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JINSHIN INGA Profonda Fiducia nella Causalità

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Academic year: 2022

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JINSHIN INGA

Profonda Fiducia nella Causalità

In questo capitolo il Maestro Dōgen sottolinea l’importanza del chia- rimento e della comprensione della legge di causa ed effetto. Anche in questo capitolo l’insegnamento inizia, così come nel cap. 68 Daishu- gyō, con la famosa storia del maestro che, per aver dato una risposta sbagliata, era rinato sotto forma di volpe selvatica. Il Maestro Dōgen prosegue poi commentando le parole espresse da diversi maestri, sempre sul principio di causalità.

O

gni qual volta il Maestro Zen Daichi Ekai,1 del monte Hyakujō, te- neva ai monaci un discorso sul Dharma, tra gli uditori compariva vec- chio compariva; quando alla fine i monaci se ne andavano, anche il vecchio lasciava la sala. Una volta, tuttavia, non se ne andò e Hyakujō gli chiese chi fosse. Il vecchio rispose: “In realtà non sono un essere umano. All’epoca del Buddha Kāśyapa ero l’abate di questo tempio;

in tale veste mi fu chiesto da un allievo se una persona risvegliata fos- se ancora soggetta alla causalità. Risposi di no e, per effetto di questa risposta sbagliata, per cinquecento volte sono rinato come volpe selva- tica. Ti supplico, venerabile monaco, insegnami il significato della ca- usalità, così che io possa essere liberato da questa sofferenza.” Subito chiese: “Un risvegliato è soggetto alla causalità?” Hyakujō rispose:

“Sì, nessuno è al di sopra degli effetti della causalità.” A queste parole il vecchio si risvegliò alla grande illuminazione e, prostratosi a Hya- kujō, disse: “Ora sono liberato dall’esistenza come volpe. Il suo cada- vere giacerà ai piedi di questa montagna, sul versante opposto; per favore cercalo e fallo cremare con i riti che competono ad un sacerdo- te defunto.”

Hyakujō acconsentì e diede ordine al capo dei monaci di in- formare tutti che dopo il pasto si sarebbe tenuta una cerimonia funebre

1 Il Maestro Hyakujō Ekai (749-814), il successore del Maestro Baso Dō- itsu. [Pai-chang Huai-hai]

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per un sacerdote defunto. Dal momento che tutti erano in buona salute e l’infermeria era vuota, i monaci furono sorpresi da questo annuncio.

Consumato il pasto, Hyakujō condusse i monaci sul versante opposto della montagna e qui, usando il suo bastone, portò alla luce il corpo della volpe. Fu quindi celebrata la cerimonia della cremazione.

Quella sera, nella Sala del Dharma, Hyakujō spiegò gli in- soliti avvenimenti della giornata. Non appena terminato il racconto, il monaco Ōbaku1 chiese: “Se la risposta del vecchio fosse stata corretta, quale sarebbe stata la conseguenza?” Hyakujō disse: “Vieni più vicino te lo spiegherò.” Ōbaku si alzò, si avvicinò al Maestro e gli appioppò uno schiaffo in pieno viso. Hyakujō, battendo le mani e ridendo di cuore, esclamò: “Pensavo che gli stranieri avessero la barba rossa, ma ora so che gli uomini con la barba rossa sono stranieri.”

Questa storia è contenuta nel Tensho-koto-roku.2 Nutrire dei dubbi riguardo alla legge di causalità, come fanno oggi molti monaci, è già una chiara negazione dell’effettiva esistenza di questa legge. È davvero triste che la Via dei Buddha e dei Patriarchi abbia subito que- sto declino. Coloro che ritengono che i risvegliati siano al di sopra de- gli effetti della causalità, negano volontariamente la legge di causa ed effetto; costoro finiranno senza dubbio nei tre mondi infernali. Al con- trario, coloro che nutrono fiducia nella legge di causalità comprendo- no che nessuno è al di sopra dei suoi effetti ed ottengono la liberazio- ne da tutte le sofferenze. Non dovremmo dubitare di questo. Molti dei cosiddetti studenti Zen negano il principio di causalità semplicemente perché condividono un’errata opinione.

Il diciannovesimo Patriarca, il venerabile Kumāralabdha, dis- se: “L’effetto delle nostre azioni passate, buone o cattive, si manifesta in tre diversi momenti. La gente che vede il compassionevole morire giovane mentre l’aggressivo ha lunga vita, e che vede il malevolo feli- ce mentre il virtuoso è disperato, pensa che felicità ed infelicità non siano correlate a tali condizioni. Si tratta però di un fraintendimento

1 Il Maestro Ōbaku Kiun (?-855?), uno dei successori del Maestro Hyakujō Ekai. [Huang-po Hsi-yün]

2 Lett. “Raccolta dell’Era Tensho, della Torcia Profondamente Estesa”. Si tratta di una delle cinque raccolte indipendenti che formano il Go-to-roku (Le Cinque Raccolte della Torcia), che sono state compilate durante l’era Sung (960-1279).

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totale che nasce dall’ignorare che il karma, così come l’ombra sempre segue la forma, non si attenua neppure dopo centomila kalpa.”

È del tutto evidente che i Patriarchi non hanno mai negato la catena della causalità. Al contrario, oggi gli studenti della Via – negli- genti nell’addestramento – non sono in grado di riconoscere la com- passione dei Patriarchi né di chiarire i loro insegnamenti; eppure essi, malgrado tutto, si sentono ancora autorizzati a proclamarsi guida degli uomini. In verità, però, sono il peggior nemico dell’uomo. Non inse- gnate che la causalità non esiste. Questo è falso e contrasta con la leg- ge trasmessa dai Buddha e dai Patriarchi. Queste opinioni possono es- sere sostenute solo da chi ignora i veri insegnamenti.

Certi monaci cinesi hanno detto: “Anche se siamo esseri umani e abbiamo incontrato il Dharma, non riusciamo neppure a co- noscere la vita presente, per non parlare delle esistenze future. Il vec- chio monaco capo del monte Hyakujō, che era rinato come volpe, era in grado di ricordare le sue precedenti cinquecento esistenze. Ne de- duciamo che il suo rinascere come volpe non fu conseguenza della causalità ma che, come essere risvegliato, entrò nel mondo animale per adempiere al voto di salvare tutti gli esseri.”

C’è ben poco da aggiungere sugli insegnamenti delle cosid- dette guide spirituali! Il Buddha ha insegnato che tutti coloro che sono in grado di ricordare le loro passate esistenze, siano essi uomini, volpi, lupi o altri animali, riescono a farlo per effetto del loro cattivo karma passato, non grazie al risveglio. Chi è negligente nella prassi non può comprendere queste cose. Ricordare le proprie vite passate, siano esse mille o diecimila, non ha nulla a che fare col Dharma del Buddha.

Alcune persone non iniziate al Dharma del Buddha, hanno affermato di ricordare periodi di tempo fino a ottantamila kalpa ma questo, così come il ricordare cinquecento vite passate, è totalmente privo di ogni importanza.

La negligenza nell’addestramento e la conseguente igno- ranza della vera Legge, inducono molti monaci a condividere la falsa idea che i risvegliati siano al di sopra degli effetti della causalità. Che situazione incresciosa e imperdonabile! Gli insegnamenti del Tathā- gata1 sono stati conservati dai Patriarchi e sono ampiamente conosciu-

1 Lett. “Così arrivato”.

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ti; non pochi eretici, tuttavia, insistono nel negare il principio di causa- lità. Essi dovrebbero invece senza indugio correggere il loro errore, ed accettare il principio di causa ed effetto insegnato dai Buddha e dai Patriarchi.

L’affermazione del Maestro Hyakujō secondo cui nessuno può sottrarsi agli effetti della causalità, dimostra la sua profonda com- prensione di causa ed effetto. Il principio di causalità significa che chi si addestra correttamente, realizza il risveglio; è una cosa semplice e diretta come questa. Dovrebbe dunque essere chiaro che chi non si è impadronito del Dharma, non deve insegnarlo.

Il Patriarca Nāgārjuna1 disse: “Negare il principio di causa- lità come fa chi ignora il Dharma del Buddha, significa negare non solo l’esistenza dei mondi presenti e futuri, ma anche l’esistenza dei Tre Tesori, delle Quattro Nobili Verità e dei diversi stadi della condi- zione di arhat.2 Senza dubbio coloro che sostengono simili opinioni non sono seguaci della Via. Ritenendo che corpo e mente dell’uomo siano due entità indipendenti, essi ne deducono che sebbene il corpo fisico dell’uomo si manifesti nel mondo, la sua natura interiore per- mane nella sfera dell’illuminazione. Inoltre, credendo che al momento della morte ci si riunisca spontaneamente alla propria natura originaria e non vi sia rinascita, essi ne deducono che lo studio della Via non è necessario. Questi di certo non sono insegnamenti buddhistici. Anche se si riceve l’ordinazione e s’indossa l’abito del monaco, condivi- dendo tale errata opinione non si è discepoli del Buddha perché, come abbiamo detto, questa dottrina non è il Dharma del Buddha. Negare la catena della causalità è negare l’esistenza sia di questo mondo sia di tutti i mondi futuri. Chi sostiene simili insegnamenti ovviamente non ha mai incontrato un vero e buon maestro, e nemmeno ne ha ricevuto gli insegnamenti; diversamente infatti, avrebbe abbandonato tali dot- trine col disprezzo che meritano.” Questi sono i compassionevoli in-

1 Il Maestro Nāgārjuna era il quattordicesimo Patriarca in India. Fu il suc- cessore del Maestro Kapimala ed insegnò al Maestro Kānadeva. Egli visse tra il 150 e il 250 d.C.

2 Arhat, lett. “Colui che ha valore”. Nel Buddhismo Hīnayāna, si dice che lo śrāvaka (uditore della voce) passi attraverso quattro stadi. Il primo è srotāpanna (l'en- trata nella corrente), il secondo è sakrdāgāmin (chi è soggetto a tornare una volta sola), il terzo è anāgāmin (chi non è soggetto al ritorno), e il quarto ed ultimo è arhat.

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segnamenti del Patriarca Nāgārjuna. Dovremmo accettare le sue paro- le con gratitudine e prestarvi attenzione.

Il Maestro Zen Gengaku1 fu uno dei principali allievi di Sō- kei Eno.2 Egli aveva cominciato a studiare la Via approfondendo il Sūtra del Loto della scuola Tendai. Un giorno, tuttavia, mentre stava leggendo il Nirvana Sūtra, una luce dorata pervase la sua stanza ed egli si risvegliò all’illuminazione. Questo avvenimento fu attestato da Sokei stesso. In seguito egli scrisse il “Canto del Risveglio”,3 dove si dice: “Negare la causalità mentre ci si trova nel mondo dell’illusione, significa tirarsi addosso inconcepibili sofferenze.”

Gli antichi saggi monaci possedevano una profonda com- prensione del principio della catena di causalità,4 mentre ai giorni no- stri se ne sa poco o nulla. Dovremmo studiare il Dharma con la mente che cerca il Buddha solo per amore del Dharma e, come gli antichi saggi monaci, chiarire la catena della causalità. Comportarsi in modo diverso è negare il principio di causa ed effetto e, come è stato chiarito prima, questa non è la Via del Buddha.

Il vecchio Buddha Wanshi5 scrisse questi versi:

“Anche un palmo d’acqua può dar luogo ad un’onda ben più alta; così un monaco ha trascorso cinquecento vite come volpe selvatica.

Chiedersi se si è liberi o soggetti alla causalità è rimanere nel regno della discriminazione; non possiamo che bur- larci di ciò.

1 Il Maestro Yōka Genkaku (675?-713), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. [Yung-chia Hsüan-chüeh]

2 Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin.

Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava.

[Ta-chien Hui-neng]

3 Vedi: “Il Canto dell’Immediato Satori”, ed. SE.

4 Dal sanscrito Pratītya-samutpāda, la Catena della Originazione Interdi- pendente. I dodici legami sono: ignoranza, formazioni psichiche, conoscenza, nome e forma, i sei organi di senso, contatto, sensazioni, desiderio, attaccamento, esistenza (divenire), nascita e morte. Si veda il cap. 34, Bukkyō.

5 Il Maestro Wanshi Shōgaku (1091-1157), nella linea di trasmissione del Maestro Tōzan Ryōkai [Hung-chih Cheng-chüeh]

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Andare al di là della mente discriminante, significa entrare in un mondo in cui la discriminazione non è più di ostaco- lo, dove ci sono danze e allegria come davanti ad un dio, e dove il naturale fluire della musica accompagna una ar- monia di voci unite nel canto.”

Questi versi dimostrano che Wanshi non aveva compreso causa ed effetto, perché considera equivalenti l’essere liberi dalla cau- salità e l’esserne soggetti. Egli non fa neppure un racconto completo degli avvenimenti perché non parla della sorte dell’abate, limitandosi ad affermare che si liberò dal continuo rinascere come volpe. Questo è davvero molto strano perché il principio di causalità impone che egli debba comunque rinascere da qualche parte: nel mondo celestiale, in quello umano o in uno dei quattro mondi infausti.1 Questo fatto è indi- scutibile. Credere che con la morte inevitabilmente ci si ricongiunga al grande oceano del nirvāna è un’opinione errata e fuorviante, sostenuta soltanto da chi non segue la Via del Buddha.

Il Maestro Zen Engo Kokugon2 del monte Kassan, compose questi versi sulla storia di Hyakujō:

“Il movimento di un pesce fa intorbidare l’acqua;

un uccello in volo perde le penne.

Come uno specchio limpido la causalità riflette tutto poiché è grande come l’infinito, universale cielo.

Un monaco deve trascorrere cinquecento vite come volpe:

questo è l’effetto della causalità.

Forte come un tuono che schianta un monte o come una tempesta che scuote l’oceano,

permane vera e immutabile come oro puro e raffinato.”

Ma anche questi versi sono contraddittori: negano il princi- pio di causalità in un passo, per poi affermarne l’eternità in un altro.

1 I quattro mondi infausti sono: gli inferi, il mondo dei preta o spiriti affa- mati, il mondo degli animali, e il mondo degli aśura o spiriti rabbiosi.

2 Il Maestro Engo Kokugon (1063-1135), nella linea di trasmissione del Maestro Yōgi Hōe. Ha scritto la “Raccolta della Roccia Blu”. [Yüan-wu K’o-ch’in]

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Anche il Maestro Zen Dai-e Shōkō,1 del monte Kinzan nella provincia di Shuoxing, scrisse un commento sul dialogo tra Hyakujō e il vec- chio:

“Essere liberi dalla causalità ed esserne soggetti, sono si- mili tra loro come lo è la pietra alla terra.

Le cinquecento rinascite del monaco come volpe, sono co- me una montagna d’argento ridotta a pietrisco.

Quando Hotei sentì narrare questa storia, batté le mani e rise fragorosamente.”

Oggi i monaci ritengono che questi maestri siano eminenti Patriarchi. Tuttavia, anche il commento di Dai-e è abbastanza inaccet- tabile come spiegazione del Dharma, perché è molto vicina a negare completamente il principio di causalità. Nessuno dei circa trenta com- menti scritti sul dialogo di Hyakujō, avanza il dubbio che l’eventuale libertà dalla causalità implichi la negazione di questa. È deplorevole che costoro, non essendo riusciti a chiarire il principio di causa ed ef- fetto, sprechino così le loro esistenze in futili discussioni.

È assolutamente necessario, per chi si addestra sulla Via, chiarire innanzitutto il principio di causalità; in caso contrario si resta influenzati dalle false opinioni, si trascura l’addestramento, ed infine si abbandona del tutto il retto comportamento. Il principio di causalità è chiaro. Coloro che producono il male cadono nella dannazione, colo- ro che producono il bene conseguono il risveglio. Questa è la ragione per cui i Buddha e i Patriarchi sono comparsi nel mondo, Bodhidhar- ma è venuto dall’India, e gli esseri senzienti possono vedere il Buddha ed ascoltare i Suoi insegnamenti.

Solo i Buddha e i Patriarchi possiedono e trasmettono la vera comprensione della causalità; neppure Confucio o Lao-tzu furono capaci di farlo. Nel periodo di decadenza del Dharma, per carenza di

1 Il Maestro Daie Sōkō (1089-1163), nella linea di trasmissione del Maestro Engo Kokugon. Egli era uno dei principali sostenitori del Kōan-zen (basato sulla considerazione intenzionale di domande e risposte), contrapposto al Mokusho-zen (Zazen silenzioso, riflessivo), sostenuto dal contemporaneo Maestro Wanshi Shōkaku.

[Ta-hui Tsung-kao]

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meriti, gli allievi non sono in grado di trovare buoni maestri e di im- parare da loro; non riescono ad incontrare il puro insegnamento e con- tinuano ad ignorare la legge di causa ed effetto.

Anche se una persona non creasse altro cattivo karma oltre a quello derivante dal negare la causalità, questo stesso da solo provo- cherebbe comunque una smisurata sofferenza. Grati per la compassio- ne mostrata dal Buddha e dai Patriarchi, utilizzando la mente che cer- ca il Buddha, gli studenti dovrebbero subito chiarire il principio di causa ed effetto.

Compilato da Ejō durante il ritiro estivo del 1255.

“Ho scritto e ricopiato questo testo che, tuttavia, è ancora in- completo. In futuro occorrerà scriverne una versione completa.” (Nota aggiunta da Ejō)

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