• Non ci sono risultati.

Capitolo 1

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 1  

Conservazione e sviluppo nei parchi antropizzati 

 

 

1.1 L’evoluzione nel concetto di conservazione 

Il concetto di conservazione nel tempo ha subito profondi mutamenti e tuttora non si è giunti ad una visione univoca. La contrapposizione di pensiero nel dibattito tra protezione dall’uomo e tra protezione dell’uomo esiste da sempre e nella sua evoluzione ha interessato sia le scienze naturali che quelle sociali. Di seguito viene riportato, senza presunzione di completezza, un excursus di tutte le tappe che hanno portato alla concezione attuale.

1.1.1 I primi “parchi” 

Da quando la civiltà umana è comparsa nella terra ha sempre destinato spazi di territorio a fini particolari. Questo processo trova avvio già nella preistoria, quando si è iniziato a riservare spazi per il culto delle divinità, ed è proseguito nel tempo con le foreste sacre dei Romani fino ad arrivare agli esempi più recenti delle popolazioni basate su cacciatori e raccoglitori che proteggono luoghi come la foresta Naimina

Enkiyio in Kenya, considerata sacra dai Maasai Loita o la montagna sacra (Ayers Rock)

degli Pitjantjatjara, oggi Parco Nazionale Uluru (Uluru - Kata Tjuta National Park), la cui amministrazione è affidata agli aborigeni australiani (Apat.it e Wikipedia.it, 2007).

Durante il periodo medioevale il concetto di area protetta era inteso come riserva, infatti per secoli furono creati spazi destinati all’utilizzo esclusivo dell’arte venatoria da parte dei nobili. Esempi in tal senso sono le riserve di caccia dei Savoia in diverse valli del Piemonte e della Valle d’Aosta e la foresta nera di Sherwood vicino a Nottingham, che prima di essere teatro delle ipotetiche scorrerie di Robin Hood, è stata la riserva reale dei sovrani normanni. Molti di questi territori con il passere del tempo e con le mutate necessità socioeconomiche sono diventati parchi naturali o riserve integrali.

(2)

Per trovare i primi episodi di tutela pubblica della natura si deve arrivare fino all’ottocento e sono da ricondursi a finalità esclusivamente estetiche come la riserva delle Hot Springs in Arkansas creata nel 1832 oppure come la riserva artistica della foresta di Fontainebleu vicino a Parigi, fondata nel 1853. Lo scopo istitutivo di quest’ultima era quello di proteggere la selva dalle imponenti opere di disboscamento e preservare così il paesaggio che i pittori già dal XVIII secolo ritraevano.

 

1.1.2 La conservazione nei parchi nazionali 

La concezione di area protetta in termini moderni trova origine già nella seconda metà dell’ottocento, quando si iniziano a sentire gli effetti dirompenti della rivoluzione industriale e dell’espandersi delle città. Inoltre nello stesso periodo si rendono più insistenti le voci preoccupate di naturalisti e zoologi che allarmano l’opinione pubblica contro l’estinzione di alcune specie soggette a sistematico abbattimento come il bisonte nelle pianure dell’West americano. Queste preoccupazioni fecero nascere nelle coscienze una nuova visione della tutela del territorio, e i risultati non tardarono ad arrivare, infatti nel 1864 l’intera vallata di Yosemite viene dichiarata area protetta dagli Stati Uniti d’America.

Per vedere nascere il primo parco nazionale della storia bisogna aspettare il 1872 quando, nel vastissimo territorio appartenente agli stati del Wyoming, Montana, Idaho, viene istituito il parco nazionale di Yellowstone. Negli anni successivi seguiranno i parchi di Mac Kinac Island (1875), Yosemite e General Grant (1890), i quali costituiranno il primo nucleo americano dei parchi nazionali (Giacomini e Romani, 1982).

Questi primi atti di conservazione nel panorama americano denotano alcuni tratti caratteristici: la ricerca di identità nazionale, l’affermazione del principio democratico di public enjoyment e la conservazione di una natura incontaminata (Calafati, 1999).

In questo periodo, e per molti anni a venire, gli intendimenti della conservazione avranno per oggetto le bellezze naturali , e quindi la preservazione di grandi ambiti di eccezionale valore estetico dalle alterazioni umane, ma soprattutto è da notare come essi siano già dal principio finalizzati al “beneficio e godimento del popolo” (Giacomini e Romani, 1982).

Lo scopo principale diventa quello di preservare la natura di un determinato territorio, sottraendolo a qualsiasi forma di alterazione conseguente all’azione umana,

(3)

al (id al co en w an   Fig    pe L vi pa se su fo si co (C qu ne llo scopo d dentità) am In qu ll’uomo, e n ontemplazio normi spazi ilderness a ntropica con g. 1.1 – Sinte In co eriodo, si ’oggetto sp iene consid atrimonio n A dif elvaggia, in uoi caratteri orte differen vuole espr omune la ca Calafati, 199 Bisog uesto pregiu egli anni ’3 di tramanda ericana (Ca uesto conte non viene d one del val i incontamin americana, nsentita. esi della visio ontrapposizi è venuta a pecifico del derato l’elem azionale (L fferenza de questo caso i di ordine e nza con la tr rimere una apacità di n 99). gna aggiung udizio, fino 0 erano esp are alle fu alafati, 1999 esto il con data nessuna lore scenico nati sono i infatti il one american ione al co a creare un lla conserva mento che Lowenthal, 1 ella concez o il paesagg e di stabilità radizione am concezione nutrire sent gere che l ad esprime pressione, o uture genera 9). ncetto di co a attenzione o e panora valori supr godimento na (Calafati,  oncetto di na visione azione nell più di ogn 1991). zione ameri gio da prese à introdotti a mericana è r e elitaria de timenti di fr a società b ere attravers oltre che dei

azioni elem onservazion e alla vita e amico e la remi che po dei beni 1999) conservazi britannica la tradizion ni altro asp icana di p ervare è que artificiosam rappresenta el sentire u ronte alle b britannica h so gli stessi i proprietar menti costit ne è dedic ecosistemica fruizione r ortano alla c ambientali ione ameri di protezi ne inglese è petto della aesaggio in ello modific mente negli e

ata dal fatto

umano, che bellezze natu ha progres i movimenti ri terrieri e tutivi dell cato princip a dell’ambi ricreativa d conservazio è l’unica icana, nello ione del te è il paesag vita rappre nteso come ato dall’uom ecosistemi.

che “in Ing

preclude a urali e di g sivamente i protezioni delle élite c la storia palmente iente. La di questi one della attività o stesso erritorio. gio, che esenta il e natura mo con i Un’altra ghilterra all’uomo goderne” rifiutato istici che culturali,

(4)

anche d accesso P del mov principa   Fig. 1.2 – L adotta u obiettiv invece, bellezza conserv Entramb tal punt Conserv (Nation Fig. 1.3 – delle associa alla campa Più in gener vimento dei ali. – Duplice int La prima, a un concetto vo si pone si afferma c a scenica in vazione dell be le conce to da crear vancy) e l’ al Park Com – Sintesi dell azioni labor agna e alla n rale, se si v i parchi naz erpretazione anche in ord di paesaggi solo la co con gli svilu ntroducono la natura vie ezioni vengo re due agen ’altra per l mmission). a visione bri riste e delle natura a fini ogliono trov zionali in G e del paesag dine cronolo io con una c onservazion uppi novece il concetto ene intesa c o prese in c nzie: una p a protezion tannica (Cala e classi lavo i ricreativi ( vare i conce Gran Bretagn gio inglese (C ogico, è influ connotazion ne degli sc enteschi del o di ecosis come non a considerazio per la conse ne degli sc afati, 1999)  oratrici, una Ibidem). etti che hann

na, bisogna Calafati, 199 uenzata dal ne estetica e enari. La s lle scienze n stema, infat alterazione

one dal dec ervazione d cenari, cioè a forte richi no ispirato a ricercarli i 99)  lla tradizion e percettiva seconda in naturali, che tti in quest degli equili cisore pubb degli ecosis dei “paes iesta di libe la formazio in due visio ne romantica , quindi com nterpretazion e affianco a to contesto ibri ecologi lico inglese stemi (Natu aggi estetic ero one oni   a e me ne, alla la ici. e a ure ci”  

(5)

A livello europeo si è andata ad affermare anche un’altra visione più prettamente scientifica del concetto di conservazione. Infatti i principi di tutela informati e promossi dalle associazioni scientifiche trovarono risposta già agli inizi del novecento.

Nel 1909 vengono istituiti due parchi in Lapponia e nel 1914 viene realizzato in Svizzera il primo parco nazionale europeo. Quest’area protetta denominata parco nazionale dell’Engadina nasce dalla volontà della Società elvetica di scienze naturali di salvaguardare un territorio che era stato teatro di un feroce disboscamento. E’ il primo caso in cui viene istituita una zona protetta con criteri e finalità di salvaguardia scientifica. Ben presto anche l’Italia seguì questa linea con l’istituzione del parco nazionale del Gran Paradiso nel 1922, anche se l’idea risaliva a ben 101 anni prima ad opera del valdostano Giuseppe Delapierre, e con la creazione del parco nazionale d’Abruzzo nel 1923. In entrambi i casi l’istituzione aveva finalità di “tutela della fauna, della flora, delle formazioni geologiche e del paesaggio” (Giacomini e Romani, 1982). C’è da aggiungere che anche l’Italia con il parco nazionale dello Stelvio ha sposato la visione americana del parco come strumento per la fruizione turistica, infatti fu ideato e istituito con intenti e criteri certamente più vicini alle concezioni del Touring Club, che non a quelle delle osservazioni scientifiche (Bertarelli,1923 in Giacomini e Romani, 1982).

Nella figura 1.4, si possono distinguere le tre principali ideologie istitutive che hanno caratterizzato il panorama mondiale fino agli anni ’70.

Fig. 1.4 – Sintesi delle principali visioni

  

Dal 1933 con la Conferenza di Londra e, con un intensificarsi nel secondo dopoguerra, si è cercato di omogeneizzare le diverse visioni e di creare un’unificazione dei criteri di classificazione ma i risultati raggiunti nei vari vertici fino agli anni ’70 non furono mai molto significativi. Un evento degno di nota è la creazione dell’Unione Internazionale della Conservazione della Natura (UICN) nel 1948, fondata con il preciso scopo di costituire un organismo sovranazionale di costante riferimento.

Ideologia istitutiva Oggetto della conservazione Paesi

Impostazione scientifica o

strettamente protezionistica Natura in quanto ecosistema PN Engadina, PN Gran Paradiso Impostazione paesaggistica e

ricreativo-turistica

Natura selvaggia e priva di presenza

umana Stati Uniti, PN Stelvio

Impostazione Mista Natura e modifiche antropiche Inghilterra, Germania, Giappone, Olanda, ecc.

(6)

1.1.3 La conservazione come dicotomia uomo‐natura 

Dagli anni ’70 inizia a farsi sentire, anche nell’opinione pubblica, la preoccupazione riguardo ai limiti dello sviluppo. Si comincia a capire che lo sfruttamento indiscriminato, lo spreco e l’inquinamento non erano commisurati alla capacità di carico degli ecosistemi e alla quantità di risorse disponibili1. Questa nuova visione porta a rimodellare le coscienze anche a livello scientifico e alla consapevolezza di appartenere ad un unico sistema, limitato, vulnerabile e denso di interrelazioni. Questa inquietudine a livello globale porta ad assegnare una posizione di rilievo allo studio dell’ecologia, anche per capire che ruolo assegnare all’uomo nelle complesse relazioni ecosistemiche. A livello scientifico si portò avanti la tendenza a separare il mondo antropico da quello naturale, per una difficoltà concettuale ad inserirlo nell’ambiente naturale.

Questo visione era dovuta a due principali fattori: “da un lato la difficoltà di

comprendere, fin dai presupposti filosofici, il significato della presenza dell’uomo nella dinamica naturale e a coglierne l’essenza storico-naturale dei rapporti con gli altri fenomeni biologici, dall’altro l’impostazione di tutto il processo di divulgazione ecologica, che è stato proposto alla coscienza di tutti nella considerazione preminente del danno che l’uomo arreca alla natura e nel pericolo che tale danno varchi il limite dell’irreversibilità, con la conseguente compromissione di tutto l’ambiente vitale”

(Giacomini e Romani, 1982).

In questo contesto al concetto della protezione delle “bellezze naturali” si sostituisce quello di tutela dei “valori ecologici”, lasciando l’uomo ancora in secondo piano, nella costante dicotomia uomo-natura. I problemi però nascevano dal generale disorientamento nella materia ecologica che ha portato all’affermazione di una coscienza protezionistica in senso stretto, che mal si coniugava con il ragionare sulle profonde interrelazioni ecosistemiche esistenti tra sistema antropico e ambiente. Questa percezione fatta di ecologismi, porterà anche nell’ambiente giornalistico e politico, a creare una stagione di protezionismo radicale e diffuso con metodi tanto rigidi quanto semplicistici. Con il passare degli anni questa tendenza a disgiungere ciò che in natura è        1  Si veda:   Meadows et al, 1972, The limits to Growth;  Georgescu‐Roegen, 1971, The entropy law and the economic process;  Carson, 1962, Silent spring;  Commoner, 1971, The closing circle: nature man and technology; 

(7)

unito si affievolì a favore di una ecologia globale che non si esauriva più allo stretto campo naturalistico ma si allargava alle interrelazioni del territorio, inteso anche come habitat delle popolazioni umane (Ibidem).

Più recentemente l’obiettivo prioritario dell’ecologia è diventato la ricerca di quei parametri entro i quali il rapporto uomo-natura può definirsi armonico. Questa interpretazione si è andata rafforzando già dalla fine degli anni ’80 con la nascita di quei concetti che poi diverranno famosi con il nome di sviluppo sostenibile. In questo periodo la conservazione statica delle risorse e degli spazi naturali si è tramutata in una missione attiva e adattiva, che porta con se un adeguamento delle azioni nel tempo in relazione alle dinamiche ambientali, economiche e sociali.

Questa nuova situazione è facilmente desumibile anche dal fatto che l’UNESCO ha sentito la necessità di elaborare il programma “Man and the biosphere” (MAB) all’interno del quale sono stati attivati 14 progetti di ricerca, sperimentazione e divulgazione degli modifiche antropogeniche. Anche l’APAT in Italia ha predisposto un’iniziativa in questo senso con il nome di progetto PAESI (Protected Areas and

Environmentally Sustainable Initiatives), che vuole essere una sorta di laboratorio per

definire ed applicare strumenti di gestione sostenibile delle aree protette.  

1.1.4 La conservazione nella “Legge quadro sulle aree protette” 

Per ricavare una visione del concetto di conservazione, a livello strettamente italiano, bisogna rifarsi alla “Legge quadro sulle aree protette” del 6 dicembre 1991, n.3942 .

Una prima definizione di tale concetto la si può dedurre dall’Art. 1 comma 3 (a) dove le finalità della suddetta legge vengono intese come: “conservazione di specie

animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici”. A questa enunciazione prettamente naturalistica, si deve aggiungere una

visione aperta anche alle forme di interazione uomo-natura ricavabile all’Art.1 comma 3 (b) con la quale si intende perseguire una ”applicazione di metodi di gestione o di

restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale,

      

(8)

anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali”;

Già in queste espressioni è facile notare come la “Legge quadro” intenda aprirsi nei confronti degli ecosistemi antropici. Questa visione appare corroborata anche dai commi 1 e 2 dell’Art. 2 che riguardano la classificazione delle aree protette nazionali e regionali, nelle quali vengono espressamente previsti gli ecosistemi antropizzati che esprimono valori paesaggistici, culturali e architettonici.

Appare doveroso chiarire che il concetto al quale la Legge intende dare maggiore rilievo, appare quello di conservazione della natura, in quanto è l’unico che viene affermato più volte in modo esplicito. Tuttavia è palese la distanza dalla tradizione americana di salvaguardia di spazi di natura incontaminata, infatti la “Legge quadro” tende ad ampliare il concetto di paesaggio, non solo legato alle bellezze naturali ma anche alle secolari modifiche da parte dei processi antropici sugli ecosistemi naturali. In questo senso la normativa italiana si mostra più vicina alla tradizione inglese (Calafati, 1999).

I caratteri finora delineati dalla “Legge Quadro” fanno apparire una volontà di introdurre, affianco delle finalità classiche dei parchi naturali di conservazione e godimento pubblico, quelle di promozione dello sviluppo economico e sociale delle collettività locali (Giacomini e Romani, 1982; Gambino, 1991).

In questa normativa quindi è possibile notare una proposizione di intenti che esula dalla mera applicazioni di divieti ma che si apre verso una possibile valorizzazione del territorio in termini dinamici. Questo lo si desume anche dallo schema procedurale3 introdotto dalla “Legge quadro” dove l’obiettivo risulta quello di valutare lo stato di conservazione del patrimonio naturale e culturale, specificare gli obiettivi della conservazione, definire gli strumenti di intervento ed elaborare le strategie di valorizzazione economica (Compagnucci e Mazzoni, 2002).

In definitiva, la volontà di questa normativa appare quella di rompere con la visione del passato di una tutela “museificante” della natura, attuata con l’astratta imposizione di vincoli, e di transitare verso un sistema di protezione dinamico che non esclude le possibilità di sviluppo del territorio legato alle attività antropiche compatibili.          3  Strumenti principali:  • Piano del Parco  • Regolamento del Parco  • Piano pluriennale economico e sociale 

(9)

1.2  La conservazione come politica di sviluppo 

Con l’emanazione della “Legge quadro sulle aree protette” in Italia è aumentata in maniera considerevole l’attenzione riguardo ai parchi naturali e ciò a portato ad un notevole incremento sia della superficie che del numero delle zone sottoposte a tutela. Le aree protette nel 1988 erano rappresentate da una superficie di 1 milione 295 mila ettari mentre nel 2003 con l’emanazione del 5° aggiornamento dell’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette sono stati certificati 5 milioni 732 mila ettari, che rappresentano il 19 % della superficie totale nazionale.

 

Tab. 1.1 – Stime sulla superficie nazionale totale e protetta  

Fonte: Min. Ambiente – Istat, 2003 

La nuova geografia della conservazione generata da questa contesto ha portato nel tempo diverse problematiche dal punto di vista della pianificazione, in quanto la maggior parte delle zone protette ricade in territori antropizzati.

La letteratura specializzata4 più volte ha ribadito la necessità di modificare i contenuti e le procedure delle politiche di conservazione nei parchi naturali per adeguarli ai problemi che caratterizzano i parchi antropizzati.

In particolare con gli anni si è andata ad affermare la visione secondo la quale, le politiche di conservazione nei parchi dove è diffusa la presenza umana devono assumere i connotati di politiche di sviluppo.

Se consideriamo l’attuale situazione, dove il terziario avanzato e il turismo balneare calamitano il capitale umano presente nelle zone più svantaggiate, è agevole vedere come queste comunità locali hanno dinanzi una prospettiva di progressiva degenerazione fino alla scomparsa.

Il progressivo impoverimento del sistema antropico generato dalla privazione della popolazione attiva di giovane età, qualificata e non, comporta necessariamente la conduzione del sistema locale verso il declino.

       4 Giacomini e Romani, 1982; Gambino 1991; Calafati e Mazzoni 2001  Assoluti (Ha) Relativi (%) Superficie protetta a terra        2.911.852        9,7 Superficie protetta a mare        2.820.673        9,4 Superficie protetta totale        5.732.525        19,0 Superficie Italia 30.133.601       100,0

(10)

Per la rivitalizzazione di un tessuto sociale privo di spinte propulsive endogene è necessaria l’introduzione di uno shock esogeno dal lato dell’offerta capace di stimolare le potenzialità latenti nel territorio.

In questo contesto è facile identificare i parchi non come un vincolo ma come un’opportunità, infatti le aree protette sembrano essere una risposta appropriata all’elevata e crescente domanda di servizi ricreativi e naturalistico-didattici. Il parco quindi da mera struttura di conservazione della natura, diventa un’arma che il policy-maker può e deve utilizzare per lo sviluppo del territorio, sopratutto nelle aree dove il sistema antropico è riuscito a gestire in maniera razionale le risorse ambientali.

Questa visione delle politiche di conservazione deve far riflettere sul fatto che se le politiche per la protezione della natura vengono pensate ed attuate in maniera disgiunta delle politiche di sviluppo del sistema antropico si vengono ad incrementare quelle dinamiche che portano alla morte dell’ecosistema umano.

Viceversa è impensabile porsi come unico obiettivo lo sviluppo economico e non inserire nelle politiche criteri di ordine ambientale e sociale. I parchi devono riuscire ad ottimizzare ed integrare le diverse componenti complesse che sono alla base delle interazioni uomo-natura.

La conservazione va interpretata come controllo collettivo della co-evoluzione tra sistema umano e territorio andando ad interrogarsi su quale sentiero permetta di ripristinare una relazione di equilibrio tra processo economico e ambiente. Quindi un processo di conservazione richiede la ricostruzione della società locale, il riuso del capitale edilizio, il ripristino delle attività tradizionali.

Il parco inteso come progetto locale ha la funzione di salvaguardare il sistema antropico tramite la valorizzazione e il ripristino di quelle cose alla quale la collettività assegna un valore.

In territori dove la presenza modificatrice dell’uomo è stata discreta nei secoli, l’istituzione di un’area protetta non può avere come unico obiettivo quello della salvaguardia della natura, perché in questo caso quest’ultima non è minacciata dalla presenza umana, ma lo potrebbe essere dalla sua assenza.

Se come valore viene interpretato il paesaggio rurale, è normale che la presenza dell’essere umano è fondamentale per il mantenimento di questa tipologia di capitale. Inoltre è da sottolineare come l’area protetta di per se non è detto che salvaguardi la natura, infatti la struttura del parco imposta in un territorio senza seguire le leggi

(11)

ecosistemiche, ma semplicemente perimentrando e apportando dei vincoli, può avere dei pessimi effetti sull’ambiente.

La perimetrazione di un’area da adibire a riserva integrale è una cesura con il mondo esterno, quindi è come la creazione di un paradossale ecosistema artificiale di natura, una sorta di protezione di un ambiente biologico imposto e mummificato. Ma il mondo naturale non è fatto di barriere fisiche e questo a permesso ai sistemi biotici, tramite le innumerevoli interazioni, di evolversi e di perfezionarsi nei loro processi di resistenza e resilienza alle pressioni esterne.

Un caso su tutti è il Parco Regionale di Migliarino San Rossore e Massaciuccoli, che ha dovuto combattere diversi problemi di riequilibrio faunistico in quanto la presenza di numerose prede (daini e cinghiali) accompagnate dall’assenza di predatori, stava comportando una proliferazione di questi animali con la conseguente copiosa deturpazione dal punto di vista botanico. Il problema viene affrontato riequilibrando artificialmente il numero di esemplari con l’eliminazione annuale di 2000 capi tra daini e cinghiali (dati Ente Parco, 2007).

Ovviamente sono innumerevoli i casi in cui l’intervento umano sregolato ha causato danni al sistema naturale facendone meritare una protezione da ulteriori condotte negative.

In conclusione i progetti di tutela attuati in maniera oculata e con le prospettive di integrare e far coesistere le diverse componenti naturali (compreso l’uomo) del territorio possono avere una grande potenzialità nella modifica della traiettoria evolutiva di aree sottoposte a spopolamento.

(12)

1.3  Identità e sviluppo 

Un concetto che dovrebbe essere preso in considerazione all’interno delle politiche di conservazione è l’identità, infatti in associazione alla protezione degli ecosistemi, il parco dovrebbe inserire il patrimonio delle “traditional knowledge”.

Lo sviluppo identitario ha acquisito una certa rilevanza con riferimento all’esperienza delle aree arretrate del Mediterraneo, anche se è rimasto sostanzialmente estraneo al dibattito italiano sullo sviluppo locale (Gualerzi, 2003).

Le uniche aree che ancora possiedono un’identità forte, intesa come coscienza di appartenenza e intrinseco riconoscimento in un’area e in un modo di vivere, sono quelle aree che sono definite “svantaggiate”. In queste zone la parziale chiusura verso il sistema economico internazionale ha permesso una preservazione della cultura locale dall’invadente e pervasiva avanzata della globalizzazione.

Se le politiche di conservazione devono essere viste come politiche di sviluppo, allora, le strategie di protezione del patrimonio identitario si possono interpretare come un valore aggiunto a queste azioni. Lo sviluppo identitario si deve basare sulla valorizzazione delle risorse che permettono a questi territori di differenziarsi cioè, le risorse ambientali e le risorse umane, intese nella loro accezione più ampia. Quindi vanno ricomprese le materie prime pregiate, ma anche il saper fare tradizionale della trasformazione. In un’ottica di parco ben si sposa la conservazione della natura con la conservazione dei saperi tradizionali, infatti tra i vantaggi che un parco può portare ci sono anche quelli di maggiore visibilità dei prodotti data dall’apposizione di un marchio. Và sottolineata la necessità di uscire dai pericoli derivanti dall’estremizzazione dell’identità con un eccesso di chiusura, limitandosi ad una visione autarchica, o con un eccesso di apertura, cioè una folklorizzazione delle tradizioni.

Insomma l’identità deve essere la condizione di una strategia attraverso cui competere, stare sui mercati internazionali, senza subirne una completa sottomissione; quindi l’identitario può essere moderno e può coesistere con un settore internazionalizzato (Antomarchi, Taddei, 1997; Gualerzi 2003).

I mestieri e di conseguenza i prodotti generati in un certo contesto e con un certo materiale, lasciano trasparire il sistema locale e sociale nella quale vengono generati. Anche perché i prodotti locali sono legati a conoscenze tacite, date dalle competenze e dal sapere contestualizzato in una certa società, che li rendono riproducibili ma non trasferibili.

(13)

In questo contesto è interessante una riflessione di Gualerzi (2003) su un’ipotesi di preservazione dell’identità sulla base di una strategia di conservazione. L’idea riguarda una comunità locale che decide di non fare dell’aumento del reddito un obiettivo fondamentale, basandosi su forme di lavoro a scambio non monetizzato, accontentandosi di una modesta crescita dei servizi.

In questo caso l’obiettivo della strategia è proprio quello della preservazione della ambiente naturale, economico e sociale. Non è necessario accentrare le energie sulla crescita economica, intesa come aumento di reddito, ma più che altro inseguire un sentiero di sviluppo che permetta alle popolazioni di incrementare il proprio benessere.

Il parco in una visione di questo tipo permette una valorizzazione delle risorse vincolate alla preservazione del profilo socio-economica tradizionale e di quello naturale-paesaggistico. All’interno di questo sistema non si parlerebbe più di turismo ma di un’economia dell’ospitalità, dove l’edilizia tradizionale e le produzioni tipiche sarebbero adeguatamente valorizzate.

Bisogna stare attenti quando si parla di crescita zero, perché nella concezione economica tradizionale purtroppo è spesso inteso come un fallimento delle politiche territoriali. Però se si riflette meglio è per forza desiderabile avere una quantità più elevata di denaro quando però non si hanno servizi adeguati alle proprie necessità o il luogo dove si vive non è come lo si vorrebbe? Non è forse meglio abitare in un territorio dove la maggior parte dei beni che compongono il proprio pattern di consumo provengono da produzioni artigianali e genuine senza mistificazioni e dove il visitatore, (e non turista) può apprezzare e vivere in una sorta di museo a cielo aperto?

Ovviamente è opinabile la desiderabilità di un contesto come questo e in ogni modo non si può imporre un sentiero di sviluppo alle popolazioni, infatti qualsiasi traiettoria deve essere concertata e condivisa con le comunità locali. Tuttavia appare una possibile politica di sviluppo endogeno appetibile in un momento dove la ricerca di tipicità e genuinità è forte.

In conclusione una politica di conservazione non deve essere vista come uno strumento a compartimenti stagni, ma più che altro come un sistema integrato di riequilibrio degli ecosistemi naturali e antropici con tutte le sfaccettature ambientali, economiche e sociali che ne discernono. Quindi una scelta del policy-maker di utilizzare le tradizioni e l’identità del territorio come carta per uno sviluppo auto-centrato potrebbe rivelarsi vincente.

Figura

Tab. 1.1 – Stime sulla superficie nazionale totale e protetta  

Riferimenti

Documenti correlati