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Vendite su internet: bisogna dichiararle?

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Vendite su internet: bisogna dichiararle?

8 Febbraio 2021 | Autore: Paolo Remer

Quando e come sono tassati i proventi delle operazioni di commercio online. Gli adempimenti da rispettare per chi opera abitualmente oppure occasionalmente.

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Hai una collezione di giornalini, un vecchio impianto stereofonico e alcuni oggetti per la casa di cui vuoi disfarti, per fare spazio ed anche per raggranellare qualche soldino. Così hai deciso di metterli in vendita su internet, approfittando di una delle numerose piattaforme, come Ebay o Subito.it, per citarne due tra le più diffuse, o attraverso i social, come Facebook Marketplace. Sono mercatini virtuali molto potenti e assiduamente frequentati, che ti consentono di inserire la tua inserzione in modo visibile al grande pubblico e di trovare un acquirente con relativa facilità.

Così inserisci le tue inserzioni, corredate di foto e descrittive, e a poco a poco riesci a vendere questi oggetti e a realizzare un piccolo guadagno. A questo punto, però, ti poni una domanda a proposito del gruzzoletto che hai guadagnato: «Bisogna dichiarare le vendite su internet?». Se la risposta è affermativa, ti basterà indicare questi proventi nella tua prossima dichiarazione annuale dei redditi oppure avresti dovuto porre in essere qualche adempimento preventivo, comunicando l’inizio di questa tua attività, magari anche ai fini Iva? Rischi qualcosa se non lo hai fatto?

In questo articolo ti spiegheremo quando la vendita di oggetti online diventa fiscalmente rilevante e, dunque, quando le somme ricavate devono essere riportate in dichiarazione ed a quale tipo di tassazione sono soggette.

Le vendite su internet: chi è il venditore

La prima domanda che devi porti è: «Chi sei?». Non è una problematica esistenziale, ma un quesito che riguarda il tuo corretto inquadramento in un determinato regime fiscale adatto alla tua tipologia di venditore.

Le cose cambiano molto a seconda che tu venda qualche oggetto una tantum, cioè in maniera del tutto episodica, oppure professionalmente, ad esempio perché sei inserito, per l’attività che svolgi, nel ramo commerciale che tratta il tipo di beni che talvolta acquisti e rivendi.

C’è poi l’ampia “zona grigia” di chi vende non una volta soltanto, ma neppure abitualmente: lo fa occasionalmente, anche come hobby, sentendosi libero su cosa, quando e quanto vendere.

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Venditori episodici, occasionali o abituali

Ebbene, ciascuna di queste tre categorie è assoggettata a un diverso regime fiscale, con un crescente grado di severità degli obblighi imposti e di pesantezza nella tassazione dei proventi ottenuti.

Il venditore una tantum

Se sei un venditore che cede una sola volta i beni usati, che avevi acquistato tempo prima per un uso personale o familiare, non ci sono formalità fiscali preventive o successive e puoi venderli liberamente, sia su internet sia presso un qualsiasi negozio fisico dell’usato. Non dovrai dichiarare nulla al Fisco e non ci saranno adempimenti da porre in essere.

Questa regola vale a prescindere dall’importo che avrai ottenuto dalla cessione.

Quello che conta è che non stai svolgendo un’attività commerciale e la tua vendita è del tutto episodica.

Marco sgombra la sua cantina e trova la vecchia batteria del complesso in cui suonava quando era ragazzo, un tappeto inutilizzato da anni ma di pregio, la carrozzina di suo figlio, ancora in buono stato, molti vecchi dischi in vinile a 33 e a 45 giri e una collezione di Topolino anni ’70. Pone in vendita tutti questi oggetti su Ebay e su Facebook Marketplace e trova gli acquirenti. I proventi così realizzati non sono tassabili, anche se alcuni dischi erano rari e molto richiesti e, dunque, gli hanno fruttato parecchio.

I venditori occasionali

Se, invece, la tua attività consiste nell’acquistare e rivendere, anche occasionalmente, oggetti usati, le cose cambiano. In questo caso, le cessioni, anche se sporadiche, sono ripetute nel tempo; avvengono con una certa frequenza, anche se si concretizzano solo poche volte per ogni anno d’imposta.

In questi casi, i corrispettivi incassati dalle vendite sono tassati ai fini Irpef e devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi. La loro collocazione rientra nella categoria dei “redditi diversi” previsti dal Testo Unico delle Imposte sui redditi [1], in quanto essi costituiscono «redditi derivanti da attività commerciali

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non esercitate abitualmente».

Questi proventi sono tassati al netto delle eventuali spese sostenute per la loro

«produzione», come quelle di acquisto, riparazione o impiego di materiali per la produzione ed il confezionamento [2].

Nessun adempimento, invece, è previsto per le imposte diverse dall’Irpef, come l’Irap o l’Iva. Dunque, non sarà necessario emettere fattura, tenere libri o registri contabili e presentare la dichiarazione prevista per queste imposte.

Franco è un rigattiere occasionale. Non lo fa per mestiere, ma svolge saltuariamente questo lavoro nei weekend. Così talvolta acquisisce il possesso di oggetti ancora utilizzabili e con un certo valore di mercato: piccoli mobili, abiti usati, attrezzi vari. Li aggiusta quando occorre e poi li mette in vendita su internet. I ricavi incassati da queste vendite costituiranno redditi occasionali e andranno indicati in dichiarazione dei redditi, ma non c’è bisogno di aprire una partita Iva e di emettere fatture.

I venditori abituali

Il regime fiscale è ancora diverso per chi svolge un’attività imprenditoriale o commerciale in maniera abituale ed in forma organizzata. In questo caso, il soggetto agisce in modo sistematico e professionale ed è sottoposto a tutti gli obblighi fiscali previsti per le imprese; non solo quelli relativi alle imposte dirette (Irpef, Ires, Irap) ma anche quelli inerenti l’Iva, a partire dalla fatturazione fino alla dichiarazione periodica, con la liquidazione ed il versamento del tributo.

Qui, infatti, c’è l’esercizio di una vera e propria attività di impresa che verrà trattata fiscalmente a tutti gli effetti come tale. Perciò, i ricavi ottenuti attraverso le vendite saranno considerati nell’apposita categoria dei redditi d’impresa [3].

Inoltre, il venditore sarà considerato un soggetto Iva e, pertanto, dovrà essere dotato di partita Iva ed emettere la fattura per ogni operazione di compravendita effettuata, applicando l’aliquota prevista per la tipologia dei beni ceduti.

Aldo è un commerciante di abbigliamento e calzature. A fine stagione, mette annunci di vendita online per liberarsi degli stock invenduti, a prezzi

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scontatissimi, di realizzo. Siccome svolge attività commerciale in maniera abituale, anche i ricavi così ottenuti costituiranno reddito d’impresa. Inoltre, sarà tenuto a riportare i risultati delle operazioni in contabilità ed a fatturare, registrare e dichiarare ai fini Iva tutte le cessioni effettuate.

Vendita di oggetti nuovi o usati: cosa cambia

Come avrai capito, ciò che qualifica il regime fiscale della vendita su internet non è il fatto che gli oggetti siano nuovi o usati, ma piuttosto la qualità del soggetto che pone in essere l’operazione ed il fatto che le vendite siano ripetute nel tempo, anche se con frequenze rare, oppure no.

Però, sia pur di riflesso, la natura dei beni rientra in questi aspetti poiché normalmente chi vende in maniera episodica o occasionale, come negli esempi che abbiamo visto, tratterà di regola oggetti usati, mentre chi è un venditore abituale e dunque un commerciante potrà trattare, a seconda del suo tipo di attività, sia beni nuovi sia di seconda o terza mano.

Quindi, il tipo di oggetti commercializzati online può essere un indice per aiutare a capire, nei casi dubbi, se si tratta di una compravendita esercitata in forma occasionale oppure abituale, ma quello che conta per stabilire il discrimine è se la vendita è sistematica e avviene in forma organizzata o, invece, resta occasionale e sporadica.

Renato è uno studente universitario; quasi tutte le sere nelle ore libere svolge attività di dropshipping, cioè ha un negozio online dove vende prodotti di grido molto richiesti, elettronici ed informatici, senza averli in un suo magazzino, di cui è privo, ma procurandoseli dal suo fornitore. Quando trova gli acquirenti, gli passerà l’ordine e sarà lui a spedirli al destinatario. Siccome questa attività di e- commerce è svolta in maniera stabile, con un sito di riferimento e operazioni svolte in via continuativa, anche se in numero limitato, pur non avendo uno stock di merce fisica e non avendo mai maneggiato gli articoli che vende, Renato è un soggetto Iva e i suoi proventi costituiscono reddito d’impresa.

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Vendita online di creazioni artigianali

C’è ancora un importante fenomeno da analizzare per completare il quadro: quello di chi vende su internet le proprie creazioni, prodotti homemade fatti in casa e con le proprie mani. Anche qui i criteri per stabilire il corretto inquadramento fiscale sono gli stessi: contano soprattutto l’abitualità dell’attività e la frequenza delle vendite.

Se il produttore degli oggetti non è un artigiano di mestiere e non opera professionalmente, non dedica cioè a questa attività la maggior parte del proprio tempo e delle proprie risorse, manuali o intellettuali, e non ha bisogno di un costoso laboratorio o di particolari attrezzature, l’attività sarà occasionale e i ricavi delle vendite rientreranno tra i redditi diversi.

Quando invece il creatore opera in modo continuativo e propone abitualmente i suoi prodotti in vendita sui portali online, sarà considerato un piccolo imprenditore, sia pure a livello artigianale, e dovrà dotarsi di partita Iva, emettendo fattura per ogni cessione avvenuta. Chiariamo questo concetto con due esempi.

Stefano è un artigiano “a tempo perso” e produce pregevoli statuine in legno e in terracotta, ma senza una frequenza prestabilita. Quando realizza le sue creazioni, le mette in vendita su internet. Questo avviene in media una o al massimo due volte al mese. I proventi dell’attività artigianale di Stefano sono tassabili come reddito d’impresa, perché egli stesso, anche se per hobby, produce comunque beni destinati alla vendita. Inoltre essendo un (piccolo) imprenditore è assoggettato al regime Iva, sia pure in forma semplificata.

Cinzia ama l’uncinetto e realizza dei deliziosi centrini fatti a mano. Con essi ha arredato la sua casa e, talvolta, li ha regalati a parenti e amiche. Ogni tanto, per arrotondare le sue modeste entrate, ne mette in vendita qualcuno su internet.

L’attività di Cinzia dal punto di vista fiscale è saltuaria e occasionale; non dovrà dotarsi di partita Iva e le sarà sufficiente riportare i guadagni in dichiarazione come redditi diversi.

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Vendite su internet: come cautelarsi fiscalmente

Ora che abbiamo esposto le regole per tutti i principali casi, è necessario fornire un consiglio per cautelarsi fiscalmente, soprattutto per chi svolge l’attività in forma episodica e potrebbe essere chiamato dall’Agenzia delle Entrate a fornire spiegazioni del ricavato, specialmente se l’accredito è avvenuto su conto corrente o con altri strumenti che rendono tracciabile il pagamento.

Il Fisco infatti ben potrebbe chiedere conto della ragione di questi incassi, e allora è meglio premunirsi conservando la documentazione che prova il fatto che il corrispettivo ricevuto proviene da quella determinata inserzione su internet che si è conclusa con una vendita.

Il contratto intercorso con l’acquirente, a seconda dei casi, potrà consistere in una scrittura privata o in un accordo concluso direttamente sulla piattaforma utilizzata per la vendita; qui, potranno costituire valide prove lo “storico” delle transazioni intercorse ed anche l’eventuale chat svolta tra le parti attraverso i sistemi di messaggistica.

I regimi fiscali agevolati

Tieni presente che la normativa fiscale prevede delle agevolazioni per i rivenditori di beni usati acquistati da privati, come i mobili, gli oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato: in particolare, per l’Iva si applica lo speciale regime del margine, che calcola la base imponibile sulla sola differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto del bene (incluse le eventuali spese di riparazione). In questo modo la tassazione è di gran lunga inferiore rispetto al regime normale.

A livello generale, il più delle volte, trattandosi di piccoli imprenditori, è possibile rientrare nel regime semplificato, che diminuisce notevolmente gli adempimenti contabili, ed in quello forfettario, che abbatte la base imponibile. Inoltre, gli artigiani fruiscono di speciali agevolazioni (in proposito leggi “quali sono le tasse per un artigiano”).

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Un caso concreto: la vendita di orologi

Brutte notizie, invece, per chi vende su internet, arrivano da una nuovissima pronuncia della Cassazione [4]: la Corte ha stabilito che i proventi sono tassati anche se l’attività viene svolta tra privati.

C’è da dire, però, che il caso deciso non riguardava un rivenditore occasionale, bensì un commerciante di orologi preziosi usati, il quale non aveva dichiarato l’inizio dell’attività, non aveva emesso le fatture per le operazioni poste in essere e non aveva neppure presentato le relative dichiarazioni annuali dei redditi ed Iva.

Ora che hai appreso tutti i principi in materia, puoi ben comprendere come egli era soggetto a tutti questi obblighi, poiché svolgeva l’attività commerciale con carattere di abitualità. Dunque, era un non imprenditore nei fatti, ma a buon diritto avrebbe dovuto esserlo e comportarsi fiscalmente come tale. Perciò, l’Agenzia delle Entrate, implacabilmente, ha calcolato i maggiori ricavi conseguiti, li ha accertati (applicando lo studio di settore relativo al commercio al dettaglio di beni usati) e li ha ripresi a tassazione, applicando anche le sanzioni sugli importi evasi.

A nulla è valsa la difesa del contribuente, che aveva sostenuto la propria buona fede e l’irrilevanza fiscale dei trasferimenti di beni realizzati tra privati: i giudici della Commissione tributaria prima, e gli Ermellini poi, hanno respinto la sua domanda.

L’accertamento del Fisco non era stato induttivo, ma analitico. E quanto alla buona fede addotta, la Suprema Corte ha osservato che è sufficiente la coscienza e volontà della condotta realizzata, senza che occorre la dimostrazione da parte dell’Ufficio del dolo o della colpa.

La colpa – afferma il Collegio – si presume fino alla prova della sua assenza, che va offerta dal contribuente; mentre la prova della buona fede può rilevare, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e, dunque, non superabile con l’uso della normale diligenza [5].

In altre parole, l’asserita buona fede soggettiva (il contribuente – annota la sentenza – aveva il «convincimento di svolgere un’attività priva di rilevanza fiscale») non conta nulla, a differenza della buona fede oggettiva, cioè una

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situazione di obiettiva incertezza della norma tributaria, che però in questi casi non può sussistere, in quanto, come hai constatato, la disciplina fiscale è abbastanza chiara e si tratta solo di stabilire, in base alla situazione di ciascun contribuente, la corretta categoria di inquadramento delle vendite svolte.

[1] Art. 67 D.P.R. n. 917/1986.

[2] Art. 71, comma 2, D.P.R. n. 917/86.

[3] Art. 55 D.P.R. n. 917/1986.

[4] Cass. ord. n. 26554/20 del 23 novembre 2020.

[5] Cass. sent. n. 2139/20 del 30 gennaio 2020.

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