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LA SOCIETA COL LEONE

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Academic year: 2022

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1 lettore che, trovandosi un codice civile tra Ic mani, lo aprisse là dove, subito dopo l'articolo 2264, figura l'articolo 2265, sarebbe incuriosito dal titolo che il legislatore ha dato a quell'ar- ticolo: <Patto leonino>'. La lettura dei testo delI'articolo non aiuterebbe molto a chiarire il mistero del titolo. Esso dice infatti che <<è nullo il patto con ii quale uno o phi soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite della società>>.

Tutto questo sta bene, ma che c'entra ii leone?

Per rendersene conto occorre rifarsi alla cultura classica e al diritto romano. Ii nostro legislatore non aveva dubbio alcuno, quando dettava l'articolo 2265, che gli studenti e gli studiosi di diritto civile avrebbero sempre basato Ia loro preparazione suiio studio delle cosI dette materie romanistiche. Ecco dunque che, ad utiità non soltanto dei laid del diritto, ma anche di un numero anno per anno crescente di neo-laureati in giurispru- denza ignari di storia del diritto (e ciô a causa di una malsana riforma universitaria che ha trovato concordi nel disinteresse per la cultura giuridica sia i partiti politici della sinistra, sia quelli della destra), ecco dunque, dicevo, che una nota sul patto leonino potrà starci bene. Oltre tutto, ditemi in confidenza, alla fine di queste pagine, se la cosa è davvero tanto noiosa.

<<Patto leonino è una locuzione usata in Italia ed in mold akri paesi, da circa venti secoli, per indicare quell'ipotesi di società nella quale uno dei soci è autorizzato, per l'appunto da una clausola contrattuale, a prendere per sé tutti gli utili, mentre il consocio o i consoci si dovranno caricare di tutte le perdite.

Ora una società in cui un socio si fa, a detrimento degli altri, la cosI detta <<parte del leone>> è una società che non vale un buco.

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A rigor di termini la Si dovrebbe ritenere invalida, cosi come appunto la riteneva invalida ii diritto romano. Ma it codice civile vigente ha risolto la questione in modo meno rigoroso, e 66 nell'intento di salvare la società alla vita degli affari. Esso percib dichiara invalids, come si è visto, la sola clausola leonina:

dal che consegue che la società resta in piedi, ma che le si ap- plicheranno le norme generali sulla ripartizione proporzionale degli utii e delle perdite tra i soci (articoli 2263-2264).

Chiarito questo punto, resta Ia domanda relativa at come sia potuto sakare in testa ai giuristi ed ai legislatori, che sono di solito gente cosi poco poetica (per non dire che sono spoe- tizzanti), di far capo all'idea delta società col leone. Certo mold ricorderanno che di una società con it leone parla it francese La Fontaine nelle sue Fables. Di phi, ben prima del La Fontaine vi fu it vecchio Fedro, quello che tante gustose risate sollevava (nella nostra assoluta indifferenza) tra i professori delta seconda media che ce to commentavano, fu Fedro a parlare (ahimé in latino) di quella bizzarra società. La quale fu stretta, phi pre- cisamente, tra quattro animali parlanti: la vacca, la capra, la pecora e it leone.

Che la denominazione di <<socletas leonmna> sia derivata ai giuristi dalla lettura di Fedro? Proprio cosI. Ma vorrei cercare di spiegare meglio it perch, almeno per come io credo di po- termelo immaginare.

Fedro, l'autore delle favole, è un personaggio di cui sap- piamo motto poco. Gli studiosi di letteratura latina non si daranno mai pace di non conoscerne la genealogia, di ignorarne i rapporti sentimentali e di non poter precisare se era mancino, balbuziente e bevitore di Falerno. Comunque, sorvolando sulle phi sottili questioni (tra le quali figura anche quella se Fedro fosse calvo e sdentato), v'è qualcosa di lui che si tocca con mano, sopra tutto perché ce to dice egli stesso. In primo luogo egli si proclama ex-schiavo dell'imperatore Augusto, liberato da costui prima della sua morte: tenuto conto che Augusto morl net 14 d.C., se ne deduce che Fedro era già nato anteriormente a quella data. In secondo luogo e ancora Fedro a rivelarci, net

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prologo del terzo libro dde favole, che per le favole dei due libri precedenti egli era stato messo sotto inchiesta, se non addirittura sotto processo, dal terribile Seiano, ii prefetto del pretorio di Tiberio: tenuto conto che Seiano cadde in disgrazia e fu <<fatto fuori>, per ordine dell'imperatore, nel. 31 d.C., se ne deduce che a quella data la favola della società col leone, che figura nel primo libro, era già stata pubblicata. Probabilmente l'inchiesta (o processo che fosse) derivô dal sospetto che le favole di Fedro, apparentemente tanto innocenti, contenessero chi sa quali allusioni maligne aTiberio ed al guardingo Seiano. Ma è abbastanza chiaro che la procedura si risolse in definitiva con un <(non luogo a procedere>>, motivato dal fatto che le poesie fedriane non erano maligne e allusive né punto né poco: erano soltanto delle sciocchezzuole da quattro soldi. (E non vi dico quanto si mostri offeso ii buon Fedro di questa qualifica di <<vules néniae) con cui furono bollati i suoi parti poetici).

Stabilito che Fedro fu sottoposto ad un'inchiesta o ad un processo prima del 31 d.C., è ragionevole l'ipotesi che Seiano abbia affidato la lettura delle favole a qualche buon giurista del suo entourage, affinché vedesse se vi erano gli estremi per una sanzione. Ora salta agli occhi di tutti gli storici di Roma che proprio in quel tempo era in auge nella vita pubblica un giurista effettivamente di gran marca, Gaio Cassio Longino, ii quale rivestI la carica di pretore, cioè di funzionario statale addetto alla giurisdizione, intorno at 27 ed ottenne poi un posto di console, carica suprema, nel 30 d.C. Si fa strada, in tal modo, l'ipotesi che le scritture di Fedro siano state lette e postulate, per ragioni di ufficio, da Cassio Longino. E l'ipotesi diventa quasi certezza se si tien conto di questo fatto singolare:

che l'unico e solo giurista romano che usb la terminologia di

<<socletas leonIna>> fu appunto, per quanto ci consta, Cassio. E evidente che tra le favole del primo libro di Fedro quella che colpI particolarmente l'attenzione del giurista fu ii raccontino della società coi leone, per tutte le sottili riflessioni giuridiche cul esso invitava il lettore. Data l'altissima autorità di Cassio tra i giuristi romani, nulla di strano che la posterità abbia adot-

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tato senza fiatare quella sua terminologia e la adotti per forza d'inerzia tuttora.

Ma vogliamo andare un altro pochino avanti? lo oso pen- sare che la bollatura delle favole di Fedro come vIles néniae, cioè come pueriità senza malizia, sia dipesa in buona parte dalla lettura della favola del leone. La quale, se non mi inganno, è un esempio insigne della notevole dabbenaggine del suo autore.

Ricordate? Con assoluta mancanza di criterio, Fedro fa associare col leone, per andare nei boschi a caccia del cervo, tre mammiferi deboli e molli per definizione, e per giunta erbivori, quali la vacca, la capretta e perfino la pecora (wacca et cap ella etpatiens ovis... sociifiière cum leone in saltibu>). Che aiuto potevano dare queste tre comparse al leone? E in ogni caso che interesse avevano esse a dar la caccia al cervo, che poi non avrebbero potuto mangiare? Anche nelle favole degli animali parlanti vi sono delle regole del gioco che vanno rispettate, e Fedro qui non le rispetta affatto.

Ucciso ii cervo, se ne fanno comunque quattro parti, ed ecco Fedro mettere in cattiva luce il leone attribuendogli questo arrogante discorso: <<La prima parte spetta a me perché sono il re degli animali, la seconda mi appartiene perché sono vostro socio, La terza me la prendo perché sono phi in gamba di voi, ed a chi avanza pretese sulla quarta gli faccio un viso grosso cosi>>.

Ora, non vi è dubbio che questo modo di parlare sia odioso, Si discute che II leone sia venuto meno ai suoi impegni, che erano di prendersi una parte sola della preda. Ma prima di condannare ii leone e le sue cattive maniere, vogliamo un p0'

badare alla sostanza giuridica delle cose?

lo penso che, ove il leone non avesse fatto il prepotente e si fosse messo nelle mani di un avvocato, ii cervo sarebbe indubbiamente spettato a lui nella sua interezza, con spese a carico della soccombenza. Per due motivi. Primo, perché una società messa su per compiere una mascaizonata (<<socletas iniuriae>> la chiama proprio Fedro) è giuridicamente nulla, e chi tra i compari ha nelle mani ii malloppo se lo pub quindi tenere tutto per sé. Secondo, perché nella società immaginata

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da Fedro tutti i rischi e tutto ii lavoro in realtà spettavano al leone, mentre la vacca, la pecora e la capra Si erano riservata solo la partecipazione al guadagno. In akri termini, perché in quella fattispecie fedriana la <<parte del leone), o quasi, se la volevano fare proprio la vacca, la pecora e la capra. Ben gli è stato, ai tre furbeschi vegetariani, che il leone, accortosi in tempo dell'inghippo, abbia fatto valete, sia pur brutalmente, le sue ragioni.

Ora mi si dica se un poeta che immagina una situazione siffatta, e che poi moraleggia dicendo che non bisogna mai associarsi con i potenti e con i delinquenti, non è scollato oltre ogni livello di guardia della licenza poetica. Gaio Cassio Lon- gino fece benissimo a consigliare ii proscioglimento di Fedro per semi-infermità mentale. E i nostri figli e nipoti non hanno tuth i torti quando, traducendo le favole del Nostro, esciamano ogni tanto, con la vivacità che ii distingue: <<che gonzo>.

Di la' dallo Stige, dal regno dei morti, Cassio Longino ii benedice e ii approva.

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