il maestro e dimostrare la sua attenzione facendo domande durante le lezioni: la sua timidezza, tuttavia, a volte lo blocca, specialmente quando la domanda che vorrebbe porre riguarda la posizione geografica del paese dei suoi genitori. Ne Le temps des villages, la figura del maestro è più marginale ma viene comunque menzionata: mentre il bambino osserva dal balcone il clochard che sbraita sotto casa sua, si chiede se quel clochard abbia dei bambini e se, nel caso in cui si abbia la sfortuna di avere un padre che chiede l'elemosina per strada, si debba dirlo al maestro.

33 FB-TV., p. 16.

34 M. Emery, Azouz Begag's “Le Gone du Chaâba: Discovering the Beur Subject in the Margins, cit., p. 1153.

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Questa osservazione denota un timore del giudizio del maestro che conferma la natura ambivalente dell'istituzione scolastica, luogo ricco di stimoli e strumento di riscatto sociale, ma anche luogo di marginalizzazione del protagonista beur. Successivamente, il protagonista menziona nuovamente il maestro, che in classe gli ha insegnato a dire “buongiorno” quando incontra gli adulti: un insegnamento che però sembra cadere nel vuoto, dato che, come nota il bambino, quando saluta i suoi vicini, questi non rispondono al suo saluto. Ne La leçon de francisse, il confronto fra padre e maestro viene stabilito dal bambino stesso, quando osservando la gente passeggiare per strada, commenta: «Il y a des Français comme mon maître d'école et des pas Français comme mon père»35: les “pas Français”, è sottinteso, sono immigrati di umile condizione proprio come il protagonista e suo padre. In questo testo, la figura del maestro si incarna inoltre in un personaggio piuttosto ambiguo, lo sconosciuto incontrato a una bancarella di libri che il protagonista soprannomina “Lunettes de Prof”: non è chiaro in realtà se si tratti effettivamente di un insegnante, ma i suoi occhiali, il suo abbigliamento e il suo aspetto in generale fanno pensare al protagonista che lo sia. Impegnato a sfogliare libri, Lunettes de Prof interviene quando il venditore della bancarella guarda con sospetto il protagonista, pensando che voglia rubare i volumi in vendita. Il misterioso personaggio lo scagiona, dicendo di essere il suo accompagnatore, e fa per prenderlo per mano, scatenando nel protagonista il terrore che voglia rapirlo. Le intenzioni di Lunettes de Prof, a suo dire, sono buone: come dichiara al protagonista stesso successivamente, voleva solo permettergli di continuare a leggere libri indisturbato (e in effetti, di fronte alle rimostranze del venditore, dichiara con tranquillità che in fondo non è così grave rubare dei libri, purché vengano letti). C'è da chiedersi se con questa figura ambigua Begag abbia voluto rappresentare l'ambivalenza, già in precedenza sottolineata, dell'istituzione scolastica, animata da buone intenzioni ma fonte di inquietudini e conflitti per il personaggio beur. In questo senso, si potrebbe allora interpretare lo scontro diretto che oppone questo personaggio al padre del protagonista come un'immagine dell'incapacità da parte della scuola di offrire spazi di ascolto e inclusione alla comunità immigrata: quando il padre gli chiede spiegazioni sulla confidenza che sembra avere con suo figlio, Lunettes de Prof non riesce a capire il suo idioletto e cerca di comunicare con lui esprimendosi a parole frammentarie e a gesti («en petit-nègre»36

35 LF, p. 18. 36 LF, p. 62.

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commenta il protagonista). Il padre, dal canto suo, si spaventa credendolo pazzo e scappa portando con sé il figlio.

3.3. Gli spazi della narrazione

Rientrano nei tòpoi del romanzo beur anche gli spazi in cui si svolge l'azione di questi testi. Il principale asse spaziale è quello che suddivide la sfera privata, la casa del protagonista, e quella pubblica, rappresentata dalla scuola, di cui abbiamo già parlato. Le case dei nostri protagonisti sono, si intuisce, sempre piuttosto umili: in un caso, quello della Leçon de francisse, abbiamo anche una descrizione più dettagliata dell'abitazione, che è raffigurata come una baracca in legno e lamiere (il bambino paragona la loro situazione abitativa al campeggio). Questa descrizione suggerisce che il protagonista abiti nella bidonville, un altro spazio protagonista della letteratura beur e in particolare del primo romanzo di Begag, Le Gone du Chaâba, dove lo “chaâba” (termine che nel dialetto algerino significa “popolare” o “del popolo”37) rappresenta appunto la baraccopoli in cui si svolge parte della trama. Che si tratti di umili appartamenti o di baracche nella bidonville, le case dei protagonisti rappresentano sempre uno spazio chiuso e isolato, all'interno del quale il mondo esterno non è ammesso (e se lo è, come nel caso del postino di Le temps des villages, ne viene ben presto espulso e chiuso fuori). Questa discrepanza fra il dentro e il fuori, fra la sfera privata e quella pubblica è sottolineata da Eamery, che sottolinea come la riuscita integrazione nello spazio nazionale francese passi anche attraverso questa dicotomia, che può determinare una situazione di «disjointedness in one's everyday activities»38. Significativa è l'immagine del padre (ne La force du berger) e del protagonista (ne Le temps des villages) che osservano il mondo esterno dalla finestra o dal balcone, a sottolineare la rigidità del confine che separa il foyer doméstique dal resto della città. Ne Le temps des villages, in particolare, la casa viene rappresentata come un rifugio sicuro («[...] je suis vite retourné me blottir dans mon lit, au chaud, sous mon abri à moi»39;

37 S. Mehrez, Azouz Begag: Un di zafas di bidoufile or The Beur Writer: A Question of Territory, «Yale French Studies» (LXXXII), «Post/Colonial Conditions: Exiles, Migrations, and Nomadisms» (I), 1993, p. 34.

38 M. Emery, Azouz Begag's “Le Gone du Chaâba: Discovering the Beur Subject in the Margins, cit., p. 1154.

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«Nous sommes directement retournés chez nous, à l'abri [...]»40) rispetto alle insidie del mondo esterno, della città, ostile, caotica e spietata. All'inizio del racconto, il protagonista nota come sotto le feste natalizie la città sembri improvvisamente diventare più umana, con le decorazioni che ne adornano le strade, i passanti con le braccia cariche di pacchetti e gli automobilisti meno aggressivi del solito: un'illusione destinata a durare poco, visto che alla fine del racconto tutto torna come al solito e addirittura il protagonista e il suo amico rischiano di essere investiti da un'auto. La città è lo spazio della solitudine e dell'alienazione, dove i clochard accasciati sui marciapiedi vengono ignorati dai passanti, dove gli anziani muoiono in solitudine nei loro appartamenti per essere ritrovati solo giorni più tardi, dove tutti vanno di corsa e nessuno dice più buongiorno; uno spazio arido e artificiale dove non c'è più neanche la divisione in stagioni, solo la differenza fra caldo e freddo. «C'était bizarre que dans une ville où des centaines de milliers de gens habitent les uns avec les autres, il y ait autant de solitude»41 osserva il protagonista tristemente. Da notare la differenza che separa il modo di approcciarsi allo spazio urbano del protagonista e della sua famiglia rispetto a quello dei “Français de souche”: mentre la madre del suo compagno di scuola François invita il figlio e l'amico a uscire a giocare per strada, la madre del protagonista è sempre molto preoccupata nel saperlo in giro per la città. Il suo timore è legato al ricordo di un'uscita in cui ha rischiato di perderlo: il protagonista, infatti, uscito a fare compere con la madre, rimane solo sul marciapiede quando l'autobus su cui sta per salire chiude le porte e parte senza fermarsi, portando con sé la madre già salita a bordo. L'episodio è raccontato con toni fortemente emotivi, descrivendo lo smarrimento del protagonista in lacrime, la disperazione della madre, la corsa disperata di quest'ultima per raggiungerlo, buttando anche la borsa a terra per correre più velocemente e stringendolo a sé in un pianto dirotto mentre i passanti li osservano. La città, dunque, che in un passo viene significativamente paragonata a una piovra o a un gigante coricato e in un altro a un corpo addormentato, si presenta come una specie di mostro tentacolare pronto a inghiottire il malcapitato di turno. A contrasto, viene rievocato il villaggio africano dell'infanzia del padre, dove la vita era più semplice e i rapporti umani più veri e genuini, dove «les villageois étaient même tous cousins»42, ci si prendeva cura l'uno

40 Ivi, p. 70. 41 Ivi, p. 55. 42 Ivi, p. 54.

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dell'altro e la solitudine non esisteva: un tempo felice finito con l'avvento delle città e il sistema di alienazione ed emarginazione dei più deboli che regna nei grandi spazi urbani. Anche ne La leçon de francisse traspare un'idea analoga, quando il protagonista, dopo il presunto tentato rapimento da parte di Lunettes de Prof, afferma: «À l'extérieur de notre baraque, la vie grouillait de dangers et de types louches [...]»43.

All'interno del tessuto urbano si apre inoltre uno spazio speciale, quello del marchipisse, il mercato delle pulci meta delle passeggiate domenicali del padre del protagonista. È uno spazio caotico, sporco, anarchico ma al tempo stesso regolato da leggi spietate e implacabili, quelle del profitto e della contrattazione (il padre vi conduce il protagonista proprio perché impari a conoscere e ad applicare queste leggi). Qui il bambino nota molti «pas Français, des pauvres qui nous ressemblent»44 a caccia di acquisti a buon mercato, ma anche un venditore che parla il «français d'ici»45 e una donna francese accompagnata dal figlio: in questo senso, il marchipisse, nonostante la logica spietata di guadagno e sopraffazione dell'altro che lo sorregge, si presenta paradossalmente come uno spazio più democratico, aperto e inclusivo rispetto al resto dello spazio metropolitano, dove stranieri e francesi si mescolano e interagiscono su un piano più paritario. Sempre all'interno del marchipisse si trova inoltre il “café du tiercé”, il bar scommesse luogo di ritrovo abituale per gli operai stranieri, che qui trovano una loro dimensione di umanità e solidarietà reciproca: qui la cameriera li conosce tutti per nome (a differenza del capocantiere che chiama “Moramed” tutti i suoi operai arabi), qui si parla «le même dialecte, celui des grues et du préfabriqué»46, qui si fa credito sulla fiducia e tutti condividono lo stesso sogno, quello di una casa sul mare nella propria terra d'origine.

3.4. Emarginazione e desiderio di integrazione

Numerosi sono i riferimenti alla situazione di povertà e marginalizzazione della famiglia immigrata: ne La leçon de francisse troviamo a più riprese riferimenti alla suola bucata delle scarpe del protagonista, che guarda con ammirazione delle scarpe di

43 LF, p. 54. 44 Ivi, p. 20. 45 Ivi, p. 23. 46 Ivi, p. 57.

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seconda mano risuolate («Franchement, elles sont super belles»47). Significativo è anche il desiderio che il bambino prova per un trenino elettrico usato a cui mancano le rotaie, con le ruote bloccate e senza le pile: non certo un giocattolo per cui valga la pena di spendere soldi, anzi, lo stesso protagonista lo definisce “déglingué”, ma anche con tutti questi difetti, ammette fra sé e sé, ci avrebbe giocato giorno e notte. «Il faut que j'apprenne que je ne suis pas comme les autres élèves de ma classe»48 pensa cercando di farsi forza e ricordando a se stesso che suo padre non è emigrato in Francia per spendere soldi inutilmente, mentre nota con orrore che una mamma francese ha già adocchiato il trenino da lui desiderato. Altrettanto significativi sono i riferimenti alla “baraque” in cui la famiglia vive e all'attenzione con cui il padre valuta le spese da sostenere. Questo determina anche un desiderio di rivalsa sociale, come nel caso del cugino Amor, secondo il quale avere successo nella vita significa comandare gli altri e che incoraggia il protagonista a studiare per realizzarsi, o del padre, che per un sentimento di dignità personale decide di comprare per sé e per il figlio due biglietti dell'autobus («les deux tickets d'intégration»49), nonostante il bambino avrebbe diritto a viaggiare gratis.

È una situazione di cui il protagonista soffre molto e che lo porta a provare un sentimento di invidia nei confronti dei francesi: in particolare, ne Le temps des villages, viene stabilito un confronto fra il protagonista e il suo compagno di scuola, François, che per Natale riceverà molti regali e la cui camera assomiglia a un vero e proprio deposito di giocattoli. «J'en avais l'eau à la bouche. Comparé à mes papillotes en pâte de fruits!»50 commenta sconsolato il bambino, che è anche tentato di chiedere a François di cedergli alcuni giocattoli che non usa più, ma desiste per la vergogna. Il suo desiderio di assimilazione è espresso anche dall'invidia con cui guarda i capelli di François, biondi, lisci e fini (anche se l'amico subito dopo lo sorprende dicendo che vorrebbe avere i suoi capelli neri e ricci). Ne La leçon de francisse, il riferimento a Tino Rossi (popolare cantante e attore francese) esprime la distanza che il protagonista percepisce fra sé e il resto della società francese: lui e la sua famiglia non sono come gli altri, non festeggiano il Natale, non possono permettersi una vera casa e non possono concedersi spese superflue.

47 Ivi, p. 24. 48 Ivi, p. 34. 49 Ivi, p. 70. 50 FB-TV, p. 63.

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Il Natale è un motivo ricorrente sia ne La leçon de francisse sia ne Le temps des villages: nel primo testo, la trama si svolge nelle settimane precedenti il Natale, mentre il secondo durante e dopo la fine delle feste natalizie. Anche questo tema è indicativo di un'aspirazione all'assimilazione: in entrambi i testi, infatti, il desiderio del protagonista di poter festeggiare il Natale e ricevere un regalo come tutti gli altri bambini si scontra con le tradizioni della sua famiglia, che in quanto musulmana non festeggia il Natale. Il protagonista di La leçon de francisse lo dice chiaramente: «Je voudrais que tous les enfants du monde, de toutes les religions, aient droit aux cadeaux de Noël, comme ça j'en aurais moi aussi»51. Il protagonista di Le temps des villages fa un incubo in cui si trova circondato da una folla di bambini, che hanno tutti ricevuto un regalo, mentre lui non ne ha ricevuto nessuno; successivamente scruta con attenzione i bidoni della spazzatura sperando di trovare un giocattolo dimenticato e mentre osserva malinconico dalla finestra i vicini di casa che si riuniscono a tavola per festeggiare il Natale e si scambiano regali, decide fra sé che da grande metterà un gigantesco albero per i suoi bambini, «[e]t Dieu comprendrait bien...»52.

Alle immagini sontuose del Natale si contrappongono però le immagini di guerre e di bambini affamati che scorrono sugli schermi televisivi, a cui si ricollega poco dopo un'altra immagine di miseria e sofferenza: quella del clochard che, sdraiato sui gradini della chiesa di fronte alla casa del protagonista, chiede l'elemosina e apostrofa i passanti rinfacciando loro il benessere in cui vivono e la sua indigenza. Si rivolge anche direttamente al protagonista, chiedendogli i soldi che la madre gli ha dato per comprare il latte e finendo per spaventarlo al punto di farlo scappare via. Il protagonista prova pietà, timore e al tempo stesso senso di colpa nei confronti del clochard: pietà per la sua situazione miserabile (si chiede anche con angoscia se abbia dei bambini), timore per il suo aspetto trasandato e il suo atteggiamento aggressivo e senso di colpa per il fatto stesso di averne paura. Questo apre un punto di vista interessante: il clochard, teoricamente compagno di sventura del protagonista, in quanto come lui occupa uno dei gradini più bassi della scala sociale, viene invece tenuto a distanza e giudicato anche dal bambino, a cui ripugnano, anche se inconsciamente, la sua sporcizia e la sua miseria. Il bambino sembra dunque mettere in atto nei confronti di un soggetto ancora più debole ed emarginato i meccanismi di discriminazione di cui egli stesso è vittima: forse un

51 LF, p. 34. 52 FB-TV, p. 66.

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inconscio tentativo di autodifesa da una realtà che lo spaventa e lo mette a disagio. Come appena accennato, gli stessi protagonisti di questi testi sono bersaglio di discriminazioni e pregiudizi. Padre e figlio, ne La leçon de francisse, vengono sprezzantemente congedati da un venditore con una storpiatura del saluto arabo, mentre un altro ambulante chiede al bambino se il padre sa parlare francese, aggiungendo che lui non sa parlare “l'algerino”. È ancora un altro venditore che è pronto a giudicare il protagonista come un ladro di libri, forse (anche) per le sue origini straniere. Lunettes de Prof sembra invece cadere in stereotipi anch'essi involontariamente razzisti quando cerca di parlare al padre quasi fosse un povero selvaggio, scandendo le parole e disegnando grandi gesti nell'aria. Abbiamo già detto dei pregiudizi di cui è vittima in classe il protagonista della Force du berger (il maestro è convinto che la sua famiglia sia povera e offende indirettamente suo padre quando dice che nessuno ormai crede che la Terra sia piatta). Ne Le temps des villages troviamo gli atti di razzismo più eclatanti: la vicina di casa, madame Durand, che detesta apertamente la famiglia del bambino e scrive un messaggio xenofobo sulla loro porta e dei graffiti di stampo nazionalistico e razzista sui muri della città: «LA FRANCE AUX FRANÇAIS! LES MELONS CHEZ EUX!»53. Da segnalare inoltre un passo in cui la dirimpettaia, accorgendosi che il protagonista la sta osservando attraverso la finestra, si affretta a chiudere le persiane (simboleggiando così l'esclusione dell'immigrato da parte dei francesi).

3.5. L'esilio e l'immagine della terra natale

A sancire la distanza che separa genitori e figli è anche il loro modo di vivere l'esilio sul territorio francese: mentre la prima generazione sogna il ritorno nella terra natale e indirizza tutti i suoi sforzi e i suoi sacrifici verso la realizzazione di questo miraggio (si pensi per esempio al sogno della casa in muratura nella terra d'origine, coltivato dal padre e dagli operai del “café du tiercé”), per la seconda generazione l'unica patria che conoscono è la Francia e, nonostante vengano trattati come stranieri, immigrati essi stessi, non potrebbero immaginare la propria vita altrove. I giovani protagonisti beur vivono dunque una scissione fra il paese in cui sono nati e cresciuti e

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la terra delle loro origini, che conoscono solo per via indiretta attraverso i racconti dei genitori: è così che «[...] in negotiating their marginal identity, the Beurs find themselves in need of an anchor, even if it be imaginary, and herein lies the significance of their parents' myth of origin. […] a third space that he had been experiencing in absentia, through the recreations and representations of his parents […]»54. Ne La leçon de francisse l'immagine della terra d'origine torna a più riprese: nell'evocazione delle montagne della Cabilia di cui il padre è originario, nella descrizione dei campi di grano e delle praterie dell'infanzia di quest'ultimo e del cugino Amor, ma anche in un sogno del protagonista, ambientato nella casa con piscina in Algeria che il padre vorrebbe costruire un giorno, quando torneranno nella terra natale «brodés d'or et cousus de rubis»55, e nella bacheca di legno dove trova informazioni sulla guerra in Algeria, di cui i genitori non gli hanno mai parlato. Il bambino dimostra inoltre una certa esasperazione nei confronti della chimera del ritorno coltivata dal padre, a dimostrazione di come per lui, nato e cresciuto in Francia, l'unico futuro possibile sia nell'unico paese che conosca: «J'en ai marre d'habiter dans une cabane de pauvres qui font du camping en France en espérant retrouver deman le pays qu'ils ont laissé dans leurs talons»56. Ne La force du berger, il protagonista rievoca il viaggio del padre, emigrato da El Ouricia in Francia, ed esprime la curiosità di sapere dove si trovi sul mappamondo il paese dei suoi genitori, mentre ne Le temps des villages la terra d'origine è evocata tramite l'immagine del villaggio africano dove il padre vorrebbe fare ritorno.

4. Oltre il romanzo beur: la soggettività e l'umorismo

Azouz Begag, lo abbiamo visto, riprende i temi e le forme tipiche del romanzo beur: la letteratura di “témoignage”, il realismo, il dato autobiografico. Numerosi sono infatti i riscontri puntuali che si possono individuare fra la biografia dell'autore e le sue opere: anche Azouz Begag, infatti, come il protagonista di La leçon de francisse, cresce in una bidonville in una famiglia numerosa, e come i suoi giovani protagonisti, dimostra fin da giovanissimo una passione per lo studio che lo porterà a riscattarsi dalla

54 S. Mehrez, Azouz Begag: Un di zafas di bidoufile or The Beur Writer: A Question of Territory, cit., p. 39.

55 LF, p. 10. 56 Ivi, pp. 38-39.

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condizione di degrado e miseria in cui è costretto a vivere; suo padre, come il padre del protagonista ne La force du berger, era un operaio analfabeta, immigrato da El Ouricia, che sosteneva che la Terra fosse piatta e che le immagini del primo uomo sulla Luna un falso.

Sarebbe però inesatto applicare a questi racconti una lettura livellante in quanto semplici esemplari della letteratura beur. Come già sottolineato nel paragrafo dedicato alla narrazione beur per l'infanzia, i testi di autori di origine maghrebina indirizzati a un pubblico infantile si caratterizzano per un respiro più ampio e uno slancio immaginativo che li svincola dal semplice resoconto sociologico della realtà della banlieue. Begag, d'altra parte, critica apertamente la lettura che della letteratura beur viene fatta dal pubblico e dalla critica francese, come di documenti di interesse sociale e storico, e non opere con qualità letterarie ed estetiche intrinseche. Gli autori di origine maghrebina, sostiene, «ont écrit des témoignages […] et non des textes littéraires»57 e questa interpretazione riduttiva crea una sorta di ghettizzazione letteraria che confina le opere beur in uno spazio separato e subalterno rispetto alla “letteratura francese”: un riflesso della stessa emarginazione che vivono gli immigrati maghrebini. La scelta di attingere ai motivi della letteratura beur, nonostante la sua posizione critica nei confronti di questi stessi moduli espressivi, sarebbe, secondo Hélène Sicard-Cowan, legata all'impegno pedagogico di Begag, che, come abbiamo visto, ritiene il romanzo beur un valido strumento capace di educare i ragazzi al valore della differenza e di offrire allo studente di origine maghrebina un modello letterario in cui identificarsi.

Begag si distacca dunque dalle forme tipiche del romanzo beur innanzitutto attraverso un punto di vista soggettivo, espresso attraverso la prima persona del singolare al presente storico: si tratta del punto di vista di un bambino, coinvolto personalmente nelle vicende da lui raccontate, che in quanto tale non rappresenta il proprio mondo per quello che è in modo lucido e distaccato, ma esprime una prospettiva parziale e personale che influisce sulla sua interpretazione dei fatti. È il caso, per esempio, del narratore di La force du berger, il cui punto di vista cambia continuamente, a seconda della fonte da cui attinge informazioni (il padre o il maestro di scuola); o ancora del protagonista della Leçon de francisse, e dei suoi tentativi, non sempre riusciti, di interpretare il “francisse” del padre, o del suo sospetto che un passante

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