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“INDAGINE SUL TERRITORIO BAGHERESE: PROTOCOLLI DI ESERCIZI E METODI DI TRATTAMENTO DELE ALGIE DEL RACHIDE LOMBALE”

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DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE

Direttore Professore Corrado Blandizzi

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE DELLE

ATTIVITÀ MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

Presidente: Professore Fabio Galetta

INDAGINE SUL TERRITORIO BAGHERESE:

PROTOCOLLI DI ESERCIZI E METODI DI

TRATTAMENTO DELLE ALGIE DEL

RACHIDE LOMBARE

CANDIDATA RELATORE

Fabiola Scimeca Prof.ssa Ida Nicolini

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO 1 : ANATOMIA STRUTTURALE ... 6

1.1 IL RACHIDE ... 6

1.2 IL DISCO INTERVERTEBRALE ... 9

1.3 I LEGAMENTI ... 12

1.4 I NERVI ... 14

1.5 Il DOLORE ... 16

CAPITOLO 2: POSTURA E BIOMECCANICA ... 18

2.1 LA POSTURA ... 18

2.2 ANALISI POSTURALE ... 21

2.3 ELEMENTI FUNZIONALI E BIOMECCANICA ... 24

2.4 IL MOVIMENTO ... 26

2.5 ALTERAZIONI ALLINEAMENTO POSTURALE ... 29

2.5.1 LA FLESSIONE DEL RACHIDE LOMBARE ... 31

2.5.2 L’IPERESTENSIONE DEL RACHIDE LOMBARE ... 35

CAPITOLO 3: ALGIE DEL RACHIDE LOMBARE ... 37

3.1 LA LOMBALGIA ... 37

3.1.1 LOMBALGIA ACUTA ... 41

3.1.2 LOMBALGIA CRONICA ... 41

3.1.3 LOMBO-SCIATALGIA ... 43

3.1.4 LOMBO-CRURALGIA ... 46

CAPITOLO 4: ATTIVITÀ FISICA ADATTATA ... 47

4.1 DEFINIZIONE DI A.F.A. ... 47

4.1.1 PROTOCOLLO DI LAVORO PER L’AFA DI TIPO A ... 50

4.1.2 STRUTTURAZIONE DELLA SEDUTA DI ESERCIZI ... 51

4.1.3 OBIETTIVI ... 51

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4.2 MAL DI SCHIENA E ATTIVITÀ FISICA ADATTATA ... 52

4.2.1 MODALITÀ DI INGRESSO E STRATEGIE DI CONTROLLO ... 54

4.2.2 FORMAZIONE DEL GRUPPO E ATTREZZI ... 54

4.2.3 INDICAZIONI OPERATIVE ... 55

CAPITOLO 5: ALTRI METODI PER IL MAL DI SCHIENA ... 58

5.1 PRINCIPI DELLE GINNASTICHE POSTURALI ... 58

5.2 LE DIVERSE SCUOLE DI PENSIERO ... 59

5.2.1 METODO MCKENZIE ... 59 5.2.2 METODO MÉZIÈRES ... 65 5.2.3 METODO SOUCHARD ... 69 5.2.4 BACK SCHOOL ... 73 5.2.5 PILATES ... 77 5.2.6 STRETCHING ... 81

5.2 GINNASTICA RESPIRATORIA INTRINSECA (GRI)... 82

5.3 EQUILIBRIO DEL BACINO ... 85

CAPITOLO 6: NORME DELLA REGIONE SICILIA E PIANI PROVINCIALI ... 87

CAPITOLO 7: INDAGINE SUI PROTOCOLLI AFA NEL TERRITORIO BAGHERESE ... 105

CONCLUSIONI ... 117

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INTRODUZIONE

Ogni anno sino al 45% delle persone adulte soffre di lombalgia ed una persona su venti si presenta in ospedale per una recidiva. Circa il 75-85% delle assenze dal lavoro è giustificato con il dolore lombare ricorrente.

Alcuni studi, effettuati dall’Unità di Ricerca Ergonomica della Postura di Milano, hanno valutato il mal di schiena nel lavoro e negli sportivi. Sono state osservate differenti mansioni lavorative in molte regioni d’Italia e tra le professioni maggiormente a rischio vi sono quelle in cui la colonna mantiene posizioni fisse per buona parte della giornata. I dati si riferiscono in percentuale alle sindromi dolorose della colonna, le cause sono dovute a più fattori e analizzate nell’arco di età dai 16 ai 55 anni, nei due sessi.

Stando ai dati epidemiologici, sono affetti da rachialgie principalmente le persone in età avanzata che vivono nei paesi industrializzati colpendo 8 persone su 10; qui, sedentarietà e costrizione in posture scomode e scorrette sui posti di lavoro, agevolano la comparsa delle sintomatologie.

Questa patologia rappresenta così non solo un problema di salute, ma anche economico, sia in termini di costi diretti che indiretti, al punto da costituire, per assenze per malattia, cure, limitazioni dell'idoneità lavorativa e invalidità, uno dei più importanti problemi sanitari nel campo del lavoro.

Negli ultimi anni la spesa del SSN per le algie del rachide è in aumento, ed in aumento è pure il numero delle persone che riferiscono di soffrire di “mal di schiena”.

L’ezio-patogenesi di questo tipo di sindromi è varia e le complicanze, che si possono sviluppare, possono peggiorare, e di molto, la qualità della vita dei soggetti affetti da tali sindromi.

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Nel mio lavoro prendo in esame i trattamenti delle sindromi algiche e principalmente i protocolli AFA della Regione Toscana. I protocolli si riferiscono non solo al trattamento ma anche alla prevenzione delle patologie. Essi hanno costituito le linee guida per molte regioni italiane e forniscono un modello terapeutico che fa migliorare in modo significativo la qualità di vita di molti soggetti.

Oltre al programma AFA della Regione Toscana, altre valide metodiche di trattamento, che analizzo, sono i principi della “Back School”, i principi dei metodi McKenzie, Mézières e Souchard, le basi del Pilates e dello Stretching; e con esse valuto l’efficacia dell’attività fisica nella terapia delle sindromi algiche e se essa può effettivamente essere d’aiuto al miglioramento della qualità della vita dei soggetti, non solo a breve ma anche a lungo termine.

Nella parte finale del mio lavoro indago sui trattamenti delle sindromi algiche nella Regione Sicilia, mia regione di provenienza. Pur indagando sono riuscita a trovare poco, i progetti attivati, pochi a dire il vero, sono chiusi in “cassetti” a cui è difficile accedere; ho rintracciato delle notizie di stampa che costituiscono la struttura della mia indagine.

Anche su Bagheria (PA) l’indagine ha cercato di mettere in evidenza: quali trattamenti vengono consigliati e come vengono effettuati, conoscenza da parte del personale sanitario dei protocolli di lavoro, opinioni di medici esperti sui protocolli AFA, ruolo ricoperto dall’attività fisica nella terapia con riscontro presso il personale di centri e palestre; ma anche qui non solo c’è poco di attuato e quel poco è tesorizzato in cassetti e non reso pubblico.

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CAPITOLO 1 :

ANATOMIA STRUTTURALE

1.1 IL RACHIDE

Fig.1

La colonna vertebrale, o rachide, è il principale sistema portante del corpo; ha funzione di sostegno e di protezione del sistema nervoso e garantisce al corpo, grazie alla sua particolare struttura, sia rigidità che elasticità e mobilità.

La colonna è sostenuta da formazioni legamentose e muscolo-tendinee che equilibrano i carichi di varia natura, di compressione assiale, di torsione, di taglio, di trazione e di flessione, a cui essa è sottoposta. Gli elementi capsulo legamentosi, insieme ai dischi intervertebrali, consentono di assorbire urti e compressioni distribuendo il carico su tutta la loro superficie.

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La struttura del rachide, nel passaggio dalla posizione quadrupede a quella bipede, ha subito delle modificazioni e tra queste la principale è la formazione delle curve fisiologiche.

Con la stazione eretta, infatti, si ha una riduzione della base di appoggio, la progressiva formazione delle curve fisiologiche quindi migliora la distribuzione del peso ed assicura l’equilibrio; esso con segmenti allineati, non richiede alcuno sforzo per essere mantenuto ed è regolato dal tono posturale e dalle sinergie dei muscoli agonisti ed antagonisti.

La colonna, osservata sul piano frontale, si presenta rettilinea; mentre sul piano sagittale presenta, dal basso verso l’alto, quattro curve:

 la curva sacrale con concavità anteriore;  la lordosi lombare con concavità posteriore;  la cifosi dorsale con concavità anteriore;  la lordosi cervicale con concavità posteriore.

Le curve fisiologiche, inoltre, servono per aumentare la resistenza della colonna alle sollecitazioni di compressione assiale.

Secondo Kapandji, infatti, “la resistenza di una colonna che presenta delle

curve è proporzionale al quadrato del numero delle curve più uno”.

( R=N²+1 )

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Di conseguenza, il rachide umano con curvature ha una resistenza almeno dieci volte maggiore di una colonna rettilinea.

La presenza della lordosi, ed in particolare della lordosi lombare, inoltre, permette agli arti superiori ed inferiori di eseguire movimenti di grande ampiezza.

L’unità funzionale del rachide è la “vertebra”. Nel formare la colonna, le vertebre sono disposte in sequenza verticale ed unite con tessuti molli e con dischi cartilaginei, interposti tra due vertebre adiacenti.

In totale il rachide consta di 33-34 corpi vertebrali posizionati:  7 nella Regione Cervicale;

 12 (collegate in senso antero-posteriore a dodici paia di coste) nella Regione

Dorsale;

 5 nella Regione Lombare:

 5 le vertebre sacrali e 4 o 5 le vertebre coccigee della Regione

Sacro-Coccigea.

Le vertebre mostrano la comune conformazione interna, tipica delle ossa brevi; presentano anteriormente una protuberanza (corpo o soma), dove una corticale di osso denso e compatto racchiude dell'osso spugnoso. Le corticali superiori ed inferiori del corpo vengono chiamate “piatti” e sono ricoperte da cartilagine ialina (articolare).

Il piatto vertebrale è più spesso al centro, dove si trova la cartilagine; la parte periferica presenta un rilievo detto “orletto marginale” che deriva da un nucleo di ossificazione epifisario che si salda al corpo della vertebra durante la pubertà.

La parte posteriore del corpo costituisce parzialmente la parte anteriore del forame di coniugazione che permette il passaggio dei nervi spinali. È sagomata ad arco in cui sono fissati, dall’avanti all’indietro, due peduncoli, destro e sinistro, a forma di lamine, che uniscono il corpo all’arco vertebrale; le parti

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superiori ed inferiori dei peduncoli, dette processi articolari superiori ed inferiori, si articolano con gli omonimi della vertebra soprastante e di quella sottostante.

1.2 IL DISCO INTERVERTEBRALE

Fig.3

L’articolazione fra due piatti di vertebre adiacenti è del tipo delle anfiartrosi. La presenza del disco intervertebrale permette alle vertebre di eseguire movimenti di inclinazione, rotazione e scivolamento.

Il disco intervertebrale è composto:

 da una parte centrale, detta NUCLEO POLPOSO, gelatinosa e costituita per l’88% da acqua, caratteristica che rende il nucleo particolarmente idrofilo;  e da una parte periferica, ANELLO FIBROSO, formata da successioni di strati

fibrosi concentrici.

Il nucleo all’interno dell'anello fibroso è rinchiuso nella struttura inestensibile dei due piatti vertebrali (superiore e sottostante) e dell’anello fibroso (intorno). Il nucleo in tale alloggiamento è sotto pressione.

La composizione chimica e strutturale del disco fa sì che il nucleo sia mantenuto in costante pressione mentre la rete collagene è sotto costante tensione; tutto ciò fa sì che i dischi non vengano compressi sotto carico. La pressione all’interno del nucleo non si annulla anche quando la colonna è scarica,

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perché la compressione è determinata dalla idrofilia che lo fa gonfiare nel suo alloggio inestensibile. Questa condizione è detta STATO DI PRECOMPRESSIONE DEL NUCLEO e il nucleo agisce come un distributore di pressione in senso orizzontale sull’anello; il nucleo sopporta circa il 75% del carico mentre l’anello il 25% (Kapandji). Il meccanismo si riduce negli effetti, o perde efficacia, se la pressione intranucleare diminuisce o per esposizione prolungata al carico, che causa fuoriuscita di acqua dal nucleo, o per altri meccanismi quali la riduzione dei proteoglicani o il cedimento delle fibre dell’anulus.

Il ruolo biomeccanico di questa struttura è dunque fondamentale. Gli sforzi esercitati sul disco intervertebrale sono notevoli e aumentano con l’avvicinarsi al sacro. Questo è dato dal fatto che, anche fisiologicamente, il peso del corpo da sopportare aumenta con l’altezza della parte sovrastante. (A livello del disco L5-S1 il rachide sopporta i due terzi del peso corporeo).

Il meccanismo pressorio, poi, garantisce l’assunzione di sostanze nutritive da parte dei dischi intervertebrali e necessita, per il suo corretto funzionamento, di PERIODI DI CARICO ALTERNATI A PERIODI DI SCARICO, che permettano al nucleo di idratarsi e di disidratarsi. Il nucleo riposa sulla parte centrale del piatto vertebrale, cioè sulla parte cartilaginea perforata da numerosi pori che fanno comunicare la loggetta del nucleo con il tessuto spongioso sottostante il piatto vertebrale. Se si esercita una pressione sull’asse del rachide, come accade ad esempio nella STAZIONE ERETTA, il nucleo si disidrata, perché l’acqua contenuta nella sostanza gelatinosa fuoriesce attraverso i pori del piatto vertebrale, migrando verso il centro dei corpi vertebrali.

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Ci sono casi in cui la posizione statica viene mantenuta per tutta la giornata, o comunque per un tempo abbastanza prolungato, e ciò fa sì che la sera il nucleo sia molto meno idratato del mattino cosicché, il disco, avrà uno spessore minore.

Al contrario nella POSIZIONE DI DECUBITO SUPINO i corpi vertebrali non subiscono più la pressione assiale data dal peso del corpo, ma solo quella derivante dal tono muscolare e, di conseguenza, l’idrofilia del nucleo attira acqua a sé, che ripassa dai corpi vertebrali al nucleo stesso. Il disco, dunque, ritroverà il suo spessore iniziale.

Fig. 5

Con l’avanzare dell’età il nucleo va incontro ad una riduzione della sua idrofilia e questo comporta la riduzione sia della pressione interna del disco che dello stato di precompressione. Il tutto causa la riduzione della mobilità del rachide.

Le ARTICOLAZIONI dei tratti lombare e lombosacrale sono intervertebrali e interapofisarie:

 le articolazioni intervertebrali sono articolazioni non sinoviali (sinartrosi), sono cartilaginee del tipo delle sinfisi e si instaurano fra la faccia superiore di una vertebra coperta di cartilagine e il disco intervertebrale.

 le articolazioni interapofisarie sono articolazioni sinoviali (diartrosi), del tipo delle artrodie e si effettuano fra faccette articolari piane.

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I movimenti tra le vertebre sono sempre di scorrimento, il disco agevola la mobilità vertebrale ma le articolazioni interapofisarie condizionano la direzione dello scivolamento.

Le superfici articolari interapofisarie sono rivestite da cartilagine e hanno una capsula articolare densa ed elastica che le ricopre come una cuffia. Queste articolazioni hanno sia una membrana sinoviale, che delle formazioni meniscoidi estremamente fini, di tessuto adiposo semiliquido, con potere ammortizzante in modo da proteggere i bordi sottili delle faccette articolari. Le articolazioni interapofisarie sono innervate dalla branca posteriore del nervo rachideo.

La cartilagine non è innervata.

La capsula invece è ricca di terminazioni libere di fibre mieliniche di piccolo diametro e di terminazioni non incapsulate di diametro medio di tipo organo del Golgi o corpuscoli del Ruffini, ma troviamo pure terminazioni incapsulate come i corpuscoli di Pacini.

1.3 I LEGAMENTI

Il compito dei legamenti è quello di limitare la mobilità del rachide sviluppando tensione passiva in grado di opporsi, insieme all’azione muscolare, ai momenti esterni prodotti da forze come la forza di gravità o l’inerzia.

I legamenti, come altri tessuti biologici, quando sono sottoposti a carichi di trazione manifestano un comportamento meccanico di tipo visco-elastico. Se lo stiramento è rapido, determinato ad esempio da un movimento veloce, si comportano come molle sviluppando una tensione direttamente proporzionale all’allungamento subìto. Se lo stiramento è lento si verificano fenomeni, legati alla viscosità, di stress relaxation, in cui si viene a perdere la proporzionalità fra allungamento e tensione sviluppata.

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Il sistema delle connessioni legamentose della colonna lombare è costituito da:

 legamento longitudinale anteriore (LLA) è un nastro che si estende dalla faccia anteriore del rachide e del disco intervertebrale all’apofisi basilare occipitale al sacro; è formato da fibre lunghe che vanno da un capo all’altro del legamento e da fibre corte arciformi, tese da una vertebra all’altra, aderisce maggiormente ai corpi vertebrali e meno saldamente ai dischi; tale legamento limita l’estensione della colonna e rinforza la porzione anteriore dell’anello fibroso;

 legamento longitudinale posteriore (LLP) che si estende posteriormente dall’apofisi basilare fino al canale sacrale; la faccia anteriore del legamento aderisce a corpi e dischi, mentre quella posteriore entra in contatto con la dura madre; tale legamento limita la flessione della colonna e rinforza la porzione posteriore dell’anello fibroso;

 legamenti gialli che sono fasci resistenti che si dipartono dalla lamina vertebrale sottostante e terminano sulla faccia interna della lamina soprastante; la loro faccia anteriore entra in contatto con la dura madre, quella posteriore con le lamine e quindi con i muscoli spinali; si uniscono con il controlaterale e chiudono posteriormente il canale vertebrale; ricoprono inoltre la capsula delle articolazioni interapofisarie; sono i legamenti con la maggiore percentuale di elastina di tutto il corpo; il bordo anteriore ed esterno dei legamenti costituisce il contorno posteriore del forame di coniugazione; tali legamenti limitano la flessione della colonna soprattutto

nella regione lombare;

 legamento interspinoso che va dal bordo superiore di un processo spinoso al bordo inferiore del soprastante per tutta la lunghezza del processo; tali legamenti limitano la flessione della colonna;

 legamento sopraspinoso che rappresenta la prosecuzione del precedente legamento; è un cordone fibroso che unisce i vari processi spinosi; a livello cervicale si distingue bene e prende il nome di “LEGAMENTO NUCALE” a

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livello lombare, invece, è scarsamente distinguibile a causa delle inserzioni dei muscoli lombari del dorso; tali legamenti limitano la flessione della

colonna;

 legamenti intertrasversari, sono particolarmente sviluppati a livello lombare, sono tesi fra i tubercoli accessori dei processi trasversi; tali legamenti

limitano la flessione laterale della colonna e formano una membrana che

separa la muscolatura anteriore dalla posteriore del rachide;

 legamenti ileo-lombari, sono due legamenti, uno superiore ed uno inferiore e sono gli unici legamenti estrinseci della colonna lombare; originano dai processi costiformi delle ultime vertebre lombari fino alla cresta iliaca; sono legamenti molto potenti e limitano i movimenti della cerniera lombosacrale.

1.4 I NERVI

I nervi spinali sono costituiti:

 da una radice anteriore (motoria), con fibre afferenti motorie che provengono sia dalle corna anteriori del midollo spinale, che dalle fibre simpatiche dei segmenti lombari che innervano l’insieme dei vasi, delle ghiandole e dei muscoli striati di questa zona,

 e da una radice posteriore sensitiva che raccoglie fibre afferenti (sensitive), il cui corpo cellulare si trova a livello dei gangli paravertebrali; i prolungamenti periferici (dendriti) di tali cellule gangliari raccolgono informazioni sensitive, viscerali e somatiche, ed i loro prolungamenti centrali (assoni) li trasportano al SNC grazie prima all’intermediazione delle radici posteriori e poi delle vie ascendenti del midollo.

Le radici anteriori e posteriori di ciascun lato si uniscono nel forame di coniugazione e perforano il sacco durale a livello del colletto radicolare che rappresenta un punto di passaggio fisso. Una volta uscito da tale forame il nervo si biforca in un ramo anteriore misto, che andrà ad unirsi ad altri formando il

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plesso lombo-sacrale, ed un ramo posteriore, anch'esso misto, che riceve sensibilità, superficiale e profonda, dal dorso e dà motilità alla muscolatura intrinseca dello stesso tratto.

il NERVO ISCHIATICO o SCIATICO (L4-L5-S1-S2) è l’unico ramo terminale del TRONCO LOMBO-SACRALE; è il nervo più grosso e lungo del corpo, fuoriesce dal bacino dal grande forame ischiatico davanti al muscolo piriforme, decorre nel punto intermedio tra tuberosità ischiatica e grande trocantere ed è palpabile in decubito laterale con anca flessa; il nervo si divide più volte lungo l’arto inferiore innervandolo quasi completamente.

La componente sensitiva innerva la cute posteriore e anterolaterale della gamba e quasi tutta la cute del piede (ad eccezione della parte dorso-mediale). La componente motoria innerva i muscoli della loggia posteriore della coscia, parte del grande adduttore e tutti i muscoli della gamba e del piede; una sua paralisi comporta deficit motori dei muscoli posteriori della coscia e di tutti quelli della gamba; tra le cause di lesione vi sono le fratture dell’acetabolo con lussazione posteriore della testa del femore.

La compressione delle radici del nervo Ischiatico, è spesso legata a patologie che interessano il rachide lombare e dà origine al fenomeno infiammatorio che prende il nome di “sciatalgia”.

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Disfunzioni gravi soprattutto di origine meccanica a carico dei rami anteriori dei nervi spinali, possono portare anche a sintomatologie tipicamente radicolari e definite da segni neurologici anche evidenti.

1.5 Il DOLORE

Le strutture nocicettive in area lombare sono abbondantemente distribuite.

Le troviamo:

 nella cute e nel tessuto sottocutaneo,

 nelle capsule fibrose delle articolazioni apofisarie sinoviali e nelle articolazioni sacro-iliache,

 nei legamenti longitudinali (quello posteriore è il più sviluppato), gialli, interspinoso e sacroiliaci,

 nel periostio che ricopre gli archi vertebrali,

 nella fascia, nelle aponeurosi e tendini in questa inseriti,

 nel terzo esterno del disco intervertebrale, strato fibro-adiposo che connette posteriormente l’anulus al LLP,

 nella dura madre spinale, incluse le maniche durali attorno alle radici.

L’abbondanza di strutture nocicettive in area lombare rende difficoltoso individuare la struttura originaria del dolore.

In circostanze normali il sistema nocicettivo si direbbe inattivo. I nocicettori vengono attivati nel momento in cui le loro fibre mieliniche vengono depolarizzate; in quel momento aumentano la loro attività afferente e questa viene percepita dal SNC come un problema a cui risponde generando dolore.

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La condizione di depolarizzazione può verificarsi o a seguito dell’applicazione di forze meccaniche capaci di sollecitare o deformare i tessuti che contengono i nocicettori, o per la presenza nei tessuti circostanti di fluidi ad elevata concentrazione di citochine ed altri prodotti dell’infiammazione. La presenza di materiale infiammatorio direttamente non eccita il sistema recettoriale, l’eccitazione sarà, invece, innescata dalla compressione dei tessuti per il gonfiore dovuto alla formazione dell’essudato.

Il disco intervertebrale, pur essendo una struttura non innervata nei suoi 2/3 interni, è comunemente riconosciuto come coinvolto nella genesi dei dolori lombari e lombo-ischiatici. Il disco infatti, risulta innervato nel suo terzo esterno dal nervo spino vertebrale, si trova a stretto contatto con il LLP, riccamente fornito di terminazioni libere nocicettive, con il quale trae rapporti di continuità attraverso un tessuto fibro-adiposo che lo connette anche alla manica durale delle radici nervose nel forame di coniugazione; si comprende, quindi, come una qualsiasi alterazione strutturale o biomeccanica del disco possa generare dolore puntiforme, a fascia o irradiato.

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CAPITOLO 2:

POSTURA E BIOMECCANICA

2.1 LA POSTURA

La postura è l’insieme di tutti gli adattamenti che il nostro corpo fa, in un dato periodo di tempo, per far fronte ad ostacoli ed a condizionamenti fisici; essa determina la forma che assume il corpo per la disposizione nello spazio dei singoli segmenti corporei e per i rapporti che si stabiliscono tra questi.

In base alle diverse situazioni, statiche o dinamiche, che un soggetto deve affrontare, gli adattamenti delineano differenti posizioni del corpo.

Secondo Philippe Souchard, fondatore del metodo che porta il suo nome, è possibile distinguere in maniera netta il comportamento e il ruolo dei muscoli

della statica e dei muscoli della dinamica.

Stare in piedi o seduti sono posizioni che il nostro corpo deve assumere continuamente e, a volte, per molte ore consecutive. I muscoli interessati devono essere in grado di lavorare senza pause e per periodi di tempo molto lunghi. Il nostro corpo ha costruito delle strutture muscolari particolari, atte a mantenere una contrazione costante nel tempo. Tuttavia, la sollecitazione permanente di questi muscoli, secondo Souchard, porterebbe ad un avvicinamento delle sue estremità, determinando accorciamento e rigidità. I muscoli della statica più noti sono i muscoli antigravitari, come il TRICIPITE SURALE, IL RETTO ANTERIORE, GLI ISCHIO-CRURALI, I PELVI-TROCANTERICI, che formano la CATENA MUSCOLARE STATICA POSTERIORE.

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Sono tonici anche quei muscoli che hanno il ruolo di “sospendere” come i muscoli SCALENI, TRAPEZI SUPERIORI, INTERCOSTALI (che sospendono il cingolo scapolare e il torace), il SISTEMA MUSCOLO-FIBROSO MEDIASTINICO (che sospende il centro frenico) e che formano la CATENA MUSCOLARE ANTERIORE.

Secondo Mézières, una catena cinetica è un insieme di muscoli poliarticolari che si ricoprono e si influenzano come le tegole di un tetto. Tutti gli elementi di una catena cinetica sono solidali e cooperano insieme.

La muscolatura dinamica invece è quella deputata all’esecuzione dei movimenti e non conosce il problema dell’accorciamento.

Questi due gruppi di muscoli per assolvere la loro funzione devono anche sviluppare capacità diverse l’uno dall’altro: quelli posturali devono essere soprattutto resistenti, mentre quelli dinamici devono essere forti. Da questo concetto, secondo De Col, deriva che: l’allenamento della muscolatura che regola la postura deve prevedere programmi di ginnastica diversi rispetto a quelli tradizionali che sviluppano la muscolatura dinamica.

I muscoli della dinamica dovranno sempre essere esercitati in CONTRAZIONE CONCENTRICA per essere rinforzati, mentre quelli della statica dovranno sempre essere esercitati in ALLUNGAMENTO.

La postura mira al mantenimento di corretti equilibri statici e dinamici.

La postura standard, in stazione eretta e sul piano sagittale, si schematizza nella linea verticale, o di gravità, che passa per il baricentro del corpo e per il centro del piano di appoggio.

Essa è rappresentativa delle reazioni, alla forza di gravità ed alle accelerazioni, dei sistemi neuromuscolare e scheletrico per l’espletamento delle funzioni motorie.

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 reagire nella forma energetica più economica possibile (minimo consumo energetico e minima attività muscolare tonico-fasica);

 reagire assicurando la massima stabilità (massimo equilibrio dinamico);  reagire garantendo il massimo confort (minimo stress sulle strutture

anatomiche osteo-legamentose e fasciali).

Per mantenere l’equilibrio nella posizione ortostatica, il sistema di controllo centrale elabora le informazioni afferenti da:

 propriocettori muscolari (che rilevano le variazioni di lunghezza/tensione muscolare)

 recettori vestibolari (provenienti dall’orecchio interno e che rilevano le inclinazioni corporee sulla base del movimento della testa);

 afferenze visive (che trasmettono informazioni di movimento dal campo visivo).

Queste informazioni vengono tradotte, modulate ed integrate con le risposte motorie efferenti, e si ritraducono in nuovo adattamento, consono alla situazione ambientale creata, di equilibrio statico o dinamico.

Se il sistema centrale, o il sistema afferente, o il sistema efferente è alterato, il sistema di controllo, al fine di continuare a svolgere il compito motorio con un livello di affidabilità accettabile, è costretto a gestire in modo diverso le informazioni fornite dagli ingressi sensoriali.

Secondo Tribastone, la concezione di postura deriva dalla realtà anatomica e funzionale e considera la postura come la risultante di tre aspetti fondamentali: quello anatomico-meccanico, quello neuromuscolare- neurofisiologico e quello psicomotorio.

Il corpo umano è un capolavoro di ingranaggi perfettamente incastrati e

sinergici tra loro che permettono il movimento di ogni sua parte col minor attrito

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Quando uno di questi ingranaggi si danneggia vengono messi in atto meccanismi di compenso che vanno ad intaccare il buon funzionamento generale.

Le correlazioni tra lo stato di salute psico-fisico e la postura assunta sono molteplici.

È accertato che una postura corretta è un fattore importante per:  il miglioramento e la prevenzione di tutti i dolori fisici acuti e cronici;

 il recupero e la prevenzione di problematiche, o eventi, traumatici muscolari, ossei e/o articolari;

 la mobilità, l'agilità e la resistenza fisica della persona durante la giornata;  l’incremento del livello prestazionale dello sportivo;

 la valorizzazione delle relazioni interpersonali.

La buona postura permette un buon equilibrio muscolare e scheletrico e protegge le strutture portanti del corpo da lesioni e da deformità.

Con una buona postura i muscoli lavorano in modo efficace e gli organi toracici e addominali assumono la posizione ottimale; il contrario accade con una

postura scorretta con la quale le interazioni tra le parti del corpo sono alterate e

causano aumenti di tensione.

2.2 ANALISI POSTURALE

L'analisi posturale permette di valutare visivamente il soggetto, al fine di stabilire la sua conformazione corporea rispetto al modello ideale.

La conformazione va verificata sui tre piani:

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 il piano frontale (i segmenti del corpo saranno addotti, abdotti, inclinati in convessità o in concavità, sollevati o abbassati);

 il piano orizzontale o trasversale (i segmenti del corpo ruotano).

Fig. 7

Nell'analisi posturale si esamina il tono muscolare osservando la posizione reciproca dei componenti scheletrici, si apprezza la resistenza che i muscoli oppongono allo stiramento, si valutano le anomalie nell’attività motoria e quindi si stimano le reazioni toniche in termini di lunghezza, tempo e forza.

L'esame del soggetto procede, prima, valutando in visione frontale:  l'atteggiamento della testa;

 l'allineamento delle spalle;

 la posizione delle scapole (sporgenti, alla stessa altezza, o interiorizzate)  l'anatomia del torace.

In queste osservazioni, varie linee devono presentarsi orizzontali e parallele:  linea bi-pupillare;  linea bi-astragalica;  linea bi-mammillare;  linea bi-stiloidea;  linea bi-scapolare;  cintura pelvica

 posizione delle S.I.A.S (spine iliache antero superiori);

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Fig. 8 piano frontale

Segue, in visione laterale o sagittale, la valutazione:  dell'allineamento del capo e del collo;

 della presenza di gibbi;

 della posizione del bacino: se anteroverso o retroverso;

Per verificare se sono presenti squilibri laterali, con il filo a piombo, si controlla l'asse occipito-sacrale.

Nell’assetto corretto, la colonna deve essere tangente al filo a piombo nei punti più sporgenti, nel dorso a livello delle vertebre T6/T7, e a livello del sacro all’altezza circa della vertebra S2; la colonna, inoltre, si deve discostare di 6-8 cm dal filo a piombo a livello della vertebra C2, e di circa 4-6 cm a livello della vertebra L3.

Non verificandosi dette condizioni si avrà una colonna vertebrale patologica, le cui conseguenze saranno: dolore e problematiche posturali nel corso delle attività motoria.

Il rachide può essere:

 a piombo, se il filo cade in mezzo alla linea interglutea;

 a strapiombo se cade a destra o a sinistra della piega interglutea; in tal caso si misura con un righello la distanza dalla linea centrale.

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Fig. 9 piano sagittale

Infine in visione orizzontale si osserva se vi è avanzamento o arretramento di un gluteo o una spalla rispetto all’altra.

Fig. 10 piano orizzontale

2.3 ELEMENTI FUNZIONALI E BIOMECCANICA

I Parametri Sagittali del rachide ci permettono di individuare, tramite indagine radiologica, informazioni molto utili sulla lordosi lombare, sulla cifosi toracica, sull’antero o retroversione del bacino. L’analisi attenta di questi parametri ci permette di individuare la presenza di eventuali alterazioni e trarre indicazioni sulla particolare biomeccanica di ogni singolo soggetto.

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25 Fig. 11

In figura, osserviamo dal basso verso l’alto:

 in 2 l’angolo della lordosi lombare che si crea fra la base sacrale e il piatto superiore di L1; il cui valore standard è approssimativamente di 40°;

 in 3 l’angolo che determina la curva della cifosi toracica, formato dalla congiunzione della retta perpendicolare al piatto inferiore di T12 e della perpendicolare al piatto superiore di T1; il valore standard è di 35°;

 in fine la curva 4 della lordosi cervicale, con valore standard di circa 35°. L’instaurarsi di tali curve è determinato da fattori propri della colonna (fattori osteoarticolari, legamentosi e muscolari nonché forma cuneiforme dei dischi lombari e cervicali), ed è interconnesso ai parametri del bacino. Alterazioni lievi e moderate di questi parametri sono modificabili attraverso interventi fisioterapici e programmi di esercizi adeguati.

Sul rachide lombare, altri indici importanti da tener in considerazione sono:

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Fig. 12

 la BASE SACRALE che è l’angolo formato dalla base del sacro e l’orizzonte, con parametro fisiologico di 37°; quest'angolo aumenta in antiversione fino a 75° e diminuisce in retroversione ed estensione fino a 10°, varia inoltre durante i movimenti di flesso-estensione del rachide; il valore dell’angolo della base sacrale influenza fortemente il grado di lordosi lombare e, di riflesso, il grado di cifosi dorsale;

 l’INCIDENZA PELVICA che è l’angolo formato dalla retta perpendicolare per il centro della base sacrale e la retta che unisce il centro dell’asse coxo-femorale e lo stesso centro della base sacrale; questo angolo, con valore standard 53°, è un parametro fisso, non varia sensibilmente né con l’età né con i processi degenerativi.

2.4 IL MOVIMENTO

Nelle attività di vita quotidiana la colonna viene sottoposta: a forze di compressive, assorbite soprattutto dalla posizione anteriore della colonna, a forze di torsione, che agiscono sulle articolazioni posteriori, a forze di tensione e a forze di taglio, soprattutto per movimenti di flesso-estensione.

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La mobilità della colonna è data dalla somma delle forze vigenti sulle singole vertebre e sulle articolazioni presenti tra esse.

Grazie ala sua struttura, la colonna, presenta 3 gradi di libertà:

1. la FLESSO-ESTENSIONE, è un movimento che avviene sul piano sagittale; la FLESSIONE ha come limite la tensione del LLP, ed è in totale di 140°, di cui 40° a carico del rachide cervicale, 40° a carico del tratto toracico e 60° a carico del tratto lombare e compiuto al 70% dall’unità funzionale L5-S1, al 20% dall’unità L4-L5 e il restante a carico dalle altre unità; l’ESTENSIONE, il cui limite è determinato dalla messa in tensione del LLA e dal contatto fra le apofisi spinose del tratto lombare, è di 90° in totale, di cui 45° di estensione cervicale, 15° di estensione dorsale e 30° di estensione del tratto lombare (I.A. Kapandji 1999);

2. l'INCLINAZIONE LATERALE, è un movimento sul piano frontale; questo movimento non è mai puro in quanto interviene, a livello delle singole unità funzionali, una certa componente rotativa volta a limitare l’escursione laterale del rachide; i limiti alla inclinazione laterale sono forniti, quindi, dalla rotazione fisiologica dei corpi vertebrali; la rotazione è dovuta alla tensione dei legamenti, alla tensione delle capsule articolari posteriori-controlaterali al movimento, alla tensione del legamento lombosacrale, all'ingombro del materiale discale e alla tensione dell’anulus fibroso controlaterale al movimento (V. Pirola 1998); il valore totale è di 80°, di cui 40° cervicali, 15° dorsali, 25° lombari;

3. la ROTAZIONE, è il movimento che si realizza attorno all’asse longitudinale; a seconda che si considerino i vari tratti rachidei, il centro di rotazione si localizza in punti diversi della vertebra: o nel corpo vertebrale, o nel massiccio apofisario posteriore o ancora nel forame vertebrale; la rotazione è il movimento rotatorio di un segmento vertebrale rispetto al segmento sottostante; tale movimento è sempre accoppiato ad inclinazione laterale (coupling); la rotazione complessiva è di 90°, di cui 50° a carico del distretto cervicale, 35° a carico del toracico e soli 5° a carico del lombare perché

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limitato nel movimento dall’affrontarsi delle articolazioni zigoapofisarie; l’effetto della rotazione è quello di aumentare considerevolmente la pressione intradiscale, e ciò è un aspetto importante nella valutazione funzionale della colonna e nella successiva terapia meccanica.

I movimenti del rachide sono consentiti dai movimenti fisiologici del nucleo polposo all’interno del disco, come nel caso di una flessione del rachide, in cui il nucleo viene spinto all’indietro esercitando una sollecitazione tangenziale sulla parete posteriore dell’anulus (la parte debole).

La particolare conformazione del disco e le sue particolari proprietà, producono una dinamica di deformazione sotto carico che può sollecitare meccanicamente le strutture ad esso legate, le sollecitazioni però non dovrebbero superare certi limiti.

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2.5 ALTERAZIONI ALLINEAMENTO POSTURALE

La maggior parte dei disturbi avvertiti a carico della colona vertebrale, deriva da posizioni scorrette fatte assumere al corpo le quali portano ad applicare forze meccaniche eccessive e dannose sulle varie strutture rachidee. Ogni postura che il corpo assume produce una ben determinata pressione sulla colonna vertebrale ed in particolar modo sui dischi intervertebrali.

Il dolore che un soggetto può avvertire, è uno dei segnali d’allarme che il corpo usa per comunicare che si stanno applicando sollecitazioni anomale. Se si dà ascolto a questi segnali e si eliminano le posizioni scorrette, il tessuto deformato ritornerà alle condizioni fisiologiche e il dolore scomparirà. Ma se manteniamo o, peggio, aumentiamo la deformazione, il tessuto si infiammerà e col tempo si danneggerà, determinando la cronicizzazione del sintomo.

Le conseguenze possibili delle scorrette posture sono:  degenerazione cartilaginea con successiva comparsa di artrosi;

 danneggiamento del disco intervertebrale con conseguente protrusione o ernia discale.

Le sollecitazioni stressanti per il rachide possono essere sia di origine statica che dinamica. Tra le sollecitazioni statiche abbiamo tutte quelle indotte da abitudini quotidiane come vestirsi, lavarsi, spostarsi in auto, guardare la televisione; tuttavia sollecitazioni stressanti si manifestano pure quando delle posizioni corrette vengono mantenute per un tempo prolungato. Nelle posture fisse per molto tempo, il meccanismo di reidratazione del disco viene impedito e di conseguenza il suo naturale metabolismo ne risente. Le fondamentali funzioni di ammortizzazione vengono a mancare e si può instaurare un processo degenerativo con conseguenze dannose per i dischi e le cartilagini articolari delle vertebre. Anche lo stress di tipo dinamico, cioè l’applicazione di forze anomale

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che deformano i tessuti vertebrali durante il movimento, può essere all’origine del dolore vertebrale.

Quando si ha un buon controllo posturale che consente di mantenere un corretto rapporto tra gli arti e la conservazione delle curve fisiologiche del rachide, ogni attività sarà benefica o comunque non apporterà danni.

È possibile correggere le conseguenze di sollecitazioni stressanti per il rachide con semplici esercizi; si evitano così peggioramenti e si impediscono ripercussioni su altre strutture muscolo-scheletriche.

Kendall ha definito quali sono gli allineamenti ideali del corpo e dei suoi segmenti rispetto alla visuale frontale, posteriore e laterale.

Rispetto a tali allineamenti ideali, però, ci possono essere delle variazioni negli allineamenti dei segmenti corporei, in tal caso ci sarà l’intervento di muscoli che assumeranno una funzione di bilanciamento. Queste variazioni, più o meno marcate, determineranno la postura tipica dl un soggetto.

Non esiste la postura perfetta, ma esiste la migliore risposta che il nostro corpo può dare in una determinata situazione. Tuttavia, questa risposta, non sempre garantisce il benessere del soggetto. Infatti la casistica evidenzia:

 il caso di postura scorretta senza sintomatologia algica;

 il caso di difetto di lieve entità che dà sintomi di stress muscolare o meccanico;

 il caso in cui la postura può apparire assai scorretta eppure il soggetto gode di buona flessibilità;

 il caso in cui la postura può sembrare buona, ma è presente una rigidità o tensione muscolare che può limitare la mobilità a tal punto da impedire i rapidi cambiamenti di posizione.

La differenza tra le varie situazioni è determinata dalla persistenza delle alterazioni posturali.

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31 2.5.1 LA FLESSIONE DEL RACHIDE LOMBARE

Per motivi di studio, per lavoro e/o errati stili di vita, oggi, l’uomo passa ore e ore chino su libri, seduto davanti ad un Personal Computer, davanti al televisore, e non sempre, la sua muscolatura profonda (muscoli posturali) è ben allenata ed in grado di sorreggere e mantenere la schiena salda e dritta per tutto questo lungo periodo di tempo. È inevitabile che la schiena si fletta sempre più e che si alteri il normale equilibrio muscolo-scheletrico.

“Quando la colonna lombare si flette perde la fisiologica lordosi, o addirittura assume un atteggiamento di cifosi. Si ha così una distribuzione della pressione cattiva che aumenta sul pilastro anteriore, sul corpo vertebrale e sui dischi intervertebrali.” (Toso B.; Back School: una straordinaria tecnica per vincere il mal di schiena, Red edizioni, Milano, 2008 p 14.). Lo spazio tra i corpi si riduce anteriormente e aumenta posteriormente, e il nucleo polposo viene spinto all’indietro mettendo in tensione le fibre posteriori dell’anello fibroso. In questa posizione, di alterato equilibrio, il rachide lombare è più instabile, meno resistente, meno capace di sopportare pressioni.

AncheRobin McKenzie (Spine 1998) sostiene che “in normali situazioni di carico, le sollecitazioni assiali e tangenziali aumentino al punto da fare protrudere l’anuls nella stessa direzione in cui viene spinto il nucleo. Ad una flessione del rachide, specie se mantenuta o ripetuta, corrisponderà una protrusione posteriore del materiale discale. Le sollecitazioni sulle pareti, poi, possono essere aumentate da movimenti di flessione o inclinazione, da particolari posture o attività, che aumentino la pressione intradiscale e generano dolore”.

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Fin. 14

I dischi intervertebrali hanno una funzione chiave nella biomeccanica del rachide. Il nucleo all’interno del disco, in funzione del carico, si allontana dal punto in cui vengono applicate le forze compressive, verso la zona dove le limitanti somatiche dei corpi vertebrali si distanziano maggiormente e di conseguenza aumenta la pressione sulla zona dell’anulus che costituisce la parete discale, ciò porta la parte esterna dell’anulus a deformarsi, protrudendosi esternamente.

Il disco accompagna inoltre lo spostamento reciproco dei corpi vertebrali (che scivolano gli uni sugli altri) permettendo, così, i movimenti di flesso-estensione, inclinazione e rotazione-torsione.

Nel tratto lombare il centro del nucleo si trova generalmente posteriormente al centro geometrico vertebrale e, secondo McKenzie, la frequenza di attitudini posturali flessorie potrebbe portare, il nucleo, a migrare e ad occupare una posizione ancora più posteriore fra i corpi vertebrali là dove le pareti dell’anulus sono più deboli a causa dell’orientamento delle fibre (questo spiegherebbe l’avvicinamento delle limitanti somatiche anteriori riscontrabili radiologicamente nelle prime fasi delle discopatie).

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Fig. 15

Nel soggetto sano, finché il disco intervertebrale è intatto, il nucleo discale, dopo essersi spostato all’indietro nel movimento di flessione, si riposiziona in avanti nel tornare nella posizione eretta. Ma quando le fibre dell’anello fibroso sono degenerate, le continue o brusche sollecitazioni che spingono indietro il nucleo discale possono impedire il suo riposizionamento in avanti, determinando uno spostamento persistente che può essere solo una protrusione o una vera e propria ernia. Il movimento di flessione è ancor più potenzialmente dannoso quando viene eseguito per sostenere uno sforzo, come succede quando si solleva un peso. Il rachide lombare è instabile, meno resistente, incapace di sopportare pressioni; ne possono conseguire problemi anche gravi come l’ernia del disco.

I.A. Kapandji spiega il meccanismo di produzione dell’ernia discale in 3 tempi:

1. il soggetto si curva in avanti per raggiungere il peso; il nucleo del disco è spinto all’indietro;

2. nel momento in cui si afferra il peso e si trasmette la pressione sul disco in modo asimmetrico, alla posizione dannosa e al peso dell’oggetto si aggiunge la contrazione dei muscoli spinali; l’impegno muscolare è così intenso da provocare una pressione enormemente più elevata del peso sollevato: a un peso di 10 kg corrisponde una pressione sui dischi di 340 kg (Nachemson),

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(altri ricercatori affermano che, nella stessa posizione sbagliata, sollevando 20 kg la pressione arriva a 600 kg; secondo Munchinger, sollevando allo stesso modo 50 Kg la pressione sul quinto disco è di 720 kg; secondo Morris, sollevando 90 kg la pressione è di 900 kg; infine Herbert afferma che, sollevando 100 kg, la pressione sale a 1000 kg);

3. nel momento in cui il tronco si raddrizza la pressione, elevata e mal distribuita, determina la protrusione o l’ernia discale.

È importante sapere che, nel soggetto giovane e sano, i dischi intervertebrali hanno la capacità di resistere a pressioni anche molto elevate, fino a 800 kg; una volta superati i 40 anni di età, invece, la resistenza si riduce a 450 kg. È quindi evidente che le pressioni che si verificano con la tecnica sbagliata risultano eccessive, e possono superare facilmente i limiti fisiologici (se, per esempio, un soggetto anziano solleva un peso di 20 kg con una flessione del rachide, quasi sicuramente si procurerà un'ernia discale).

Il termine protrusione discale indica la sporgenza, la prominenza del materiale discale che resta contenuto da un anello fibroso intatto. Si parla di ernia quando il nucleo polposo del disco non è più contenuto nell’anello fibroso, ma ne fuoriesce. Tuttavia l’ernia, una volta oltrepassati i limiti dell’anello fibroso, può essere contenuta dal legamento longitudinale posteriore: in questo caso si parla di ernia contenuta. Se, invece, l’ernia è più invasiva e oltrepassa anche il legamento longitudinale posteriore, può perdere qualsiasi contatto con il disco originario. In altri casi l’ernia, dopo aver raggiunto il legamento longitudinale posteriore, può scivolare sia verso l’alto che verso il basso. In presenza di protrusione discale o di ernia contenuta il materiale discale si limita a raggiungere il legamento longitudinale posteriore, e la messa in tensione delle fibre nervose di questo legamento determina lombalgia centrale. Quando l’ernia è ancora più invasiva e comprime un nervo rachideo, diventa causa di algia radicolare, cioè il dolore raggiunge l’arto inferiore irradiato dal nervo compresso (lombo sciatalgia). Normalmente ciò si verifica a livello degli ultimi dischi lombari, quelli situati tra

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quarta e quinta vertebra lombare o tra quinta vertebra lombare e il sacro (Kapandji I. A.; Fisiologia Articolare, Monduzzi Editore, 1994).

Le posture e i movimenti scorretti in flessione possono avere effetti negativi non solo sui dischi intervertebrali, ma anche sui corpi vertebrali.

È quello che avviene a quanti conducono una vita sedentaria e non svolgono un’adeguata attività motoria di compenso; sono soggetti che mantengono la flessione del rachide non solo nelle 8 ore di ufficio, ma anche nel tempo libero e, spesso, anche durante il riposo notturno.

La mancanza della lordosi è una condizione che rende il rachide lombare più delicato, instabile, meno resistente, meno capace di sopportare le pressioni quotidiane. Non è sufficiente preoccuparsi di ridurre il dolore lombare con farmaci, massaggi o altre terapie passive ma occorre, fondamentalmente, evitare, il più possibile le posture e i movimenti che costringono il rachide lombare in flessione; bisogna eseguire esercizi utili a mobilizzare il rachide lombare in estensione e ripristinarne così la sua funzionalità.

2.5.2 L’IPERESTENSIONE DEL RACHIDE LOMBARE

Se sforzi e posture in flessione possono danneggiare la parte anteriore della vertebra, l’eccessiva estensione può danneggiare la parte posteriore.

Alcune posizioni che sollecitano il rachide lombare in eccessiva estensione portano a un accentuarsi della fisiologica lordosi che assume un atteggiamento di iperlordosi lombare. Questo atteggiamento può provocare lombalgia soprattutto a coloro che non sono abituati ad estendere il rachide. Il dolore insorge perché, la pressione è mal distribuita e sollecita maggiormente le strutture posteriori del rachide: l’arco posteriore e le faccette articolari.

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I traumi e i microtraumi ripetuti in eccessiva estensione possono provocare, oltre che lombalgia anche la fratture dell’istmo vertebrale e il conseguente scivolamento in avanti di una vertebra su quella sottostante.

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CAPITOLO 3:

ALGIE DEL RACHIDE LOMBARE

3.1 LA LOMBALGIA

La lombalgia è una manifestazione dolorosa, di tipo muscolo-scheletrico, che si manifesta a carico della porzione inferiore della colonna vertebrale (rachide lombare), tra la prima vertebra lombare(L₁) e l'ultima (L₅), con sintomatologie associate diverse e vari livelli di gravità a seconda del punto colpito.

Le cause scatenanti la lombalgia possono essere molteplici, come ernie discali, spondilolisi vertebrali, o il risultato di posture scorrette mantenute nel tempo; tuttavia non sempre l'eziopatogenesi scatenante è così ben definita.

La zona lombare è estremamente mobile e viene sottoposta a carichi elevati durante tutto l’arco della giornata, sia per azione del peso corporeo, sia per azione della potente muscolatura che fa fulcro su di essa.

Il mal di schiena, in particolar modo la lombalgia, è diventato negli ultimi anni una patologia molto diffusa e costituisce una delle principali cause di disabilità. L’incidenza di tale patologia è molto frequente, circa l’ 85% della popolazione dei paesi sviluppati riferisce almeno un episodio acuto di lombalgia nell’arco della propria vita. Il mal di schiena è spesso correlato alla tipologia di lavoro che si svolge, in quanto sono i lavoratori, di età compresa tra i 30 e 50 anni, che presentano più frequentemente tale sintomatologia. In Italia, secondo alcune stime epidemiologiche, almeno 5 milioni di lavoratori svolgono

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abitualmente attività lavorative che prevedono la movimentazione manuale di carichi.

La lombalgia, essendo una patologia che colpisce la popolazione in età lavorativa, incide fortemente nel bilancio dello Stato e delle Famiglie, per le spese legate ai trattamenti, per le spese legate ad esami strumentali, per le spese farmaceutiche e della perdita di produttività a causa delle assenze dal lavoro che la manifestazione dolorosa provoca.

I soggetti lombalgici mostrano sofferenze e disattendimenti in ambito sociale, occupazionale ed ambientale, spesso associati a: alterazioni dell’umore, paura di muoversi e peggiorare la condizione clinica, errate percezioni di sé e della propria salute. Si evince pure che il livello di partecipazione e di coinvolgimento alle varie situazioni della vita, sono ridotti.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha incluso la lombalgia come priorità nella “Bone and Joint Decade 2000-2010”. Waddel in un suo articolo pubblicato su “SPINE” nel 1996 ha indicato la comune lombalgia come l’epidemia del ventunesimo secolo, ed ha delineato i fattori che interagiscono tra loro nel determinismo del dolore e della disabilità. Waddel ha cercato di guardare oltre la pura “dimensione del dolore”, proponendo, dal 1987, il modello BIO-PSICO-SOCIALE.

Secondo questo modello di pensiero, la lombalgia e la disabilità ad essa connessa, non dipendono da fattori solo fisici o solo puramente psicologici, ma piuttosto da una complessa interazione degli stessi nel corso del tempo. Fattori psicologici possono influenzare processi fisici, ad esempio, mediante aumentata tensione muscolare o particolare timore nel compiere specifici movimenti.

Questi quadri di disabilità, iniziando spesso come normale conseguenza del dolore, possono condizionare nel tempo il soggetto, inducendolo, in maniera inconscia, ad assumere particolari posture ed atteggiamenti che possono portare

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a modificazioni fisiche e strutturali che si ripercuotono sulla deambulazione e sul movimento.

Il modello bio-psico-sociale non segue fasi consequenziali e predeterminate: la percezione dolorosa può, sia precedere che seguire il problema fisico, così come la personalità del soggetto ed il suo preesistente stato psicologico possono concorrere a modificare l’intero processo.

Dolore e disabilità non sono una condizione statica, ma costituiscono un processo che evolve dinamicamente nel tempo: molte delle modificazioni psicologiche e comportamentali riscontrabili nella sindrome cronica lombare appaiono precocemente, e si sviluppano già dopo pochi giorni dall’insorgenza del dolore.

Si riscontra che il soggetto che rimanda il rientro al lavoro, nel vano tentativo di limitare la percezione dolorosa, è maggiormente esposto a cronicizzazione, rispetto a chi cerca da subito una precoce ripresa lavorativa (World Health Organization. International Classification of Functioning 2001).

La disabilità secondaria si esplica attraverso più componenti: dolore (nella sua complessità cognitiva e neurofisiologica), disfunzione fisica, aspetti psico-comportamentali, aspetti sociali e socio-ambientali.

Secondo la concezione bio-psico-sociale il dolore lombare origina da stimoli nocicettivi vertebrali, ma manifestandosi fonde aspetti fisici con manifestazioni psico-comportamentali e perdita funzionale, divenendo modello di patologia umana e non solo di sintomatologia algica.

Il decorso naturale della lombalgia può evolvere in tre possibili modi:  remissione spontanea: il singolo episodio tende alla remissione spontanea

progressiva; entro 4-6 settimane dall’insorgenza della sintomatologia è apprezzabile la remissione dei sintomi nel 75-90% dei casi; ad una diminuzione del dolore corrisponde anche una ripresa del movimento;

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 tendenza alla recidiva: per alcuni autori una percentuale tra il 60 e l’80% andrà incontro ad almeno tre ricadute; se è vero che il 35-40% dei casi di lombalgia evolve in sciatalgia, più del 90% dei pazienti con lombo-sciatalgia in precedenza ha accusato problemi di lombalgia (McKenzie Robin A., 1998);

 cronicizzazione: esiste uno stretto rapporto tra lombalgia e determinati fattori psicosociali sfavorenti che possono indurre alla cronicizzazione e alla disabilità permanente. Questa casistica riguarda il 5-10% dei casi (Monticone, 2007); un significativo numero di pazienti con mal di schiena va incontro a lombalgia cronica (Cronic Low Back Pain, CLBP); la CLBP si caratterizza per la presenza di persistenti dolori invalidanti nella colonna lombare, con o senza irradiazioni al gluteo e agli arti inferiori per un periodo maggiore di 12 settimane; alla lombalgia cronica, oltre al dolore, si associano: una limitazione funzionale, una ridotta partecipazione alla vita sociale, un aumento dei sintomi di stress psicologico e una peggiore qualità della vita.

Quasi i due terzi di tutte le affezioni vertebrali colpiscono la colonna lombare con un’età di insorgenza che diventa sempre più precoce. Spesso sono causate da un’alterazione del disco intervertebrale.

Le affezioni possono insorgere in modo acuto, o esordire con dolore discreto e incostante, tendente all’aggravamento. Movimenti bruschi, tosse, starnuti e persino grandi risate si ripercuotono sulla zona dolente; reti o materassi troppo morbidi ed anche bruschi cambiamenti di temperatura peggiorano la condizione.

Possiamo delineare quattro diversi quadri clinici che contraddistinguono la sindrome lombare:

 lombalgia acuta;  lombalgia cronica;  lombo-sciatalgia;  lombo-cruralgia.

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41 3.1.1 LOMBALGIA ACUTA

La lombalgia acuta è un dolore che insorge improvvisamente, si accompagna di solito a una contrazione dolorosa della muscolatura paravertebrale che costringe il soggetto a interrompere qualsiasi attività fisica.

Dal punto di vista fisiopatologico la lombalgia acuta è caratterizzata da un tipo di dolore, causato da una lesione muscolare, legamentosa, articolare e discale, accompagnato da fenomeni infiammatori della durata massima di 30 giorni. Il mal di schiena acuto può durare da alcuni giorni a poche settimane; questo dolore o fastidio può presentarsi ovunque nella schiena ma la zona più comunemente colpita è la parte lombare, perché supporta la maggior parte del peso del corpo.

L’anello fibroso e il legamento longitudinale sono messi in tensione dal nucleo polposo. Il nucleo non è innervato, di conseguenza non può far male, ma l’anello fibroso, i legamenti e il periostio sì e la stimolazione delle loro fibre è causa scatenante della lombalgia acuta.

Il quadro clinico si risolve spontaneamente entro pochi giorni, eventualmente con l’aiuto di antidolorifici, di miorilassanti e riposo, oppure si va incontro a lombalgia cronica.

3.1.2 LOMBALGIA CRONICA

Nella lombalgia cronica l’insorgenza dolorosa è meno acuta e il suo esordio è più subdolo. Con il passare del tempo il dolore persiste e tende al peggioramento fino a causare invalidità.

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Il passaggio da lombalgia acuta a lombalgia cronica risiede nei fattori secondari, cioè nei fattori di mantenimento del dolore che si perpetuano malgrado la totale guarigione delle strutture rachidee lese. Questi sono detti fattori di rischio di cronicizzazione e sono fisici ma specialmente psichici e sociali: da qui la definizione di sindrome bio-psico-sociale.

I fattori di rischio fisici sono una pregressa lombalgia, una lunga durata dei sintomi, un dolore esteso, un dolore irradiato agli arti inferiori, una limitazione della mobilità articolare, una errata gestione ergonomica del corpo, un basso livello di attività fisica, il sovrappeso, il fumo e altri disturbi dell'apparato locomotore.

Quelli psichici sono lo stress, la scarsa cura personale, un’autovalutazione di scarsa salute, la depressione, l'ansia.

Infine, i fattori di rischio sociali, che comprendono i rischi occupazionali, sono l'insoddisfazione professionale, il lavoro monotono e poco gratificante, l'assenza di padronanza del lavoro e il disagio sociale.

La lombalgia cronica, quindi, tende a far perdurare il dolore oltre i 3 mesi anche a fronte di una lesione inesistente. Il dolore cronico non ha una funzione protettiva, diventa autonomo, nocivo, riduce la funzionalità del rachide e favorisce la disabilità. Imparare a prendersi cura della propria schiena e scoprire come prevenire le recidive di mal di schiena può aiutare ad evitare che si instaurino disabilità che possano provocare cambiamenti nelle abitudini e nelle attività quotidiane.

La lombalgia cronica e la disabilità non dipendono, dunque, da fattori puramente fisici o puramente psicologici, ma piuttosto da una complessa integrazione degli stessi nel corso del tempo. Esistono fattori psicosociali associati al perdurare della lombalgia:

 credere che la lombalgia sia pericolosa e potenzialmente disabilitante  in modo grave;

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 aver paura di comportamenti e/o movimenti che scatenino il dolore;  ridurre l'attività fisica con significativa limitazione delle ADL;

 sintomi correlati a depressione, rabbia o ansia;

 sopravvalutare l’utilità dei trattamenti “passivi” rispetto alla partecipazione  attiva.

Questa lombalgia è divenuta una malattia di importanza sociale per la grave limitazione dell’attività lavorativa di chi ne è affetto.

Le cause di lombalgia cronica sono diverse, tra queste vi sono:  artrosi, protrusione dell’anello fibroso (ernia contenuta);

 lombalgia acuta, malformazioni congenite (sacralizzazione di L5, schisi, spondilo lisi ecc);

 iperlordosi (da gravidanza, obesità, ipotonia muscolare ecc.);  disturbi ormonali e del metabolismo (paratirodi, osteoporosi ecc.);  tumori benigni, maligni e metastasi.

I pazienti con lombalgia cronica mostrano alterazione e riduzione della performance motoria; sono limitati nell’esecuzione di specifiche attività della vita quotidiana, nella cura di se stessi e nell’esecuzione di compiti in ambito domiciliare ed occupazionale, come muovere, spostare o maneggiare oggetti.

3.1.3 LOMBO-SCIATALGIA

Il nervo sciatico è stretto in una morsa di strutture anatomiche semirigide, che in condizioni normali lo circondano senza toccarlo; nel momento in cui queste strutture sono soggette a sovraccarico continuo, possono andare incontro a lesioni o deformazioni morfologiche; ogni variazione di ampiezza degli spazi strutturali si ripercuote sul nervo.

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La causa più frequente di lombo-sciatalgia è l’ernia del disco tra L5 e S1, o tra L4 e L5.

Tra i sintomi che segnalano la lombo-sciatalgia c’è il dolore. Esso insorge in modo acuto (può essere lieve, bruciante, penetrante, acuto) e di solito colpisce solo un lato del corpo; dalla parte bassa della schiena s’irradia lungo la parte posteriore, a volte laterale, della coscia, passando per il gluteo, l’anca e arrivando fin dietro la gamba o alla pianta del piede.

Fig. 16

Altri sintomi caratteristici sono il formicolio o l’alterazione della sensibilità alla gamba.

In genere chi soffre di sciatalgia avverte: mal di schiena, difficoltà nel movimento, incontinenza, indebolimento muscolare.

Il riposo non sempre migliora la sciatalgia, dipende dalle cause che l’hanno scatenata, e può anche peggiorarla.

Il movimento, quando la causa scatenante è un’ernia al disco, possono peggiorare la condizione del soggetto.

Chi soffre di dolore sciatico tende a mantenere posture antalgiche, che consentono di alleviare i dolori. Se ci si piega sulle gambe, ad esempio, lo si farà solo su quella “sana”; anche da seduti si cercherà l’appoggio su un gluteo con il

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conseguente irrigidimento asimmetrico della colonna vertebrale. Il mancato utilizzo di parte della muscolatura può anche portare alla loro atrofia.

Il dolore, in alcuni casi, passa dopo pochi giorni di riposo, in altri, invece, permane e può diventando cronico, capace di durare negli anni con fasi di dolore più acuto.

La diagnosi di sciatica viene solitamente formulata per mezzo di un esame fisico ed a seguito della storia dei sintomi.

Il test diagnostico più applicato è il segno di Lasègue che consiste nel sollevare la gamba estesa; esso segnala presenza di sciatica, quindi segno di Lasègue positivo, se il dolore compare con una flessione passiva tra 30-70 gradi.

Fig. 17

Esami di imaging biomedico, come la tomografia computerizzata o l'imaging a risonanza magnetica, possono aiutare nel caso di diagnosi di ernia del disco lombare.

Alcuni studi di coorte evidenziano che: nella maggior parte dei casi la sciatalgia si risolve spontaneamente; nel 30% dei casi i sintomi persistono fastidiosi sino ad 1 anno, 5-15% dei casi richiede l'intervento chirurgico; nel 20% il dolore impedisce anche di recarsi a lavoro.

Il costo della sciatica nei Paesi Bassi nel 1991 è stato stimato a 128 milioni di dollari per la cura ospedaliera, 730 milioni di dollari per l'assenteismo e 708 milioni di dollari per l'invalidità.

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46 3.1.4 LOMBO-CRURALGIA

Questa tipologia di lombalgia è spesso confusa con la lombo-sciatalgia; è infatti nota anche come nevralgia crurale o sciatica frontale. Essa è molto più rara della lombo-sciatalgia.

Insorge quando l’ernia del disco si verifica a livello L3-L4 e vengono compresse le radici nervose del nervo crurale, che innerva la parte interna della coscia, causando dolore irradiato che attraversa la zona inguinale (mono o bi-lateralmente) e scende lungo la porzione antero-mediale della coscia. A differenza della lombo-sciatalgia, la lombo-cruralgia non dà sintomi fino al piede.

Le cause, e i sintomi, sono paragonabili a quelle della sciatalgia, ai quali si aggiungono disturbi a urinare e defecare e, nei maschi, impotenza.

A livello motorio, danni, compressioni e irritazioni del nervo crurale possono provocare l'atrofizzazione del muscolo quadricipite e la perdita della capacità estensiva del ginocchio e della capacità di flessione dell'anca.

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CAPITOLO 4:

ATTIVITÀ FISICA ADATTATA

4.1 DEFINIZIONE DI A.F.A.

E’ noto e dimostrato come l’attività fisica diminuisca significativamente con l’età per cui, oggi, i programmi dell'AFA rappresentano vere e proprie strategie di intervento per la promozione della salute; certo essi non curano la malattia ma operano sul contenimento degli effetti negativi della stessa, nell’ottica di quanto esplicitato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’ICD-10 (International Statistical Classification of Diseas and RelatedHealthProblems) e nell’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health).

In molte malattie croniche, il processo disabilitante è aggravato dalla sedentarietà che è causa di nuove menomazioni, di limitazioni funzionali e di disabilità.

Con la DGR 595/2005 e successive modificazioni DGR 1081/2005 e DGR 1082/2005 il sistema sanitario italiano, e la Regione Toscana, hanno promosso un percorso sperimentale alternativo a quello sanitario per le sindromi algiche da ipomobilità, per la prevenzione delle fratture da fragilità ossea ed osteoporosi e per le sindromi croniche stabilizzate negli esiti con limitazione della capacità motoria.

Il percorso è basato su programmi di attività fisica, attività adattate alle specifiche necessità derivanti dalle differenti condizioni croniche e da svolgere in palestre o in spazi adatti e presenti sul territorio. I percorsi di attività fisica

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