CAPITOLO 5
DISCUSSIONE
Studi condotti negli ultimi anni hanno dimostrato la fondamentale importanza della risposta immunitaria cellulo-mediata nel controllo dell’infezione da HIV e della progressione della malattia (Levy et al., 2005; Paranjape, 2005). Tale risposta è affidata ai linfociti T CD8 positivi, cellule geneticamente programmate al riconoscimento di specifici antigeni presentati dalle cellule target in associazione con le molecole MCH di classe I. Questi studi hanno dimostrato che eliminando la funzione dei CTL in sistemi modello, i soggetti infetti possiedono un minor controllo della carica virale ed una progressione più rapida della malattia (Schmitz et al., 1999); inoltre è stato dimostrato che gli individui Long Term Non Progressor, capaci di rimanere clinicamente sani per anni sebbene infetti, sono in grado di sviluppare una risposta CTL mediamente più potente rispetto agli altri individui infetti (Brenchley et al., 2004; Omori et al., 2004; Petrovas et al., 2004).
Per questi motivi, gli approcci vaccinali attualmente in fase di studio hanno come obiettivo primario quello di indurre soprattutto una forte risposta cellulo-mediata.
Nel nostro laboratorio è in fase di sperimentazione un protocollo di vaccinazione contro FIV, virus patogeno del gatto utilizzato come modello per lo studio di approcci vaccinali e terapeutici nei confronti di HIV. La strategia utilizzata è quella del prime-boost eterologo, che è stata scelta perché si è dimostrata in grado di indurre elevati livelli di risposta CTL (Sullivan et al., 2003; Takeda et al., 2003; Woodland, 2004). La scelta di questa strategia ha
indotto, pertanto, la necessità di disporre di un metodo rapido ed efficace per la misurazione della risposta CTL indotta dalla vaccinazione.
Classicamente la valutazione dell’attività litica dei linfociti T CD8 positivi viene eseguita mediante saggio di rilascio del 51Cr (Brunner et al., 1968);
esso, tuttavia, necessita di materiale radioattivo, con conseguenti rischi per gli operatori e problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti, e non permette di rintracciare eventi citotossici a livello delle singole cellule.
L’altro metodo classico per la misurazione delle risposta cellulo-mediata consiste nella rilevazione delle citochine rilasciate dai linfociti come conseguenza della loro attivazione. Il problema connesso con saggi di questo tipo, come l’ELISpot o l’ICC, è che essi non misurano direttamente l’attività litica dei CTL e forniscono risultati indicativi dell’intera popolazione linfocitaria e delle NK (Letsch and Scheibenbogen, 2003; Suni et al., 1998).
Allo scopo quindi è stato allestito un saggio ad hoc che consentisse per misurare in maniera diretta l’attività litica dei linfociti T citotossici senza l’uso di materiali tossici o radioattivi. A questo proposito abbiamo deciso di utilizzare la tecnica della citofluorimetria a flusso, che consente una risoluzione a livello di singola cellula senza la necessità di impiegare sostanze tossiche.
Per l’allestimento del saggio abbiamo deciso di utilizzare 3 gatti germ-free che si trovano nella fase cronica dell’infezione da FIV sottoponendoli a tre inoculi di un DNA esprimente l’antigene Env, in modo da innalzare i livelli di risposta CTL nel sangue periferico. Come controllo negativo è stato utilizzato un animale non infetto, il quale non è stato sottoposto a nessun trattamento.
Lo schema generale del saggio prevede un’incubazione delle cellule target che esprimono un gene reporter fluorescente e l’antigene contro il quale vogliamo misurare la risposta CTL con i PBMC prelevati dall’animale. Se in questa seconda popolazione sono presenti linfociti in grado di riconoscere
l’antigene, questi saranno in grado di attivarsi e lisare le cellule target, la cui diminuzione è misurata mediante citofluorimetria a flusso.
Dal momento che non esistono gatti singenici, l’allestimento di questo saggio ha reso necessaria la generazione di linee cellulari autologhe che esprimessero l’antigene Env. Per questo sono stati scelti i fibroblasti, provvisti di molecole MHC di classe I, ed il cui prelievo non richiede interventi invasivi sugli animali.
Le cellule primarie, tuttavia, presentano delle difficoltà per quanto riguarda la durata della vitalità in coltura e la loro velocità di crescita; infatti queste vanno incontro a senescenza e morte dopo pochi passaggi in coltura, inoltre crescono lentamente e la loro vitalità diminuisce significativamente se congelate e scongelate. Perciò, per poter ottenere delle linee stabili in coltura che sopravvivessero per numerosi passaggi si è reso necessario trasformare i fibroblasti primari autologhi prelevati da ciascun gatto. Perciò, le cellule sono state trasformate mediante trasfezione con il plasmide pACTSV2, il quale contiene il genoma leggermente modificato del virus SV40. Questo virus non è in grado di dar luogo ad una infezione produttiva perché l’antigene T codificato dal plasmide è deleto nella porzione deputata al riconoscimento dell’origine di replicazione virale. Esso mantiene comunque la capacità di interagire con alcune proteine cellulari per cui è in grado di conferire un fenotipo trasformato alle cellule trasfettate. Il fenotipo trasformato delle cellule così modificate è stato confermato dalla crescita in parallelo di fibroblasti trasfettati e di controllo: abbiamo potuto osservare che i primi sono in grado di replicarsi molto più velocemente ed in minor tempo rispetto alle cellule primarie e sono estremamente più resistenti al congelamento. Infine, quando le cellule primarie hanno raggiunto la senescenza e non è stato più possibile espanderle, i fibroblasti trasfettati erano ancora in grado di crescere in coltura mantenendo la stessa velocità di replicazione. Abbiamo quindi
ottenuto delle linee cellulari di fibroblasti autologhi in grado di rispondere alle nostre esigenze di stabilità e resistenza al congelamento.
Per l’esecuzione del saggio, i fibroblasti trasformati devono esprimere l’immunogeno ed il gene reporter. In altri saggi di questo tipo, questo viene in genere ottenuto tramite infezione con il virus vaccinico opportunamente modificato per esprimere gli antigeni di interesse.
Nel nostro caso è stato possibile evitare l’uso di questo virus potenzialmente pericoloso perché disponevamo di un vettore lentivirale bicistronico. Esso è derivato da FIV, già utilizzato per la generazione di vettori in grado di trasdurre numerosi tipi cellulari (Cheng et al., 2005; Curran et al., 2000; Lin et al., 2004). Il vettore da noi utilizzato mantiene il gene env ma presenta una cospicua delezione nei geni gag e pol che ne aumenta la sicurezza e che ha consentito il clonaggio del gene reporter GFP, controllato dal proprio promotore. Questo vettore si è dimostrato in grado di trasdurre sia i fibroblasti primari che quelli trasformati con una buona efficienza; infatti, l’analisi al FACS a vari tempi ha dimostrato che l’integrazione del vettore nel genoma delle cellule è stabile e l’espressione di GFP è costante nel tempo. Stessi risultati sono stati ottenuti anche dopo congelamento e scongelamento. Ciò rappresenta un notevole vantaggio perché ci consente di conservare, tra un saggio e il successivo, le linee cellulari autologhe prodotte in maniera che sia preservata la loro capacità di replicazione e la loro capacità di esprimere i geni di interesse.
Dal momento che il vettore utilizzato è bicistronico, le cellule esprimenti la GFP dovrebbero esprimere anche Env. Come conferma, abbiamo analizzato i fibroblasti trasdotti e non trasdotti di controllo tramite western blot; i risultati ottenuti indicano che tutte le cellule trasdotte esprimono la proteina, che invece non è presente in quelle non trasdotte.
Una volta che abbiamo avuto a disposizione cellule autologhe da poter utilizzare come target di lisi abbiamo potuto allestire il saggio per valutare
l’attività litica dei linfocicti T CD8 positivi. La prima prova è stata effettuata a due settimane dal terzo inoculo, ristimolando i PBMC tramite incubazione con i fibroblasti trasdotti. Per escludere che la trasformazione con SV40 abbia causato delle perturbazioni nel pattern di espressione degli antigeni di superficie che potrebbero costituire un segnale di riconoscimento per alcuni cloni di CTL, una parte dei PBMC è stata stimolata utilizzando fibroblasti autologhi trasformati ma non trasdotti.
I dati che abbiamo ottenuto indicano una diminuzione, rispetto alle cellule non trattate, della percentuale di fibroblasti fluorescenti, dopo incubazione con i PBMC ristimolati, che va dal 15% al 35% nei gatti vaccinati; la diminuzione della fluorescenza dopo mock-ristimolazione si mantiene in tutti e tre i casi al di sotto del 5%. Perciò, possiamo affermare che la trasformazione non rende i fibroblasti target di lisi da parte dei CTL e che le basse percentuali ottenute sono frutto di una lisi aspecifica prodottasi durante il saggio.
Per valutare se la lisi riscontrata nelle prove effettuate con i linfociti ristimolati è invece specifica (e quindi dovuta alla presenza di CTL Env-specifici), abbiamo calcolato la diminuzione percentuale di fluorescenza nei confronti della prova effettuata con la mock-ristimolazione. E’ stata considerata lisi specifica una diminuzione di fluorescenza maggiore del 10%. I gatti vaccinati mostrano una lisi che va dal 13% al 35%, quindi in tutti è stata identificata la presenza di una risposta CTL Env-specifica. Il gatto di controllo, invece, non esibisce alcuna risposta, dal momento che la diminuzione della fluorescenza nelle prove effettuate non supera il 5% e la percentuale di lisi si ferma all’1%. Questo rappresenta una ulteriore conferma della specificità della risposta osservata nei gatti trattati.
In questa prova abbiamo deciso di valutare, oltre alla lisi specifica prodotta dai CTL, anche l’esistenza di un riconoscimento di tipo allogenico. Per questo abbiamo effettuato anche l’incubazione di PBMC, ristimolati e non,
con fibroblasti eterologhi trasdotti. Le percentuali di diminuzione della fluorescenza che abbiamo ottenuto sono tutte al di sotto del 5% e si traducono in una lisi inferiore all’1%. Questo dimostra che durante il saggio non si verifica un riconoscimento di tipo allogenico, per cui negli esperimenti successivi questa prova non è stata ripetuta.
Il saggio è stato ripetuto a 18 settimane dal terzo inoculo dell’immunogeno; in questo caso abbiamo voluto indagare anche sull’esistenza di un effetto dose-risposta, effettuando una prova con un rapporto E:T di 100:1. Utilizzando il rapporto 10:1 abbiamo potuto osservare una diminuzione della fluorescenza più bassa rispetto al tempo precedente in tutti i gatti vaccinati, che si traduce però in percentuali di lisi al di sotto del 10%. Utilizzando invece il rapporto 100:1, si ottengono valori nettamente maggiori e al di sopra del livello di significatività dimostrando quindi l’esistenza di un effetto dose-risposta. Ciò non si verifica nell’animale di controllo, in cui la fluorescenza non diminuisce significativamente in nessuna delle prove effettuate, neppure aumentando la concentrazione di linfociti. Questo indica quindi che il saggio è in grado di valutare la risposta contro Env in maniera specifica.
Questi dati, inoltre, fanno ipotizzare che a questa distanza di tempo dall’inoculo, la risposta CTL contro Env sia presente negli animali a livelli molto bassi, per cui non viene rintracciata utilizzando un numero minore di linfociti. Questi risultati concordano con l’evoluzione delle risposta CTL durante l’infezione naturale con FIV (Flynn et al., 2002; Pistello et al., 2002): questa risposta è presente nel sangue periferico ad alti livelli durante lo stadio acuto della malattia, poi declina con la cronicizzazione, sia perché il virus va in latenza sia perché le cellule T memoria vengono richiamate nei linfonodi.
Abbiamo deciso di effettuare a 20 settimane dal terzo inoculo anche una prova di ristimolazione con peptidi sintetici, disegnati in modo da coprire l’intera sequenza codificante di Env. In questa prova abbiamo potuto
osservare che un animale mostra una completa assenza di risposta con entrambi i rapporti E:T, mentre un secondo gatto esibisce una risposta modesta (6% di lisi) nella prova 50:1. L’ultimo gatto, invece, mostra una risposta CTL significativa utilizzando il rapporto maggiore ed è anche l’unico ad avere una lisi rintracciabile, benché non significativa, anche con il rapporto E:T 10:1. Il gatto di controllo, invece, non mostra alcuna risposta in nessuna delle prove effettuate.
Questa prova ci ha permesso di dimostrare che la risposta CTL ottenuta con la ristimolazione sui fibroblasti è effettivamente diretta solo contro la proteina Env, confermando l’efficacia della ristimolazione da noi effettuata con i fibroblasti. Questo esperimento, inoltre, fornisce una ulteriore conferma che il fenotipo trasformato dei fibroblasti non influisce sull’ampiezza della risposta CTL misurata.
I valori ottenuti in questo ultimo esperimento sono tutti più bassi rispetto a quelli ottenuti a 18 settimane. Questo può essere imputato sia ad un ulteriore calo della potenza delle risposta CTL nel tempo trascorso tra le due prove ma soprattutto al tipo di stimolazione effettuata. Infatti, benché i peptidi utilizzati siano progettati in maniera tale da ricoprire l’intera sequenza di Env, è possibile che nessuno di essi riproduca l’esatto peptide che viene esposto sulla superficie cellulare in seguito al processamento intracellulare della proteina. Questo fatto, associato all’elevato costo di una libreria di peptidi, rende la ristimolazione da noi effettuata con le linee di fibroblasti trasdotti un’innovazione sicuramente vantaggiosa.
5.1 Conclusioni
Il saggio allestito durante questo lavoro di tesi si è dimostrato in grado di misurare in maniera specifica l’attività litica dei linfociti T citotossici in risposta alla stimolazione con l’antigene di interesse; inoltre, durante la fase di allestimento, abbiamo potuto constatare l’elevato grado di riproducibilità dei risultati ottenuti.
L’uso della tecnica della citofluorimetria a flusso garantisce la facilità nella rilevazione della lisi, la quale può avvenire senza l’uso di substrati tossici, radioattivi o eccessivamente costosi. La sicurezza è garantita anche dall’uso del vettore FIV-derivato per la trasduzione delle cellule target, dal momento che ha origine da un virus non patogeno per l’uomo ed è prodotto con una strategia che minimizza le probabilità di ricombinazione e quindi di ritorno ad un fenotipo wild-type.
Infine, l’elevata plasticità del vettore, che consente l’introduzione di geni di diverso tipo, e la sua capacità di trasdurre numerosi tipi cellulari consentono l’applicazione di questo saggio anche ad altri protocolli vaccinali.