Germania, elezioni: vince il partito socialdemocratico
Laschet: “Sarà cancelliere chi avrà la maggioranza in parlamento”
“Gli elettori hanno parlato con grande chiarezza. Hanno detto chi deve formare il prossimo governo. Tre partiti si sono rafforzati, i Verdi, la Spd ed i Liberali e sono loro che hanno il compito di formare e guidare il prossimo governo”. Il candidato della Spd alla cancelleria, Olaf Scholz, commenta così l’esito del voto, annunciando la vittoria della Spd. I socialdemocratici tedeschi di centro-sinistra vincono le elezioni nazionali, battendo di poco il blocco di centro- destra dell’Unione della cancelliera uscente Angela Merkel, in una competizione elettorale molto combattuta che determinerà
chi succederà alla leader storica alla guida della più grande economia europea. Scholz: “Mandato molto chiaro” Per il candidato dei socialdemocratici Olaf Scholz, vice cancelliere uscente e ministro delle finanze che ha tirato fuori il suo partito da una crisi lunga anni, il risultato è “un mandato molto chiaro”. “La Cdu e la Csu non hanno solo perso molti voti ma effettivamente hanno anche ricevuto un messaggio dagli elettori ossia che non dovranno essere al governo ma andare all’opposizione”, ha detto. “Il nostro compito adesso è fare quello che desiderano i cittadini. Non dare la priorità alle nostre esigenze, ma formare un buon governo che possa dare un giusto orientamento e che ci porti versi il futuro”. Poi ha aggiunto: “La Germania deve svolgere un ruolo sovrano all’interno dell’Europa”. E ancora: “La Germania è sempre stabile. E questo, nonostante l’attuale incertezza sulla futura coalizione, ha spiegato. Al fianco di Scholz, Franziska Giffey, che ieri ha vinto le elezioni a Berlino e sarà la prima sindaca della capitale, e la ministra presidente uscente Manuela Schwesig, che ieri ha trionfato nel Land del Meclemburgo-Pomerania Anteriore. “Si vede qui un Spd molto felice! Due vincitrici e un vincitore”. In conferenza stampa, Scholz ha ribadito l’urgenza di formare un governo in fretta:
“Spero ci sia un nuovo esecutivo “prima di Natale”.
Sull’Europa, ha detto: “Nessuno deve cercare di dominare l’Unione europea. Ci deve essere una buona collaborazione fra nord e sud, est e ovest. L’Ue deve crescere insieme e faremo in modo che l’Europa cresca meglioinsieme”, ha concluso Scholz, sottolineando che questo è uno dei tratti distintivi della sua linea.
Laschet: “Scholz non è il re”
“I Verdi vogliono che ci prepariamo a partecipare a un possibile governo. Non bisogna apparire arroganti e questo vale anche per Olaf Scholz. Scholz non è il re”. Armin Laschet ha attaccato con queste parole il candidato socialdemocratico alla cancelleria, durante una riunione del comitato esecutivo
federale del partito secondo quanro riporta la Bild. Il leader della Cdu ha dovuto ammettere di “non poter essere contento del risultato”, il crollo è di quasi nove punti rispetto a quattro anni fa. E lo schiaffo definitivo arriva quando si appura la conquista dell’Spd anche del collegio uninominale di Rgen, nel Land del Meclemburgo-Pomerania Anteriore, che Merkel aveva vinto per ben 8 volte di seguito dal 1990. Il capo della Cdu ha ribadito di puntare a una coalizione ‘Giamaica’, assieme ai liberali dell’Fdp e ai Verdi, spiegando che “una coalizione deve essere un progetto politico, non è un matrimonio forzato, né somma matematica”.
“Cancelliere sarà chi avrà la maggioranza in Parlamento”, ha concluso, dicendo anche che “nessun partito ha ottenuto un chiaro mandato di governo”.
Habeck: “Andiamo incontro ai liberali”
“Per prima cosa andiamo incontro all’Fdp”. Lo ha detto all’emittente Ndr Robert Habeck, che condivide con Annalena Baerbock la guida dei Verdi tedeschi. “Ora vediamo se riusciamo a portare a casa il risultato”, ha aggiunto Habeck, che ha comunque ricordato anche le distanze con i liberali di Christian Lindner, dato che “nelle questioni sociali, fiscali e finanziare siamo veramente lontani”. Parlando invece con il Deutschlandfunk, il co-leader del partito ambientalista ha ricordato che “in prima linea le decisioni che prenderemo dipenderanno dai contenuti”. Da questo punto di vista, secondo Habeck è il candidato socialdemocratico Olaf Scholz “a godere di un evidente anticipo di fiducia” da parte degli elettori. E dato che la Spd “è chiaramente davanti all’unione Cdu/Csu”, l’ipotesi di una coalizione ‘semaforo’ (formata da socialdemocratici, Verdi e liberali) “ha un vantaggio per quanto riguarda il nostro orientamento di fondo”.
Fdp: governo prima di Natale
I liberali dell’Fdp si apprestano a svolgere il ruolo che
tutti si aspettano, ovvero quello di aiutare a comporre una difficile coalizione di governo trattando con i Verdi ed esprimono una preferenza per la coalizione cosiddetta
“Giamaica”, ovvero a guida cristianodemocratica, ma sono disponibili anche a quella “semaforo” condotta dai socialdemocratici. In ogni caso, la priorità è quella di non trascinare a lungo le trattative e di dare alla Germania un governo prima di Natale. Lo ha sintetizzato, durante un dibattito organizzato questa mattina dal gruppo dei Liberali al Parlamento europeo (Alde), il neoeletto deputato Fdp Thorsten Lieb, avvocato quarantottenne, presidente del partito a Francoforte e vicepresidente in Assia. “Al 55% vedo una coalizione a guida Cdu, al 45% con l’Spd, ma la priorità è fare il governo prima di Natale”, ha detto. Secondo gli ultimi dati, nel prossimo Bundestag ci saranno 92 deputati liberali, in aumento rispetto agli 80 della legislatura che si e’ appena conclusa.
Merkel: “Serve governo molto rapidamente”
La cancelliera Angela Merkel ha auspicato la creazione di un governo “molto rapidamente”. Lo ha detto, secondo quanto riporta la Bild, durante la riunione della Cdu il giorno dopo le elezioni. “Verdi e Fdp – avrebbe aggiunto secondo le ricostruzioni del quotidiano tedesco – vogliono sapere subito le nostre intenzioni”.
Vince Spd, crolla Cdu, trattativa per il nuovo governo
I funzionari elettorali hanno reso noto che il conteggio di t u t t e l e 2 9 9 c i r c o s c r i z i o n i h a m o s t r a t o c h e i socialdemocratici hanno ricevuto il 25,7% dei voti, contro il 24,1% del blocco dell’Unione. Nessun partito vincente in un’elezione nazionale tedesca aveva mai preso meno del 31% dei voti. Finisce comunque un’era. E il nuovo governo parte in salita. Terzi i Verdi che con il loro miglior risultato di
sempre, il 14,8%, diventano il terzo partito della Germania e reclamano una forte spinta green e di attenzione al clima, seguono i Liberaldemocratici del FDP, con l’11,5%. Saranno proprio questi due partiti l’ago della bilancia per la formazione del nuovo esecutivo. Nonostante abbia ottenuto il suo peggior risultato di sempre in una competizione federale, il blocco dell’Unione ha detto che anch’esso raggiungerà i partiti più piccoli per discutere la formazione di un governo, mentre Merkel rimarrà in un ruolo di custode fino al giuramento di un successore. Armin Laschet, il governatore dello stato del Nord Reno-Westfalia che ha superato un rivale più popolare per assicurarsi la nomina del blocco dell’Unione della Merkel, ha lottato per motivare la base del partito ed è scivolato in una serie di passi falsi. “Certo, la perdita di voti non è bella”, ha commentato Laschet, aggiungendo però che Merkel va via dopo 16 anni al potere, “nessuno ha avuto un bonus in queste elezioni”. Laschet ha detto ai sostenitori che
“faremo tutto il possibile per formare un governo sotto la guida dell’Unione, perché la Germania ora ha bisogno di una coalizione per il futuro che modernizzi il nostro paese”.
Linke sconfitta ma entra nel Bundestag
“Una grave sconfitta”. Così la leader della Linke, Susanne Hennig-Wellsow, ha commentato il risultato ottenuto dal suo partito alle elezioni federali in Germania. La Linke si è fermata al 4,9%, al di sotto della soglia di sbarramento del 5% per entrare in Parlamento. “E’ un duro colpo”, ha proseguito Hennig-Wellsow, spiegando che il partito di estrema sinistra dovrà reinventarsi all’opposizione per i prossimi quattro anni. Nonostante non abbia raggiunto la soglia di sbarramento, la Linke sarà comunque rappresentata nel nuovo Bundestag perché ha ottenuto tre mandati diretti.
Usa, ok di Fda a somministrazione 3 dose Pfizer da 65 anni in su
La Food and Drug Administration (Fda), l’agenzia Usa preposta al controllo dei farmaci, ha autorizzato la terza dose del vaccino Pfizer per le persone dai 65 anni in su e per quelle fragili, ossia ad alto rischio di contrarre forme severe di Covid-19 o di gravi complicazioni.
L’agenzia ha seguito le raccomandazioni date nei giorni scosi dal suo comitato di esperti indipendenti. A breve dovrebbe esprimersi anche i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), l’agenzia federale Usa per la prevenzione delle malattie.
Bambini abbandonati dai loro
governi nei campi siriani di
Al-Hol e Roj: condannati a
lottare quotidianamente per
la sopravvivenza dopo le
violenze già vissute
Save the Children esorta i governi stranieri ad assumersi le proprie responsabilità e a rimpatriate i bambini e le loro famiglie
Più del 50% della popolazione dei campi sono bambini al di sotto dei 12 anni. Ad Al Hol 62 bambini deceduti dall’inizio dell’anno e il 60% non frequenta la scuola
Molti dei paesi più ricchi al mondo non hanno ancora rimpatriato la maggior parte dei minori bloccati nei campi di Al-Hol e Roj in Siria nord-orientale, le cui vite si stanno pian piano consumando con il rischio continuo di violenze e malattie. Questa la denuncia di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro.
Secondo il nuovo rapporto pubblicato oggi dall’Organizzazione
“Quando inizierò a vivere? L’urgente bisogno di rimpatriare i bambini stranieri intrappolati nei campi di Al Hol e Roj”, sono circa 40.000 i bambini che vivono nei due campi per s f o l l a t i i n S i r i a n o r d - o r i e n t a l e e c h e c o m b a t t o n o quotidianamente per la sopravvivenza.
I campi di Al Hol e Roj ospitano oltre 60.000 persone, tra cui 40.000 bambini. Il 50% delle persone che vivono a Al Hol e il 55% a Roj sono bambini al di sotto dei 12 anni. Oltre ai cittadini siriani e iracheni, molti dei quali sono fuggiti dall’ISIS, ci sono donne e bambini provenienti da circa 60 paesi. Molti di loro hanno vissuto sotto il dominio dell’ISIS contro la loro volontà, ad esempio come vittime di adescamento e traffico in Siria.
Nei campi si registrano morti e malattie evitabili causate da incendi, scarsità di acqua e di servizi igienico-sanitari, malnutrizione e un sistema sanitario a malapena funzionante.
Nel campo di Al Hol, dall’inizio dell’anno, 62 bambini, circa due bambini a settimana, sono morti per diversi motivi, mentre 73 persone, tra cui 2 bambini, sono state uccise. Solo il 40%
dei bambini di Al Hol sta ricevendo un’istruzione, con anni di esperienze traumatiche che si ripercuotono sulla loro salute mentale, e nel campo di Roj, il 55% delle famiglie ha riferito casi di lavoro minorile tra i bambini con meno di 11 anni. I campi, sovraffollati e con servizi e rifugi inadeguati, non sono luoghi adatti per la crescita dei minori, che spesso sono vittime di matrimoni precoci, violenza domestica e altre forme di abuso mentale o psicologico.
La violenza è all’ordine del giorno ad Al Hol e non mancano omicidi, tentati omicidi, aggressioni e incendi dolosi, e anche nel campo di Roj, il rischio di incendi è costante: nel 2020, tre bambini sono morti e due sono rimasti gravemente feriti in due incendi diversi causati dall’esplosione di due stufe.
I bambini hanno raccontato allo staff di Save the Children di non sentirsi al sicuro quando camminano per il campo, quando vanno al mercato o in bagno. Maryam*, una bambina libanese di 11 anni che viveva nel cosiddetto “Annex” di Al Hol, uno spazio di appena mezzo chilometro quadrato in cui vivono 8.800 persone, tra cui 6.200 bambini, ha raccontato a Save the Children a maggio 2021: “Non posso più fare questa vita. Non facciamo altro che aspettare”. Da allora, Maryam* risulta essere stata uccisa, sua madre ferita e suo fratello disperso dopo un tentativo di fuga fallito in un camion dell’acqua.
L’insicurezza, la paura e l’incertezza per il futuro causano ansia e depressione tra i bambini, il cui benessere è minato a causa di stress, spazi limitati per giocare in sicurezza e assenza di supporto psicosociale. “Ho paura di vivere nel campo. La gente qui litiga in continuazione e ogni volta che
sento qualcuno urlare mi copro le orecchie con le mani. Non faccio uscire nemmeno mia madre perché tirano fuori i coltelli, gridano, si minacciano con frasi tipo: ‘Ti ammazzo, ti taglio la testa’”, ha raccontato Bushra*, 10 anni, dalla Turchia.
Anche Samiya*, una bambina di 11 anni del Tagikistan, vive nell’Annex di Al Hol da due anni con sua madre e quattro fratelli e ha raccontato a Save the Children di una sera di maggio di quest’anno quando ha visto un incendio distruggere e danneggiare 75 tende: “All’improvviso abbiamo sentito delle urla. Nella nostra sezione era scoppiato un incendio e le tende hanno cominciato a bruciare una dopo l’altra, sciogliendosi completamente. Tutti i bambini scappavano, urlavano e piangevano. […] Anche la nostra tenda è andata a fuoco insieme ai vestiti nuovi che mia madre mi aveva comprato, i miei giochi, i nastri per capelli e tutti i dolci per l’Eid. È andato tutto a fuoco. Ora dormiamo in cucina e stiamo aspettando una nuova tenda”.
Secondo nuovi dati, gli Stati membri dell’UE, il Regno Unito, il Canada e l’Australia non hanno fatto abbastanza per rimpatriare i propri cittadini: il Regno Unito, ad esempio, ha rimpatriato solo quattro bambini mentre si stima che altri 60 siano rimasti lì; la Francia ha riportato nel Paese solo 35 degli almeno 320 bambini totali, mentre negli ultimi mesi, paesi come la Germania, la Finlandia e il Belgio hanno rimpatriato madri e bambini dai campi, dimostrando ancora una volta che è possibile salvare vite se c’è volontà politica.
Save the Children esorta i governi stranieri, i cui cittadini sono nei campi di Al Hol e Roj e molti dei quali sono scappati per sfuggire all’ISIS, ad assumersi le proprie responsabilità e a rimpatriate i bambini e le loro famiglie. Dal 2017 sono stati rimpatriati circa 1.163 bambini, di cui quasi il 59% è rientrato nel 2019 in 29 operazioni. Nel corso del 2020 si è registrato un forte calo dei rimpatri mentre quest’anno, al 3 settembre 2021, i rimpatri effettuati sono stati solo 14.
“Dopo anni trascorsi nelle zone di conflitto, questi bambini stanno vivendo eventi traumatici che nessun bambino dovrebbe mai vivere. È incomprensibile che siano condannati a questa vita. Quello che vediamo sono bambini abbandonati dai loro governi, nonostante essi siano le prime vittime del conflitto.
L’83% delle operazioni di rimpatrio è stato effettuato da Uzbekistan, Kosovo, Kazakistan e Russia ma ora anche gli altri governi devono rispettare i propri obblighi, assumersi la responsabilità nei confronti dei loro cittadini e rimpatriare i bambini e le loro famiglie nel rispetto dei diritti dei bambini ai sensi della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia” ha dichiarato Sonia Khush, responsabile di Save the Children per la risposta in Siria. “Ogni giorno in più che i bambini e le loro famiglie rimangono nei campi è un fallimento dei loro governi. Ogni giorno in più in cui viene negata loro l’opportunità di tornare a casa, negati i servizi specializzati di cui hanno disperatamente bisogno e negato loro il diritto di vivere in sicurezza e riprendersi dalle loro esperienze è un giorno di troppo”.
Save the Children chiede a tutti i Paesi, i cui cittadini minori sono ancora Siria, di riconoscere e trattare i bambini prima di tutto come vittime di guerra, anche coloro che sono stati costretti ad unirsi all’ISIS, e rilasciare quelli detenuti arbitrariamente e riunirli alle loro famiglie.
Chiede, inoltre, di garantire i diritti fondamentali e rispondere ai bisogni umanitari urgenti, impegnandosi per una non discriminazione e una giustizia equa e esorta i governi a rimpatriare i propri cittadini senza ulteriori ritardi e a sostenere il loro reinserimento nel paese di origine.
Oltre al ritorno sicuro e dignitoso dei bambini e delle loro famiglie nei paesi di origine, Save the Children chiede un’ampia risposta umanitaria nei campi per soddisfare i bisogni sia dei bambini stranieri in attesa del rimpatrio sia dei bambini siriani che potrebbero rimanere nei campi per altro tempo.
Usa, no vax muore di Covid:
lascia 4 figli
“Smascherata, senza museruola e libera pensatrice”. Così si definiva sui social la 40enne della California Kristen Lowery, attivista no-vax e madre di quattro figli morta per il covid il 15 settembre.
Del decesso della donna ha dato notizia la pagina GoFundMe in cui si raccoglievano fondi per le spese del funerale, dove si afferma che Kristen è morta “inaspettatamente”.
All’inizio di settembre invece era stata sua sorella Cassie a scrivere su Facebook che la 40enne era “in ospedale a lottare per la sua vita contro il Covid e la polmonite”. “Per favore, non arrenderti”, aveva aggiunto, precisando che non si
trattava di un post politico e che non era interessata a sentire le opinioni di nessuno sui vaccini.
Lowey aveva partecipato a tante manifestazioni no-vax: in una foto postata sui social indossava una maglietta con la scritta
“ex pro vaccini, mi fidavo di loro, mai più”, in un’altra mostrava lo slogan “una mamma per la libertà”. Dopo l’annuncio della morte la sua pagina Facebook è stata quasi subito trasformata in privata per evitare che risultassero visibili i commenti degli estranei.
Usa, Covid: riapertura ai
viaggiatori vaccinati
Gli Stati Uniti riaprono: a partire dagli inizi di novembre i viaggiatori internazionali completamente vaccinati potranno entrare nel Paese. Lo afferma la Casa Bianca confermando le indiscrezioni circolate.
Il Centers for Disease and Prevention determinerà cosa si intende per pienamente vaccinati.I viaggiatori internazionali – Europa, Gran Bretagna, Cina, Iran e Brasile – che entreranno negli Stati Uniti dovranno presentare la prova del vaccino prima dell’imbarco, insieme all’esito negativo di un test per il Covid condotto nei tre giorni precedenti al viaggio, afferma il coordinatore della risposta al Covid della Casa Bianca, Jeff Zients. Nell’annunciare l’allentamento delle restrizioni, l’amministrazione Biden mette in evidenza che i cittadini americani non vaccinati avranno bisogno di un test il giorno prima di partire per gli Usa. Coloro che sono vaccinati non dovranno effettuare la quarantena e le compagnie aeree, in base alle disposizioni, dovranno raccogliere le
informazioni dei passeggeri per facilitare il tracciamento.
Afghanistan, nuovo governo:
il ministro dell’Interno è ricercato dall’FBI
Nominato il governo talebano alla guida dell’Afghanistan che vede come ministro dell’Interno Sirajuddin Haqqani, leader dell’omonima rete di milizie ritenuta vicina ad Al Qaida, è attualmente ricercato dall’Fbi per terrorismo, con una taglia di 5 milioni di dollari, secondo quanto riferisce la stessa agenzia Usa. Mohammad Hassan Akhund, il nuovo primo ministro afghano nel governo dei Talebani, figura nella lista dell’Onu di persone designate come “terroristi o associati a terroristi”. Mohammad Hassan è stato in passato consigliere
politico del Mullah Omar, già leader dei Talebani, oltre che governatore di Kandahar e ministro degli Esteri negli anni del primo governo degli studenti coranici, tra il 1996 e il 2001.
Il mullah Mohammad Hasan è stato nominato primo ministro ad interim del nuovo governo “provvisorio” dei talebani.
Il mullah Mohammad Hasan (anche detto Mohammad Hasan Akhund, laddove akhund è un sinonimo di mullah) è figura meno nota di altre nella leadership dei Talebani, ma non per questo meno potente. A lui era infatti affidata fino ad oggi la presidenza del Rahbari Shura, (letteralmente il ‘Consiglio della guida’, cioè il Consiglio direttivo), che ha svolto praticamente le funzioni di governo dei Talebani, prendendo tutte le maggiori decisioni prima di sottoporle all’approvazione della guida suprema del movimento, il mullah Hibatullah Akhundzada. Nei giorni scorsi media pachistani avevano riferito che lo stesso Akhundzada aveva scelto Mohammad Hasan come nuovo primo ministro.
Il mullah Abdul Ghani Baradar, co-fondatore dei talebani, negoziatore con gli Usa a Doha e capo politico in pectore degli studenti coranici, sarà il vice leader del nuovo governo a Kabul. Il figlio del mullah Omar, il mullah Yaqoub, sarà il ministro della Difesa del nuovo governo provvisorio dei talebani. All’Interno c’è Serajuddin Haqqani, leader della temibile e omonima rete alleata dei talebani Lo ha annunciato il portavoce Mujahid in conferenza stampa. “I preparativi per l’annuncio del governo islamico (in Afghanistan) sono stati completati, il governo sarà annunciato a breve, a Dio piacendo”: ha scritto su Twitter Ahmadullah Muttaqi, capo del settore multimedia della commissione culturale dell’Emirato islamico, che aggiunge che “sarà l’unico governo in 40 anni di storia afghana a governare sull’intero Afghanistan”. Sono diversi giorni che viene dato come imminente l’annuncio del nuovo governo dei talebani, ma negli ultimi giorni si è combattuto nella Valle del Panshir per sottomettere l’ultima sacca di resistenza contro l’Emirato talebano.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken, in una conferenza stampa in Qatar, ha dichiarato che i talebani hanno rinnovato la promessa di consentire agli afghani di partire liberamente, dopo il diffondersi di timori per una serie di voli charter bloccati a Kabul. I talebani hanno detto agli Stati Uniti che “lasceranno partire liberamente le persone in possesso dei documenti di viaggio”, ha detto Blinken in una conferenza stampa in Qatar. “Ci aspettiamo che si attengano a questo”.
I talebani a Kabul hanno sparato per disperdere una manifestazione di protesta contro il Pakistan. Lo rivelano fonti giornalistiche sul posto. La manifestazione di una settantina di persone, in maggioranza donne, ha protestato davanti all’ambasciata pachistana. ToloNews su Twitter parla di “centinaia di manifestanti oggi a Kabul” che “gridano slogan contro il Pakistan”. Nelle foto di ToloNews si vedono in prima fila diverse donne che reggono uno striscione.
I testimoni affermano che gli spari erano diretti in aria.
Filmati ripresi sui social e diffusi da ToloNews mostrano centinaia di donne che gridano rabbiosamente slogan di protesta contro il Pakistan, accusato di appoggiare il regime talebano. Le donne reggono cartelli, striscioni e alcune bandierine nazionali afghane. In un altro breve filmato si vede della gente fuggire mentre in sottofondo si sentono spari e raffiche.
“Preoccupa l’emergenza umanitaria nel Panshir, dove i talebani s t a n n o s t r o n c a n d o n e l s a n g u e l a r i v o l t a d e i cittadini. Migliaia di persone senza né cibo, né farmaci: sì a un corridoio umanitario per dare urgente soccorso a chi ha bisogno”. Lo scrive il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, su Twitter
I talebani hanno annunciano di avere il controllo totale del Panshir, ultima sacca di resistenza in Afghanistan e hanno avvertito che “qualsiasi tentativo di insurrezione sarà
duramente colpito”. L’Iran condanna “con fermezza l’assalto”
dei Talebani. E intanto il leader del movimento di resistenza nella valle afghana, Ahmad Massoud, lancia l’appello per una
“rivolta nazionale” contro i talebani: “Ovunque tu sia, dentro o fuori, ti invito a iniziare una rivolta nazionale per la dignità, la libertà e la prosperità del nostro Paese”. Secondo Al Arabiya, un aiuto ai talebani per espugnare il Panshir è arrivato dalle forze armate del Pakistan, con “appoggio dall’aria e lancio di paracadutisti”.
Lutto nel mondo del cinema:
morto Jean Paul Belmondo
E’ morto all’età di 88 anni l’attore francese Jean-Paul Belmondo. Belmondo è morto nella sua casa di Parigi, all’età di 88 anni, ha precisato il suo avvocato, Michel Godest, citato dalla France Presse.
“Era molto affaticato da qualche tempo,. Si è spento serenamente”, ha detto il legale. Mostro sacro del cinema francese ed europeo, Belmondo ha girato 80 film. Lascia in eredità ruoli indimenticabili, come quello in ‘A bout de souffle’ (Fino all’ultimo respiro) di Jean-Luc Godard o sorvolando il cielo di Venezia, appeso ad un elicottero, in ‘Le Guignolo’ (Il piccione di Piazza San Marco) di Georges Lautner.
Nato a Neuilly sur Seine, alle porte di Parigi, aveva sangue italiano nelle vene giacche’ il padre era uno scultore di buona fama, Paolo Raimondo. Dopo un esordio a teatro, Belmondo
si fa apprezzare come ‘jeune premier’ in ‘Peccatori in Blue Jeans’ di Marc Allegret (1958), ma da’ anche fiducia al giovanissimo Claude Chabrol che lo dirige in ‘A doppia mandata’ (1959). Comincia da li’ il suo percorso parallelo con Alain Delon che sta folgorando il pubblico grazie al successo di ‘Delitto in pieno sole’ (regia di René Clement). Ma ‘Bebel’
(cosi’ si fa chiamare per sottolineare il suo stile stravagante e canzonatorio) e’ rapido a cambiare registro affidandosi a Jean-Luc Godard che lo vuole protagonista di
‘Fino all’ultimo respiro’ (1960) e poi di ‘Pierrot le fou’
(1965).
Lavorare con il maestro indiscusso della Nouvelle Vague rappresenta per Belmondo una sfida: deve tenere insieme i canoni della recitazione classica e il loro stravolgimento. E ci riesce, contribuendo da solo all’inatteso successo commerciale dei due film. Rispetto a Delon, di due anni piu’
giovane, Bebel ha il vantaggio dell’innata simpatia comunicativa, un bel naso schiacciato da boxeur fallito, una naturale predisposizione a stupire, tanto il suo ‘gemello’
gioca invece la carta del bel tenebroso, divorato da dilemmi interiori. Hanno esordito (o quasi) con lo stesso maestro, Yves Allegret, hanno flirtato entrambi con la nouvelle vague, hanno successo con le donne e con gli spettatori, si dividono il campo come Coppi e Bartali. In qualche modo li accomuna anche l’Italia, giacche’ entrambi vengono adottati – molto giovani – dal nostro cinema. Ed ecco allora Belmondo vestire i panni di Michele ne ‘La ciociara‘ di Vittorio De Sica e poi di Amerigo ne ‘La viaccia‘ di Mauro Bolognini (1961).
Ma e’ sul mercato francese e, in particolare, nel cinema poliziesco (il polar) che combatte la grande battaglia per la popolarita’ con Delon. Belmondo recita con Claude Sautet in
‘Asfalto che scotta‘ (1960), ‘Quello che spara per primo‘ di Jean Becker (1961), ‘Quando torna l’inverno‘ di Henri Verneuil (1962), fino a ‘Lo spione’ del maestro Jean Pierre Melville, lo stesso che portera’ a vette assolute Delon in ‘Frank
Costello‘. Il sodalizio con Melville dura tre film e da’ a Belmondo tutti i ‘quarti di nobilta” di cui ha bisogno presso la critica. Ma il giovane mattatore vuole il gran successo popolare.
Per questo, in una sorta di terza vita artistica, si affida a Philippe de Broca e interpreta ‘L’uomo di Rio‘ (1964), cocktail di commedia gialla, film d’avventura, parodia di generi in voga: Bebel recita a velocita’ supersonica, compie peripezie spericolate da stuntman (fino in tarda eta’ non vorra’ mai una controfigura) e conquista i francesi.
Conquista anche il riottoso Delon che si rassegna all’idea di far coppia col suo rivale. Avverra’ nel 1970 con ‘Borsalino‘, successo planetario e inizio di una quarta fase nella carriera di Belmondo che intanto ha lavorato con tutti i registi piu’
apprezzati e popolari, da Claude Lelouch a François Truffaut (‘La mia droga si chiama Julie‘) e ha coniato una coppia di sicura simpatia con la perfetta ‘spalla’ Lino Ventura.
Belmondo si e’ sposato due volte (con la ballerina Elodie che gli ha dato tre figli e l’ultima compagna Natty), legandosi anche a lungo con Laura Antonelli.
Sul set raccoglie l’eredita’ di Gerard Philippe interpretando eroi acrobatici e romantici, quella di Jean Gabin incarnando lo spirito francese piu’ nazionalista e orgoglioso, di Yves Montand regalandosi ampie licenze tra cinema e teatro. Nel 1974 sente di nuovo il richiamo del cinema d’autore e accetta la parte del truffatore Stavisky nel raffinato film omonimo di Alain Resnais. Non rinuncia ai ruoli che hanno fatto la sua carriera e ai registi-complici di sempre (Gerard Oury, Philippe Labro, Henri Verneuil, Jacques Deray, Georges Lautner), ma cerca altro. In teatro ripassa tutti i grandi classici, veste perfino i panni del mattatore Kean e aspira a un finale di carriera da ‘padre nobile’, guadagnandosi intanto il Premio Cesar come miglior attore nel 1989 per ”Una vita non basta” di Claude Lelouch. Oggi e domani la Francia e la
Repubblica mondiale del cinema non lo dimenticheranno: il gatto continuerà a saltare sui tetti dell’immaginario e sarà un Re anche nel pantheon dell’arte.
Bye bye Afghanistan: partite a sorpresa le ultime truppe Usa
Cala il sipario sulla guerra in Afghanistan, la più lunga della storia americana. Le ultime truppe Usa hanno lasciato ieri sera a sorpresa Kabul, con un giorno d’anticipo rispetto alla scadenza fissata per il 31 agosto.
Troppo grande la paura di nuovi attentati da parte dei jihadisti dell’Isis-K, con gli allarmi lanciati fino
all’ultimo dal Pentagono che ancora in giornata aveva parlato di minacce “reali” e “specifiche” di altri attacchi terroristici.
“In Afghanistan non è rimasto un solo soldato americano. Il ritiro significa sia la fine dell’evacuazione del materiale militare che la fine di quasi 20 anni di missione iniziata poco dopo l’11 settembre”, ha annunciato in serata il generale Kenneth McKenzie, capo del comando centrale Usa. “E’ una missione che ha assicurato alla giustizia Osama Bin Laden insieme a molti cospiratori di Al-Qaida”, ha proseguito. “Il costo è stato 2.461 militari e civili americani uccisi ed oltre 20 mila feriti, inclusi sfortunatamente i 13 marines morti la scorsa settimana”, ha aggiunto McKenzie, specificando che gli ultimi a lasciare il suolo afghano sono stati l’ambasciatore e un generale. Subito dopo l’annuncio del Pentagono, spari sono stati uditi a Kabul per festeggiare la partenza dell’ultimo volo Usa. I colpi venivano in particolare dai principali check point dei talebani, mentre urla di giubilo si sono innalzate da postazioni nella ex green zone.
“Abbiamo nuovamente fatto la storia”, ha esultato su Twitter Anas Haqqani, un alto dirigente delle milizie talebane.
Il presidente Usa Joe Biden ha annunciato di aver chiesto al segretario di Stato Antony Blinken di “continuare a guidare il coordinamento con i nostri partner internazionali per garantire il passaggio sicuro di tutti gli americani, dei partner afghani, degli stranieri che vogliono lasciare l’Afghanistan”. Il presidente ha ricordato la risoluzione approvata dal consiglio di sicurezza dell’Onu, che “manda un chiaro messaggio su cio’ che la comunita’ internazionale si aspetta che i talebani facciano andando avanti, in particolare la liberta’ di viaggiare”.
“I talebani si sono impegnati per un passaggio sicuro e il mondo chiedera’ conto dei loro impegni”, ha aggiunto. Tra gli sforzi indicati da Biden l’azione diplomatica in corso in Afghanistan e il coordinamento con i partner nella regione
“per riaprire l’aeroporto consentendo la continuazione della partenza per quelli che desiderano partire e per la consegna dell’assistenza umanitaria al popolo afghano”.
“E’ cominciato un nuovo capitolo del nostro impegno con l’Afghanistan”, ha detto il segretario di stato Antony Blinken nel suo primo briefing dopo il ritiro Usa da Kabul. Gli Usa restano impegnati, anche dopo il ritiro, ad aiutare tutti gli americani che vogliono lasciare l’Afghanistan.
Il più importante portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, si è congratulato con gli afghani per la loro vittoria, poche ore dopo che le ultime truppe statunitensi avevano lasciato il Paese dopo 20 anni di intervento militare. “Congratulazioni all’Afghanistan – ha detto dalla pista dell’aeroporto di Kabul – questa vittoria appartiene a tutti noi. Vogliamo avere buoni rapporti con gli Stati Uniti e il mondo. Accogliamo con favore – ha concluso – buone relazioni diplomatiche con tutti”. La sconfitta degli Stati Uniti è stata una “grande lezione per gli altri invasori e per la nostra generazione futura”. “E anche una lezione per il mondo”, ha aggiunto il portavoce dalla pista dell’aeroporto di Kabul.
Il ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan ha dimostrato che la “politica di intervento militare sfrenato e di imposizione dei propri valori e sistemi sociali in altri Paesi è irrealizzabile ed è destinata al fallimento”. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, commentando nel briefing quotidiano la partenza delle ultime truppe americane da Kabul, ha osservato che l’Afghanistan “è stato in grado di liberarsi dell’occupazione militare straniera e ha inaugurato un nuovo punto di partenza per la pace e la ricostruzione nazionale. La storia dell’Afghanistan ha aperto una nuova pagina”.
Gli ultimi americani a lasciare l’Afghanistan, secondo il Pentagono, sono stati l’ambasciatore Ross Wilson e del gen.
Chris Donahue, capo dell’82/ma divisione aereotrasportata.
Morto il nipotino di Sharon Stone
River Stone, il nipotino di Sharon Stone, è morto dopo che le sue condizioni si erano rapidamente aggravate. Lo ha annunciato la stessa attrice americana, postando sul suo profilo social un video nel quale si vede il bimbo giocare sorridente, con le date di nascita e di morte.
L’8 settembre avrebbe compiuto un anno. La star aveva già lasciato in fretta Venezia, dove era impegnata in uno spot di Dolce & Gabbana, per tornare negli Stati Uniti. Nei giorni scorsi una foto sul profilo Instagram dell’attrice aveva suscita commozione: ritraeva il bimbo intubato nel letto.
“Serve un miracolo, per favore pregate per lui”, aveva scritto la zia.
Dopo Katrina New Orleans trema per l’arrivo di Ida
“L’uragano Ida sarà uno dei più forti che si è mai abbattuto”
sulla Louisiana “dal 1850”. Lo afferma il governatore della Louisiana John Bel Edward, lanciando l’allarme sull’arrivo di Ida, atteso come categoria 4.
New Orleans trema all’arrivo di Ida.
Dopo essersi abbattuto su Cuba l’uragano si muove verso le coste della Louisiana dove è atteso domenica, giorno del 16mo anniversario di Katrina, l’uragano più letale della storia americana. Con venti previsti fino a 200 chilometri all’ora, Ida rischia di spazzare via e rendere inabitabili aree costiere dello stato “per settimane e mesi”, ha messo in guardia il National Weather Service, l’agenzia governativa per le previsioni meteorologiche. “Ida è estremamente pericolo”, avverte l’Hurricane Center.
La sindaca di New Orleans, LaToya Cantrell, parla di
“drammatica minaccia” e invita i residenti a lasciare la città o a prendere tutte le precauzioni possibili. “Evacuazioni volontarie sono in corso ma il tempo non è dalla nostra parte e a questo punto non possiamo ordinare più evacuazioni obbligatorie”, dice spiegando che farlo creerebbe ulteriori ingorghi sulle strade complicando i soccorsi nel caso in cui le cose dovessero precipitare repentinamente.
Nella città i preparativi sono in corso: i negozi blindano le vetrine con il legno, i supermercati sono presi d’assalto, le case messe al sicuro come possibile, i turisti rispediti a casa. Il Quartiere Francese, cuore di New Orleans, è deserto mentre il sole ancora splende. Fra i residenti la paura è m o l t a . I l f a t t o c h e I d a s i a a t t e s a n e l g i o r n o dell’anniversario di Katrina non è visto come un buon segnale.
A questo si aggiunge che Ida è prevista come un uragano di categoria 4: Katrina, che era ‘solo’ di categoria 3, fece oltre 1.800 morti causando danni per miliardi di dollari. Il tutto senza contare il Covid, che espone la popolazione ulteriori rischi.
L’uragano Ida è “molto pericoloso”, afferma Joe Biden invitando la popolazione della Louisiana a “fare attenzione e a prepararsi”. “Se dovete andare in una delle strutture pubbliche allestite per trovare riparo accertatevi di avere la mascherina e di praticare il distanziamento sociale perché stiamo ancora combattendo contro il Covid”, ha detto.
Kabul, attentato: arriva la
prima risposta americana.
Uccisa una delle menti Isis-K
L’operazione è stata autorizzata dal presidente Biden e il capo del Pentagono Lloyd Austin ha impartito materialmente l’ordine
La rappresaglia americana per l’attacco all’aeroporto di Kabul non si fa attendere. Con un raid mirato condotto con un drone nella provincia di Nangahar, gli Stati Uniti colpiscono e uccidono una delle menti dell’Isis-K, l’organizzazione ritenuta responsabile del sanguinoso attentato nel quale hanno perso la vita 13 americani e oltre 100 afgani.
“Le forze armate americane hanno condotto un’operazione anti
terrorismo contro uno degli organizzatori dell’Isis-K. Il raid è avvenuto nella provincia di Nangahar, in Afghanistan. Le indicazioni iniziali segnalano che il target è stato ucciso.
Non siamo a conoscenza di vittime civili”, si legge in una nota di Bill Urban, portavoce del Central Command. L’identità della persona nel mirino non è stata resa nota e non è ancora noto se il raid sarà un caso isolato o uno di una serie. Joe Biden ha autorizzato il raid, mentre il capo del Pentagono Lloyd Austin ha impartito materialmente l’ordine.
L’annuncio del Pentagono segue la nuova allerta lanciata dall’ambasciata americana Kabul, che ha invitato gli americani a non recarsi all’aeroporto: a coloro che sono in queste ore allo scalo è chiesto di lasciare immediatamente in seguito alle “minacce alla sicurezza”. Gli Stati Uniti ritengono infatti probabile un nuovo attacco nei prossimi giorni, prima della fine delle evacuazioni il 31 agosto.
Nelle ultime 12 ore sono 4.200 le persone da Kabul, riferisce la Casa Bianca sottolineando che dal 14 agosto sono state evacuate 109.200 persone, mentre dalla fine di luglio ne sono state evacuate 114.800. Dopo l’attacco all’aeroporto di Kabul Joe Biden aveva assicurato gli Stati Uniti avrebbero perseguito i responsabili: “vi prenderemo e ve la faremo pagare”, ha detto dopo l’attentato a Kabul con le lacrime agli occhi, riportando alla memoria le parole dell’ex presidente George W. Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre. La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, è stata ancora più esplicita del presidente: Biden “non vuole” che i responsabili
“vivano più sulla Terra”.