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Controversie nel rapporto tra trasferimenti "Dublino" e diritti fondamentali: la sentenza C-163/17, Jawo c. Bundesrepublik Deutschland

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Dipartimento

di Scienze Politiche

Cattedra di Diritto dell'Unione europea

Controversie nel rapporto tra trasferimenti

"Dublino" e diritti fondamentali: la sentenza C-163/17, Jawo c. Bundesrepublik Deu- tschland

Prof. Francesco Cherubini Arianna Monte Matr.084492

RELATORE CANDIDATO

Anno Accademico 2019/2020

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1 INDICE

Introduzione ... 2

Capitolo 1 − Causa C-163/17: Abubacarr Jawo c. Bundesrepublik Deutschland ... 5

1.1. Procedimento principale ... 5

1.2. Questioni pregiudiziali sottoposte alla CGUE ... 7

1.3. Contesto normativo di riferimento ... 10

Capitolo 2 − Conclusioni dell’Avvocato generale e osservazioni delle parti ... 20

2.1. Conclusioni sulla corretta interpretazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III in base al contesto di applicazione ... 20

2.2. Carattere generale e assoluto dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ... 25

2.3. Valutazione delle condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale in uno Stato membro: contrasto tra le conclusioni dell’Avvocato generale e le osservazioni delle parti ... 30

Capitolo 3 − Il ragionamento della Corte ... 36

3.1. Fuga del richiedente asilo e diritto a un ricorso effettivo per decorso del termine di sei mesi per il trasferimento, condizioni per la proroga di suddetto termine ai sensi dell’articolo 29 del regolamento Dublino III.... 36

3.2. La valutazione del rischio di trattamento inumano o degradante dopo il riconoscimento della protezione internazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione? ... 41

3.3. Parametri di valutazione e principio di fiducia reciproca in rapporto all’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea .... 45

Conclusioni ... 52

Bibliografia ... 57

Abstract ... 61

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2 Introduzione

Il sistema europeo comune di asilo (SECA) ha come obiettivo quello di offrire uno status appropriato ad ogni cittadino di un Paese terzo, o a ogni apolide, che necessita di protezione internazionale in uno degli Stati membri, garan- tendo al contempo il principio di non respingimento.

Punto di svolta per la creazione di suddetto sistema è stato il Programma di Tampere elaborato dal Consiglio europeo nel 19991. Stando a quanto stabilito, l’attuazione del sistema comune di asilo avrebbe dovuto seguire due fasi:

l’adozione di norme minime comuni a breve termine e la definizione di pro- cedure e status uniformi per i beneficiari di protezione. Si avvia così la prima fase del SECA, durante la quale vengono adottati diversi atti, tra cui il regola- mento Dublino II2, che sostituisce l’omonima Convenzione del 19903 sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati della allora Comunità europea. Il Programma di Stoccolma4 definisce poi la necessità apportare miglioramenti al sistema di asilo, promuovendo l’effettiva solidarietà tra gli Stati membri. Si assiste dun- que tra il 2011 e il 2013 a un’opera di rifusione degli atti adottati nella prima fase.

Le pressioni migratorie, che hanno condotto alla cosiddetta “crisi dei rifugiati”

tra il 2014 e il 2016, hanno messo alla prova i sistemi di accoglienza degli Stati che si trovano alle frontiere esterne dell’Unione e più in generale lo stesso SECA, soprattutto per quanto riguarda il principio di solidarietà e di equa ripartizione degli oneri derivanti dall’accoglienza dei richiedenti prote- zione, prescritto dall’articolo 80 TFUE. Questo ha spinto la Commissione eu- ropea a pubblicare nel maggio 2015 l’Agenda europea sulla migrazione5, che definisce nuove tappe verso una necessaria riforma del sistema europeo di asilo e in particolare del sistema Dublino, in un’ottica di maggiore condivi- sione delle responsabilità tra gli Stati membri. Condivisione che dovrebbe an- che garantire il rispetto dei diritti dei richiedenti protezione internazionale, dei cui interessi la normativa attualmente in vigore non sembra occuparsi a suffi- cienza, ma che andrebbero maggiormente protetti, anche al fine di rendere la

1 Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Tampere, del 15 e 16 ottobre 1999.

2 Regolamento (CE) del Consiglio, del 18 febbraio 2003, 343/2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.

3 Convenzione del 15 giugno 1990 sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle comunità europee.

4 Programma del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009, Programma di Stoccolma:

un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini.

5 Comunicazione della Commissione al parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato econo- mico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 13 maggio 2015, COM (2015) 240 def., Agenda europea sulla migrazione.

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redistribuzione delle domande più equa, disincentivando i movimenti secon- dari.

Tuttavia, a distanza di quattro anni dalla presentazione da parte della Com- missione europea di una proposta di riforma dell’intero sistema comune di asilo, vediamo come la volontà di riscrivere le norme in materia di immigra- zione e asilo sia tuttora subordinata allo scontro tra gli interessi dei singoli Stati membri, che ha impedito di giungere ad un accordo, nonostante la di- scussione in merito sia stata avvitata già nel maggio 2016.

Scopo del presente elaborato è analizzare alcune delle principali caratteristi- che della politica d’asilo dell’Unione, e in particolare del sistema Dublino, a partire dall’analisi della sentenza della Corte di giustizia del 19 marzo 2019, causa C-163/17, Jawo c. Bundesrepublik Deutschland, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württem- berg (Germania), relativa all’interpretazione dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino e dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Verranno prese in considerazione due tematiche principali: le modalità rela- tive al trasferimento di un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda, compresi il termine di sei mesi, con la possibile proroga fino a diciotto, ed il diritto del soggetto in- teressato a disporre di un mezzo di impugnazione della decisione di trasferi- mento; nonché l’eventuale inammissibilità di siffatto trasferimento nel caso in cui il richiedente asilo possa essere esposto al rischio di subire trattamenti contrari alla dignità umana, alla luce di quelle che sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita nello Stato di destinazione in caso di ottenimento della qua- lifica di beneficiario di protezione.

La particolarità del caso in esame è proprio il focus sul rischio di essere sotto- posto a trattamento inumano o degradante che l’interessato correrebbe nello Stato di destinazione solamente dopo avere eventualmente ottenuto la prote- zione. Ci si domanda se anche in una simile circostanza, mai affrontata prima dalla Corte di giustizia, un trasferimento verso detto Stato membro sia da con- siderare inammissibile ed eventualmente su quali elementi basarsi per elabo- rare siffatta valutazione.

L’obiettivo di queste pagine consiste nell’esaminare il funzionamento e l’im- plementazione del SECA, ma anche nell’evidenziare alcuni aspetti controversi che, nonostante il lungo processo che ha portato alla definizione di detta poli- tica, le pronunce in merito sia della Corte di Lussemburgo che della Corte europea per i diritti umani di Strasburgo e le riforme in materia, lo caratteriz- zano tuttora, comportando ritardi nei trasferimenti di richiedenti protezione verso lo Stato competente per l’esame della domanda, tensioni tra Stati mem- bri e, cosa più grave, rischi continui di violazioni dei diritti fondamentali degli esseri umani coinvolti.

In particolare, nel primo capitolo si renderà conto dei fatti di cui al procedi- mento principale di fronte al giudice tedesco, esaminando le questioni di in-

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terpretazione del diritto dell’Unione sottoposte da questo alla Corte di giusti- zia, per analizzare, infine, il quadro normativo internazionale, tedesco e dell’Unione europea entro cui la Grande sezione della Corte si è mossa al fine di emanare la propria sentenza. L’interpretazione delle disposizioni a cui fa riferimento il giudice nazionale nella domanda di pronuncia pregiudiziale ri- chiede infatti una più ampia analisi della normativa relativa all’asilo e all’ac- coglienza, legata anche al contesto fattuale di cui si sta discutendo.

Il secondo capitolo sarà invece dedicato sia alle osservazioni presentate dalle parti intervenute nel procedimento dinanzi al giudice europeo, che alle con- clusioni dell’Avvocato generale Melchior Wathelet, che hanno lo scopo di as- sicurare una interpretazione del diritto dell’Unione quanto più possibile uni- forme e coerente con la giurisprudenza precedente. Le considerazioni delle parti costituiscono uno strumento essenziale per comprendere le posizioni dei diversi Stati membri riguardo il funzionamento del sistema europeo comune di asilo e forniscono, insieme alle considerazioni dell’Avvocato generale, va- lidi spunti di riflessione sul sistema stesso e sulle necessarie riforme volte a renderlo più efficiente, equo e giusto, anche dal punto di vista del rispetto dei diritti fondamentali.

In conclusione, il terzo capitolo avrà come perno il ragionamento della Corte di giustizia, analizzando gli argomenti che questa ha addotto al fine di rispon- dere a ciascuna questione pregiudiziale, anche in riferimento alla precedente giurisprudenza della Corte stessa, nonché a quella della Corte europea dei di- ritti dell’uomo. Una volta esaminate le risposte alle questioni di natura più marcatamente procedurale, l’analisi si concentrerà sulla terza questione. Di- fatti, diversamente dal caso in esame, le precedenti pronunce della Corte di Lussemburgo avevano riguardato unicamente situazioni in cui il rischio di trattamenti contrari alla dignità umana era collegato al trasferimento stesso o alle carenze sistemiche nei sistemi di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato di destinazione, e dunque alle condizioni di vita degli interessati nella fase precedente all’esame della domanda di protezione. Con la sentenza Jawo, invece, la Corte si pronuncia per la prima volta in merito all’eventuale illegit- timità del trasferimento di un richiedente protezione internazionale dovuta al rischio di trattamento inumano o degradante successivo al riconoscimento della protezione internazionale.

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5 Capitolo 1

Causa C-163/17: Abubacarr Jawo c. Bundesrepublik Deutschland Nella sentenza Jawo (C-163/17) 6, del 19 marzo 2019, la Grande Sezione della Corte si è pronunciata, alla luce del regolamento n. 604/20137 e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, riguardo due macro-questioni: le condizioni che devono ricorrere per poter ritenere che un richiedente prote- zione internazionale sia fuggito dalle autorità dello Stato membro in cui è pre- sente, di modo che il termine per il suo trasferimento verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale possa essere prorogato, nonché la legittimità di siffatto trasferimento, nel caso in cui sussista il rischio che l’interessato sia sottoposto ad un trattamento inumano e degradante conseguentemente all’eventuale esito positivo della procedura d’asilo, a causa delle condizioni di vita dei beneficiari di protezione interna- zionale nel suddetto Stato membro.

Nel presente capitolo si illustreranno brevemente i fatti di cui al procedimento principale, per proseguire con l’analisi delle questioni sottoposte alla Corte di Giustizia dal giudice nazionale che ha operato il rinvio pregiudiziale, dando infine conto del contesto normativo cui hanno fatto riferimento le parti in causa e la Grande Sezione della Corte.

1.1. Procedimento principale

La causa C-163/17 ha ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale pre- sentata nell’ambito della controversia tra Abubacarr Jawo, richiedente asilo di origine gambiana, e la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania), in merito al respingimento della domanda di asilo del sig. Jawo da parte del Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati), con provvedimento datato 25 febbraio 2015. Alla dichiarazione di inammissibilità di tale domanda, aveva fatto seguito la dispo- sizione, da parte di detto Ufficio, dell’allontanamento verso l’Italia del richie- dente asilo.

La domanda, proposta alla Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Verwal- tungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg) con decisione del 15 marzo 2017 e depositata presso la Cancelleria il 3 aprile 20178, verte sull’interpretazione degli articoli

6 Sentenza della Corte di giustizia del 19 marzo 2019, causa 163/17, Abubacarr Jawo c. Bun- desrepublik Deutschland.

7 Regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, 604/2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione).

8 Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württem- berg (Germania) il 3 aprile 2017, per il caso Abubacarr Jawo c. Bundesrepublik Deutschland (Causa C-163/17).

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3, paragrafo 2, secondo comma, e 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento (UE) n.

604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (il regolamento “Dublino III”) e dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il sig. Jawo afferma di essere un cittadino gambiano, nato il 23 ottobre 1992.

Secondo quanto dichiarato, ha lasciato il Gambia il 5 ottobre 2012 per rag- giungere via mare l’Italia, dove, in data 23 dicembre 2014, ha presentato do- manda di asilo, trasferendosi poi in Germania. Il 26 gennaio 2015 l’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati ha chiesto all’Italia la ripresa in carico del richiedente asilo ai sensi dell’articolo 18 del regolamento Dublino III.

L’Ufficio aveva infatti appurato, tramite la banca dati Eurodac9, che il sig.

Jawo aveva già presentato domanda di asilo nel Paese di primo ingresso. Tut- tavia, l’Italia, secondo il giudice del rinvio, non ha dato riscontro a tale richie- sta.

Un primo tentativo di trasferimento verso l’Italia non è riuscito in quanto nella data prestabilita, 8 giugno 2015, il sig. Jawo non si trovava, già da diverso tempo, presso la struttura di accoglienza della città tedesca di Heidelberg, in cui risiedeva. L’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati ha notificato alle autorità italiane l’impossibilità del trasferimento a causa della fuga del richiedente protezione internazionale, indicando contestualmente il giorno 10 agosto 2016 come data ultima per il trasferimento, a norma dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. In merito alla sua assenza, l’interes- sato ha dichiarato, durante l’udienza dinanzi al giudice del rinvio, di essersi recato a trovare un amico residente in un’altra città tedesca e di essere tornato non appena possibile, una volta venuto a conoscenza del fatto che la polizia lo stava cercando. Ciò che è rilevante è il fatto che il sig. Jawo ha sostenuto, nella medesima occasione, di non essere mai stato informato di dover avvisare le autorità competenti in caso di assenza di lunga durata.

Il secondo tentativo di trasferimento è successivamente fallito in quanto, in data 3 febbraio 2016, il sig. Jawo si è rifiutato di salire sull’aereo con cui sa- rebbe dovuto rientrare in Italia.

Con decisione del 18 febbraio 2016 il Tribunale amministrativo di Karlsruhe (Germania) ha riconosciuto efficacia sospensiva al ricorso contro il provvedi- mento di trasferimento, presentato dal richiedente asilo in data 4 marzo 2015.

Con sentenza del 6 giugno 2016, il suddetto giudice ha poi respinto tale ri- corso. Nell’ambito dell’impugnazione avverso tale sentenza dinanzi al Tribu- nale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg, il sig. Jawo ha, come anticipato, affermato di non essere fuggito nel giugno 2015, sostenendo

9 Regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, 603/2013, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di li- bertà, sicurezza e giustizia.

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dunque che, in tale occasione, l’Ufficio non avrebbe potuto validamente pro- rogare il termine del trasferimento.

Il trasferimento verso l’Italia, secondo l’interessato, sarebbe illegittimo anche per una seconda ragione, ovvero la sussistenza, in suddetto Stato, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza non solo dei richiedenti protezione internazionale, ma anche dei beneficiari di tale isti- tuto.

1.2. Questioni pregiudiziali sottoposte alla CGUE

Al fine di risolvere la controversia principale, il giudice tedesco ha deciso di sospendere il procedimento per sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione tre questioni di interpretazione del diritto dell’Unione europea, ai sensi dell’ar- ticolo 267 TFUE. Questo prevede la possibilità (o l’obbligo, a seconda dei casi) per il giudice nazionale di domandare alla Corte di pronunciarsi su una questione di interpretazione (o validità) del diritto dell’Unione, sorta durante un processo interno, nel caso in cui detto giudice reputi la soluzione di tale questione necessaria per emanare la sua sentenza. Il giudice del rinvio ha an- che chiesto che questo fosse trattato con procedimento pregiudiziale d’ur- genza10, sottolineando, come vedremo, l’importanza della terza questione pre- giudiziale. La Quinta Sezione, tuttavia, ha deciso di respingere tale domanda.

Le questioni su cui il giudice nazionale si interroga, e che sottopone alla Corte, riguardano in particolare l’interpretazione dell’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento (UE) 604/2016 e dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamen- tali dell’Unione europea, e nello specifico:

− Se un richiedente asilo sia da considerare fuggito ai sensi delle menzionate disposizioni solo se si sia sottratto coscientemente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, ai fini di ostacolarlo, o se sia sufficiente che non abbia soggiornato nell’alloggio assegnatogli per un periodo di tempo prolungato senza aver informato le autorità; e se il sog- getto interessato possa contestare la proroga del termine di sei mesi nell’ambito di una procedura contro una decisione di trasferimento, soste- nendo di non essere fuggito;

− Se una proroga del termine previsto all’articolo 29 si verifichi già se lo Stato membro che provvede al trasferimento, prima della scadenza dei sei mesi, informi lo Stato competente della fuga del soggetto interessato, sta- bilendo contestualmente un termine entro cui procedere, oppure se sia possibile solo quando entrambi gli Stati membri coinvolti stabiliscano un termine prolungato;

− Se il trasferimento verso lo Stato membro competente sia inammissibile nel caso in cui vi sia il rischio, per il richiedente asilo, di subire un tratta- mento ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in caso di riconoscimento della

10 Previsto dall’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

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protezione internazionale e alla luce di quelle che sarebbero le sue condi- zioni di vita nello Stato in questione; se detta questione rientri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione; secondo quali parametri si deb- bano valutare la condizioni di vita di un soggetto cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

Entrando nel dettaglio, il giudice che ha operato il rinvio deve innanzitutto sciogliere il nodo relativo alla presunta fuga del sig. Jawo nel giugno 2015: è necessario determinare se, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III, il ricorrente si potesse considerare fuggito al mo- mento della notifica da parte dell’Ufficio al Ministero degli Interni italiano (16 giugno 2015)11. A tal proposito, il giudice in questione afferma che, ba- sandosi sulla definizione di “rischio di fuga” come stabilita dall’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III, si dovrebbe considerare tale nozione come comprensiva unicamente di un comportamento adottato intenzional- mente dal soggetto in questione con lo scopo di evitare un trasferimento. Si sottolinea inoltre che, nella versione in lingua tedesca, suddetto regolamento fa riferimento al timore che l’interessato “si sottragga” tramite la fuga alla procedura di trasferimento12.

D’altra parte, la disposizione considerata ha l’obiettivo di agevolare il rapido ed effettivo funzionamento del sistema di determinazione dello Stato membro competente all’esame di una domanda di protezione internazionale, rapidità che rischierebbe di essere compromessa se determinati trasferimenti venissero ostacolati da situazioni esterne alla sfera di responsabilità dello Stato richie- dente. Se questo è vero, ne consegue che per applicare l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, si potrebbe reputare sufficiente che le autorità competenti non fossero a conoscenza della variazione del luogo di residenza dell’interes- sato al momento del tentato trasferimento e della comunicazione, alle autorità dello Stato richiesto, dell’impossibilità di effettuarlo. La soluzione di tale que- sito è inoltre connessa alla possibilità per l’interessato di impugnare siffatto provvedimento di trasferimento, contestando la proroga del termine, proprio in ragione del fatto che egli non era fuggito.

La seconda questione sottoposta alla Corte dal giudice tedesco riguarda le con- dizioni necessarie per la proroga del termine di sei mesi per il trasferimento di un richiedente asilo verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale13. Tale termine è definito dall’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, mentre il secondo paragrafo di detto articolo prevede la possibilità di proroga fino a un massimo di diciotto mesi, nel caso in cui il richiedente sia fuggito. A tal proposito, il giudice del rinvio sottolinea come la formulazione della disposizione in esame non chia- risca se gli Stati membri coinvolti debbano accordarsi su tale proroga o se lo Stato richiedente possa decidere unilateralmente sul punto, posto l’obbligo di informare la controparte della necessità di eseguire il trasferimento in una data

11 Domanda di pronuncia pregiudiziale nel caso Jawo, punto 1.

12 Sentenza Jawo, punto 42.

13 Domanda di pronuncia pregiudiziale nel caso Jawo, punto 2.

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successiva, da indicare contestualmente. La seconda ipotesi comporterebbe evidentemente una maggiore celerità della procedura, in linea con gli obiettivi del sistema basato sul regolamento Dublino III.

Da ultimo, il giudice nazionale si interroga in merito ai parametri per la valu- tazione della legittimità del trasferimento, chiedendosi se tra questi si deb- bano, e si possano, far rientrare le considerazioni riguardo le condizioni di vita cui l’interessato sarebbe soggetto nello Stato membro di destinazione, nel caso in cui la sua domanda di protezione internazionale venisse accolta14. Rilevante in tal senso sarebbe il rischio, grave e comprovato, per l’eventuale beneficiario di protezione internazionale, di subire un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questo sancisce, di- fatti, la proibizione della tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti.

Secondo quanto sostenuto dall’interessato, la possibile consegna all’Italia comporterebbe una violazione di detto divieto a causa delle carenze nel si- stema di accoglienza dei beneficiari di protezione internazionale, cui non ver- rebbe assicurato l’effettivo accesso ai servizi socio-sanitari essenziali, data la mancanza, in detto Stato, di efficaci strumenti di integrazione. Una simile con- dizione di vita, ai margini della società, costituirebbe quindi un trattamento lesivo della dignità umana.

L’opinione del giudice che ha operato il rinvio è che l’esame delle carenze sistemiche15 non si debba limitare alla procedura di asilo e alle condizioni di accoglienza riservate ai soggetti di tale procedura, ma che sia al contrario ne- cessaria anche una valutazione della situazione che si verrebbe a creare suc- cessivamente, ossia come conseguenza dell’eventuale riconoscimento della protezione internazionale. L’obbligo di condurre un esame più ampio della situazione del richiedente asilo deriverebbe inoltre, secondo il giudice tedesco, dal contenuto dell’articolo 3 della CEDU16. Stando all’interpretazione che Corte EDU ha dato della disposizione17, la responsabilità dello Stato che pro- cede all’allontanamento emerge per aver esposto l’individuo a trattamento inumano o degradante attraverso la misura di allontanamento da questo predi- sposta.

Il giudice del rinvio fa inoltre riferimento alla direttiva qualifiche18, che pre- vede per i beneficiari di protezione internazionale la regola generale della pa- rità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro in questione. Nono- stante ciò, il parere del giudice tedesco è che tale garanzia rischi di non essere sufficiente a preservare la dignità di coloro i quali hanno visto accolta la pro- pria richiesta di protezione: questi sono soggetti particolarmente vulnerabili e

14 Domanda di pronuncia pregiudiziale nel caso Jawo, punto 3.

15 Come prescritto dall’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento 604/13.

16 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Roma, 4 novembre 1950.

17Si veda: sentenza della Corte europea dei diritti umani del 20 marzo 1991, 15576/89, Cruz Varas e a. c. Svezia, paragrafo 69.

18 Direttiva (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, 2011/95, re- cante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.

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sradicati, difficilmente in grado di esercitare e far valere i diritti che lo Stato membro ospitante dovrebbe assicurare loro. Per questo motivo, l’articolo 34 della direttiva in questione dispone, quale requisito minimo per il corretto fun- zionamento del sistema Dublino, che gli Stati membri garantiscano ai benefi- ciari di protezione internazionale l’accesso effettivo a programmi di integra- zione compensatori.

Ad essere sotto esame è, per l’appunto, la capacità dello Stato italiano di assi- curare suddetti strumenti ai rifugiati presenti sul proprio territorio. È difatti possibile concludere, anche tramite la relazione dell’organizzazione Schwei- zerische Flüchtlingshilfe (Organizzazione svizzera d’aiuto ai rifugiati), dal ti- tolo «Aufnahmebedingungen in Italien» (condizioni di accoglienza in Italia)19, a cui fa espressamente riferimento il giudice del rinvio, che i beneficiari di protezione internazionale sarebbero esposti al rischio concreto di una vita “ai margini della società, nell’indigenza e senza fissa dimora”20. Tale rischio da un lato deriverebbe dall’insufficienza e dalle carenze del sistema sociale dello Stato italiano, nonché dalla quasi totale assenza di programmi di integrazione con funzione compensatoria, e dall’altro sarebbe ulteriormente aggravato dal considerevole numero di rifugiati presenti sul territorio statale.

È necessario sottolineare come tale questione rivesta un’importanza determi- nante non solo per il caso in specie, ma anche per un numero di procedimenti molto più ampio, essendo rilevante per tutte le procedure di trasferimento verso l’Italia. L’incertezza della risposta rischia dunque di intaccare il funzio- namento dei meccanismi definiti dal regolamento Dublino III, indebolendo l’intero sistema europeo comune di asilo, che nel citato regolamento vede uno dei pilastri fondamentali.

Come si vedrà nei capitoli successivi, sui punti illustrati si sono espressi l’av- vocato generale, gli Stati e la Commissione. Tenuto conto delle osservazioni delle parti, si è poi pronunciata la Corte di Giustizia. L’analisi di tali conclu- sioni richiede, tuttavia, un preliminare esame del contesto normativo su cui le parti hanno basato le rispettive posizioni.

1.3. Contesto normativo di riferimento

Per meglio comprendere gli argomenti e il ragionamento della Corte, ma an- che delle parti in causa, si rivela necessario approfondire la base normativa rilevante per il caso in specie. Il contesto normativo all’interno del quale si inserisce la causa in esame include fonti secondarie di diritto dell’Unione e di diritto tedesco, oltre che strumenti di diritto internazionale.

Accanto alle disposizioni di cui il giudice del rinvio chiede espressamente l’interpretazione, dunque, si prenderà in considerazione un ventaglio più am- pio di norme, facenti capo sia al diritto UE, che al diritto internazionale. Si accennerà brevemente anche a disposizioni del diritto interno, rilevanti per il procedimento in questione.

19 SCHWEIZERISCHE FLÜCHTLINGSHILFE (2016: 32 ss.)

20 Sentenza Jawo, punto 47.

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Al fine di inquadrare la materia in cui si colloca il caso oggetto di esame, ossia la politica di asilo dell’Unione europea, è fondamentale assumere come punto di partenza lo strumento di diritto internazionale che per primo ha disciplinato il diritto d’asilo: la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifu- giati21. Le sue norme definiscono gli individui cui spetta protezione interna- zionale. I beneficiari di tale statuto sono individuati dall’articolo 1, paragrafo A, n. 2, della Convenzione, che definisce il rifugiato come colui che,

As a result of events occurring before 1 January 1951 and owing to well-founded fear of being persecuted for reasons of race, religion, na- tionality, membership of a particular social group or political opinion, is outside the country of his nationality and is unable or, owing to such fear, is unwilling to avail himself of the protection of that country; or who, not having a nationality and being outside the country of his for- mer habitual residence as a result of such events, is unable or, owing to such fear, is unwilling to return to it.

Dall’accertamento dello status derivano, in capo agli Stati, una serie di obbli- ghi, finalizzati alla tutela del rifugiato. Rilevante ai fini della nostra analisi è, in particolare, l’articolo 21 della Convenzione di Ginevra del 1951, in quanto espressamente citato dall’Avvocato generale nelle sue conclusioni. Detto ar- ticolo, rubricato «Alloggio», dispone per gli Stati contraenti l’obbligo di con- cedere ai rifugiati regolarmente residenti sul proprio territorio un trattamento in materia di alloggi che sia il più favorevole possibile e, comunque, non meno favorevole di quello concesso agli stranieri in generale nelle stesse circo- stanze. Tale questione deve essere disciplinata da leggi o regolamenti, o essere sottoposta al controllo delle autorità pubbliche.

Il termine “alloggio” implica non solo l’ottenimento di un luogo in cui dimo- rare, ma anche la presenza di piani di finanziamento per la costruzione di sud- detti luoghi. Inoltre, l’accento posto sulla condizione che gli schemi di allog- gio siano soggetti al controllo dell’autorità statale comporta, per gli Stati, il dovere di assicurarsi che le leggi, i regolamenti e le misure di controllo assi- curino effettivamente ai rifugiati il trattamento più favorevole possibile. Nel caso in cui le dimore fossero fornite unicamente da enti privati, invece, non sussisterebbe tale obbligo in capo agli Stati contraenti22. Per questi è affermato dunque non solo il divieto di discriminare i rifugiati rispetto agli altri cittadini di Stati terzi, ma anche il dovere di assicurare loro il miglior trattamento pos- sibile.

21 Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, in vigore dal 22 aprile 1954, in UNTS, vol. 189, p. 137 ss. Il Protocollo relativo allo status dei rifugiati è stato firmato a New York il 31 gennaio 1967 ed è entrato in vigore il 4 ottobre 1967, ivi, vol. 606, p. 267 ss.

22 DIVISION OF INTERNATIONAL PROTECTION OF THE UNITED NATIONS HIGH COMMISSIONER FOR

REFUGEES (1997: 48-49).

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Altra fonte di diritto internazionale considerata dalla Corte è la Convenzione di Roma del 1950 (CEDU), in particolare il suo articolo 3, rubricato «Proibi- zione della tortura», che pone, appunto, il divieto di qualunque tipo di tortura, pena o trattamento inumano o degradante.

La CEDU, come la Convenzione di Ginevra, costituisce un parametro di le- gittimità e interpretazione degli atti di diritto derivato, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE, che ha definito i diritti garantiti dalla Convenzione di Roma come “parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

La Convenzione non contiene norme relative all’asilo, ma fissa dei limiti al potere statale di espellere gli stranieri in due dei suoi Protocolli23. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, l’organo di controllo giudiziario della CEDU, ha tuttavia ricavato dalle sue norme una forma di tutela nei con- fronti degli individui che, se allontanati verso un certo Stato, rischiano di su- bire una violazione grave dei propri diritti. Tali individui non ottengono dun- que un diritto d’asilo vero e proprio, ma è in ogni caso impedito il loro allon- tanamento dal territorio dello Stato interessato verso un Paese “a rischio”.

Questa protezione deriva dall’interpretazione che la Corte ha dato dell’articolo 3 della CEDU. Lo strumento che ha consentito tale lettura è quello della pro- tezione “indiretta” o par ricochet24: questa consente di estendere l’ambito di applicazione della Convenzione, configurando una responsabilità degli Stati per ogni prevedibile conseguenza dell’allontanamento dello straniero dal pro- prio territorio verso un Paese in cui rischi di subire un trattamento contrario al dettato convenzionale. La responsabilità che si viene a configurare è dello Stato contraente, non di quello di destinazione: il primo ha l’obbligo di for- mulare un giudizio sul rischio che l’interessato corre nel Paese di destinazione raccogliendo tutte le informazioni utili per giungere a una decisione in merito.

La Corte ha fissato, come requisito per rilevare una violazione del principio di non respingimento, la condizione che, in base a ciò che gli Stati conoscono (o dovrebbero conoscere) nel momento in cui eseguono un provvedimento di allontanamento, possano emergere “substantial grounds for believing in the existence of a real risk”25. La soglia del rischio è basata su un concetto di pro- babilità, mentre la violazione si sostanzia unicamente nel momento di esecu- zione del provvedimento stesso. L’articolo 3 della CEDU verrà ulteriormente analizzato nei seguenti capitoli, in relazione ai concetti di fiducia reciproca e di Paese sicuro.

Per quanto riguarda il rapporto tra la Convenzione di Roma e il diritto UE, rileva evidenziare che l’articolo 6 del Trattato sull’Unione Europea, relativo

23 Nello specifico: all’articolo 4 del Protocollo n. 4 e all’articolo 1 del Protocollo n. 7.

24 Sentenza della Corte europea dei diritti umani del 7 luglio 1989, 14038/88, Soering c. Regno Unito, sulla quale si vedano, tra gli altri, A.DAMATO, Estradizione e divieto di trattamenti inu- mani o degradanti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1991, p. 648 ss., F.MAROTTA, Responsabilità dello Stato estradante con riferimento all’art. 3 della Convenzione europea, Considerazioni sulla sentenza Soering, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1991, p.439 ss.

25 Si veda: sentenza della Corte europea dei diritti umani Cruz Varas e a. c. Svezia, paragrafo 75.

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al rispetto dei diritti umani quale valore fondante dell’Unione europea, ri- chiama espressamente la CEDU. Tuttavia, la Corte di giustizia ha affermato che la Convenzione “non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia ade- rito un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione”26. Una simile adesione, già stabilita dal paragrafo 2 dell’articolo 6 TUE, costituirebbe un notevole progresso dal punto di vista della tutela dei diritti umani, comportando la sottoposizione dell’Unione al controllo della Corte EDU di Strasburgo per i propri atti eventualmente lesivi dei diritti e delle libertà riconosciute da detta Convenzione. Ad essere sottoposti al con- trollo della Corte di Strasburgo non sarebbero dunque solamente i singoli Stati parti, ma anche l’Unione nel suo insieme.

Passando alle fonti del diritto UE rilevanti per la causa in esame, è necessario esaminare in primo luogo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione euro- pea e il regolamento (UE) n. 604/2013. La Carta è stata proclamata a Nizza nel 2000, ma ha acquisito valore giuridicamente obbligatorio solamente con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 200927, dopo essere stata adattata e riproclamata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo. La Carta ha così assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati fondativi dell’Unione. I diritti che ricono- sce, comunque, operano solamente nelle materie rientranti nelle competenze dell’Unione, così come stabilito dall’articolo 51 della Carta stessa. Come si vedrà in seguito, questa condizione è stata oggetto, nel caso in esame, di dif- ferenti interpretazioni degli Stati membri intervenuti durante il procedimento e dell’Avvocato generale.

Gli articoli considerati nella causa C-163/17 sono cinque: il 4, il 19, il 47, il 51e il 52. Procedendo in ordine, l’articolo 4 della Carta, intitolato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti» stabilisce che

“nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Tale divieto riprende letteralmente l’articolo 3 della CEDU.

L’articolo contempla fattispecie distinte: la tortura, in quanto strumento isti- tuzionalizzato e con il fine determinato di ottenere informazioni o confessioni tramite pressioni sull’imputato, è stata storicamente separata sia dalle pene che dai trattamenti. Le prime sono infatti finalizzate a sanzionare reati accer- tati tramite processo, mentre i secondi sono da intendersi come situazioni, am- bientali o di fatto, non finalizzate all’ottenimento di informazioni e confes- sioni28. La pena, quando non inumana o degradante, è ammissibile e legittima come strumento di repressione dei reati. Il divieto di trattamenti inumani o degradanti, infine sancisce l’inviolabilità della dignità della persona, che non può in alcun modo essere messa a repentaglio, pur in una situazione di com- pressione dei diritti, come quella risultante, ad esempio, da un procedimento penale o dall’esecuzione di una pena29.

26 Si veda: sentenza della Corte di giustizia del 6 ottobre 2016, causa 218/15, Paoletti e a.

27 L’articolo 6, paragrafo 3, TUE afferma che l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti dalla Carta.

28 OLIVETTI (2001b: 62).

29 OLIVETTI (2001b: 63-64).

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Al contenuto della disposizione di cui sopra si collega quello dell’articolo 19 della Carta. Questo, insieme all’articolo 18 sul diritto d’asilo30, definisce la condizione giuridica dello straniero, garantendo «Protezione in caso di allon- tanamento, di espulsione e di estradizione». Il primo paragrafo vieta le espul- sioni collettive, mentre il secondo, rilevante ai fini dell’analisi che si sta svol- gendo, proibisce qualunque forma di ritorno involontario verso uno Stato in cui l’interessato correrebbe un rischio comprovato di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.

Viene nuovamente ripresa la formulazione dell’articolo 3 CEDU per stabilire che anche l’allontanamento verso un altro Paese, in cui sussiste il rischio di subire trattamenti contrari a tali disposizioni, può far sorgere la responsabilità dello Stato in questione.

La terza disposizione rilevante è l’articolo 47, che, al comma 1, determina il diritto a un ricorso effettivo dinanzi un giudice per ogni individuo i cui diritti e libertà garantiti dall’ordinamento dell’Unione siano stati violati. Siffatta di- sposizione è la prima del Capo IV della Carta, contenente i principi in tema di giustizia, che hanno come destinatari tutti gli individui, e sancisce il diritto ad una tutela giurisdizionale. La portata del primo comma è molto ampia per quanto riguarda il soggetto attivo: il diritto a un ricorso effettivo spetta difatti a ogni individuo, anche se non cittadino dell’Unione, e dunque può e deve essere esteso ai richiedenti asilo.

Il Capo VII della Carta contiene infine disposizioni generali relative alla stessa. In particolare, l’articolo 51, rubricato «Ambito di applicazione» pre- scrive, al paragrafo 1, che:

Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive compe- tenze.

La disposizione indica i pubblici poteri tenuti al rispetto e alla promozione dei diritti fondamentali definiti dalla Carta, problematica che si inserisce in quella più generale dei rapporti tra l’ordinamento europeo e quelli nazionali. La di- sposizione si rivolge inoltre unicamente ad organi e istituzioni, dell’Unione e degli Stati membri, limitando l’applicabilità della Carta ai rapporti verticali tra soggetti pubblici ed individui ed escludendo, dunque, una sua possibile applicazione nei rapporti tra privati31.

La Carta si rivolge principalmente alle istituzioni e agli organi dell’Unione, preoccupandosi di garantire la protezione dei diritti fondamentali nei confronti di tali soggetti e colmando il vuoto di tutela presente fino all’adozione del

30 “Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato che istituisce la Comunità europea”.

31 CARTABIA (2001: 345).

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Trattato di Maastricht: questo li ha riconosciuti quali principi generali del di- ritto comunitario, rinviando espressamente alla CEDU. Tali diritti sono poi stati cristallizzati nella Carta di Nizza.

In una prima fase, i diritti fondamentali erano garantiti unicamente dalle Co- stituzioni nazionali, sottoposte comunque al primato del diritto comunitario.

Tale contraddizione viene risolta dalla Corte di giustizia, la quale ha costruito un catalogo di diritti fondamentali che colmasse il vuoto normativo dei trattati istitutivi e vincolasse l’azione delle istituzioni europee32.

La Carta ha dunque codificato tale giurisprudenza, rivolgendosi in primis alle istituzioni, vincolando invece gli Stati unicamente nella misura in cui questi agiscano in attuazione del diritto europeo33: i diritti fondamentali vincolano le istituzioni nazionali solo quando queste agiscono in esecuzione di obblighi comunitari, mentre sono esenti dalla verifica giurisdizionale della Corte tutti gli atti che riguardano materie di competenza esclusivamente statale.

Non è comunque ben chiaro quali attività rientrino nell’“attuazione del diritto dell’Unione”: un’interpretazione in senso tecnico condurrebbe a un impatto alquanto ristretto dei diritti fondamentali comunitari negli ordinamenti statali, limitato alle attività legislative o amministrative di esecuzione di obblighi co- munitari, mentre un’interpretazione più estensiva amplierebbe l’ambito di ap- plicazione della Carta a tutti gli atti che ricadono nel cono d’ombra del diritto dell’Unione.

Il giudice del rinvio nel caso Jawo si chiede appunto se il trattamento riservato da uno Stato membro a un beneficiario di protezione internazionale rientri o meno nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea. In caso di risposta affermativa tali condizioni di vita potrebbero essere valutate alla luce dell’articolo 4 della Carta stessa. Si vedrà come non vi sia accordo in materia tra le osservazioni degli Stati membri intervenuti nella causa e le conclusioni dell’avvocato generale e della Corte.

Da ultimo, l’articolo 52, riguardante la «Portata dei diritti garantiti», enuncia al suo paragrafo 3, che:

Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli ga- rantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La pre- sente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.

Tale disposizione regola il rapporto tra la Carta e la CEDU, essendo la seconda configurata come standard minimo di protezione. In tal modo vengono incor- porati nella Carta i diritti garantiti dalla Convenzione del 1950, nonostante

32 A partire dalla sentenza della Corte di giustizia, 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, e dalla sentenza 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellshaft.

33 In merito all’inapplicabilità della Carta a situazioni non collegate al diritto dell’Unione si vedano: l’ordinanza della Corte di giustizia del 15 aprile 2015, causa 497/14, Burzio, e la sen- tenza del 7 marzo 2017, causa 638/16 PPU, X e X c. Belgio.

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l’Unione europea non ne sia ancora parte. Inoltre, così come i diritti conferiti dalla Carta non possono essere di portata inferiore rispetto a quelli garantiti dalla CEDU, i limiti posti a detti diritti non possono essere più ampi di quelli previsti da detto strumento. Naturalmente, nulla impedisce al diritto dell’Unione di definire una protezione dei diritti fondamentali più estesa ri- spetto a quella contenuta nella Convenzione europea.

Merita particolare attenzione, data la materia trattata dalla sentenza Jawo, l’esame di una specifica fonte secondaria del diritto dell’Unione: il regola- mento (UE) 604/2013, o regolamento Dublino III. Tale atto, avente quale base giuridica l’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), TFUE34, costituisce una delle colonne portanti del sistema europeo comune di asilo (SECA), in quanto sta- bilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente ad esaminare una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati parte del sistema da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide.

Il regolamento Dublino III è un atto di rifusione del regolamento Dublino II (regolamento n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003), cui apporta dei miglioramenti senza intaccare i principi cardine del sistema: estende la portata delle sue norme anche ai richiedenti protezione sussidiaria, definiti dall’articolo 2, lettera e), della direttiva qualifiche come cittadini di Paesi terzi o apolidi che non posseggono i requisiti per ottenere lo status di rifugiato, ma nei cui confronti esistono motivi fondati di ritenere che il rientro nel Paese di origine comporterebbe un effettivo rischio di subire un danno grave, come definito dall’articolo 15 della direttiva stessa. Inoltre, introduce un sistema di allarme e gestione di casi di malfunzionamento del sistema di asilo di uno Stato membro35 e sancisce il diritto dei richiedenti a un ricorso effettivo av- verso una decisione di trasferimento, o a una revisione della stessa, dinanzi a un organo giurisdizionale 36.

L’atto del 2003 stabiliva i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una richiesta d’asilo, definendo una gerarchia di criteri poi ripresa dal regolamento successivo. Secondo le sue norme, era in primo luogo competente lo Stato in cui fosse legalmente presente un familiare del minore non accompagnato oppure in cui un familiare del richiedente go- desse, o avesse presentato richiesta, dello status di rifugiato. Il secondo criterio affidava la competenza allo Stato di rilascio di un visto o un permesso di sog- giorno, sia in corso di validità che scaduto. In mancanza di Stati che soddisfa- cessero i suddetti criteri, la responsabilità passava allo Stato attraverso le cui frontiere esterne il richiedente fosse entrato illegalmente, o quello nella cui zona internazionale di un aeroporto venisse presentata la domanda. Solo in ultima istanza, se quindi non era possibile designare lo Stato membro compe-

34 L’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce che il Parlamento europeo e il Consiglio adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa “criteri e meccanismi di determinazione dello Stato mem- bro competente per l'esame di una domanda d'asilo o di protezione sussidiaria”.

35 Articolo 33 del regolamento 604/2013.

36 Articolo 27 del regolamento 604/2013.

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tente in base ai criteri di cui sopra, la competenza era dello Stato di presenta- zione della domanda. Tali criteri, come anticipato, non vengono modificati dal regolamento Dublino III, ma ribaditi al capo III dello stesso.

Gli articoli del regolamento Dublino III rilevanti per la causa in esame vanno letti alla luce dei “considerando” del regolamento stesso, che toccano infatti i principali punti attorno a cui ruotano le questioni poste dal giudice del rinvio e verranno dunque brevemente illustrati. I “considerando” 4 e 5 affermano che, secondo le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere37, il SECA do- vrebbe prevedere un meccanismo per determinare in maniera chiara e pratica lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo, meccanismo fondato su criteri equi ed oggettivi, finalizzati alla rapidità dell’espletamento delle domande di protezione internazionale.

Il “considerando” 19 fa poi riferimento al diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni di trasferimento verso lo Stato membro competente, in relazione all’articolo 47 della Carta, richiedendo che siffatto ricorso verta sull’esame non solo dell’applicazione del regolamento stesso, ma anche della situazione giuridica e di fatto dello Stato di destinazione.

Gli ultimi due “considerando” rilevanti, il 32 e il 39, definiscono il rapporto tra l’atto in questione e gli altri strumenti posti a protezione dei diritti fonda- mentali. In particolare, gli Stati sono vincolati dagli obblighi derivanti dagli strumenti giuridici internazionali, compresa la giurisprudenza della Corte EDU, riguardo il trattamento dei soggetti rientranti nell’ambito di applica- zione del regolamento. Inoltre, secondo il “considerando” 39, il regolamento Dublino rispetta i diritti fondamentali e i principi sanciti dalla Carta, in parti- colare il diritto d’asilo di cui all’articolo 18 della stessa. È dunque necessario che l’atto venga applicato alla luce delle disposizioni della Carta.

Passando all’esame degli articoli di cui ha tenuto conto la Corte, vediamo come l’articolo 2, contenente le definizioni ai fini del regolamento stesso, alla lettera n) faccia riferimento alla prima questione sollevata dal giudice del rin- vio: la nozione di fuga. Detta disposizione definisce come «rischio di fuga» la presenza, in un caso individuale, di ragioni, basate su criteri obiettivi e definiti dalla legge, per ritenere che un richiedente oggetto di procedura di trasferi- mento possa fuggire.

Di particolare rilevanza è poi l’articolo 3, che regola l’accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale, disponendo che questo possa essere competenza di un unico Stato membro, identificato secondo i criteri di cui sopra. La disposizione prevede anche la circostanza in cui si riveli impossibile effettuare il trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato com- petente, per la presenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza. Se queste comportano il rischio di un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta, lo Stato ospitante deve proseguire l’esame dei criteri per verificare se vi sia un altro Stato competente. Il paragrafo 2

37 Riunione straordinaria del Consiglio europeo tenutasi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, con cui è stata avviata la prima fase del sistema europeo comune di asilo.

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dell’articolo, da un lato recepisce la precedente giurisprudenza (di cui si trat- terà in seguito) della CGUE e della Corte EDU, ma dall’altro comporta il ri- schio di dilungare eccessivamente la procedura di asilo, richiedendo la verifica preliminare dei criteri di cui al capo III, in contraddizione con lo scopo prin- cipale del meccanismo Dublino: la rapidità di identificazione dello Stato membro competente.

Se, invece, il trasferimento del richiedente asilo è attuabile, vanno seguite le disposizioni contenute nel capo VI del regolamento, relativo alle procedure di presa e ripresa in carico. L’articolo 29 in particolare dispone che il trasferi- mento avviene previa concertazione tra gli Stati interessati, entro un termine di sei mesi e nel rispetto dei diritti fondamentali e la dignità umana. Se il ter- mine di sei mesi non è rispettato, la competenza è automaticamente trasferita allo Stato richiedente, a meno che tale ritardo non sia giustificato dal fatto che l’interessato è detenuto o fuggito: in tal caso il termine può essere prorogato rispettivamente a un anno o a diciotto mesi. La disposizione in esame va letta alla luce degli articoli 8 e 9 del regolamento contenente le modalità di appli- cazione del regolamento Dublino III38. Il primo vincola lo Stato competente a permettere il trasferimento prima possibile, mentre il secondo prevede l’ob- bligo per lo Stato richiedente di informare senza indugi della decisione di rin- viare il trasferimento prima dello scadere del termine di sei mesi, riprendendo poi i contatti allo scopo di organizzare quanto prima il nuovo trasferimento.

Accanto al regolamento Dublino, due atti fondamentali per il funzionamento del SECA, e le cui disposizioni verranno dunque esaminate, sono la direttiva accoglienza39 e la direttiva qualifiche.

La prima prende le mosse da una proposta presentata dalla Commissione nel 2008 e modificata nel 2011 ed è un atto di rifusione della precedente direttiva 2003/9/CE del Consiglio, recante norme minime in merito all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Tra queste, rilevano l’obbligo per gli Stati di informare i richiedenti su diritti e doveri dell’accoglienza entro quindici giorni dalla domanda, come stabilito dall’articolo 5, il diritto di circolazione sul territorio dello Stato in cui è richiesta la protezione e la possibilità per gli Stati di stabilire un luogo di residenza per il richiedente per esigenze di inte- resse pubblico. L’articolo 7 della direttiva, rubricato «Residenza e libera cir- colazione», definisce difatti il diritto dei richiedenti di circolare liberamente nel territorio dello Stato ospitante, che può tuttavia stabilire un luogo di resi- denza per il richiedente. Questo ha l’obbligo di comunicare il proprio indirizzo di residenza alle autorità competenti, informando tempestivamente nel caso di una successiva variazione dello stesso.

38 Regolamento di esecuzione (UE) della Commissione del 30 gennaio 2014, 118/2014, che modifica il regolamento (CE) 1560/2003 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.

39 Direttiva (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, 2013/33, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.

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La nuova direttiva accoglienza, oltre ad estendere il suo campo di applicazione anche ai richiedenti protezione sussidiaria, ha lo scopo di ridurre le disparità tra Stati per quanto riguarda le condizioni di accoglienza.

Anche il secondo atto è frutto di rifusione della precedente direttiva 2004/83/CE del Consiglio, che precisava i requisiti per l’attribuzione della qualifica di rifugiato, creando inoltre lo status di beneficiario di protezione sussidiaria e delineando il complesso di diritti che gli Stati membri dovevano garantire ai beneficiari di entrambi i gli strumenti. La nuova versione della direttiva pone maggiore attenzione alla protezione dei minori e dell’unità fa- miliare ed ha come scopo l’avvicinamento dei diritti relativi ai due status.

Ad occuparsi del contenuto della protezione internazionale è il capo VII della direttiva. In particolare, è assicurato l’accesso all’assistenza sociale, sanitaria, all’alloggio e agli strumenti di integrazione. L’accesso all’assistenza socio- sanitaria, previsto dagli articoli 29 e 30, deve essere garantito secondo le stesse modalità previste per i cittadini dello Stato membro che riconosce la prote- zione internazionale. L’accesso all’alloggio, la cui garanzia è stabilita dall’ar- ticolo 32 della direttiva, è previsto invece a condizioni equivalenti a quelle previste per i cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti sui territori de- gli Stati membri. L’articolo 34, infine, stabilisce l’obbligo per gli Stati di ga- rantire ai beneficiari di protezione internazionale l’accesso a programmi di integrazione, o di creare i presupposti per tale accesso, che tengano conto delle particolari esigenze di rifugiati e beneficiari di protezione sussidiaria, con lo scopo di facilitarne l’integrazione.

Le disposizioni europee in materia di trattamento dello straniero e di asilo sono state recepite dalla Repubblica federale di Germania con il Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bun- desgebiet (legge in materia di soggiorno, occupazione e integrazione dei cit- tadini stranieri nel territorio federale; in prosieguo: l’«Aufenthaltsgesetz»), e con l’Asylgesetz (legge sull’asilo; in prosieguo «AsylG»), modificati dall’In- tegrationsgesetz (legge sull’integrazione) del 31 luglio 2016.

L’articolo 60a, paragrafo 2, dell’Aufenthaltsgesetz regola la sospensione dell’allontanamento dello straniero durante il periodo in cui questo non sia possibile per motivi sia di diritto che di fatto: per esigenze umanitarie, perso- nali o per importanti interessi pubblici, può essere concesso un “attestato di tolleranza” che sospenda il trasferimento.

L’AsylG stabilisce, all’articolo 29, che una domanda d’asilo è da ritenersi inammissibile nel caso in cui sia competente per l’esame della suddetta un altro Stato membro, in applicazione di disposizioni del diritto dell’Unione, segnatamente del regolamento Dublino III, o di un trattato internazionale.

Inoltre, stando all’articolo 31 del medesimo atto, nel caso in cui una domanda sia irricevibile e lo straniero vada di conseguenza allontanato verso un Paese terzo sicuro, o verso lo Stato membro competente per l’esecuzione della pro- cedura di asilo, l’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati ne dispone il trasferimento dopo averne accertato l’attuabilità. Infine, è statuito che un ri- corso avverso una decisione di trasferimento va presentato entro una settimana dalla notifica del provvedimento e ha effetto sospensivo sull’allontanamento.

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20 Capitolo 2

Conclusioni dell’Avvocato generale e osservazioni delle parti

Considerati i fatti di cui al procedimento principale e il contesto normativo in cui si è mosso il giudice dell’Unione nell’emanare la propria sentenza, l’esame degli argomenti della Corte richiede una preliminare analisi delle osservazioni formulate dalle parti intervenute durante il procedimento, a partire dalle con- clusioni presentate in data 18 luglio 2015 dall’Avvocato generale Melchior Wathelet. Il ruolo dell’Avvocato generale è definito dall’articolo 252, comma 2, TFUE, che gli assegna la facoltà di presentare conclusioni imparziali e mo- tivate sulle cause che richiedono il suo intervento, in modo da garantire il ri- spetto e la corretta applicazione del diritto dell’Unione.

Seguendo la struttura del ragionamento dell’Avvocato generale, in primo luogo si vedrà quale interpretazione sia stata fornita dell’articolo 29 del rego- lamento (UE) n. 604/2013, in relazione alle prime due questioni sottoposte alla Corte dal giudice tedesco. Successivamente, ci si focalizzerà su due punti cruciali per la soluzione della terza questione pregiudiziale: il carattere dell’ar- ticolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e i parametri su cui gli Stati debbano eventualmente basarsi nel valutare le condizioni di vita di richiedenti asilo e rifugiati in un altro Stato membro. Risultano di par- ticolare interesse le conclusioni a cui giunge l’Avvocato generale, in quanto diametralmente opposte rispetto alle posizioni sostenute dagli Stati membri intervenuti nel procedimento dinanzi alla Corte.

A presentare osservazioni sia orali che scritte, oltre al sig. Jawo e al governo tedesco, sono stati i governi italiano, belga, olandese, ungherese, britannico, il governo della Confederazione svizzera40 e la Commissione europea.

2.1. Conclusioni sulla corretta interpretazione dell’articolo 29 del regola- mento Dublino III in base al contesto di applicazione

Prima di procedere con la nostra analisi, è bene ricordare il contenuto delle prime due questioni su cui Avvocato generale e Corte di giustizia sono stati chiamati a pronunciarsi. La prima riguarda il significato della nozione di fuga e la possibilità per il richiedente protezione internazionale, al fine di opporsi al suo trasferimento, di invocare il decorso del termine di sei mesi definito dal

40 In base all’articolo 5 dell’Accordo tra la Comunità europea e la Confederazione Svizzera, del 26 ottobre 2004, relativo ai criteri e ai meccanismi che permettono di determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo introdotta in uno degli Stati membri o in Sviz- zera, la Confederazione Svizzera ha il diritto di presentare alla Corte di giustizia memorie o osservazioni scritte nel corso di un procedimento relativo all’interpretazione di una delle dispo- sizioni di cui all’articolo 1 del medesimo Accordo (ovvero i regolamenti Dublino ed Eurodac, nonché i rispettivi regolamenti relativi alle modalità di attuazione). Per quanto riguarda invece la possibilità per gli Stati membri e per le istituzioni europee di intervenire nelle controversie dinanzi alla Corte, questa è stabilita dall’articolo 40 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

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regolamento Dublino III e il fatto di non essere fuggito. La seconda ruota in- torno alla possibilità di prorogare il termine di trasferimento senza che vi sia una concertazione tra gli Stati interessati, essendo sufficiente che lo Stato ri- chiedente notifichi tale necessità allo Stato di destinazione entro la scadenza dei sei mesi previsti dal regolamento Dublino.

Nell’affrontare la prima questione, l’Avvocato generale fa innanzitutto riferi- mento al termine di sei mesi definito dall’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento41. Conformemente al dettato del primo paragrafo, il trasferimento del richiedente deve avvenire prima possibile e in ogni caso entro un massimo di sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di ripresa in carico. In caso contrario la responsabilità per l’esame della domanda di protezione in- ternazionale passa allo Stato richiedente.

L’Avvocato generale, a tal proposito, cita la precedente giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare la sentenza Shiri del 25 ottobre 201742. Tale causa aveva in oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dalla Corte amministrativa austriaca, nell’ambito dell’esame del ricorso di Majid Shiri, cittadino iraniano giunto in Austria attraverso la Bulgaria, av- verso la decisione riguardante la sua espulsione nello Stato di primo ingresso.

La Corte ha statuito, in tale circostanza, che la scadenza del termine di sei mesi comporta un passaggio di competenza in capo allo Stato membro richiedente, poiché il dettato dell’articolo 29 ha lo scopo di delimitare sia l’adozione che l’esecuzione della decisione di trasferimento43. La Corte di giustizia ha inoltre messo in evidenza, ai punti 39 e 40 della sentenza, come il rispetto dei termini temporali stabiliti dall’articolo 29 sia di fondamentale importanza per il fun- zionamento del sistema Dublino, in quanto detti termini concorrono a deter- minare lo Stato membro competente all’esame di una domanda di protezione internazionale, al pari dei criteri definiti dal capo III del regolamento.

È stata dunque definita una seconda, ma essenziale, funzione di siffatti limiti temporali: non soltanto fornire una scansione delle procedure di presa e ripresa in carico, al fine di garantirne l’effettività e la rapidità, ma anche costituire un ulteriore criterio di determinazione dello Stato membro in capo al quale ricade la responsabilità di esaminare una domanda d’asilo.

La lettura dell’articolo 29 non può, nel caso di cui si sta trattando, prescindere da quella dell’articolo 27 del medesimo regolamento. Detta disposizione sta- bilisce, al paragrafo 1, che

[i]l richiedente o altra persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), ha diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasfe- rimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale.

41 Il trasferimento avviene “non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta (…)” e che detto termine può essere prorogato

“fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi [l’interessato] sia fuggito (…)”.

42 Si veda: sentenza della Corte di giustizia del 25 ottobre 2016, causa 201/16, Majid Shiri.

43 Sentenza Shiri, punto 41.

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