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Capitolo I LA TUTELA AMBIENTALE.

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Capitolo I

LA TUTELA AMBIENTALE.

1.1 PRINCIPIO D’INTEGRAZIONE COME STRUMENTO Dì TUTELA DELL’AMBIENTE

Il principio di integrazione è stato inserito in tempi relativamente recenti, sulla base della quale tutte le politiche della Comunità Europea devono essere svolte avendo considerazione della tutela dell’ambiente.

La carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ribadisce l’importanza di un miglioramento e di un elevato livello della qualità dell’ambiente che deve essere integrato nelle politiche dell’Unione e garantire conformemente al principio dello sviluppo sostenibile. L’art. 174 TCE indica gli obbiettivi da perseguire in materia ambientale, salvaguardia, tutela e miglioramento dell’ambiente, tutela della salute umana, utilizzazione razionale delle risorse naturali e promozione di misure per risolvere i problemi dell’ambiente.

Il primo programma del 1973 sottolineò l’importanza di integrare la dimensione ambientale nelle altre politiche comunitarie. Nel secondo programma esteso fino al 1981 comparve la valutazione di impatto ambientale. Nel terzo programma si prende in considerazione il rapporto tra ambiente, crescita economica e occupazione, mentre nel quarto programma dal 1987 al 1992 mira a promuovere uno sviluppo industriale, economico e sociale che abbia maggiore considerazione della tutela dell’ambiente, attraverso una migliore utilizzazione delle risorse naturali.

Nel 1993 il trattato di Amsterdam introduce l’art.6 (il principio di integrazione) e sempre nel medesimo anno il quinto programma di azione individua cinque aree di attività all’interno delle quali dovrà operare il principio di integrazione (l’industria manifatturiera, l’energia, i trasporti, l’agricoltura e il turismo).

Il sesto programma và dal 2000 al 2010 e il programma si prefigge di promuovere l’integrazione delle considerazioni ambientali in tutte le politiche comunitarie e contribuire a realizzare lo sviluppo sostenibile in tutta la comunità

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attuale e futura. Questo rappresenta la base del dimensionamento ambientale nelle strategie europee e contribuisce all’integrazione delle tematiche in tutte le politiche comunitarie, fissando le priorità ambientali.

Nel caso italiano però il principio di integrazione non è stato esplicitato come nel trattato della Comunità Europea. La dottrina e la giurisprudenza costituzionale considerano l’ambiente non solo come bene da tutelare, ma anche come valore capace di ispirare la legislazione primaria e l’attività amministrativa.

In tempi più recenti la Corte ha affermato l’ambiente come un valore trasversale, quasi a volere accogliere l’esigenza di una tutela dell’ambiente integrata con gli altri valori costituzionali. Possiamo dire che il principio di integrazione abbia in qualche misura orientato il criterio attraverso il quale ripartire la potestà normativa tra stato e regioni, in materia di tutela e valorizzazione dell’ambiente (art.117). Il nuovo art.117 comma 2 lett. s, pur assegnando allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, non vieta alle regioni di legiferare in una serie di materie connesse, nell’ambito dei principi generali fissati dalla legge dello stato.

La stessa legge sul procedimento amministrativo dove vengono elencati i procedimenti dell’azione amministrativa in materia di tutela e valutazioni tecniche, esclude che essi trovino applicazioni , laddove si tratti di pareri rilasciati dalle amministrazioni preposte alla tutela ambientale paesaggistico territoriale e della salute umana.

L’art.83 del codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture garantisce che ai fini di una scelta economicamente più vantaggiosa, possano essere considerati anche criteri volti a garantire una maggiore tutela dell’ambiente.

1.2 EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE AMBIENTALE.

Prima del 1986 esistevano alcune disposizioni in materia ambientale, che solitamente difendevano interessi attigui o interferenti con l’ambiente. Accanto ad esse si affiancavano discipline con finalità di programmazione economica per il loro utilizzo.

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La normativa di tutela diretta o indiretta dell’ambiente possono essere riassunte fino ai primi anni ottanta in misure di recepimento di normative sopranazionali, le quali costituivano una parte minoritaria, e di leggi in senso formale, le quali costituivano la parte maggiore e a partire dal 1982 iniziarono ad aggiungersi in misura significativa gli atti normativi del governo.

Il momento di svolta nel processo di sviluppo del diritto dell’ambiente è rappresentato dalla legge 349 del 1986 la quale istituiva il Ministero dell’ambiente. Il parlamento nel rielaborare tale legge in sede redigente si spinse oltre, infatti tale legge assunse la forma e l’efficacia di una vera e propria “legge generale sulla tutela dell’ambiente”.

Il parlamento aveva introdotto:

o I principi di prevenzione, di integrazione, di risarcibilità del danno ambientale, di bilanciamento;

o Istituti giuridici quali la valutazione d’impatto ambientale, la dichiarazione di area a grave rischio di crisi ambientale, il danno ambientale

o Il diritto di accesso all’informazione ambientale in favore di ogni cittadino e il diritto di partecipazione al procedimento di valutazione d’impatto ambientale e la legittimazione a ricorrere ad associazioni ambientalistiche a tutela dell’interesse ambientale diffuso.

Lo scopo era quello di creare un sistema di controllo sociale diffuso dei cittadini sull’amministrazione e del Parlamento sul governo. Tale legge rappresentò la connessione orizzontale delle varie discipline verticali (aria, acqua, rifiuti, protezione della natura ecc…) di origine nazionale o sovranazionale che vivevano non unificate.

Il parlamento non ha colto l’offerta della legge 349 del 1986, ossia quella di emanare una delega per il riordino della normativa ambientale, ma si è esercitato nell’approvazione di leggi vaste e ambiziose, riferite a scenari di lunga durata fino alla situazione paradossale in cui ampie zone del territorio nazionale versano in una situazione di emergenza dovuta al fallimento di tali discipline.

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Alcuni paesi Europei hanno assunto un approccio proattivo, ossia piuttosto che subire imposizione degli standar ambientali comunitari, se ne sono fatti promotori in modo da trasformare un possibile vincolo in un effettivo vantaggio concorrenziale per il proprio sistema-paese. Nel caso dell’Italia possiamo notare come raramente abbia contribuito ex-ante in fase di determinazione degli indirizzi politici comunitari, infatti per lo più tali decisioni sono state determinate ex-post. Possiamo vedere una sorta di personalizzazione della normativa di settore, nel senso che viene influenzata dal Ministro dell’ambiente di turno. Una buona legislazione ambientale richiede intrinsecamente stabilità e certezze di lungo periodo per ragioni percepibili a tutti, infatti una legislazione scritta malamente crea difficoltà e incertezza nella vita sociale ed economica, riducendo la competitività dell’intero sistema-paese.

La legge 349 del 1986 è andata progressivamente a ridurre la propria forza fino ad esaurirsi. Infatti le funzioni centrali sono state ampliate fino ad avere il Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare mentre gli istituti di maggiore rilevanza sono stati superati dalle omologhe discipline comunitari perdendo la propria unitarietà e traducendosi in diverse discipline settoriali. A seguito del deperimento della legge 349 del 1986 è seguito negli ultimi anni un esteso dibattito sui rimedi per ricondurre il diritto dell’ambiente a una condizione di maggiore certezza e sistematicità.

Si è approvata la legge 308 del 2004 che conferiva un’amplissima delega al governo ai fini dell’adozione di uno o più decreti legislativi anche in forma di testi unici, per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale. È stata istituita una commissione di esperti con lo scopo di valutare l’impatto della nuova regolamentazione. Tale commissione però era costituita da studiosi generalisti e non specialisti della materia ed hanno avuto poche occasioni d’incontro e di consulenza dei testi redatti da altri. Le stesse associazioni ambientaliste e di categoria non hanno avuto il tempo materiale per fornire un apporto effettivo. In quindici mesi sono state fatte 318 articoli e 45 allegati del decreto legge n.152 del 2006 , in cui sono stati fusi con un collage al fine di abbreviarne i tempi di esame parlamentare, gli stessi commentatori sono

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riusciti a definire questo complesso di norme mediante l’esclusione delle varie possibilità.

Dobbiamo inoltre considerare che qualsiasi cambiamento comporta un costo di transazione, così anche l’opera di riordino del diritto comporta dei costi e rischi che occorre che siano il più possibile ridotti.

La cattiva qualità della legislazione ambientale deriva anche dal fatto della mancata promessa a livello comunitario e nazionale di affiancare al tradizionale sistema del command e control meccanismi e istituti alternativi a carattere volontario più vicini alle dinamiche di mercato, in grado di influire positivamente sul comportamento dei consumatori e delle imprese.

Nei paesi più industrializzati vi è la consapevolezza del carattere strategico dello studio del diritto ambientale e ciò ha comportato che esso sia oggetto di istituzioni e programmi di ricerca specializzati, e dotati di non modeste risorse umane finanziarie, mentre in Italia questa disciplina è considerata un rango marginale. Possiamo concludere che il diritto dell’ambiente interno tende comunque ad innalzare i propri standard ai livelli di quello comunitario, recependo istituti e modelli che venti o quaranta anni fa erano sconosciuti e saranno presto colmate le carenze di mezzi da numerosi stanziamenti pubblici e privati.

1.3 LO SVILUPPO SOSTENIBILE, LA DISCIPLINA DI VIA E DI VAS.

La matrice essenziale per il rispetto dei diritti dell’ambiente è rappresentato dallo sviluppo sostenibile, principio di relazione tra le persone e le generazioni future, infatti il rispetto dell’ambiente è la condizione per garantire un futuro all’intera umanità. Fondamentale è la valutazione ambientale, infatti questo assicura che lo sviluppo sia sostenibile garantendo di poter consegnare alle generazioni future un patrimonio e uno stock di risorse non inferiori rispetto a quello che abbiamo ereditato.

La valutazione ambientale viene affrontata con una triplice chiave di lettura, primo viene considerato dal punto di vista della semplificazione , in secondo

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luogo si faranno dialogare le amministrazioni protagoniste dei vari procedimenti ed infine con il d.lg. n. 152/2006 la domanda otterrà un’effettiva rilevanza ambientale.

La nuova disciplina prevede l’obbligatorietà della valutazione d’impatto ambientale con riferimento ad alcuni interventi tassativamente indicati. La distinzione tra via statale e via regionale è basata semplicemente sul carattere statale e sull’estensione del’impatto. A livello statale, la competenza appartiene al ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, mentre a livello regionale essa spetta all’autorità individuata dalla regione o dalla provincia autonoma con propria legge.

La consultazione risulta essere parte integrante della procedura di valutazione. La negoziazione tra proponente e amministrazione dimostra il fatto che il giudizio finale non è un semplice si o no, ma ha ad oggetto un intervento su cui si è svolto un dialogo continuo. L’art. 26 comma 3 del d.lg. n.152/2006 stabilisce che in base alle caratteristiche dimensionali e funzionali dell’opera, ossia in base al numero degli enti interessati e della dimensione del progetto e del relativo studio di impatto ambientale, il committente potrà essere autorizzato ad utilizzare altri sistemi di divulgazione più appropriati. L’art. 36 con riferimento alla Via statale, introduce per il proponente di richiedere al Ministro la definizione delle modalità di divulgazione più adeguate. La Via statale secondo l’art.26 comma 2 stabilisce che le copie integrali delle domande debbano essere trasmesse alle regioni, alle provincie, ed ai comuni interessati, che dovranno esprimere il loro parere entro 60 giorni dal ricevimento della domanda, decorso tale tempo dovrà essere espresso il giudizio di compatibilità ambientale.

Il procedimento di valutazione sarà seguito da un’istruttoria tecnica che si concluderà con un giudizio motivato. La sottocommissione istituita all’interno della commissione tecnico consultiva per le valutazioni ambientali acquisirà e valuterà la documentazione, le osservazione, le obbiezioni e i suggerimenti inoltrati ed esprimerà un parere motivato entro il termine di trenta giorni al decorrere dalla scadenza . Entro dieci giorni dalla sua verbalizzazione, il parere

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emesso dalla sottocommissione sarà trasmesso al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per l’adozione del giudizio di compatibilità ambientale.

Due sono i punti critici di tale procedimento: l’inerzia e il dissenso.

L’art.31 stabilisce che la procedura di valutazione d’impatto ambientale deve concludersi con un giudizio motivato entro novanta giorni dalla pubblicazione, e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dall’ultima trasmissione salvo proroghe del Consiglio. Questo periodo di tempo garantisce una ponderata valutazione della questione.

L’art 31 comma 2 si occupa dell’inerzia, ossia in caso di difetto si intende che sia emesso un giudizio negativo sulla compatibilità ambientale. In assenza di un’espressa determinazione dell’organismo tecnico specificatamente competente la parola passa al Consiglio dei ministri che di fronte alla difficoltà di assumere una decisione lascerà decorrere il termine per il silenzio diniego. Possiamo dire che il testo unico ha introdotto una forma di azione in via preventiva.

È importante nel procedimento di valutazione l’organo collegiale, infatti un giudizio negativo produce un vincolo sull’atto conclusivo del procedimento che dovrà conformarsi e adeguarsi a tale giudizio. Nel caso di un giudizio negativo da parte del Ministro competente allora l’ultima decisione spetterà al Consiglio dei ministri. Si applica il modello della valutazione negativa superabile mediante deliberazione governativa. Il Consiglio dei ministri attuerà una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti.

L’art.36 d.lg. n.152/2006, non brilla di chiarezza, infatti vi sono alcuni problemi interpretativi.

In prima battuta il provvedimento di revisione deve essere adottato dal Presidente del Consiglio dei ministri, mentre poi la norma fa riferimento all’organo collegiale, onde il compito del Presidente sembra quello di presentare il progetto, istruendo la proposta al Consiglio dei ministri. Il potere sostitutivo del governo in caso di inerzia, il cui esercizio è subordinato ad una diffida ad adempiere nei confronti dell’amministrazione inerte che nel caso in esame risulterebbe priva di senso. Il potere di iniziativa spetta al ministro competente

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alla realizzazione, che potrebbe anche non coincidere con quello competente all’autorizzazione dell’intervento.

La norma stabilisce che le scelte pubbliche debbono essere sempre esplicitate in modo autonomo, in modo da mettere a tacere i soggetti terzi che abbiano interesse a impugnare la decisione che in sostanza impedirebbe la realizzazione dell’opera.

Un ultima questione riguarda la coincidenza del ministro competente alla realizzazione con il proponente, in questo caso il blocco potrà essere superato utilizzando il potere sostitutivo governativo.

Nel caso in cui si ravvisi situazione contrastanti con il giudizio espresso sulla compatibilità ambientale del progetto, oppure comportamenti contrastanti con le prescrizioni ad esso relative o comunque da compromettere l’equilibrio economico e ambientale ai sensi dell’art. 41 si darà comunicazione al ministro dell’ambiente e della tutela del territorio il quale effettuato le opportune modifiche ordina la sospensione dei lavori e impartisce le prescrizioni necessari al ripristino delle condizioni di compatibilità dei lavori.

Il d.lg. n. 152/2006 introduce la disciplina generale della valutazione ambientale strategica. Si tratta di un giudizio sulla sostenibilità condotto in un momento antecedente rispetto alla determinazione in ordine alla realizzazione della singola opera, nell’ambito della quale verranno inseriti specifici interventi.

Si coglie la volontà di predisporre uno strumento di collaborazione nei confronti del decisore pubblico, destinato ad affiancare il procedimento di scelta onde fornire gli elementi per effettuare la decisione migliore.

La Vas rappresenta un supporto collaborativo durante tutte le fasi del processo decisionale, ad esprimere una valutazione di supporto per il decisore finale, ma non vincolante nei suoi confronti la cui responsabilità rimane intatta.

Il sistema di valutazione finale dell’ambiente rimessa agli organi politici sembra in ogni caso sbilanciata, infatti l’ambiente diventa un valore che deve necessariamente essere valutato in via preventiva all’interno di scelte strategiche fondamentali, ma cessa di essere un bene assolutamente prevalente e sempre vincente.

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Gli organi tecnici si limitano a valutare la sostenibilità, mentre è rilevante che i politici si assumano la responsabilità dinanzi alla collettività di ribaltare o rivedere una decisione tecnica. Da questo punto di vista in caso di un livello politico interessato ad altri obbiettivi, ed intende procedere pur in presenza di un giudizio ambientale negativo, dovrà esplicare le ragioni che si impongono sulla specifica considerazione dell’ambiente. Sarà il politico che si assumerà le responsabilità anche verso le generazioni future .

La tensione esistente tra valutazione tecnica e politica emerge già durante i colloqui tra il parere della commissione e le esternazioni ministeriali, proprio per far evidenziare il ruolo attivo e percepibile nella valutazione complessiva e finale.

1.4 DAL D.Lgs. N 372/99 AL NUOVO D.Lgs. 18 FEBBRAIO 2005, n.59

Il forte limite di cui soffriva la direttiva 96/61/CE era rappresentato dal fatto che veniva applicato ai soli impianti esistenti, non trovando applicazione invece per gli impianti nuovi.

Tale mancanza fu colmata dal legislatore nazionale, il quale conferì al Governo una delega “ad hoc” da esercitarsi nel termine di 1 anno dalla data di entrata in vigore della legge, con la forma del decreto legislativo, per l’integrale attuazione della direttiva IPPC.

Tale delega, già prevista nella Legge Comunitaria 2001 e 2002, stabiliva in maniera precisa i relativi principi e criteri direttivi da seguire per la sua integrale attuazione.

La legge Costituzionale 3/20013 ha modificato l’art.117 Cost., prevedendo la competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (Art.117 comma .2 lett. s). In seguito a detta Legge, si è aperta la questione relativa al riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni in materia ambientale.

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Legge 18 ottobre 2001 n.3. Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

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Infatti, se l’Art.117 comma 2, lett. s sembra attribuire chiaramente allo Stato la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, tuttavia si tende interpretativamente a far rientrare materie apparentemente legate alla tutela dell’ambiente nell’ambito della potestà legislativa tra Stato-Regioni.

Un primo intervento effettuato è stato quello della Corte Costituzionale che, intervenendo con la sentenza 26 luglio 2002, n.407, ha stabilito che le Regioni possono legiferare in materia ambientale, poiché l’ambiente è un valore trasversale a materie di stretta competenza regionale quali l’urbanistica o l’uso e le trasformazioni del suolo: in tal senso, dunque, spettano all’amministrazione locale le verifiche inerenti la compatibilità degli interventi aventi potenziali ricadute sul territorio.

La legge 5 giugno 2003, n 131 sottolinea che esistono vincoli alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni ai sensi dell’articolo 117, primo comma della Costituzione, dovuta alle norme di diritto internazionale stabilito dall’art.10 della Costituzione e dagli accordi di reciproca limitazione della sovranità stabilito all’art.11 della Costituzione, dall’ordinamento comunitario e dai trattati internazionali. Tra queste norme rientrano quelle relative alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

1.5 LEGGE COMUNITARIA 2001

Nella gazzetta ufficiale n.72 del 26 marzo 2002 fu pubblicata la legge n.39 del 1 marzo 2002, la quale conteneva disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità, Legge comunitaria 2001. Tale legge conferiva al Governo la delega per l’attuazione di una serie di direttive comunitarie da emanarsi entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore di tale legge. Tra le direttive che interessavano la materia ambientale furono divise in due allegati, “a” e “b”, e proprio in quest’ultimo rientrava la direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento.

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La procedura di trasmissione alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica era limitata alla procedura degli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui allegato b, comprese la direttiva IPPC.

Il termine era di 40 giorni, ed era cmq prevista un’emanazione dei decreti, anche in mancanza del parere, qualora il termine previsto per il parere dei competenti organi parlamentari fosse scaduto nei trenta giorni che precedevano la scadenza dei termini previsti o successivamente, questi ultimi avrebbero dovuto essere derogati di novanta giorni. Era cmq previsto la possibilità per il governo di emanare disposizioni integrative e correttive di ciascuno dei decreti legislativi, ovviamente nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla stessa Legge Comunitaria 2001. Al fine di rendere omogenea la nuova disciplina legislativa delegata, era previsto secondo il disposto dell’Art. 117 quinto comma della Costituzione, che i decreti legislativi eventualmente adottati nelle materie di competenza legislativa Regionale e Provinciale entrassero in vigore e che perdessero efficacia al decorrere della data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma.

Quanto ai principi e criteri direttivi generali che il Governo avrebbe dovuto seguire nell’esercizio della delega legislativa erano i seguenti:

1. Le amministrazioni direttamente interessate, avrebbero dovuto provvedere all’attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative.

2. Al fine di evitare disarmonie con le discipline vigenti dei singoli settori interessati dalla normativa da attuare, avrebbero dovuto introdurre le occorenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse.

3. Al fine di assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, erano previste sanzioni penali ed amministrativi per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Tali sanzioni sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto, e dovevano essere uguali a quelle già

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eventualmente commesse di pari peso rispetto alle infrazioni disposizioni dei decreti legislativi.

4. Eventuali spese non previste da leggi vigenti che non riguardino l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali avrebbero dovuto essere previste nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive.

5. Attuazione di direttive che modificavano le precedenti direttive già attuate con legge o decreto legislativo; se tali modifiche non comportino l’ampliamento della materia regolata.

6. I decreti legislativi dovevano assicurare che le materie trattate dalle direttive da attuare, fossero pienamente conforme con le prescrizioni delle direttive, tenuto conto di eventuali modificazioni.

7. Nel caso in cui si verificassero sovrapposizioni di competenze tra le amministrazioni statali, i decreti legislativi avrebbero dovuto individuare, attraverso le più opportune forme di coordinamento, le procedure per salvaguardare l’unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, l’efficacia e l’economicità nell’azione amministrativa.

La delega attribuita al Governo conteneva anche il riordino della disciplina sanzionatoria di violazione previste dalle disposizioni comunitarie. La legge (art.3)4 stabiliva che al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell’ordinamento nazionale, il Governo, fatte le norme penali, era delegato ad emanare entro due anni dalla data di entrata in vigore di tale legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di direttive comunitarie ai sensi della legge 22 febbraio 1994 n.146.

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Art. 117. - La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

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Nessun onere doveva gravare sullo Stato (art.4)5 in merito a prestazione e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici preposti secondo la normativa Comunitaria, e tali oneri erano a carico dei soggetti interessati in relazione al costo effettivo del servizio.

Ultimo punto importante contenuto nella delega riguardava il riordinamento normativo delle materie interessate dalle direttive comunitarie attraverso l’elaborazione dei testi unici.

A tale scopo la legge (art.5) attribuiva al Governo la delega per poter emanare entro diciotto mesi dalla data in vigore di tale legge, testi unici, al fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse materie, apportando solo le opportune modifiche necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica della normativa, quindi la delega riguarda unicamente l’elaborazione dei testi unici.

1.6 LEGGE COMUNITARIA 2002

La legge comunitaria del 2002 recepì 37 direttive comunitarie disciplinate in materia differente, intervenendo anche in settori ambientali. Tale legge si componeva di due allegati “a” e “b”, in quest’ultimo risultano elencate le direttive oggetto di recepimento mediante la separata emanazione di decreti legislativi da parte del Governo.

Sono due le procedure previste dalla legge 2002 per l’attuazione delle norme, da un lato il conferimento di una delega parlamentare al Governo, dall’altro si prevedeva il ricorso alla formazione diretta al fine di procedere a correzioni o integrazioni della normativa già in vigore ed eliminare situazioni di possibile contrasto con il trattato CEE o con il diritto comunitario.

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Art. 118. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

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A seconda della procedura eseguita si modificavano i tempi di entrata in vigore, infatti con la formazione diretta l’efficacia coincideva con l’immediata entrata in vigore del testo normativo, mentre nel caso di delega legislativa si prevedeva uno scadenzario diverso per il Governo, entro uno o due anni.

Nel caso di un anno rientravano quei decreti che avrebbero dovuto recare l’applicazione di sanzioni penali nei casi in cui le infrazioni ledano od espongono a pericolo interessi costituzionalmente protetti.

Nel caso di due anni rientravano quei decreti legislativi contenenti disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie già attuate in via di regolamentare od amministrativa dalla Legge comunitaria 2002.

Nella terza categoria, ossia tempo di emanazione previsto in 18 mesi, rientravano quei decreti legislativi il cui compito avrebbe dovuto essere quello di riorganizzare la legislazione in alcuni settori interessati da direttive comunitarie attraverso l’adozione di testi unici di coordinamento di settori legislativi omogenei, integrando e modificando le disposizioni legislative attualmente vigenti con le nuove norme comunitarie.

1.7 LEGGE COMUNITARIA 2003

La legge 31 ottobre 2003 n.306 con cui il Parlamento delegava il Governo ad adottare entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della Legge i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi agli allegati “a” e “b”.

Tra le direttive vi era quella del 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC).

Il legislatore dedicava alcune disposizioni particolari in ordine al recepimento di talune direttive comunitarie, tra queste in particolare:

1. La delega per il recepimento, entro il 30 giugno del 2004, mediante decreto legislativo di riordino, coordinamento e integrazione, delle disposizioni legislative in materia di tutela dell’inquinamento

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acustico, nel rispetto dei principi e delle disposizioni comunitarie in materia, nonché dei principi criteri direttivi indicati dalla Legge comunitaria.

2. La delega per il recepimento integrale della direttiva 96/61/CE sulla prevenzione riduzione integrata dell’inquinamento, mediante modifiche al D.Lgs n.372/1999 in base ai principi e criteri direttivi indicati dalla Legge Comunitaria.

La nuova legge Comunitaria, per la prima volta fissava entro l’anno di presentazione, le disposizioni generali sui procedimenti per l’adempimento degli obblighi comunitari individuando a seconda delle direttive da recepire il tipo di provvedimento da adottare; in secondo luogo era prevista la possibilità per il Governo di adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati, sempre con la forma del decreto legislativo, nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi già adottati, ancora al fine di dare attuazione al nuovo disposto dell’art. 117 comma 5 Cost. , stabiliva che i decreti legislativi riguardanti materie riservate alla competenza legislativa regionale o delle provincie autonome, da un lato, sarebbero entrati in vigore alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria e, avrebbero perduto la loro efficacia dal momento dell’entrata in vigore della normativa attuativa regionale e della provincia autonoma (art.1, comma 5); quanto ai principi e criteri generali della delega legislativa, la legge Comunitaria 2003 richiamava quanto già previsto nella Legge Comunitaria 2001, ovvero che salva l’applicazione delle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sarebbero state previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi.

Diversa invece era la disciplina sanzionatoria penale (art.3), che prevedeva il conferimento di una delega per l’emanazione di norme che stabiliscono sanzioni penali o amministrative per le violazione di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa ai sensi delle Leggi comunitarie n. 146/1994 e n. 128/1998, di quella del 2003 e dei relativi regolamenti comunitari vigenti alla

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data di entrata in vigore della stessa Legge comunitaria per i quali non siano già state previste sanzioni penali o amministrative, norme che avrebbero dovute essere contenute in atti normativi assunti con la forma del decreto legislativo nel termine di 24 mesi.

In riferimento all’art. 4 , gli oneri relativi a prestazioni e controlli da eseguirsi da parte di uffici pubblici in attuazione della normativa comunitaria dovrà gravare sui soggetti interessati a meno che non contrasti con la Legge Comunitaria 2003 che fissava principi e criteri direttivi per il riordino normativo mediante l’emanazione, entro 18 mesi, dei testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie al fine di coordinare le stesse con le norme legislative vigenti nelle stesse materie, prevedendo, che le disposizioni contenute nei testi unici potessero essere abrogate, derogate, sospese o modificate solo in maniera esplicita.

1.8 D.Lgs 18 FEBBRAIO 2005 N.59

Il percorso normativo si è concluso 11 febbraio del 2005, con l’approvazione del Consiglio dei Ministri sul provvedimento legislativo di integrale recepimento della direttiva IPPC, riguardante l’approccio integrato dell’inquinamento. Tale decreto modifica e integra il precedente D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372, il quale limitava la propria efficacia agli impianti esistenti.

Il decreto in oggetto mira alla prevenzione e alla riduzione integrata dell'inquinamento proveniente dalle attività industriali indicate nell'allegato I. Esso prevede misure intese ad evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel terreno, nonché la produzione di rifiuti in relazione alle principali attività industriali.

Le principali innovazioni introdotte da tale provvedimento riguardano un approccio integrato della valutazione degli effetti delle attività sull’ambiente. Tutte le autorizzazioni ambientali, esistenti precedentemente, vengono sostituite da un’unica autorizzazione integrata ambientale, rilasciata da un’unica Autorità, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, dalla quale consegue una

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notevole semplificazione per i gestori. Tale provvedimento, autorizza l'esercizio di un impianto o di una parte di esso a determinate condizioni che devono garantire che l'impianto sia conforme ai requisiti finalizzati alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento, nei termini stabiliti dal decreto stesso.

A quest’ultimi non è più richiesto solo di rispettare i limiti di emissione, ma soprattutto di utilizzare le migliori tecniche disponibili sul mercato (BAT). Queste tecnologie dovranno essere disponibili sul mercato e dovranno anche essere tecnicamente ed economicamente fattibili, al fine di garantire la migliore prestazione ambientale. È previsto un riesame e controllo al fine di garantire il progressivo aggiornamento degli impianti alle migliori tecniche disponibili. Tale decreto pur abrogando il D.Lgs del 4 agosto 1999 n.372 si pone su una linea di continuità con il precedente decreto della direttiva IPPC, opportunamente integrato per sanare quel deficit previsionale che ne aveva caratterizzato la vigenza dalla data della sua entrata in vigore.

1.8.1 LE PRINCIPALI NOVITà DEL D.Lgs del 18 FEBBRAIO 2005.

- L’art 1 di tale decreto sopprime il limitato riferimento ai soli impianti esistenti contenuto nell’originario comma 2 del D.Lgs n. 372/99. Sono presenti i nuovi commi 3 e 5, i quali disciplinano il rilascio dell’A.I.A. per gli impianti di produzione energetica superiore ai 300 MW termici e per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, dettandone i principi per il quale il procedimento di rilascio dell’autorizzazione integrale ambientale per gli impianti svolgenti le attività indicato nell’allegato I, deve garantire contestualmente, ove ne ricorrano le condizioni, anche l’osservanza di quanto previsto all’art. 27 del D.Lgs n.22/19976 in materia di approvazione del progetto e autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.

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Art.27 approvazione del progetto e autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.

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- L’art. 2 chiarisce il concetto di “impianto esistente”, definito come un impianto che dal 10 novembre 1999 aveva ottenuto tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per il suo utilizzo, o il provvedimento positivo di compatibilità ambientale, o per il quale a tale data erano state presentate richieste complete per tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per il suo esercizio, a condizione che esso sia entrato in funzione entro il 10 novembre 2000.

- L’art. 3 resta inalterato rispetto al testo previgente, principi generali dell’autorizzazione integrata ambientale, limitatamente al comma 1, determinando la soppressione dei rimanenti commi che sono stati trasferiti con le opportune modifiche ed integrazioni nel nuovo art. 4.

- L’art. 4, comma 1, dopo aver stabilito che l’autorizzazione integrata ambientale è rilasciata tenendo conto delle considerazioni riportate nell’allegato IV e delle informazioni diffuse ai sensi del successivo art.14 comma 4, richiama il rispetto delle linee guida da emanarsi con uno o più decreti dei Ministri sentiti la Conferenza unificata, procedura che deve essere seguita anche per provvedere al loro aggiornamento ed integrazione in base anche allo scambio di informazioni previste dal successivo art. 14 commi 3 e 4. Per la definizione di tali linee guida, si prevede l’istituzione di un’apposita Commissione di esperti formata anche da rappresentanti di interessi industriali e ambientali.

Il comma 3 sostituisce la fonte normativa a cui è demandata la determinazione dei requisiti per talune categorie di impianti, prima rappresentata da un atto di indirizzo e coordinamento adottato ex art. 8 legge n. 59/97. Infine il nuovo comma 4 pone un principio generale che fissa una sostanziale equiparazione tra i requisiti tecnici per le discariche di rifiuti da autorizzare e quelli contemplati dal decreto di recepimento della direttiva IPPC.

- Il nuovo art.5 (procedura di rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale) costituisce il naturale completamento ed integrazione del previgente art. 4, dettante la disciplina per l’adeguamento del funzionamento degli impianti esistenti. Tale disposizione inserisce un preciso riferimento all’esercizio dei nuovi impianti ed alla modifica sostanziale per l’attivazione della procedura di rilascio. Viene posto un limite di informazioni contenute nella domanda di

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rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale e viene stabilita una nuova calendarizzazione delle scadenze per la presentazione delle domande di rilascio anche a mezzo di procedure telematiche. Per gli impianti statali viene istituita un’apposita commissione istruttoria IPPC (nuovo comma 9), apportando modifiche alla disciplina della conferenza di servizi, coinvolgendo in maniera maggiormente pregnante l’ente locale in materia di tutela della salute della popolazione residente (nuovo comma 11), viene riformulato, coordinandolo con quello di rilascio della V.I.A., il procedimento di rilascio dell’A.I.A., viene in particolare, riformulato il testo previgente art 4 comma 10, ribadendo la natura giuridica dell’A.I.A. quale autorizzazione plurima prevedendo che quest’ultima abbia natura sostitutiva di quelle autorizzazioni previste per le attività di cui al nuovo allegato II, il cui elenco è suscettibile di modifiche a mezzo di apposito D.M.; vengono ancora rideterminate le modalità di esercizio del diritto di accesso delimitando i casi in cui l’autorità competente è legittimata a rendere non ostensibili i dati; viene ancora introdotta la possibilità di accordi tra gli enti interessati al fine di garantire l’armonizzazione tra lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, le politiche del territorio e le strategie aziendali; viene fissato un nuovo ed improrogabile termine per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale anche in caso di necessaria osservanza di obblighi imposti da disposizioni comunitarie.

- L’art. 6 è una nuova disposizione che si occupa degli indirizzi per garantire l’uniforme applicazione sul territorio nazionale che demanda ad appositi decreti ministeriali la determinazione degli indirizzi per l’applicazione uniforme da parte delle autorità competenti delle disposizioni del decreto legislativo.

- L’art. 7 riguarda le condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale la quale si pone su una linea di continuità logica con il previgente art.5 rimodulandone il contenuto in relazione alle novità introdotte dal decreto legislativo di integrale recepimento con riferimento ai nuovi impianti o alle modifiche sostanziali.

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- L’art.9 sostituisce il previgente art.7, in particolare fermo restando il termine quinquennale per il rinnovo delle condizioni dell’A.I.A. e di 8 anni per gli impianti di cui al previgente comma 1-bis dell’art. 7 si stabilisce tempi più lunghi per il primo rinnovo dell’A.I.A. per gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici.

- L’art.10 (modifica degli impianti o variazione del gestore) riproduce sotto il profilo contenutistico il cessato art.8 D.Lgs, n. 372/99, adeguandolo alla nuova disciplina che contempla anche le modifiche sostanziali, aggiungendo un obbligo di comunicazione all’autorità competenti da parte del vecchio e del nuovo gestore dell’impianto, in caso di variazioni della titolarità della gestione (comma 4).

- L’art.11 (rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale) apparentemente più complesso sotto il profilo contenutistico dell’art.9 che sostituisce, contiene l’obbligo per l’organo ispettivo di comunicare tutte le informazioni in materia ambientali rilevanti per l’applicazione del nuovo decreto di recepimento della direttiva IPPC.

- L’art.12 (inventario delle principali emissioni e loro fonti) richiama il contenuto del cessato art. 10, mantenendo fermo il termine del 30 aprile di ogni anno per la trasmissione da parte dei gestori di tutti gli impianti dei dati caratteristici alle emissioni, demandando ad un apposito D.M. il compito di apportare modifiche ai dati ed al formato della comunicazione.

- L’art.13 riguarda l’osservatorio l’applicazione comunitaria, nazionale e regionale, della direttiva IPPC e del relativo decreto di integrale recepimento posto a servizio delle autorità competenti presso il quale devono convogliare tutti i dati riguardanti le domande inoltrate, le autorizzazioni rilasciate e gli aggiornamenti successivamente intervenuti, anche per gli impianti di competenza statale.

- L’art. 14 riguarda le modifiche di natura formale che sostituiscono il previgente art.11, fermo restando il termine triennale di trasmissione al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio della comunicazione di cui al vecchio comma 1, infatti la nuova disposizione contiene un esplicito riferimento al

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formulario sulla cui base tale comunicazione deve essere trasmessa sia, ancora, al questionario stabilito dalla Commissione Europea che deve essere predisposto ed inviato alla competente Commissione UE a cura del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, modificandosi peraltro il triennio di riferimento della prima relazione; viene maggiormente rafforzato l’obbligo per il Ministero di assicurare in maniera più ampia l’informazione del pubblico sullo stato di attuazione dei lavori relativi allo scambio di informazioni.

- Nessuna modifica sostanziale interessa il nuovo art.15, che sostituisce il cessato art.12, più incisive sono le modifiche riguardanti l’apparato sanzionatorio, disciplinato dall’art.16 ed in precedenza dall’art.13. Infatti mentre per le sanzioni penali il legislatore ha previsto un lieve adeguamento monetario delle pene pecuniarie originariamente previste, le maggiori novità riguardano le condotte punite con sanzioni amministrative pecuniarie anch’esse adeguate negli importi, escludendo in particolare l’applicazione della sanzione per il gestore che omette la comunicazione prevista dal nuovo art.11 al sindaco del Comune o dei comuni interessati, resa necessaria dalla rimodulazione della competenza nei casi in cui si manifestino situazioni di pericolo o di danno per la salute quindi, vengono introdotti i nuovi commi 8 e 10 disciplinati da organi competenti all’erogazione delle sanzioni (prefetto o autorità competente). La destinazione dei proventi delle sanzioni ed infine l’esclusione dell’applicazione delle sanzioni relative a fattispecie oggetto del nuovo art.16, qualora previste da disposizioni di legge diverse da quelle contemplate nel nuovo decreto legislativo di recepimento della direttiva IPPC, individuando anche il termine iniziale.

-Totalmente innovative sono le norme che vanno a sostituire con profonde modifiche, gli articoli 14 e 15 del D.Lgs 372/99. Il nuovo art.17 risulta essere maggiormente articolato rispetto al precedente art.14, il quale era formato unicamente da solo un comma. Tale articolo attua una puntuale disciplina per i gestori degli impianti esistenti, D.M. 16 gennaio 2004, n.44, che ricadono nel campo di applicazione del nuovo decreto legislativo di recepimento della direttiva IPPC, prevedendosi una valutazione in seno ad un procedimento integrato. In secondo luogo si stabilisce il principio dell’immanenza per i

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procedimenti amministrativi finalizzati al rilascio dell’A.I.A. in corso all’atto dell’entrata in vigore del nuovo decreto legislativo di recepimento integrale, nel senso che l’autorità competente al rilascio dell’A.I.A. è quella che aveva l’incarico della domanda fissando il termine di 60 giorni per il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio per assumere le determinazioni necessarie al rilascio dell’A.I.A., per gli impianti di competenza statale demandando al Consiglio dei Ministri la decisione definitiva in caso di diniego o di inerzia ministeriale entro il termine indicato. Si fissa ancora il principio dell’ultravigenza delle linee guida già elaborate sotto l’applicazione del D.Lgs n.372/99 rispetto a quelle di nuova previsione, quantomeno nelle more della loro approvazione, con facoltà del gestore di integrare la domanda già presentata dopo la pubblicazione del D.M. contenente le nuove linee guida, si segnala, poi, la cosidetta clausola di salvezza che mantiene l’efficacia delle autorizzazioni integrate ambientali rilasciate sotto la vigenza del D.Lgs n.372/99 fino alla data di entrata in vigore del nuovo decreto legislativo di recepimento integrale della direttiva IPPC, onerando l’autorità che ha provveduto al rilascio dell’A.I.A. di verificare la necessità di procedere ad un riesame della stessa. Infine si introduce una causa temporanea di esclusione della punibilità dal reato di cui all’art 16 comma 1, laddove si tratti di attività industriale per la quale è necessaria l’emanazione di un calendario che determini le scadenze per la presentazione delle domande di rilascio dell’A.I.A., per gli impianti esistenti ovvero per quelli nuovi, già dotati di A.I.A. all’atto di entrata in vigore del nuovo decreto legislativo di recepimento, punibilità esclusa fino al termine fissato nel calendario e nelle more della conclusione del procedimento relativo alla domanda presentata entro tale termine.

- L’art.18 presenta una struttura più complessa dell’art 15 che và a sostituire. Viene modificato il termine entro il quale dovrà essere emanato un D.M. per disciplinare le modalità anche contabili e le tariffe da applicare in relazione alle istruttorie ed ai controlli previsti, oltre che i compensi spettanti ai componenti della nuova commissione istruttoria istituita con il nuovo decreto legislativo di recepimento; viene poi demandato a un apposito D.M. il compito di

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modificare il nuovo allegato V al decreto legislativo di recepimento, in vista di assicurare il coordinamento tra le procedure IPPC e quelle in materia di VIA, viene ancora introdotto un obbligo di comunicazione di un elenco di piani e di un riepilogo dei dati storici conoscitivi del territorio e dell’ambiente da parte degli enti locali, università e s.p.a. a prevalente partecipazione pubblica al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, autorità competente che ha il correlativo obbligo di rendere disponibili queste informazioni ai gestori, salvi i casi di riservatezza; ancora, è demandato ad un apposito D.M. il compito di disciplinare le modalità di rilascio dell’autorizzazione qualora si tratti non di uno ma di più impianti o di parti di essi localizzati sullo stesso sito e gestiti dal medesimo gestore e che sarebbero formalmente soggetti a più procedimenti di rilascio da parte di diverse autorità competenti.; sempre ad un apposito D.M. è poi demandato il recepimento delle direttive comunitarie tecniche di modifica degli allegati I, III, IV al nuovo decreto legislativo; infine, le Considerazioni da tenere presenti in generale o in un caso particolare nella determinazione delle migliori tecniche disponibili, tenuto conto dei costi dei benefici che possono risultare da un’azione e del principio di precauzione e prevenzione.

- L’art.19 prevede l’abrogazione espressa di alcune disposizioni o perché incompatibili con quelle dettate dalla nuova disciplina ovvero perché superiori alle nuove previsioni introdotte con il decreto di recepimento integrale della direttiva IPPC.

1.9 NORMATIVA EUROPEA E NAZIONALE SUL TEMA

DELL’INCENERITORE.

L’Unione Europea ha disciplinato il tema dell’incenerimento dei rifiuti con la direttiva 2000/76/CE, la quale fissava dei limiti più rigorosi per le emissioni in atmosfera degli impianti di incenerimento.

Quando venne presentata tale direttiva, il regime comunitario in materia di incenerimento dei rifiuti comprendeva le direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE le

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quali riguardavano gli impianti esistenti e nuovi e la direttiva 94/67/CEE che riguardava l’incenerimento dei rifiuti pericolosi.

La direttiva 2000/76/CE ha il compito di disciplinare sia l’incenerimento dei rifiuti urbani non pericolosi, ma anche l’incenerimento dei rifiuti non pericolosi diversi da quelli urbani (per esempio i fanghi di depurazione, i pneumatici e i residui di origine medica) e dei rifiuti pericolosi esclusi dalla direttiva 94/67/CE (come gli oli usati e i solventi), tale direttiva disciplina anche gli impianti di coincenerimento (impianti la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali, che utilizzano regolarmente o in via aggiuntiva rifiuti come combustibile e in cui i rifiuti sono sottoposti ad un trattamento termico ai fini di smaltimento).

In tale legislazione viene integrata i progressi tecnici in materia di controllo delle emissioni e dei procedimenti di incenerimento al fine di garantire il rispetto degli impegni internazionali presi dalla Comunità in materia di riduzione dell’inquinamento, in particolare quelli riguardanti la fissazione di valori limite per le emissioni di diossine, di mercurio e di polveri causate dall’incenerimento dei rifiuti.

L’Italia ha recepito tale direttiva con il D.Lgs 133 dell’11 maggio 2005, attuazione integrale della direttiva 2000/76/CE in materia di incenerimento dei rifiuti che si configura quale testo unico in materia.

Al fine di prevenire o limitare gli effetti dannosi per l’ambiente e i relativi rischi per la salute umana sono state previste rigorose condizioni di esercizio e prescrizioni tecniche per gli impianti.

Tale disposizioni prevedono:

- I valori limite di emissioni;

- I metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti dagli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti;

- I criteri e le norme tecniche riguardanti le caratteristiche costruttive, funzionali e gestionali degli impianti di incenerimento e di coincenerimento, con particolare riferimento alle esigenze di assicurare

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una protezione integrata del’ambiente contro le emissioni causate da detti impianti;

- Le modalità per la concessione dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio e per l’adeguamento degli impianti esistenti alle nuove disposizioni.

Le domande di autorizzazione dovranno contenere una descrizione delle misure previste per garantire:

- L’impianto sia progettato e gestito in maniera conforme alle prescrizioni del decreto;

- Il calore generato durante il processo di incenerimento e di coincenerimento sia recuperato (per quanto possibile).

- I residui derivanti dal trattamento termico siano ridotti al minimo in quantità e nocività, ove possibile, riciclati o recuperati, o smaltiti in conformità alle disposizioni del D.Lgs. 22/97.

- Le tecniche di misurazione per le emissioni negli effluenti gassosi e nelle acque di scarico siano conformi ai requisiti fissati dagli allegati al decreto.

L’autorità competente dovrà riportare nell’atto autorizzativo, le categorie dei rifiuti che possono essere trattati, con l’indicazione dei relativi codici, della capacità nominale, del carico termico dell’impianto e delle quantità autorizzate per le singole categorie dei rifiuti; i valori limite di emissione per ogni singolo inquinante, le procedure di campionamento e misurazione utilizzate per ottemperare agli obblighi di controllo periodico e sorveglianza nonché la localizzazione dei punti di campionamento e misurazione. Sono inoltre riportate le modalità e la frequenza dei controlli programmati per accertare il rispetto delle condizioni e delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, da effettuarsi da parte delle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente, con oneri a carico del gestore. La normativa prevede l’istallazione obbligatoria di sistemi di misura, SME, che permettono di tenere sotto controllo i parametri e i limiti di emissione pertinenti.

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I valori limite di emissione in atmosfera risultano uguali sia ai valori del d.lgs. 133/2005 che ai limiti previsti dal D.M. 124/2000, questo approccio è volto a chiarire che la distinzione tra i rifiuti pericolosi e i rifiuti non pericolosi si basa essenzialmente sulle loro caratteristiche prima dell’incenerimento e non sulle emissioni provocate dalla combustione.

Le disposizioni introdotte dal decreto 133/2005 seguono l’approccio integrato che mirano a ridurre complessivamente il rilascio di sostanze inquinanti nell’ambiente terrestre, evitando il passaggio da un comparto all’altro.

Si prevede inoltre che la dismissione degli impianti debba avvenire nelle condizioni di massima sicurezza e che il sito debba essere bonificato e ripristinato ai sensi della normativa vigente.

Esiste per gli impianti di incenerimento e di coincenerimento che superano una certa portata nominale definita dalla legge, un regime procedurale e tecnico differente in quanto sono assoggettati all’Autorizzazione Integrata Ambientale, di cui al d.lgs 59/2005 sulla prevenzione e la riduzione integrata dell’inquinamento (IPPC).

La direttiva IPPC e il d.lgs 59/2005, presuppongono che per la concessione dell’autorizzazione integrata ambientale gli impianti adottino le migliori tecnologie disponibili (BAT).

1.9.1 BEST AVAILABLE TECHNIQUES

Un aspetto fondamentale della disciplina IPPC è l’introduzione delle BAT, il quale significa le migliori tecniche disponibili.

“Tecniche”, si intende sia le tecniche impiegate, sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’impianto.

“Migliori”, qualifica le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.

“Disponibili”, qualifica le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economiche e tecniche valide nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi,

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indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli.

Le BAT costituiscono un concetto dinamico, ossia devono essere aggiornate nel tempo, compatibilmente con le innovazioni ed i progressi tecnologici. Per la loro individuazione è necessario tenere in considerazione i seguenti punti:

 Impiego di tecniche a scarsa produzione di rifiuti;  Impiego di sostanze meno pericolose;

 Sviluppo di tecniche per il recupero e il riciclo delle sostanze emesse e usate nel processo, e , ove opportuno , dei rifiuti.

 Processi, sistemi o metodi operativi comparabili, sperimentali con successo su scala industriale.

 Progressi in campo tecnico e evoluzione delle conoscenze in campo scientifico.

 Natura, effetti e volume delle emissioni in questione.  Date di messa in funzione degli impianti nuovi o esistenti.

 Tempo necessario per utilizzare una migliore tecnica disponibile.  Consumo e natura delle materie prime ivi compresa l’acqua usata

nel processo e efficienza energetica

 Necessità di prevenire gli incidenti e di ridurre le conseguenze per l’ambiente.

È necessario dunque valutare l’introduzione di tecniche che permettono una riduzione quantitativa della produzione dei rifiuti, l’utilizzo di tecnologie sempre più aggiornate, l’attenzione per il consumo di materie prime e la necessita di prevenire o di ridurre al minimo l’impatto globale sull’ambiente delle emissioni e dei rischi. Bisogna tenere in considerazione durante la selezione delle BAT anche l’aspetto relativo alla loro applicabilità economica.

Infatti in alcuni casi potrebbe essere tecnicamente possibile conseguire migliori livelli di emissioni e/o consumo, ma a causa dei costi necessari e delle implicazioni tra comparti ambientali, tali livelli potrebbero non essere adeguati come BAT per il settore nel suo complesso.

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È necessario effettuare una cernita per poter raggiungere la definitiva determinazione della BAT.

Questo processo sarà così costituito:

1. Individuazione degli aspetti ambientali fondamentali per il settore; 2. Analisi delle tecniche più appropriate per affrontare tali aspetti

fondamentali;

3. individuazione dei migliori livelli di efficienza ambientale sulla base dei dati disponibili nell’Unione europea e a livello mondiale; 4. Analisi delle condizioni in cui tali livelli di efficienza ambientale

sono stati raggiunti,;

5. selezione delle migliori tecniche disponibili e dei relativi livelli di emissione e o di consumo per il settore in senso generale.

Un punto focale della direttiva IPPC è quello di stimolare un costruttivo scambio di informazioni riguardo le BAT tra gli Stati Europei e le industrie.

Ai sensi dell’art.16 della direttiva 96/61/CE (AIA-IPPC), la Commissione organizza lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e i relativi sviluppi. La Commissione ha istituito presso il Centro Comunitario di Ricerche di Siviglia, lo European IPPC Bureau (EIPPCB), un ufficio a cui spetta il compito, mediante una serie di gruppi tecnici, di redigere dei documenti di riferimento per ciascuna delle categorie d’industria in base all’allegato 1 della direttiva 96/61/CE, i cosiddetti BREFs (Best, Available, techniques, REFerence, documents).

Il BREF funge da supporto agli stati membri nella redazione delle linee guida nazionali per lo specifico settore, e fornisce un valido e consistente riferimento per l’individuazione delle migliori tecniche disponibili, oltre a rappresentare una notevole fonte di informazioni per tutti i soggetti interessati. È importante evidenziare che questo documento non prescrive una tecnica o tecnologia né intende fissare alcun limite di emissione. Il loro scopo è quello d’informare l’industria, gli Stati membri e l’opinione pubblica sulle performances ed i livelli

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di emissione e/o di consumo che si possono ottenere tramite l’utilizzo di determinate tecniche e procedure.

Gli obbiettivi che si vogliono raggiungere tramite la pubblicazione di questi documenti sono:

- Uniformare il livello tecnologico dei paesi membri della CE.

- Diffondere la conoscenza dei valori limite e delle tecnologie più efficaci nell’ottenere un alto livello di protezione dell’ambiente.

- Assistere gli Stati membri nell’applicazione della Direttiva e le Autorità competenti nel processo di “decision making”.

- Permettere ai gestori degli impianti di porre a confronto le proprie performance ambientali con i livelli di emissione e di consumo conseguibili attraverso l’adozione delle migliori tecnologie disponibili. Riguardo al settore dei rifiuti due sono i BREFs di riferimento elaborati dai gruppi tecnici e recentemente adottati dalla Commissione Europea, Waste incineration e Waste Treatments, documenti che indicano le migliori tecniche per gli impianti di gestione dei rifiuti.

L’Italia, grazie all’istituzione di una Commissione di esperti, ha provveduto progressivamente a attuare i suddetti documenti predisponendo delle Linee Guida relative alle migliori tecniche disponibili emanate con un decreto del Ministro dell’ambiente.

1.9.2 IL DREF WASTE INCINERATION

Questo documento fornisce inizialmente informazioni generali relative al settore dell’incenerimento dei rifiuti e degli elementi teorici dei processi di incenerimento, definendone il quadro legislativo. Successivamente vengono descritte le tecniche applicate nell’incenerimento a seconda delle diverse categorie dei rifiuti, la fase del pretrattamento, lo stoccaggio, la movimentazione dei rifiuti, il trattamento termico conseguente al recupero dell’energia, il trattamento delle emissioni gassose, liquide e solide e il monitoraggio delle stesse.

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Il documento poi esamina le tecniche, fornendo per ciascuna di esse informazioni sui livelli di emissione e costi di gestione.

Nel documento si tratta la possibilità di poter considerare dei pretrattamenti a monte, ben valutando i consumi energetici e i gradi di pretrattamento, in funzione della tecnologia di combustione prescelta a valle, si passa successivamente al recupero energetico, fornendo anche una formula per la determinazione dell’efficienza energetica di un inceneritore, in base alla quale si distingue tra impianto di recupero e impianto di smaltimento.

Analizziamo adesso quelle tecnologie che permettono di migliorare le prestazioni ambientali degli impianti di inceneritore

1.9.2.1 CONOSCENZA DELLA COMPOSIZIONE DEL RIFIUTO PER MIGLIORARE IL PROCESSO.

Una delle decisioni più importanti da prendere riguarda la tipologia di trattamento termico da utilizzare nell’impianto. Per la scelta della tecnica di combustione idonea è necessario tenere in considerazione anche ulteriori criteri tecnici quali:

 Composizione chimica dei rifiuti e loro variazione.  Composizione fisica dei rifiuti e loro variazione.  Caratteristiche termiche.

 Capacità di trattamento richiesta.

 Limiti di emissione richiesti, e sistemi di abbattimento presenti o previsti.

Molti impianti di incenerimento di rifiuti hanno un controllo relativamente limitato sull’effettivo contenuto dei rifiuti conferiti. Questo si riflette nel bisogno di progettare processi sufficientemente flessibili per far fronte al range di rifiuti in entrata.

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1.9.2.2 CONTROLLO DI QUALITà DEI RIFIUTI IN ENTRATA.

Ogni processo presenta dei limiti riguardo le caratteristiche dei rifiuti che può trattare ed è necessario identificarli, al fine di elaborare le tecniche migliori per intercettare nelle fasi di conferimento i materiali con caratteristiche non idonee all’impianto.

Conoscere le caratteristiche dei rifiuti in entrata è fondamentale per poterne ottimizzare la gestione, ad esempio l’omogeneità del rifiuto diventa rilevante per due differenti aspetti:

o L’omogeneità relativa alle caratteristiche fisiche del rifiuto influenza le proprietà di combustione del rifiuto

o L’omogeneità connessa alle sostanze pericolose ha conseguenze sulle emissioni

È auspicabile istaurare una proficua collaborazione con i soggetti fornitori di rifiuti, per migliorare i controlli sul materiale conferito, ed organizzare una procedura di campionamento per la verifica dello stesso.

L’applicazione di tale accorgimento è attuabile su tutti gli impianti di incenerimento e risulta particolarmente vantaggioso per quelli che ricevono rifiuti da varie fonti.

Le tecniche da adottare nel controllo dei rifiuti vanno dalla semplice valutazione visiva alle analisi chimiche complete.

1.9.2.3 STOCCAGGIO DEI RIFIUTI.

Lo stoccaggio dei rifiuti avviene in un’area dotata di superfici sigillate, resistenti ed impermeabili, fornite di un apposito sistema di drenaggio e protette dagli agenti meteorologici. In questo modo si evita il rilascio di sostanze, sia direttamente dal rifiuto, che attraverso il percolato prodotto.

Uno stoccaggio idoneo permette di ridurre la mobilizzazione degli inquinanti, di prevenire l’ingresso di vento e acque meteoriche, di diminuire il deterioramento dei contenitori e di ridurre le emissioni odorose.

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Tramite una gestione efficiente del conferimento dei rifiuti e un controllo dei volumi di materiale stoccato si può ottenere una minimizzazione dei tempi di stoccaggio, in questo modo si previene la putrefazione dei composti e tutti i problemi connessi (difficoltà di gestione e trattamento e rilascio di sostanze odorigine). Lo stoccaggio dei rifiuti solidi urbani solitamente ha una durata massima di 4 giorni.

Al fine di evitare sostanze odorose e di assicurare la distribuzione di eventuali emissioni inquinanti è possibile aspirare l’aria dalla fossa di accumulo per utilizzarla come aria di combustione primaria.

La costruzione di un impianto a più linee di incenerimento, con minor potenzialità singola, presenta alcuni vantaggi rispetto ad un impianto con una sola linea ad alta capacità di trattamento.

Permette inoltre di poter programmare la manutenzione in momenti diversi per ogni linea, questo assicura di aver sempre un processo di incenerimento a disposizione per poter trattare l’aria aspirata dalla fossa di accumulo.

Alle operazioni di controllo, campionamento e verifica dei rifiuti in ingresso, si può aggiungere un processo di separazione suddivisione di determinati materiali. Questo è di particolare importanza nel caso di rifiuti industriali e sanitari, ad esempio per separare sostanze chimicamente incompatibili o per garantire un corretto stoccaggio a particolari tipologie di materiali.

I rifiuti conferiti in containers possono venire etichettati, in modo da migliorarne la identificazione e rintracciabilità all’interno dell’impianto, con il vantaggio di poter scegliere sempre le tecniche di gestione più idonee.

1.9.2.4 PRETRATTAMENTO DEI RIFIUTI IN ENTRATA.

I rifiuti solidi caratterizzati da un’alta eterogeneità risultano più facilmente gestibili se vengono mescolati durante lo stoccaggio, tramite l’azione di gru all’interno della fossa di accumulo. Gli operatori possono selezionare ogni carico di rifiuti da avviare al sistema di alimentazione, al fine di evitare problematiche connesse con le dimensioni o la tipologia di rifiuti.

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