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Quello che dicono le oche

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Academic year: 2022

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Quello che dicono le oche

15:53. Puntuale, ogni giorno alla stessa ora, emerge dagli alberi sistematicamente piantati per costeggiare il sentiero, preceduta dai cani che abbaiano e uggiolano. Oggi però è in ritardo.

Prima si sono fatte e 54, poi e 55, e 56, e 57… Mi chiedo perché: le si sarà slacciata la scarpa e di conseguenza si è fermata a riallacciarla? Forse ha avuto un contrattempo a casa, un'amica in visita o un parente che sta male. Oggi potrebbe essere la data di un esame importante e non l’ha voluto dire a nessuno per scaramanzia. Oppure… che ci sia stato un tamponamento tra due macchine e ha dovuto fare il giro lungo per arrivare al parco… e magari questa volta sbucherà da sinistra e non da destra? Allungo il collo aderendo con la schiena alla curva della panchina. Gli alberi che circondano la radura impediscono di vedere fin dove prosegue il sentiero e finché riesco ad allungare lo sguardo non c'è l'ombra di un cane né di una ragazza in tuta da ginnastica. Vorrei provare a sporgermi un po' di più… ma lo sghignazzare delle oche mi distoglie dall'impresa. "Le oche non sghignazzano", so cosa state pensando, ma io conosco abbastanza questo laghetto e le oche che ci sguazzano dentro da sapere che lo fanno eccome.

Ho iniziato a frequentare il parco quando il proprietario del palazzo in cui mi sono trasferito l'anno scorso mi ha detto che, visto che mi piacevano gli uccelli, potevo andare al parco a una fermata dall’immobile, dove potevo trovarne degli esemplari particolari. Merli, picchi rossi e persino fenicotteri, quando la stagione era giusta. Quello che il proprietario si è dimenticato di dirmi è che l'entrata del parco si trova proprio davanti a una scuola elementare. Quindi, quando sono arrivato, gli esemplari particolari erano poveri e semplici piccioni e tanti più mocciosi che li rincorrevano e tiravano calci all’aria. La prima volta sono rimasto deluso, ma parlandone col proprietario mi ha spiegato che il parco era diviso in tre sezioni: mi bastava seguire il sentiero.

I genitori non lasciavano andare i figli verso i boschetti artificiali che delimitavano le aree.

Devono averlo intuito anche gli uccelli, perché superato quel sentiero ne ho trovato una vera e propria comunità che ha messo da parte le differenze per difendersi dal nemico comune.

C’erano davvero i merli, i pettirossi e i picchi e anche qualche piccione più furbo degli altri.

C’era un laghetto e dentro le anatre, le papere e le oche. Per i fenicotteri, ancora non era stagione. Lì, davanti al laghetto, era il posto perfetto. Ed è tutt’ora il posto perfetto: i volatili mi piacciono da quando per il mio settimo compleanno i miei mi hanno regalato una splendida cocorita gialla e verde. Ho un numero di amici che ritengo sufficiente, sono all’università e all’occasione sbrigo qualche lavoretto per mettere da parte i soldi, quindi non li adoro nel senso che non so stare al mondo. Dal mondo, però, a volte ho bisogno di prendermi una pausa e questo nessuno lo capisce meglio degli uccelli che restano a distanza, persino da me. Poi, un interesse del genere non è di quelli che coltivi in compagnia: rifugiarmi in questa radura mi garantisce di non essere molestato e, a mia volta, di non sembrare un maniaco con il binocolo e la macchina fotografica. E, be’... poi… c'è anche lei… Almeno, di solito.

Dalla borsa a tracolla tiro fuori un pacchetto bianco. Lo scarto, respiro l'aria del laghetto, allo stesso tempo sgradevole e piacevole, e tiro un lungo sospiro. Contemplo per qualche secondo il mio panino: tonno e pomodori datterini. Niente di esaltante, ma mangiarlo da solo mi lascia l'amaro in bocca. A quest'ora lei dovrebbe già essere qui.

Lei, Daya, non fa parte del mondo, ma della radura. Frequenta il parco da molto più tempo di me. La prima volta è arrivata da destra, preceduta da due rondini in volo spaventate dai cani, e da quel momento in poi ha continuato ad arrivare da lì. È in veterinaria e quando non è in facoltà a studiare, per mettere da parte i soldi, fa la dog sitter. Dal lunedì al sabato è preceduta da una femmina di labrador (o forse è una golden retriever, ma non conosco la differenza) e un cane bianco sporco a chiazze arancioni che, a quanto pare, è anche lei di razza, di padroni

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diversi. Alla combriccola, il lunedì, il mercoledì e il venerdì, si uniscono due bassotti che restano indietro e le coprono le spalle, come due soldatini tascabili. Il sabato e la domenica c'è anche un meticcio grigio, troppo vecchio per uscire tutti i giorni, ma quando lo fa cammina in testa come un generale, di nome e di fatto, e quando si ferma, tutti si devono fermare.

Preferisce guardare le oche all'inseguire le farfalle e gli piace essere grattato su un punto preciso dietro l'orecchio che, se tocchi e strofini abbastanza a lungo, ti da libero accesso alla zona pancia. Lui si chiama Napoleone ed è il cane più bello del mondo. Dietro di lui, la padrona più bella del mondo: i capelli raccolti, la pelle scura, un paio di vecchie scarpe da tennis ai piedi e i pantaloni della tuta. Stupenda. L'Eva di questo piccolo paradiso terrestre… se Adamo fosse stato un inetto a cui il solo pensiero di dirle "ciao" secca la gola. La prima volta che mi ha chiesto se il posto accanto al mio fosse libero, sono riuscito a incespicare su un'unica e solitaria sillaba. È stata anche la prima volta che gli starnazzi delle oche mi sono sembrati sghignazzi, perché altro non potevano essere. Quindi le oche ridono, ma, soprattutto, ridono di me.

Ai miei amici non ho parlato di Daya. So già cosa direbbero: "Non fare il pollo e chiedile di uscire", ci pensano già loro. I proprietari di cani amano vantare che ai loro animali "manchi solamente la parola": ecco, con quest'oca, questa in particolare è esattamente così, ma non c'è niente di cui vantarsi. Questa qui, quando sghignazza, sghignazza più sguaiatamente delle altre e quando lo stormo è muto, ha in compenso un certo modo di guardarmi stirando il collo, oppure arruffando le ali e la coda che sembra dire "Che ci metti in scena oggi? Scena muta 3, il ritorno del pollo?" oppure "È arrivata la tua fidanzatina, pollo". Oggi dice "Dov'è finita la tua fidanzatina, pollo?" e me lo chiedo anch'io… non che sia la mia fidanzata, è chiaro. Anche se mi piacerebbe e sì, lo so che perché lo diventi prima devo chiederle di uscire. Se poi però dice di no? Diventerebbe strano e sarei costretto a cambiare parco. Per sicurezza anche città. E regione. E stato…

Se Milo sta già mangiando il suo panino tonno e pomodori, vuol dire che sei in ritardo. Deve averti pensata a casa malata o alle prese con la sessione perché quando ti vede si strozza e comincia a battersi il petto.

Raccogli tutti i guinzagli in una mano e lo raggiungi per battergli sulla schiena.

«Guarda l'uccellino. Guarda l'uccellino…» L'occhio ti cade sul suo libro di ornitologia italiana.

Sulla spina, con l'uniposca bianco ha scritto il suo nome. «Altrimenti perché ti porti dietro un binocolo?»

Ridete e tossicchia ancora un po'. Gli offri da bere ma ha già la sua borraccia. Uno strattone ti costringe a distogliere l'attenzione sul cane. Devi impegnare un'intera mano per il suo guinzaglio.

Quando alzi gli occhi ti sta guardando, circondato dalle cagnoline curiose di sapere cosa tenesse nella borsa e non appena gli sguardi si incontrano, arrossisce e distoglie il suo sperando di non essere stato notato. Tu però l'hai notato e la cosa fa arrossire anche te, ma nessuno dice niente a riguardo. Dice, invece: «Oggi c'è una new entry?»

Impossibile non notarlo. Non tanto per la dimensione, ma per il suono.

«Lui si chiama Birillo». Già, tanto sforzo per un esserino di a malapena due chili: Birillo (o Ringhio, come lo chiami tu e come Milo concorda dovrebbe chiamarsi) è un chihuahua dal pelo beige che non ha paura di niente. Con il collarino blu, lo si potrebbe gettare nel bosco e ne tornerebbe re della foresta. «I padroni festeggiano i venticinque anni di matrimonio e sono partiti in Francia. Quindi mi hanno chiesto di badarci per le due settimane che saranno via».

Ed è quindi questo il motivo per cui oggi sei in ritardo. Era questo quello che voleva chiederti.

«Parigi?»

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«Mmhmh. Naturalmente, la città dell'amore».

«So che è molto bella. Anche se non ci sono mai stato».

«Nemmeno io».

In realtà, non vi siete dati appuntamento. Non vi siete mai dati appuntamento. Il vostro è un po' come un tè delle cinque senza tè. Un'abitudine. Nata dal nulla, o forse dal destino, o forse da un cane grigio e vecchio…

Napoleone, l’unico cane che ami veramente, l’hai adottato che aveva già tutti i peli del muso bianchi. La vecchina che l’ha posseduto prima di te, te l’ha praticamente regalato: lei era malata e se se ne fosse andata prima del cane, aveva detto, desiderava almeno che il suo Napoleone fosse amato e hai tenuto parola alla promessa. È un cane vecchio. Ha anche un’anima vecchia, ma non in modo canino… bensì, umano. Fa la sua passeggiata solo il sabato e la domenica ed il percorso che seguite è quello standard per tutti i cani, cioè il sentiero principale che va dall’entrata all’uscita del parco vicino casa. Nel mezzo del parco vi è una radura senza giochi né attrezzi sportivi. C'è solo uno stagno: è lì che a Napoleone piace fermarsi. Si accomoda sul prato, il muso appoggiato sulle zampe anteriori e contempla le oche starnazzanti, ascolta il canto degli uccelli più intonati, a volte muovendo la testa a tempo. E resta piantonato lì per una buona decina di minuti. Fosse stato umano, te lo immagini col berretto calato sulle sopracciglia, i pantaloni tirati fin sopra l’ombelico e il pane da sbriciolare alla mano. Una volta piantato, è impossibile sradicarlo, eppure ci hai provato, scuotendo il guinzaglio e offrendogli un premio. A te, lo stagno non fa impazzire: dall'acqua sale una certa puzza che ti fa pensare che gli altri padroni scarichino qui i bisogni dei loro cani. Però c'è una panchina e quando devi stare al passo con dei cani giovani e uno vecchio che marcia come un generale, un posto per sedersi compensa l'aria maleodorante. Così hai abituato anche Lulù, l’épagneul breton della signora del piano di sopra, e Charlie, la golden retriever della coppia che abita nell’appartamento accanto al tuo, a quei momenti di contemplazione di Napoleone, per non dover combattere né con gli uni né con l’altro e magari prenderti anche tu una pausa.

Non fu necessario corrompere i bassotti di tua zia Ila, sempre grati di potersi fermare. Era quindi un sabato e te lo ricordi perché tra Napoleone e Milo c'è stato il colpo di fulmine. Sono molto simili: entrambi si piantonano nello stesso identico punto e restano in contemplazione degli uccelli. Gli hai chiesto se il posto accanto al suo fosse libero e da quel giorno, quel sabato, te l'ha sempre tenuto.

Lui si chiama Milo e nel corso dei mesi che avete passato l'uno accanto all'altra, hai capito che Napoleone non è stato l'unico ad essere rimasto folgorato. Te l'ha fatto notare tua sorella, un giorno qualsiasi nel mentre che ti preparavi per andare al parco: ti stavi facendo la treccia. La treccia, anziché la coda perché raccolti così i capelli ti stanno meglio. Le hai detto che nel ventunesimo secolo una ragazza si fa bella per sé stessa… ma ti è toccato ammettere che non aveva tutti i torti. È un ragazzo minuto, pieno di capelli ed è nella facoltà di lingue e comunicazione e non di veterinaria come credevi. Ti piace la sua risata… e non ti ha ancora chiesto di uscire. Ci sono volte in cui sembra voglia dirtelo, quando di guarda in quel modo particolare, la bocca semi aperta… poi la chiude e tossicchia. Allora arrossisci e i pochi minuti che passate assieme sembrano ore. Se a un ragazzo piace una ragazza, le chiede di uscire, no? Ne hai parlato alle tue amiche e loro ti hanno rinfacciato i tuoi discorsi sul ventunesimo secolo: "Insomma, dov'è finita la moderna ragazza indiana?" oppure "Se un ragazzo piace a una ragazza, gli chiede di uscire". Ma insomma… la questione è diversa… e se poi dice di no?

Che umiliazione! Saresti costretta a cambiare parco. Addio stagno, addio oche che Napoleone ama tanto. Fai calare lo zainetto verso una spalla e ne tiri fuori la borraccia. Per tenerla premi il fondo contro il fianco, tecnica che hai perfezionato fino alla sua totale padronanza e con una sola mano sviti il tappo. Lungo i bordi comincia a vedersi della ruggine. Hai chiesto alla tua

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coinquilina se poteva farti l'unico e solo favore di lavartela e questo è il risultato. Da buttare.

La manovra per richiudere ti viene un po' più complicata e…

Un turbine di piume si solleva, paragonabile ai postumi di una lotta con i cuscini. L'oca agita ali e zampe, graffiando con le unghie la faccia del ragazzo che la stringe tra le braccia.

La ragazza entra fino alle caviglie all'interno dell'acqua verde torbido. Tutt'intorno a lei, i cani, credendolo un via libera, si gettano anche loro nello stagno. Sa già che ne sentirà da parte dei padroni. Raccoglie il guinzaglio: le è sfuggito mentre apriva la borraccia e adesso essa giace semivuota in mezzo all'erba.

Il cane fradicio non ha fatto in tempo a raggiungere l'oca che ha puntato, ma comunque non ci sarebbe riuscito, nemmeno se il ragazzo non si fosse lanciato come un siluro in mezzo allo stagno così come ha fatto. Per il chihuahua l'acqua è troppo alta, quindi annaspa e ancora ringhia e abbaia mentre il suo piccolo corpo viene trascinato a riva.

Il ragazzo lascia andare l'ingrata oca, che non può nemmeno definire "la sua preferita". Si tocca la guancia, ancora non fa male, ma più tardi l'avrebbe sentito. Guarda i suoi vestiti: lerci.

Teme di guardare la ragazza, ma quando alza gli occhi, porta una faccia anonima. O almeno, si sforza: si capisce dal tremolio del labbro che si sta trattenendo dallo scoppiare a ridere.

Farebbe bene. In fondo fa ridere. In fondo… be', si può cadere più in basso di così?

«Io sono coperto di guano» dice il ragazzo. «Vuoi uscire con me?»

È lì che la ragazza scoppia a ridere, scoppiano entrambi a ridere.

Poi lei dice di sì, assolutamente sì.

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FRAGMENTUM SOMNII (FRAMMENTO DEL SOGNO)

Cagliari, 10 Marzo 2022

Il sogno continua caro amico mio! Ho passato la prova preselettiva del concorso per l’Accademia, e giuro che non mi sembra vero! È stato un momento indelebile aprire dal sito i risultati, anzi, per scaramanzia prima il punteggio minimo per passare: 63 su 100. Era davvero basso. Io l’altro ieri sentivo di aver fatto più di 75, cioè di aver superato di parecchio la soglia su cui mi ero sempre arenato nelle simulazioni, del resto il test era davvero semplice, più del previsto, tutte le preghiere forse son davvero servite!

Dunque con tutti i miei cari amici, nonché anche compagni, intorno a me guardo la pagina dei risultati, inserisco i miei dati d’accesso, dico la frase magica “ora vediamo…” seguita da un “io ho fatto…”, premo invio e leggo: “79/100”! Abbiamo generato tutti insieme un urlo così forte che deve essersi sentito persino al piano di sopra!

Il piccoletto diciassettenne in un mese ce l’ha fatta, ha studiato e vinto quella banca dati che altri hanno fatto in uno o due anni prima di espugnare, loro che avevano solo quell’impegno, lui che oltre a due anni in uno a scuola fa ben due sport e studia anche pianoforte. Oltre diecimila quesiti, memorizzati sacrificando interi pomeriggi, serate, notti, portando quel mattone anche a scuola, facendo test su test, impostando persino la sveglia prima delle 6 per stravolgere la routine naturale e avere tempo per studiare. Ma cosa non si fa per coronare si gloria il proprio sogno?

Ora inizia il mio concorso, ora sì che inizia il bello! Come promesso prenderò parte alla prova di Aprile, quella di italiano e inglese da svolgere nell’arena del CNSR a Roma. Se passo anche quella verranno le prove fisiche per cui mi preparo da Gennaio, poi ancora le psico-attitudinali e infine l’esame orale, che spero diventi il mio trampolino di lancio per arrivare alla finale: il tirocinio per l’Accademia Militare di Modena, il mio Teatro dei Sogni, ciò che aspetto da ormai 5 anni, da quando ancora neanche avevo deciso il liceo ma sapevo già cosa fare da grande…

e ce la farò, perché nessuno ha la motivazione e il sogno che ho io dietro a questa scelta, e in generale nessuno è così pazzo come me da farsi la maturità in anticipo oltre al quarto anno di liceo aggiunto a un concorso nazionale per diventare Ufficiali di una Forza Armata!

Fu vera gloria? Quell’8 Marzo 2022 sì!

12 Marzo

Amico mio, con enorme rammarico ti riassumo la conversazione che ho appena concluso con un Allievo Ufficiale entrato in Accademia lo scorso anno, figlio di un collega di mio padre con cui mi sono messo in contatto. Io mi ero psicologicamente preparato per scrivere uno dei temi migliori tra i partecipanti, in quanto la prova scritta del concorso è sempre stata un tema, ebbene, da due anni a questa parte invece ci si confronta con un altro test a risposta multipla di grammatica, divisione in sillabe, figure retoriche (queste tra l’altro il motivo per cui non scelgo mai l’analisi del testo poetico nella simulazione dell’Esame di Maturità, nonostante adori la poesia). La parte peggiore, come se già ciò non bastasse, è il fatto che a differenza della preselettiva in cui “bastava” studiare la banca dati, ora non abbiamo alcun riferimento ufficiale!

Io non ci voglio credere… che Dio me la mandi buona anche ora, perché non voglio avere il rimorso di essere uscito per una prova apparentemente così semplice, in cui tuttavia la scrematura è vasta: da 1800 passati alla preselettiva ne rimarranno solo 500, dunque un punteggio minimo veramente alto, l’anno scorso 21 su 30 da quanto ho letto… Ad ogni modo mi preparerò, mi baserò fin da subito sulla prova effettuata dall’Allievo che contatto, il quale mi

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manderà a breve la sua così da poterla scambiare con altri e farmi un’idea generale di ciò che troverò il 6 Aprile.

Sono disposto a rispolverare i libri di grammatica e ricominciare a studiare in modo matto e disperatissimo? Assolutamente sì!

17 Marzo

Ancora nessuna novità dal mio (spero) collega su a Modena. Gli ho ribadito che se vuole può inviarmi tutto per email quando è libero, se vuole può anche chiamarmi o scrivermi essendo io sempre disponibile. Il tempo passa e ancora non ho nulla per prepararmi…

Oggi è il 161° anniversario dell’Unità d’Italia, e io ho riscoperto la marcia su cui fingevo di sfilare cinque anni fa con una piccola sciabola. Cinque anni dopo quella è rimasta la mia prima scelta, e il pensiero che quelle marce dentro casa quest’anno possano diventare realtà mi elettrizza troppo.

Spesso molti mi chiedono se andasse male il concorso cosa farei. Mi viene sempre da ridere perché la risposta è sempre più convintamente la stessa: “non lo so e non me lo voglio (dover) chiedere”. Io vedo il mio futuro solo e soltanto in quella direzione, non accetto compromessi al ribasso, in quanto non voglio portarmi fino alla lapide il rimpianto di non aver mai coronato quel sogno che ho da bambino e che mio padre al suo tempo ha sfiorato ma non ha mai realizzato.

E se anche mai non fosse destino, deciderei in seguito, ma ora non cerco risposte.

21 Marzo

La situazione mi sta lentamente sfuggendo di mano… chiamano pubblico un concorso che di pubblico non ha nulla se non sei dentro quell’ambiente tramite conoscenze. Come posso prepararmi su una prova di semantica, proporzioni verbali, lessico ecc se non mi viene fornita alcuna indicazione relativa al genere di lessico, al tipo di proporzioni e altro? Continuo a sperare che ci siano novità, ma tardano, e il tempo passa inesorabile. Gli altri corrono, io resto fermo.

25 Marzo

Ho appena visto la diretta del giuramento degli allievi del 203° corso. Loro che sono da un anno in Accademia nel 203°, io che concorro per il 204°, ignaro, ignaro forse più di prima, del mio destino, se la vita vorrà farmi quest’ultimo grande regalo per la prova più incognita di sempre, poiché mentre prima avevo paura, prima quando dovevo solo studiare la banca dati, ora senza basi mi sento già fuori. Spero che finito il giuramento il ragazzo che conosco torni a farsi sentire.

26 Marzo

Mi ha risposto ad altri messaggi senza mandarmi il suo codice. Io non ne posso più, ora vado da solo. Rivedrò tutto: sillabe, sintagmi, tipi di frase, complementi, persino le figure retoriche.

Cercherò video per cogliere i concetti e sedimenterò tutto con appunti in rete, oltre naturalmente a schematizzare in un diario che mi porterò il 6 Aprile a Roma. Nutro ancora speranza che cinquemila quesiti trovati su un sito per una prova per sottufficiali siano gli stessi anche per ufficiali, e che un collega di mio padre possa darmi indicazioni migliori.

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3 Aprile

Dopodomani partirò per Roma, tra tre giorni esatti avrò la prova, mi manca poco per chiudere il programma di studio, e oggi alle 16 del pomeriggio si rianima quella persona che tutti mi hanno indicato come “il migliore a cui chiedere”. Mi son sentito umiliato, per un semplice codice che doveva mandarmi quattro settimane fa, a tre giorni dalla prova mi lascia la sua, e mi tocca ricominciare tutto da capo: studiarla, inoltrarla ad altri candidati per avere le loro e studiare anche quelle. Spero vivamente di passare questa prova, e poter andare lì e dirgli: “grazie per non avermi aiutato, ce l’ho fatta anche senza il tuo inutile aiuto”.

Roma, 5 Aprile, ore 22.30

Quella sensazione del “non vedo l’ora di finire questo viaggio rientrare a casa” non è mai sinonimo di fortuna. Del resto per poco non litigavo coi miei genitori, il B&B pessimo e avrò come coinquilini nelle camere accanto altri candidati con cui dovremo condividere colazione e un unico bagno. Voglio solamente andare alla prova e fare piazza pulita di concorrenti, perché non ne posso realmente più.

Sto per andare a dormire, conscio che scriverò un’altra pagina del mio futuro, spero fatto di gioie e trionfi. Domani! Sarà vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza!

CNSR, 6 Aprile, ore 9.02

La scorsa volta ero nelle mani del destino, in un convinto fatalismo che mi accompagnava da settimane. Paura di non farcela, paura di fallire e crollare… Ora non ho più paura, so di non avere nulla da perdere e la partita cambia completamente valore: mi fa ridere tutto, mi sto divertendo e mi assicuro che questa sia un’esperienza positiva col sorriso stampato sul volto.

Ciò perché ho realizzato che ero da solo contro tutti, non avevo alcuna base di riferimento, nulla e nessuno. In un periodo segnato da almeno altri sei impegni costanti ho fatto praticamente il massimo, sono stato umiliato a tre giorni dalla prova e sono risorto più immenso di prima.

Come detto da un mio amico lunedì: “dobbiamo giocare a carte scoperte”. Ecco, io ora sono di nuovo qui, con di fronte a me i moduli per le risposte e tra poco i test che segneranno il mio destino, l’orologio e la penna, oltre naturalmente a Dio e la mia conoscenza, pronto per dare tutto me stesso e giocare a carte scoperte anche quest’ultima grandissima gara.

Non posso che chiudere con un GRAZIE, prima di iniziare a breve la prova, per questo periodo della mia vita, in cui ho rincorso il mio sogno tra mille avversità e lottando da solo contro tutto e tutti, cercando di consacrare me stesso come “il migliore di tutti”. Non ho bisogno di un concorso per confermarmelo, lo so già. Solo per tutto ciò che ho fatto per essere qui mi farà uscire a testa altissima, perché io sono Ludovico, il migliore di sempre.

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CAMPANELLA D’AMORE

Nel tardo inverno dei miei 17 anni, la mia migliore amica Sophie decise che ero depressa. Non uscivo quasi mai, se non per andare a scuola o in palestra, stavo spesso a letto a leggere i miei amati libri e le loro trame romantiche, non avevo una vita sociale molto attiva, o perlomeno non tanto quanto la sua. Io e Sophie diventammo migliori amiche fin dalla tenera età di tre anni, le nostre mamme s’incontrarono casualmente in una sala d’aspetto d’ospedale, entrambe avevano subito la perdita del loro rispettivo marito e la loro comune storia le fece avvicinare. Da quel giorno non si persero più di vista ed io e Sophie crescemmo insieme. Abbiamo un rapporto fantastico, l’una la spalla dell’altra, nel bene e nel male siamo sempre insieme, ad affrontare le difficoltà e i traguardi. Quando persi mio padre ero tanto piccola, ma il dolore per l’assenza di una figura paterna presente mi ha segnato particolarmente e quando ho iniziato a realizzarlo sono entrata in una bolla all’interno della quale c’ero solo io, mia madre, Sophie e Greta, sua mamma, solo le uniche persone a cui tenevo e che mi sono sempre state vicine. Non riuscivo, anche da bambina, a relazionarmi con gli altri e mi chiudevo in me stessa. Sophie, soprattutto adesso in età adolescenziale, è totalmente il mio opposto, a lei socializzare viene spontaneo, essendo una persona alquanto estroversa, per questo molto spesso discutiamo. Lei pretende che io assuma un atteggiamento e un modo di pormi alle altre persone diverso da quello che mi caratterizza, secondo lei dovrei star meno a casa e uscire di più per divertirmi, perché, come dice sempre “Se non lo fai a quest’età poi quando ti ricapiterà?”. Purtroppo, però non ho mai condiviso questi pensieri con lei, né l’interesse a “svagarmi”; piuttosto preferisco stare ore e ore tra le pagine dei libri a immedesimarmi in storie d’amore che non vivrò mai. Posso sembrare una ragazza trascurata, che sta sempre a leggere e non esce mai, ma in realtà, grazie alle molteplici insicurezze che ogni giorno si nutrono delle mie debolezze, cerco di curare al massimo il mio aspetto fisico e ad aiutarmi è Giacomo il mio personal trainer. Mi segue ormai da più di due anni ed è l’unico amico maschio che ho, anche se ha circa 20 anni in più di me, sposato e con due bellissime figlie. Tuttavia, ci ho costruito un buon rapporto e gli sono tanto grata per tutto il lavoro che ha fatto per me. Anche oggi infatti, come ogni mercoledì, devo andare in palestra, dopo una buona dose di circa 80 pagine de “Il sole a mezzanotte”, mi metto la tuta rigorosamente regalata da Greta, la felpa con le rose rosse e i pantaloni con le margherite bianche… Si, lo so, penso anche io che l’abbia comprata in un negozio per pigiami, ma d’altronde per andare a fare ginnastica mica bisogna vestirsi eleganti! Dunque, dopo essermi messa la mia fantastica tuta pigiama vado in garage, prendo la bici e mi dirigo verso la palestra, sperando che Giacomo mi veda arrivare affaticata e non mi faccia fare cardio! Come non detto, appena arrivo esordisce con: “È inutile che fai finta di essere già stanca per sottrarti ai tuoi doveri cara!” e continua anche: “Ma ti sei vestita al buio? Che è?”. Ammetto che la battuta è stata molto divertente, ma se avessi riso davanti a lui l’avrebbe probabilmente ripetuta per tutta la sera; quindi, mi sono limitata ad un sorrisetto a mo’ di ghigno. Cominciamo l’allenamento e dopo un’intensa ora e mezza finisco finalmente la scheda. Prima di andar via però mi fermo alla reception per pagare la mensilità e richiedere la scheda per il giorno seguente, quando quell’assurda campanella imbarazzante sopra la porta, da negozio di bijoux suona… qualcuno stava entrando. In maniera molto disinvolta e disinteressata mi volto per curiosità e mi si illuminano gli occhi, mi fermo per un momento e provo ad osservare attentamente. È un ragazzo, abbastanza alto, fisicamente snello, indossa una tuta total-black, è castano e ha gli occhi cerulei, il viso leggermente scavato e le labbra abbastanza carnose; non avevo mai avuto quel tipo di sensazione, come quando un brivido leggero ti attraversa tutta, a partire dalla nuca.

Cerco comunque di ignorare totalmente quest’impressione e vado via. Non appena apro la porta

suona la campana, l’odiosa campana, che attira immediatamente l’attenzione su di me. È

proprio in questo momento che Giacomo nota che di soppiatto stavo uscendo, e come se la

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situazione non fosse già tanto imbarazzante grida: “Claire aspetta! Dove vai? Devo presentarti una persona!”. Mi blocco e penso “Fa che non mi debba presentare il ragazzo nuovo, FA CHE NON MI DEBBA PRESENTARE IL RAGAZZO NUOVO”. Indovinate? Ovviamente si!

Mi avvicino da Giacomo, che stava annoiatamente spiegando al misterioso nuovo ragazzo come funzionavano le cose all’interno della palestra e le regole che avrebbe dovuto seguire, interrompo la conversazione tra i due, e in maniera parecchio impacciata dico: “Ciao, stavo già per tornare a casa, c’è qualcosa di importante che devi dirmi?” Giacomo mi risponde: “Si! Ti presento Jaden, è venuto per iscriversi qui. Si è trasferito da poco in città, magari la prossima volta potresti fargli vedere la palestra, spiegargli come funzionano gli attrezzi, per farlo sentire il benvenuto”. Ero a dir poco a disagio, aveva scelto proprio il momento peggiore per improvvisare una conoscenza, insomma, avevo appena finito di allenarmi, ero sudata, spettinata, stanca e non vedevo l’ora di rientrare a casa per lavarmi. Ciononostante, arrossata dalla soggezione nella quale mi ero appena ritrovata, inspiro e decido di rispondere. Non faccio in tempo però neanche a far uscire una sillaba dalla mia bocca che subito Jaden mi interrompe, e in maniera presuntuosa dice: “Non si preoccupi signor Giacomo, non ho bisogno che nessuno mi spieghi niente! Prima di trasferirmi qua, nuotavo e andavo in palestra, credo di saper già come funziona”. Ero abbastanza scocciata, non solo mi aveva interrotto, ma aveva pure un atteggiamento ingrato verso i nostri confronti, d’altronde lo volevamo fare per lui, se non aveva bisogno di aiuto poteva dirlo con educazione e moderatezza! Orbene rispondo: “Perfetto, visto che il ragazzo non sembra aver bisogno di me, io tornerei a casa… con permesso!” A questo punto, contrariata, esco. Per tutto il viaggio di ritorno non ho fatto altro che pensare al ragazzo nuovo e a quanto fossi infastidita dal suo comportamento, e ancor di più mi faceva rabbia la strana sensazione che comunque sentivo nei suoi confronti, nonostante non mi fosse piaciuto per niente e mi avesse fatto una pessima impressione, continuavo a pensarci e ripensarci. Così ancora, una volta rincasata, sotto l’acqua corrente della doccia e successivamente a letto. In ogni modo lascio che il libero sfogo dei miei pensieri si trattenga e mi addormento. La mattina mi sveglio e accompagno mia madre a fare alcune spese al market; solo una volta giunte alla cassa però si accorge di aver dimenticato la verdura, e, ovviamente, a chi chiedere di andarla velocemente a prendere se non a me?! Vado quindi verso la sezione frutta e verdura, prendo il necessario, lo metto nell’apposita busta e lo peso. In quel momento alzo lo sguardo e vedo Jaden, per me ormai soprannominato come “Il ragazzo supponente”, che a sua volta mi vede, mi guarda dritto negli occhi, accenna un sorriso e mi fa l’occhiolino… rimango impietrita.

Inizio a sentire un forte rumore nella mia testa. Corro, scappo. Mi sveglio, il “forte rumore nella mia testa” era la suoneria del mio telefono, dovevo alzarmi per andare a scuola. Era solo un sogno. Mi preparo, ma continuavo comunque ininterrottamente a richiamare alla mente il sogno e cercavo di riflettere sul perché mai dovessi sognare una persona che non mi andava a genio, che non stimavo particolarmente, ma per la quale evidentemente provavo attrazione, o perlomeno, quello supponevo, una sensazione che non avevo mai provato prima e non era sicura fosse effettivamente così. Passo i due giorni consecutivi a ragionarci su, aspettando che arrivi il venerdì per poterlo rivedere. Ho persino cambiato la sveglia relativa a quel giorno per svegliarmi di buon umore e così infatti andò. Mi alzo sollevata e la vocina nella mia testa continua a ripetermi: “AHAHAHAHAHAH… FINALMENTE OGGI TI SCHIARISCI LE IDEE”, spero sia così, non di più di qualcosa di passeggero.

Comincio l’allenamento alle diciotto, ma ho cominciato a prepararmi due ore prima, presa dalla fretta e infatti, come una sciocca, poi ho dovuto aspettare ferma a non fare niente e sono uscita anche in anticipo. Ho preso la mia bicicletta e per prendere tempo ho fatto un giro più lungo.

Sono tranquilla, ho la mia bella musica pop che mi risuona nelle orecchie, sono spensierata, per

un momento non mi sto facendo turbare dalle paranoie. Ma naturalmente secondo voi quanto

poteva mai durare se non una minima frazione di tempo?! Mi accorgo che la bici stava

rallentando e facevo molta più fatica a pedalare, così decido di scendere e controllare se

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qualcosa stesse andando storto. Indovinate? Mi si è bucata la ruota! Ero molto distante dalla palestra e pur essendo uscita in anticipo sapevo che se avessi dovuto camminare per tutto il tratto di distanza che mancava, sarei certamente arrivata in ritardo, e vi assicuro che Giacomo non l’avrebbe proprio presa bene. Disperata, comincio a camminare tenendo alla mia sinistra la bicicletta. Inizio a sentire da lontano un forte rumore insopportabile, quale il motore di una moto. Si avvicina sempre di più, fino ad arrivare nella via che stavo percorrendo e la persona che la stava guidando si ferma esattamente accanto a me. Si toglie tranquillamente il casco e scuote la nuca facendo ondeggiare i capelli al vento. Era Jaden, che sarcasticamente mi chiede:

“Signorina Claire, ha per caso bisogno d’aiuto?” Io altrettanto ironica e urtata rispondo, presa assai dalla vergogna: “No, Jaden grazie, posso serenamente farcela da sola!” Allora lui sorride, indossa il casco, rimette in moto la moto e si allontana. Io, un po’ stranita dalla situazione, riprendo la mia lunga camminata, ma dopo pochi minuti, eccomi di nuovo interrotta. Sempre lui: “Ancora qui Claire?” Rispondo: “Si, ancora qui, non vedo quale problema possa rappresentare per te, Jaden.” Lui, a sua volta mi dice “A me non crea alcun problema, ma ti vedo abbastanza in difficoltà, non puoi negarlo. Insisto, vuoi continuare a fare l’orgogliosa o sali dietro?”. In effetti mancava ormai poco alle 18:00 ed io ero già esausta, così decido di salire con lui. Prima di allora non ero mai stata sopra di una moto. Da quello che mi racconta mia madre, mio padre ne era invece affascinato e appassionato e adesso che ci salgo posso ben capire perché. I capelli al vento e l’aria fresca che mi sfiora il viso. Termina tutto ben presto però. Ci volle poco ad arrivare in palestra, ringrazio e mi volto per entrare, al che Jaden mi dice:

“Mi devi un favore signorina Claire” Io, ormai girata nel senso opposto al suo, gli concedo un piccolo sorriso ma non rispondo. Cominciamo entrambi ad allenarci, distratti l’uno dall’altro, interrotti dal continuo contatto visivo, dai sorrisi nascosti e dagli sguardi intensi, l’allenamento meno costruttivo della mia vita, ma uno dei più belli. Ciononostante, non ci scambiamo neanche una parola, ognuno torna a casa propria, questa volta a piedi, visto che casa mia non era distante.

Quando torno mi accorgo che mamma non c’era, aveva organizzato una serata con Greta, così mi ordino una pizza e solo qualche istante dopo sento il campanello suonare… Ed eccolo, di nuovo! Non mi sembrava vero. Era proprio Jaden, mi ha riportato la bicicletta, che avevo distrattamente dimenticato dove mi ero fermata ore prima, e con la ruota precedentemente sgonfia, nuova.

“Claire, sei una ragazza abbastanza sbadata”

“Già, mi ero totalmente dimenticata di averla abbandonata là, ti ringrazio”.

Lui mi sorride e tranquillamente, senza alcun permesso, oltrepassa la linea della porta ed entra.

“Posso?” chiede, come se non stesse già facendo di testa sua. Si guarda un po' attorno e dice

“Bella casa Claire, hai anche un giardino?”. Senza rispondere lo guido fuori, io siedo sul dondolo della veranda, lui continua ad osservare.

“Bello, bel giardino”. Siede accanto a me. Mi ero appena ritrovata sola a casa col “Ragazzo

supponente”, osservando il cielo e le rose del mio giardino, come era potuto succedere? Io lo

odiavo! (In teoria). Arriva la pizza e chiedo: “Hai fame?” mi risponde: “Si grazie, dopo un duro

allenamento, ne ho proprio bisogno!”. Così divido la pizza in due parti uguali, stendo un telo

nel prato, prendo dell’acqua e ci sediamo lì, sotto le stelle a mangiare il mio cibo preferito, nel

mio posto preferito, con uno sconosciuto, che però sembravo già conoscere da tempo. Abbiamo

parlato, parlato e ancora parlato. Ci siamo raccontati delle nostre esperienze personali, i segreti,

i dispiaceri, le sconfitte e le vittorie, senza alcun disagio, senza silenzi imbarazzanti ma con

grande confidenza, fino a tarda notte. Non sentivo la stanchezza, perché parlare con lui al

momento era più importante, non sentivo l’esigenza di leggere un libro romantico, perché lo

stavo vivendo, non sentivo niente, se non lui. A ogni buon conto, si era fatto davvero tardi, va

via, ma prima che chiudessi definitivamente la porta di casa, dopo che aveva fatto qualche passo

si gira e mi sussurra: “Mi raccomando signorina Claire, attenta alla bici, altrimenti mi ritroverò

costretto a tornare da te”. Io, arrossita, chiudo la porta e salgo nella mia camera, non riesco a

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non avere il sorriso stampato sul viso, avevo appena passato una delle serate, più belle, e strane, della mia intera vita. Mi addormento pensando alle ore precedenti. Mi sveglia bruscamente Sophie, mi porta la colazione nel letto, latte freddo, succo d’ananas e waffles con il cioccolato, ci vado giù pesante, lo so. Comincio subito a raccontarle della sera precedente, anche lei non poteva crederci, ma era felicissima per me, immaginate, per lei solo il fatto di aver parlato apertamente con una persona che non fosse lei o Greta, era un miracolo. Per tutte le settimane successive io e Jaden continuiamo a vederci, mi ha portato al mare, a vedere il tramonto, al fast food, perché c’era in offerta il suo panino preferito, al cinema, e persino ad un concerto! Non stavo così bene da tanto tempo. È da qualche giorno però che mi ripete che deve dirmi una cosa importante, ma ancora non abbiamo avuto l’opportunità per parlarne; gli ho scritto un messaggio chiedendogli di vederci stasera, la curiosità mi sta logorando, temo possa non essere qualcosa di positivo. Di mattina però io e Sophie decidiamo di dedicarci allo shopping, prendiamo il bus e arriviamo al centro commerciale, un po’ strano per una come me; infatti, tutto il tempo l’ho passato ad aspettare Sophie fuori dai camerini e gli unici miei acquisti sono stati due libri. Accaldate andiamo a prenderci un gelato, io rigorosamente nocciola e pistacchio mentre Sophie mango e menta, non riusciamo MAI a mangiarli in piedi perché puntualmente ci cola tutto nei vestiti e ci sporchiamo come due bambine. Ci sediamo nel tavolo, che affacciava sul resto del centro commerciale, ampio e affollato, ciononostante tra la gente mi è parso di riconoscere Jaden che parlava animatamente con un ragazzo. Mi sembrava un po’ strano, essendosi trasferito da poco, pensavo che non fosse ancora riuscito ad instaurare rapporti stretti come sembrava avere con quel ragazzo. Turbata, continuo ad osservare per cercare di capire di cosa stessero parlando ma, non fraintendetemi, ero felice che avesse un amico, se fosse stato solo quello. Proprio quando stavo per andar via e lasciargli passare serenamente la mattinata con l’amico, quest’ultimo si avvicina a Jaden e si danno un breve bacio. Lui mi vede si allontana dal ragazzo e tenta di avvicinarsi verso di me. Sono sconcertata, gli ho dato tutta la mia fiducia e lui mi ha ripagata in questo modo. Sono stata un’ingenua ad aver pensato che i sentimenti che provava per me fossero sinceri. Cerco, insieme a Sophie, di disperdermi tra la folla non lasciando traccia di me a Jaden, che continua a chiamarmi. Torniamo a casa e la prima cosa che mi viene in mente di fare è buttar via tutti i miei libri sentimentali, erano tutte menzogne! Per fortuna Sophie mi è stata vicina, mi ha calmata e rilassata, ha messo sui fornelli la teiera e nell’attesa che il tè fosse pronto io rimango a letto, sdraiata e comincio a sentire rumori ambigui dal piano inferiore, successivamente nel cortile. Spaventata mi alzo dal letto, in quel preciso istante sbuca dalla mia finestra l’ultima persona che mi andava di vedere, era lui, era Jaden.

Non mi lascia neanche il tempo di reagire: “La tua amica proprio non voleva farmi entrare, scusami se ti ho spaventato, dovevo trovare un modo per vederti” io rispondo subito: “Dopo quello che hai fatto pretendi veramente di poter intrufolarti in casa mia? Vattene!”. Ero davvero decisa a non volerlo ascoltare, ma avrete capito com’è fatto, non molla mai la presa finché non ottiene ciò che vuole, perciò decido di ascoltarlo. Mi spiega che prima di trasferirsi, ha affrontato un conflitto interiore caratterizzato da una crisi d’identità dove aveva fatto alcune esperienze con dei ragazzi e uno di questi era proprio quello con cui l’avevo visto io. Continua:

“Claire, tu mi hai fatto capire ciò che voglio realmente…Tu, solo tu mi fai sentire completo, sei riuscita a dare un senso a ciò che prima reputavo inutile, con te sono me stesso...”

Sostanzialmente una dedica d’amore, tanto sdolcinata d’aver fatto commuovere Sophie che nel frattempo origliava dalla porta col mio thè in mano; lei lo fissava tentando di capire perché avesse confessato questo proprio in quel momento, ma insomma vi risparmio tutti i dettagli.

Non lo feci neanche finire di parlare, non resistetti e ci demmo un bacio, il mio primo bacio.

A distanza di mesi sono ancora qua, con lui, e vivo il mio romanzo d’amore provando il brio

della spensieratezza.

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SENZA NOME

C’era una volta un ragazzo senza nome.

Il suo nome era un lontano ricordo proprio come l’anno in cui avveniva questa fiaba.

Il giovane era tanto bello e gentile quanto povero, viveva in una capanna sperduta nel nulla e passava le giornate a sfiancarsi nei campi per pochi miseri quattrini.

Un giorno, durante una rara pausa, il giovane sentì delle urla dal fossato, quello dietro l’albero di mele, quello profondo sette metri.

Il giovane si avvicinò al bordo del fossato e rimase strabiliato da quello che vide.

“Aiuto!” urlò la fanciulla dal fondo del fossato.

Aveva lunghi capelli rossi che uscivano ribelli dal cappuccio adagiatogli sopra, i suoi occhi erano uguali a dei preziosi smeraldi, la sua pelle era del colore del legno e veniva messa in risalto dal suo grazioso vestito lilla.

“Chi è là?” chiese il giovane, “Sia lodato Dio! Salve! Sono caduta in questo fossato ormai da diverso tempo! Potreste aiutarmi buon giovane?” urlò lei con voce flautata, “Mia cara fanciulla, siete brava con le parole ma il vostro occhio non è altrettanto buono; andate avanti per cinquanta passi e troverete un cespuglio, dopo di esso camminate per dieci passi e davanti a voi vedrete delle rocce buone per arrampicarsi, mi troverete lì per aiutarvi.”.

Detto questo il giovane scomparve dalla vista della fanciulla aggraziata come una fata.

La donzella seguì le istruzioni del bel giovane e in men che non si dica si ritrovò fuori da quella scomoda situazione. “Vi ringrazio buon giovane per la vostra bontà!” esclamò rincuorata la bella fanciulla dai capelli rossi. “Non mi ringraziate splendida donzella, è stato un piacere.”

rispose il buon giovane facendo un profondo inchino. “Chiamatemi Emily. E questo angelo possiede un nome?” chiese la fanciulla dagli occhi splendenti.

Il giovane si irrigidì, la sua voce divenne fredda come il ghiaccio, quando rispose, “Spiacente Emily, costui che vedete non è un angelo ma un semplice uomo il cui nome si cela nelle pieghe dei segreti che solo il nostro creatore conosce.”.

La fanciulla si irrigidì a sua volta, “Risposta interessante, mio signore, ma ogni cosa ha un prezzo. Se mi permettete, non mi sembrate in condizioni agiate, e io tengo molto al nome del mio salvatore. Per svelarne il suono andrebbero bene diecimila quattrini?” propose la bella donzella, che agli occhi non passava inosservata, dopo svariati secondi di silenzio.

Il viso del giovane si illuminò.

Poi venne spento da un’oscura tristezza.

Con la mano sinistra egli sfiorò il ciondolo azzurro che con un sottile laccetto era annodato al suo collo e poi lo strinse saldamente.

“Scusate cara fanciulla, ma il mio nome non verrà rivelato, esso è stata l’ultima parola di mia sorella e con lei rimarrà.” replicò lui.

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“Perché?” chiese la fanciulla.

“Come prego?” fu la risposta sconcertata del giovane.

“Perché ci tenete così tanto?” chiese la donzella mostrando un sorrisetto angelico.

Il giovane abbassò la testa e, guardando tristemente il suolo, iniziò a raccontare, “Tutti abbreviavano il mio nome, tutti tranne mia sorella. Lei lo pronunciava per intero, scandendo bene le lettere, con una tale dolcezza che ogni volta era un abbraccio al cuore. Un giorno lei si ammalò gravemente. L’ultima parola che pronunciò prima di morire fu il mio nome e io lì, con la sua mano che ancora mi accarezzava la guancia, giurai di non far più pronunciare il mio nome a nessuno, così da non recare torto alla sua anima.”

“Sapete, prima di conoscervi non avevo mai pensato che degli occhi color cacao potessero essere così freddi. Mi complimento, avete superato la prova.” esordì Emily e sotto lo sguardo incredulo del buon fanciullo lei si tramutò.

Il cappuccio adagiato sui capelli color fuoco scivolò via ed essi si allungarono e diventando d’argento, divenne più alta dello stesso giovane, gli occhi simili a smeraldi divennero color oro, le orecchie si appuntirono e il suo vestito divenne bianco.

Il giovane, in preda allo stupore, cadde in ginocchio, cercò di parlare ma dalle sue labbra non uscì neanche un suono.

“Vi darò tutto quello che potrà esservi d’aiuto: ricchezza, cibo… non vi dovrete più sfiancare nei campi per avere un unico pasto… tutto in cambio del vostro nome!” esclamò la creatura.

Il ragazzo si svegliò dalla sua estasi di stupore e con le ginocchia tremanti si alzò, ci vollero svariati tentativi ma poi, quando riuscì ad articolare di nuovo delle parole, iniziò un discorso pieno di tenacia e astuzia, “Mia dea, voi siete gentile. Non so se siete uno spirito misericordioso venuto a darmi la possibilità di non patire più la fame, o un demone tentatore pronto a farmi cadere in un subdolo stratagemma. Vi ringrazio per la generosa offerta colma di pietà per la mia misera anima, ma la mia risposta rimarrà no. Il mio nome era un sortilegio per mia sorella, lei era un incantesimo di vita per me ed esso rimarrà per sempre con lei.”.

La creatura magica accennò un dolce sorriso, “Siete un ragazzo dal cuore buono, di nobili parole e colmo di saggezza. Come direbbe un comune mortale: siete merce rara, giovane.

Ora, avete superato tutte le prove! Andate a casa e riposatevi, vi siete guadagnato tutto quello che troverete al suo interno. CORRETE!”.

Detto questo la creatura schioccò le dita.

Il giovane sentendo l’impeto nella sua voce, iniziò a correre verso la misera capanna dove viveva, ma, nel vento, gli sembrò di udire la gentile voce della persona che aveva amato di più al mondo, la vellutata voce di sua sorella che gli disse: “Ricordati sempre cosa ti ha portato a questo: il tuo cuore, la tua mente e la tua nobiltà d’animo. Continua a correre e sii felice, mio amato fratello. Io sono fiera di te.”.

Il giovane, tra vari singhiozzi colmi di tristezza, corse a perdi fiato spiegando al vento con solo cinque parole, quello che lo aveva portato ad essere degno di superare le prove “E’ MERITO TUO, SORELLA MIA!”.

Entrò nella sua casa con un impeto tale da scardinare la porta e dentro, sotto gli occhi luccicanti dell’esterrefatto fanciullo, vi era ogni genere di ricchezza. Sul tavolo trovò cibo in abbondanza e in un angolo sua madre che, piangendo, lo strinse in un caldo abbraccio, come solo un genitore può fare.

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Il giovane e la madre festeggiarono per tanto tempo e la loro vita migliorò notevolmente.

Ma non importava quanto oro potesse spendere o quanto cibo potesse avere, il cuore del giovane non fu mai corrotto dall’avarizia e dall’ingordigia.

Ogni sera, infatti, egli pregava per l’anima della sorella e verso l’imbrunire, quando le strade si svuotavano, passava di via in via donando ai poveri e aiutando chiunque fosse nella più misera difficoltà.

La storia del giovane fu presto nota a tutti gli esseri dotati della grazia dell’udito; molti cercarono invano il misterioso fossato e la magica creatura, pochi li trovarono, furono ancora di meno quelli che superarono l’intrigata prova a cui vennero sottoposti per scoprire se erano degni dello sfarzoso premio.

Ma, in tutto questo subbuglio e scompiglio, nessuno seppe mai il nome del misterioso e ammaliante giovane.

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Assassinio nel bosco

L’estate era iniziata da poco e si sentiva già l’odore di libertà nell’aria. Al parco i bambini giocavano e ridevano ed i più grandi si avventuravano nel bosco dietro la città. Un gruppo in particolare si era addentrato nelle profondità di esso: erano 5 ragazzi, 3 maschi e 2 femmine.

Si riunivano spesso il quel punto a parlare, raccontarsi storie, le loro paure. Quel giorno l’aria era umida, aveva piovuto la mattina. <si sta facendo tardi, tra poco devo tornare a casa> disse una delle ragazze, aveva gli occhi azzurro chiaro ed i capelli color castano con qualche neo sparso sulle braccia, <ma saranno le 17:00 appena!> le rispose uno dei ragazzi, aveva gli occhi verdi come gli alberi che li circondavano , <Matt lo sai come sono severi i miei genitori, non posso tardare> <o andiamo Katie, è estate, divertiti un po’!> <5 minuti.> Katie sembrava quasi infastidita nel dover assecondare Matt, “poi si monta la testa e crederà sempre di avere ragione” pensava. Un ragazzo era rimasto in silenzio tutto il tempo: Paul, era immerso nei suoi pensieri e aveva lo sguardo vuoto. <A cosa pensi?> il suo pensiero fu interrotto da una voce femminile, era Jule <Oii, mi senti?> ribatté ella <hem si.. solo..> si fermò, <Oh, ho capito a osa pensi, a QUELLO > Jule si alzò dal suo posto e si sedette di fianco a Paul <senti..

dovresti dirglielo e basta, tu e Katie siete fatti letteralmente l’uno per l’altra!> continuò, <lo so!

Ma se dovesse andare male? Rovinerei la nostra amicizia> <Paul, la vita è una! Non puoi passarla tutta a preoccuparti delle conseguenze, vivi il momento, perché quando te ne renderai conto sarà troppo tardi.> <sarà anche così, ma non voglio rischiare>. Nel mentre Matt, Katie ed Alex, un ragazzo moro dagli occhi scuri erano poco distanti a loro e stavano discutendo di cosa avrebbero voluto ai propri funerali, può sembrare macabro o strano, ma loro lo facevano spesso, parlavano di cose che non si dicono a tutti, ma solo a chi ti fidi. <Io voglio che quel giorno tutti imparino la mia canzone preferita, Alien Blues e che la cantino a bara aperta!>

diceva Alex, <serio?! Io avrei scelto una canzone più allegra tipo Teenagers, per quanto riguarda l’abbigliamento invece, sarò vestito in tuta, mi piace la comodità> <siete seri?! Non so che funerali abbiate visto, ma di certo non quelli che ho visto io! Il mio sarà semplice, voglio che m riempiano di fiori colorati>.

17:33

<oddio sono in ritardo! Devo scappare> <si anche io>, Katie ed Alex dovevano tornare a casa e così fecero. Arrivati davanti al bivio che divideva le loro vie Katie allungò la mano e disse,

<Alex, promettimi che leggerai questo solo dopo la mia morte> la sua espressione era seria, Alex afferrò il biglietto ed esclamò <allora me lo porterò nella tomba!> ridendo, evidentemente non aveva preso la situazione con la giusta serietà, ma come biasimarlo, per lui quella frase non aveva senso e quando la capirà sarà troppo tardi. I ragazzi si divisero ed ognuno tornò a casa propria.

4:30

* Drinn Drinn * <pronto?> rispose Jule ancora mezza addormentata

<l’hanno trovata.> disse Paul con tono basso e freddo

<chi? Dove?> <non hai letto i messaggi?!> <no! Stavo dormendo> <Katie, l’hanno trovata, io..

non sappiamo se è viva o… vieni, ti mando la posizione> Paul sembrava confuso e disorientato quando chiuse la chiamata. Jule arrivò sul posto ancora in pigiama e con una torcia, aveva il cuore a mille che accelerava ogni secondo, appena vide i suoi amici lì, seduti ad aspettare, con mezza città ferma in piedi davanti al bosco sbarrato dai nastri gialli della polizia, lanciò la torcia e la bici a terra e corse dai suoi amici, aveva le lacrime agli occhi e si buttò su di loro in un abbraccio silenzioso e lungo. <dov’è? È viva? Sta bene?> chiedeva Jule con tono preoccupato <non sappiamo nulla… nessuno lo sa> le rispondeva Matt.

5:00

Erano passati 20 minuti di terrore ed ansia, nessuno sapeva nulla, questa situazione ricordava tanto un vecchio avvenimento risalente agli anni 70, gli adulti, genitori dei ragazzi compresi, erano solo ragazzini quando accadde una tragedia simile: Chloe Shelly, una bambina di 9 anni, si era persa nel bosco, rimase lì per giorni, da sola. Il caso è molto simile a quello accaduto a Katie, tutta la città alle porte del bosco urlando il suo nome per chiamarla, i genitori erano distrutti e tutti compagnetti di scuola non vollero andare a dormire per cercarla e chiamarla, l’unica differenza sta nella stagione in cui la scomparsa accadde, Katie sparì d’estate, ma la

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povera Chloe si perse nel bosco d’inverno e fu proprio questo a costarle la vita: qualche giorno dopo la sua scomparsa ci fu una valanga di neve, quando la trovarono era sepolta da essa, era deceduta per ipotermia. Dov’è? Perché non tornano con lei? Come sta Katie? Queste furono le domande ripetute continuamente nella testa dei cittadini di Kirklin ed ebbero risposta solo dopo aver visto un’ambulanza uscire dal bosco. La speranza che fosse viva soffocò la paura e tutti iniziarono a dirigersi verso il Kirklin Hospital, tutti tranne Matt, Alex, Paul e Jule, loro vollero rimanere per capire e immaginare quello che potesse essere accaduto alla loro sfortunata amica. <ok raccontatemi tutto dall’inizio> <Jule te lo abbiamo detto mille volte, c’è stata una chiamata da parte di Katie alla polizia dove diceva cose del tipo “sono qui, mi vogliono morta, aiutatemi! Sono al Kirklin Wood arrivate presto” e la polizia ha contattato le famiglie dei conoscenti e ci hanno detto di venire qui> le rispose Paul <Alex, tu non hai visto se tornava a casa? Perchè a quanto pare non lo ha fatto> <Paul so che sei in ansia e confuso, lo siamo tutti, ma non dovresti prendertela con lui> <Jule non ho bisogno di essere difeso e comunque no, non ho visto nulla dato che le nostre strade si dividono al bivio> tutti erano molto tesi e facilmente irritabili, be non proprio tutti, Matt era il classico ragazzo “la vita è una e faccio quello che mi pare”, un po’ come la filosofia di Jule, ma questa si applicava pure ai momenti meno opportuni mentre lei sapeva essere seria se necessario, ed era abbastanza bravo a rompere il ghiaccio in situazioni tese, il più delle volte <vi ricordate qualche mese fa? Quando la prof. È caduta dalle scale? AHAHAHAH> Matt iniziò una risata imbarazzata pregando che anche gli altri avrebbero iniziato a ridere con lui, ciò non accadde, ma bensì fece arrabbiare ancora di più gli altri <come puoi ridere in una situazione del genere?!> Paul si alzò e diventò quasi più rosso dei suoi capelli <non hai più 9 anni, capisci quando bisogna fermarsi! Cresci ! Io, io non resto più qui con voi, vado da katie> continuò urlando, si avvicinò alla sua bici blu ed iniziò a pedalare verso l’ospedale dove si trovava Katie, Jule ed Alex rimasero lì per qualche minuto a giudicare con lo sguardo Matt <andiamo ragazzi.. scherzavo> <lo sai che non è facile, soprattutto per lui> anche Jule si alzò, raccolse la sua torcia e la bici da terra ed iniziò a pedalare verso Paul <Paul aspettami> urlava. In seguito anche Matt ed Alex li raggiunsero.

6:30

arrivarono tutti all'ospedale <oh finalmente, vi stiamo aspettando da una vita> <abbassa la cresta biondina, ad Alex si erano inceppati i freni, ci siamo dovuti fermare.> <non iniziate voi due!> li interruppe Paul con tono esausto; come se non c'è la facesse più di sentirli parlare, l'unica voce che voleva sentire era quella del medico che gli comunicava che si Katie era viva e stava bene. <Siete qui per Katie Smith?> disse una voce maschile, i suo camice si mimetizzava con le preti azzurre della sala d’attesa, gli s vedevano solo gli occhi, ma sembrava avere una barba parecchio folta, anche se nascosta dalla mascherina chirurgica, <ragazzi, siete qui per Katie Smith?> continuava a chiedere <si, ci scusi.. siamo ancora un po’ scossi per l’accaduto> <lei è la sorella?> <oh no, sono un’amica, lo siamo tutti> <capisco..

seguitemi>. Il medico dalla barba folta e il camice azzurro li portò in un piano inferiore, il piano era umido e freddo e non capivano perché Katie si dovesse trovare lì sotto, forse sovraffollamento dell’ospedale? Proprio non sapevano. <sapete.. per il momento siete le persone più strette che sono venute a trovarla> disse il medico <come? Ed i genitori? Olive?>

gli chiese Alex confuso <vede signor Jhonson, i signori Smith non rispondono al telefono e la sorella, Olive, era fuori città per un progetto scolastico, dovrebbe rientrare domani> mentre parlava entrarono in una sala particolarmente fredda, c’erano dei strani armadietti su un lato, erano piccoli d’altezza, ma grandi di lunghezza. Dall’altra parte c’erano dei lettini, le pareti erano grigie e trasmettevano tristezza solo a guardarle. <La vostra amica si trova lì> indicò il letto più infondo alla sala, neanche finita la frase tutti 4 si catapultarono sul lettino <Katie eccoci> urlavano, aprirono le tendine che nascondevano il letto ed era lì, era pallida ed aveva un grosso taglio in testa, sembrava dormire ma i ragazzi capirono subito che quella era solo una sensazione. <Katie?> disse Jule con voce tremolante, aveva già le lacrime agli occhi,

<Katie non farmi questo scherzo, ti prego rispondimi!> urlava, la strattonava per le mani, erano gelide. Alex la afferrò da dietro spingendola via dal orpo senza vita della loro migliore amica

<Lasciami! Katie ti prego> urlava, Matt si girò, una cosa che gli dava tanto fastidio era vedere sangue o ferite tanto grandi, e notò qualcosa <ragazzi..> <non ora Matt, è appena morta la nostra migliore amica, porta rispetto e fai silenzio> <credo sia importante..> <Matt!> urlarono

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in coro tutti e tre, <il medico..è sparito> <e allora? Avrà un impegno> <no, di solito rimane a spiegare le cause del decesso, non sparisce cosi> <cavolo.. ora che ci penso.. Alex hai mai detto il tuo cognome nell’ultima ora?> <cosa? Perché avrei dovuto? Ero con voi, lo sapete il mio cognome> <oh cavolo! Paul sei un genio> <sono l’unico a non aver capito? Bello> <Alex, prima il medico ti ha chiamato pe cognome, ha detto “Signor Jhonson”> <e quindi?… Oh cavolo! Oh cavolo!> <dobbiamo cercarlo.> <si, Matt ha ragione> <grazie biondina>. I ragazzi ripercorsero la strada che fecero all’andata col dottore e trovarono il suo camice lì a terra, sulle scale percorse da loro in precedenza. Non aspettarono neanche di capire se fosse il suo o meno e corsero al piano terra verso l’ingresso, avevano ragione, era appena salito su un’auto ed era sfrecciato via nella strada. Chi era quell’uomo si domandarono i ragazzi e continueranno a domandarselo per ancora molto tempo.

7:56

I ragazzi dopo essere giunti alla conclusione che forse quell’uomo era semplicemente un medico con una vita privata impegnativa, decisero di rimanere in sala d’aspetto ad attendere i signori Smith, genitori di Katie. Inutile dire che essi non arrivarono <adesso basta, vado a cercarli> Jule era spazientita, la sua migliore amica era appena morta e poco prima di scoprirlo ha litigato con uno dei suoi migliori amici, il medico era sparito ed i genitori di Katie non si facevano sentire, <Dove vuoi andare? Non sai dove siano> <si che lo so, li ho visti prima..

mentre venivo al bosco, o almeno ho visto la loro auto parcheggiata> <non puoi andare da sola, veniamo con te> <non ho bisogno del babysitter Paul> <oh andiamo sai he voglio dire>

i ragazzi uscirono dall’ospedale, presero le loro bici e pedalarono il più veloce possibile verso il punto in cui li aveva visti Jule. <Erano qui.. ne sono certa al 100%> <Jule forse te lo sei immaginata> <si, oppure hai sbagliato strada> <So quello che ho visto. Ed ho visto l’auto dei signori Smith parcheggiata proprio in questo punto> <Jule ha ragione> disse Paul, <cosa? Tu non c’eri, non lo sai> <vero.. ma guarda qui le foglie, sono schiacciate e sono più abbassate rispetto alle altre, vedete.. se le seguiamo si forma una strada fatta in auto> <punto per te.>, i ragazzi iniziarono a seguire la via formata e proprio quando stavano per cambiare strada, si fermarono impietriti ad osservare i resti di chi era passato prima di loro,<o mio Dio> esclamò Alex, <è terribile> sussurrò Jule, <ma è la loro auto..?> <si Matto, è l loro auto..> l’auto dei signori Smith era distrutta dalle fiamme, probabilmente loro erano morti dentro di essa, chissà che inferno… Quando alex tolse le mani dalle tasche fece cadere un bigliettino di cui si era dimenticato l’esistenza <Alex ti è caduto questo.. aspetta, io la conosco questa scrittura, è di Katie!> <cosa?! Da quanto lo hai?> <mi ero completamente dimenticato! Me lo ha dato quando ci siamo salutati l’ultima volta> <che aspetti! Leggilo!> <subito : “cari amici miei, se leggete questo è perché i miei terribili presentimenti sono diventati realtà… sarò morta quando leggerete questo, chissà come, vi dico solo due cose, 1. prendete il cofanetto sotto il parchet in camera mia, la chiave si trova nel libro di storia di seconda media, sulla pagina che parla del 800’; 2. Amish. Ragazzi vi voglio bene, vi giuro che se farete quello che vi ho chiesto troverete una soluzione e capirete i miei segreti. Con tanto amore, la vostra Katie.” >.

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