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CCaappiittoolloo 22 LLaa cchhiirruurrggiiaa mmiinnii--iinnvvaassiivvaa ddeellll’’uummoorr vviittrreeoo

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Academic year: 2021

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In questo capitolo viene messo a fuoco il contesto del presente lavoro di tesi.

Viene infatti descritta la struttura, la composizione, il ruolo dell’umor vitreo all’interno del bulbo oculare. Successivamente vengono analizzate le patologie del vitreo e vitreo-retiniche. Viene quindi effettuata una panoramica sulle tecniche chirurgiche per focalizzare infine l’attenzione sulla Vitrectomia senza suture. Quest’ultima sarà la tecnica che questa tesi si propone di migliorare, come spiegato nel paragrafo “obiettivo della tesi”.

2.1 L’Umor Vitreo

L’umor vitreo è un delicato gel collagenoso trasparente che riempie la camera posteriore dell’occhio. Dal peso di circa 4 g, rappresenta circa i due terzi del volume oculare ed è delimitato da strutture diverse con le quali contrae aderenze: è in contatto postero-lateralmente con la retina ed anteriormente con il cristallino e altre strutture. Composto per più del 98% da acqua, privo di vascolarizzazione e praticamente acellulare, l’umor vitreo è stato storicamente considerato un semplice riempitivo inerte. Comunque nelle ultime decadi è divenuto chiaro come il vitreo giochi un ruolo strutturale essenziale nello sviluppo, nel sostentamento e nelle patologie della visione [1,2]. Le funzioni del vitreo quindi riguardano:

− lo sviluppo, permettendo la crescita appropriata del bulbo oculare; − la visione, consentendo la trasmissione della luce alla retina;

− la meccanica, supportando i vari tessuti oculari durante i movimenti; − il metabolismo, fungendo da deposito di molecole bioattive per la retina.

L’appropriato espletamento di queste funzioni dipende dalle proprietà fisiche uniche del vitreo. Si pensa che questo derivi le sue proprietà dalla sua doppia rete idratata composta da fibre di collagene di tipo II e dalle macromolecole di acido ialuronico ad alto peso molecolare. Fibrille di collagene composte da diversi tipi (con diametri tra i 10 ed i 20 nm) hanno un piccolo nucleo di collagene di tipo V o XI, circondato da

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collagene di tipo II. L’acido ialuronico umano del vitreo è un polidisperso con un peso molecolare medio che è stimato intorno ai cinque milioni. In letteratura si trova che il vitreo si liquefa completamente con l’enzima collagenasi mentre utilizzando l’enzima ialuronidasi, si ottiene una riduzione di dimensioni. Su questa base si presume che le rete di collagene abbia funzione di supporto mentre i gomitoli di acido ialuronico riempano semplicemente lo spazio tra le fibrille per prevenire l’aggregazione delle stesse (fig.2.1.1) [3].

Fig.2.1.1 Struttura dell’umor vitreo

L’umor vitreo è composto al 99% in peso da acqua, 0,9% da sale, il restante 0,1% si divide tra proteine e polisaccaridi. Come già detto la gran parte della componente proteica si trova nelle fibrille composte di collagene di tipo V/XI ricoperte da collagene di tipo II (che nella composizione costituisce il 75% della massa delle fibrille). Ciascuna fibrilla è rivestita esternamente da collagene di tipo IX, che stabilisce legami covalenti con la superficie, e da altre glicoproteine. Il collagene di tipo IX contiene quattro domini non-collagenosi brevi e a spirale, separati da tre domini a tripla elica di collagene. Due di questi ultimi sono allineati e cross-lincati con l’asse della fibrilla, il terzo invece ha

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un ruolo di rafforzamento ed è stericamente forzato a proiettarsi fuori dalla fibrilla da una catena di eparin-solfato glicosaminoglicano (GAG) che è legata covalentemente, come incernierata, ai domini non-collagenosi vicini [4-6].

La gran parte delle fibrille di collagene hanno origine alla base del vitreo – una fascia periferica di vitreo che si estende da appena dietro il piano della lente e della zonula fino al meridiano dell’occhio. L’alta concentrazione di fibrille proteiche nella base del vitreo fa sì che si formino delle vere e proprie goccie di fibrille di collagene che vanno a riempire la cavità vitrea. Dopo che la varie fibrille si sono separate, procedono verso la retina da vari punti della periferia e si inseriscono nella membrane limitante interna e da lì svoltano indietro verso il nervo ottico seguendo la curvature dell’occhio. Le fibrille di collagene sono idrofobiche e aderiscono l’una all’altra non appena si trovino in contatto, così le fibrille del vitreo si fondono continuamente e divergono dagli aggregati laterali mentre attraversano la lunghezza dell’occhio. Un numero di fibrille, inoltre, è orientato in modo nasale-temporale va a formare una rete attraverso numerosi cross-link.

Se da una parte sono stati fatti enormi progressi nell’identificazione dei componenti e della biochimica dell’umor vitreo, mancano metodi sperimentali che diano indicazioni precise delle sue proprietà meccaniche e della sua architettura a livello nanodimensionale.

La proprietà lubrificante delle molecole che lo costituiscono e la sua struttura così fragile hanno reso, nel tempo, assai difficile compiere misurazioni efficaci. Sono stati elaborati un numero di metodi anche molto creativi per misurare le caratteristiche di questo gel, che includono misurazioni del bulk, microreologia magnetica [7-9], tracciamenti in vivo sull’uomo durante la visione [10], e più recentemente tecniche acustiche [11]. Queste tecniche permettono analisi comparative, ma non riescono a fornire misurazioni che permettano la comprensione di alcuni dei meccanismi del comportamento del vitreo.

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Fig.2.1.2 Comportamento elastico dell’umor vitreo

Si è pensato per anni che la rete di fibrille di collagene fosse responsabile delle proprietà meccaniche del vitreo a causa della capacità del collagene di sopportare carichi e a causa del fatto che il vitreo non collassa in seguito alla digestione enzimatica dell’acido ialuronico [12].

È stato suggerito che gli aggregati di acido ialuronico svolgessero un ruolo esclusivamente passivo, quale riempitivo degli spazi tra le fibrille collaginee per prevenirne l’aggregazione. La letteratura precedente al lavoro di C. S. Nickerson (novembre 2005) indica la riduzione di volume che avviene dopo rimozione dell’acido ialuronico, e che la rete di collagene si “rilassa” a seguito di questa azione portando le fibrille a passare dalla conformazione dritta che si ha nel vitreo, ad una conformazione ricurva [3].

Questo “rilassamento” e le osservazioni di diminuizione del volume suggeriscono molto più di quanto finora detto sulla struttura del vitreo: l’acido ialuronico ha anche un ruolo strutturale. Il lavoro di Nickerson presenta evidenze che l’acido ialuronico contribuisce in modo significativo alle caratteristiche meccaniche del vitreo. In particolare il compito dell’acido ialuronico è quello di distendere la rete delle fibrille di collagene fino a uno stato di tensione che incrementa la rigidità della rete. (Fig. 2.1.3) [13].

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2.2 Le patologie

La patologia al vitreo è nota con il nome di “muscae volitantes” ed è l’unico caso in cui non si parla di patologie vitreo-retiniche. Tuttavia, anche le miodesopsie (nome scientifico delle muscae volitantes) possono rivelarsi essere il prmo sintomo di una patologia vitreo-retinica che sta per sopraggiungere.

2.2.1 Le miodesopsie

Le miodesopsie, o corpi mobili vitreali, sono un disturbo visivo caratterizzato dalla sensazione di vedere attraverso un liquido trasparente nel quale fluttuano degli oggetti di varia forma e tipo che sfuggono quando si cerca di fissarli (fig.2.2.1) [14].

Fig.2.2.1 miodesopsie

Possono presentarsi sotto forma di punti, anelli, macchie, filamenti, di “mosche volanti” per l’appunto, o con svariate altre forme. Questi oggetti sono più o meno visibili a seconda della loro densità, delle condizioni di luminosità dell'ambiente e della superficie che si fissa. Sono percepiti meglio guardando una superficie chiara e in condizioni di forte luminosità; ad esempio volgendo lo sguardo verso il cielo azzurro, verso una parete bianca, verso un foglio di carta bianco o uno schermo da computer con uno sfondo chiaro. Tuttavia, spesso restano visibili anche in condizioni di scarsa luminosità e ad occhi chiusi. Se si cambia posizione di sguardo i corpi mobili tendono a muoversi per poi ritornare nella stessa posizione di partenza non appena l’occhio si ferma. A volte, anche la lettura può essere disturbata perché questi oggetti si “posano” sulle parole.

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Le miodesopsie sono causate dal deterioramento della microstruttura gelatinosa del corpo vitreo conseguente all'età e ad altre concause quali la miopia, traumi oculari, disordini metabolici, etc.

Le degenerazioni del corpo vitreo legate all’età iniziano a 20-30 anni ma si manifestano clinicamente dopo i 40-50 anni. Nei soggetti miopi i segni clinici sono anticipati di almeno dieci anni. La degenerazione del corpo vitreo inizia con la fluidificazione della sua componente gelatinosa che porta alla formazione dì lacune di liquefazione vitreale. Le fibre di collagene che delimitano queste zone tendono a frammentarsi e a formare filamenti di forme diverse, talora intrecciati tra loro, che fluttuano all’interno delle lacune stesse. Queste fibre di collagene, ammassate o meno tra loro, proiettano un'ombra sulla retina e vengono percepite come opacità definite appunto corpi mobili vitreali o miodesopsie.

La progressione della liquefazione vitreale porta alla perdita della funzione meccanica di sostegno del corpo vitreo. Il passo successivo è rappresentato dalla riduzione di volume del vitreo per contrazione delle fibre collagene che porta infine ad un distacco progressivo del vitreo dalla retina. Questo fenomeno è indolore ma, finché non c'è ancora un distacco completo del vitreo, durante i movimenti oculari, la retina può subire trazioni nei punti dove il vitreo è ancora aderente. Ciò determina la percezione di piccoli lampi luminosi periferici che normalmente sono sempre localizzati nella stessa zona e sono maggiormente visibili al buio.

L’asportazione chirurgica del vitreo (vitrectomia) è in grado di eliminare le miodesopsie ma questa procedura non è consigliabile, non solo per i rischi che essa comporta, ma anche perché appare ingiustificato privare per sempre l’occhio delle funzioni del vitreo.

2.2.2 Le patologie vitreo-retiniche

Le patologie vitreo-retiniche coinvolgono le strutture oculari del segmento posteriore (vitreo, retina, coroide) [14]. Le più comuni sono:

− distacchi di retina (regmatogeni, trazionali, essudativi);

− alterazioni del vitreo (briglie vitreali ,sanguinamenti, opacità infiammatorie); − alterazioni della ragione maculare (fori maculari, pucker, membrane

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Di queste rientrano nell’ambito del presente lavoro solo quelle che sono di interesse chirurgico, quindi il foro maculare, il pucker maculare, la retinopatia diabetica proliferante ed il distacco di retina.

2.2.3 Il foro maculare

Il termine è usato per descrivere un difetto retinico a tutto spessore nell’area foveolare. Quest'area è particolarmente suscettibile alla formazione di un foro a causa della sua sottigliezza, avascolarità e mancanza di supporto, fornito in altre aree retiniche dalle cellule di Muller, e a causa di una relativamente spessa membrana limitante interna (o lamina basale). Proprio la ferma adesione del vitreo alla lamina basale è importante nella patogenesi della formazione del foro maculare.

Numerose possono essere le cause: degenerazione miopica, edema maculare cistoide, trazione vitreo-maculare, contrazione di una membrane epiretinica, trauma, retinopatia solare (retinite foveo-maculare), ma nella maggior parte dei casi i fori maculari sono idiopatici.

Il foro maculare senile idiopatico è un disordine che si presenta in individui che sono altrimenti in buona salute, nella sesta decade di vita o oltre. Le donne sono colpite più spesso degli uomini in rapporto di 2:1. Il rischio di un coinvolgimento bilaterale è del 10-20%, ma raramente la comparsa è simultanea. L'incidenza del foro maculare è circa 1:5000 individui.

I primi sintomi del foro maculare sono: annebiamento della vista, metamorfopsia e scotoma negativo all’inizio, spesso prima dello sviluppo del foro. La presenza di fotopsia è rara. All'inizio l'acuità visiva può essere quasi normale. Una volta che il foro maculare si è completamente formato l’acuità visiva è di solito compresa fra 4/10 e 1/20, ma raramente è peggiore. Clinicamente, un foro maculare appare come un difetto retinico a tutto spessore nell'area foveale, di circa 500 µm di diametro. Spesso c’è un opercolo sospeso sulla superfice della membrana ialoidea posteriore di fronte al foro. Un anello di fluido sottoretinico circonda il foro. Nessun tessuto nervoso è presente. Dunque l'opercolo di fronte ad un foro maculare non rappresenta la retina foveale rimossa dalla sede del foro maculare, ma è tessuto cicatriziale [14].

Il foro maculare completo evolve attraverso una serie di stadi che incominciano con il foro maculare incipiente. Circa metà dei fori maculari incipienti regrediscono spontaneamente. La metà rimanente progredisce a foro maculare a tutto spessore. In un paziente con un foro maculare in un occhio il rischio di sviluppare un foro maculare

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nell'occhio controlaterale è meno del 2% se c'è gia un distacco del vitreo posteriore. Se il vitreo posteriore è attaccato il rischio è circa del 15%. Se un foro maculare incipiente è presente nell'occhio controlaterale il rischio aumenta al 50%.

2.2.4 Il pucker maculare

Noto anche come membrana epiretinica, il pucker maculare è una sottile membrana che si sviluppa sulla macula provocandone la progressiva distorsione. Può insorgere spontanea (generalmente dopo i 50 anni) o secondaria a processi infiammatori, in conseguenza a distacchi di retina o a trattamenti laser.

I sintomi sono rappresentati da una lenta progressiva distorsione delle immagini con calo del visus e comparsa di una macchia grigia centrale.

L’evoluzione spontanea può portare ad importanti limitazioni della lettura con acuità visiva inferiore ad 1\10 ed in alcuni casi a sollevamento trazionale della retina centrale [14].

2.2.5 Il distacco di retina

Le forze di trazione del vitreo sulla retina, in particolare in corrispondenza di zone retiniche di minore resistenza (aree degenerative regmatogene), inducono rottura della retina, in seguito a questa si accumula liquido al di sotto della neuroretina, che porta ad un sollevamento dell'epitelio pigmentato.

A seconda della patogenesi, si distinguono diversi tipi di distacco di retina: − distacco di retina regmatogeno (rotture da trazione vitreoretinica); − distacco di retina post-traumatico;

− distacco di retina trazionale (retinopatia diabetica proliferante); − distacco di retina secondario (sieroso da neoformazione sottoretinica).

Se la retina, con le sue cellule nervose e i suoi fotorecettori, non viene più nutrita tramite il contatto con l'epitelio pigmentoso, si arriva già dopo 48 ore ad una perdita funzionale parzialmente irreparabile delle porzioni di retina colpite. La retina può essere nuovamente attaccata all'epitelio pigmentoso tramite operazione chirurgica. La capacità visiva della retina coinvolta può migliorare a seconda del periodo di tempo in cui è stata staccata. Senza operazione si incorre in un totale distaccamento della retina e quindi nella cecità dell'occhio coinvolto. A lungo termine subentra il rischio di Phthisis bulbi e perciò di perdita dell'occhio.

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I primi campanelli d'allarme sono la comparsa di lampi di luce (trazione del corpo vitreo) e le miodesopsie. Un distaccamento della retina in avanzamento si manifesta con una restrizione del campo visivo simile a quella di un sipario e in caso di distacco della macula retinica anche in una perdita fulminante della capacità di lettura dell'occhio coinvolto [14].

2.3 La chirurgia vitreo-retinica

Come si è visto, le patologie vitreo-retiniche sfociano quasi sempre, come ultimo stadio, nel distacco di retina. Vi sono varie ragioni perché l'intervento chirurgico per questa patologia venga eseguito con una certa urgenza:

- il distacco di retina lasciato a sé tende solitamente ad estendersi;

- la retina distaccata non si nutre, perde progressivamente vitalità e potrebbe non riprendersi dopo l'intervento;

- la retina distaccata tende ad irrigidirsi e ad accorciarsi, rendendo difficoltoso l’intervento chirurgico e riducendo le probabilità di successo.

Ciò premesso, và detto che vi sono sostanzialmente due strade per il trattamento chirurgico del distacco di retina:

- la strada ab-externo, detta anche episclerale; - la strada ab-interno, detta vitrectomia.

Il principio della chirurgia episclerale è quello di risolvere il distacco spingendo la parete dell'occhio verso la retina distaccata. Si usano bande e blocchi in silicone (in azzurro e verde nella figura) che vengono suturati alla parete oculare, in modo da provocarvi un'impronta permanente. La retina si riattacca facendo uscire il liquido al di sotto di essa. Il risultato viene consolidato praticando dei congelamenti che daranno luogo, nel tempo, a saldature cicatriziali [15].

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Con la vitrectomia si entra nell'occhio con strumenti di microchirurgia e si affronta il distacco di retina dall'interno. Il termine vitrectomia indica l'asportazione del vitreo, che in effetti è solo uno dei passaggi in questo tipo di interventi; tuttavia, è invalso nell'uso il suo impiego per indicare l’intera procedura. La retina viene riattaccata dall'interno, dopo aver eliminato le trazioni che la mantenevano sollevata.

Si distinguono due tipologie di vitrectomia: − vitrectomia standard;

− vitrectomia transcongiuntivale senza suture (TSV: Transconjuntival Sutureless Vitrectomy)

Quest’ultima è una tecnica mini-invasiva, su cui sarà focalizzato il presente lavoro di tesi.

Fig.2.3.2 vitrectomia transcongiuntivale senza suture

2.4 Il trocar oftalmico

I trocar sono dispositivi utilizzati in chirurgia mini-invasiva per introdurre la strumentazione necessaria nel sito dell’intervento. Inizialmente per seguire l’incisione iniziale, il microbisturi è introdotto nella cannula ed inserito nell’occhio fino al sito di interesse. Una volta effettuata l’incisione, il microbisturi viene retratto lasciando inserita la cannula all’interno dell’occhio, in modo che questa fungerà da canale per l’immissione dei ferri chirurgici [16].

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Fig.2.4.1 Trocar per chirurgia mini-invasiva tradizionale

Ovviamente in chirurgia mini-invasiva dell’occhio non possono essere utilizzati i trocar tradizionali. Si utilizzano infatti dei trocar oftalmici che permettano il passaggio di strumenti per interventi all’interno dell’occhio. Questi hanno le dimensioni e la biocompatibilità necessaria ad operare in contatto con l’umor vitreo. Di dimensioni e forma variabili a seconda della casa produttrice, il parametro che li identifica è il gauge o calibro (il gauge, indicato con g, è una misura di diametro) ed esistono due calibri standard per i trocar oftalmici: 25-g (diametro interno ed esterno pari rispettivamente a 450 µm e 500 µm) e 23-g (diametro interno ed esterno pari rispettivamente a 650 µm e 720 µm). Più avanti verranno descritte le differenze che esistono nell’utilizzo dei due diversi calibri [17].

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2.5 La TSV: Transconjuntival Sutereless

Vitrectomy

Introdotta da Fujii et al. nel 2002, questa procedura prevede l’inserimento di tre microcannule di poliammide a 25-g, attraverso la congiuntiva e la sclera, nell’area della pars plana. Gli strumenti vitreoretinali, una fibra ottica e l’infusione sono immessi attraverso i tre portali stabiliti dalle microcannule. Dato il diametro esterno di 0,5 mm (25-g), le incisioni lasciate sulla sclera sono così piccole da potersi sigillare senza suture. La procedura non causa alcun trauma chirurgico alla congiuntiva, non richiede suture alla sclera, permette tempi di recupero estremamente rapidi.

La modalità dell’intervento ha trovato, quindi, fin da subito, il supporto di molti chirurghi oftalmici, tuttavia altri hanno deciso di non adottarla. Una delle obiezioni più frequenti è quella della eccessiva flessibilità della strumentazione utilizzata nella TSV 25-g, che non permetterebbe di eseguire adeguatamente alcune delle operazioni su umor vitreo e retina. Per questo è stata pensata una tecnica che invece di utilizzare portali a 25-g, utilizza portali a 23-g, che permettano strumenti di diametro maggiore e quindi meno flessibili [18].

La procedura chirurgica è di seguito riportata.

La congiuntiva viene premuta lateralmente di 1 o 2 mm, nei quadranti infero-temporale, supero-temporale e supero-nasale, usando una speciale piastra di pressione per bloccare la sclera fermamente. Lo stiletto a 25-g o 23-g è inserito a 20-35 gradi rispetto al piano tangente all’occhio nel punto di incisione, attraverso la congiuntiva, la sclera e la pars plana a 3,5 mm dal limbo corneosclerale. È applicata una pressione costante alla piastra di pressione durante l’inserimento affinché si eviti lo scivolamento della congiuntiva sulla sclera.

La prima microcannula è quindi posizionata per l’immissione di una infusione di soluzione fisiologica che permette di portare la pressione intraoculare a valori compresi tra 35 ed 40 mm Hg. In successione vengono quindi inserite le altre due microcannule che permettono l’immisione di una fibra ottica per l’illuminazione del distretto operatorio, e l’inserimento dei ferri chirurgici di interesse (fig. 2.9).

Gli strumenti principali utilizzati sono: uno strumento di taglio del vitreo (con velocità di taglio che oscillano tra i 1000 e i 1500 tagli al minuto), una fibra ottica per endoilluminazione, micro-pinzette, micro-forbici.

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Fig. 2.5.1 Procedura Chirurgica

2.5.1 Il confronto tra TSV a 25-g e a 23-g

Nonostante la TSV 25-g sia una tecnica molto recente e quindi la 23-g lo sia ancora di più, esiste una casistica di interventi tale da permettere uno studio degli effetti collaterali della procedura e anche il confronto tra le due tecniche [19].

L’incidenza di endoftalmite sembra essere maggiore nella 25-g, secondo quanto riporta David Williams che sostiene la presenza di una maggiore incidenza di distaccamento retinico nella propria casistica di operazioni a 25-g per la rimozione di miodesopsie. Questo attribuisce la problematica al fatto che non è in grado di tagliare la base del vitreo molto bene. Dunque si chiede se la 25-g valga il rischio: è più veloce della vitrectomia standard a 20-g, è senza suture, ha minori tempi di recupero post-operatorio e gli occhi sono già come prima il giorno dopo. Tuttavia si pensa che i rischi siano troppo alti di fronte a vantaggi che riguardano soprattutto l’aspetto estetico.

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Dall’altra parte la 23-g è una tecnica senza rischi, è una vitrectomia più controllabile, gli strumenti che vi si utilizzano non si piegano, i tagli periferici possono essere fatti bene quanto nella vitrectomia standard, l’illuminazione è ottima, ovviamente anche stavolta siamo in presenza di una vitrectomia che non abbisogna di suture. Inoltre la 23-g non è una tecnica che può servire come “allenamento” per la tecnica a 25-g , in effetti, il Dr. Tornambe afferma che gli strumenti usati nella 23-g si comportano in modo molto più simile a quelli della 20-g che non a quelli della 25-g. La 23-g si allontana un po’ dalla 20-g ma non è vero che eseguendo interventi con la 23-g si possa migliorare nella 25-g: sono completamente diverse. [19]

In effetti, le differenze di rigidità tra un tagliatore di vitreo 23-g ed uno 25-g sono evidenti. Esaminando il comportamento in flessione dello strumento con un peso da 60 g (figura) i risultati hanno confermato le sensazioni dei chirurghi: l’angolo di flessione per un 23-g è approssimativamente 10°, mentre per un 25-g è circa 21°. È stato misurato anche il rateo di aspirazione (volume di vitreo aspirato/tempo) delle due tecniche e data la maggiore grandezza (il diametro di un 23-g è circa 200 µm più grande di un 25-g, un 23-g è dunque circa 1,5 volte un 25-g) del 23-g, i risultati hanno evidenziato che quest’ultima tecnica ha un rateo di circa 1,5 volte maggiore.

Anche il Prof. Kusaka, confrontando la propria esperienza di 150 bulbi oculari trattati con vitrectomia 25-g e 55 con 23-g, ritiene che la tecnica a 23-g sia molto più semplice della 25-g. Effettuare un taglio del gel vitreo alla sua base, asportare le membrane epiretinica e limitante interna, sono operazioni che sono più difficili con un 25-g, a causa della eccessiva flessibilità degli strumenti e delle dimensioni troppo piccole per le pinzette. [20]

Fatte tutte queste considerazioni in favore della vitrectomia senza suture con portali a 23-g, si premette che questo lavoro si centra sulla tecnica a 25-g. Questo perché, a prescindere dall’effettiva superiorità della 23-g, ad oggi è la 25-g ad avere una casistica più ricca e ad essere considerata la procedura standard per la chirurgia mini-invasiva dell’occhio.

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2.6 La formazione di drop durante l’inserimento

del trocar: problematiche

La procedura appena descritta in breve, ha una problematica considerevole nel delicato momento dell’inserzione: non appena l’ago è ritirato e la microcannula lasciata in sede, a causa della differenza di pressione tra interno dell’occhio e pressione atmosferica (circa 16 mm Hg pari a circa 2130 Pa), si forma una perla di vitreo alla testa della microcannula. Si può vedere bene nei fotogrammi riportati qui sotto.

Fig. 2.5.2 Formazione della goccia in seguito all’intervento chirurgico

I fotogrammi evidenziano la fuoriuscita di umor vitreo dovuta alla variazione di pressione tra l’interno e l’esterno del bulbo oculare. Per l’analisi fisica del problema si rimanda al capitolo 4.

Il vitreo, per quanto è stato anche in parte descritto, è un sistema a scarso e lento ricambio, che non sopporta bene né il doversi ricostituire né eventuali infezioni. Quindi, in caso di intervento che non implichi la rimozione fisica di tutto il vitreo originale, è

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importante che questo non sia contaminato dall’ambiente della sala operatoria che non è mai perfettamente sterile.

Il chirurgo che faccia l’intervento con questa tecnica mini-invasiva, si ritrova, dunque, a dover rimuovere la quantità di vitreo fuoriuscito che potrebbe essersi infettato. Ma così facendo, estraendo più vitreo del dovuto, può favorire le condizioni che portano al distacco di retina. Tuttavia la riduzione di umor vitreo estratto porta spesso all’insorgere di infezioni e/o conseguenze a medio-lungo termine sulla retina.

2.7 Obiettivo della tesi

Si è visto, dunque, quanto possa essere problematico sia per il chirurgo che, soprattutto, per il paziente, lo sviluppo di perle di umor vitreo all’interfaccia tra l’interno dell’occhio e l’ambiente della sala operatoria. La chirurgia vitrectomica senza suture, essendo mini-invasiva, garantisce la mancanza di lunghi tempi di decorso post-operatorio, nessun disagio estetico, brevi tempi di ospedalizzazione, etc. Tuttavia è una tecnica giovane, con casistica ancora limitata e che, come si è già evidenziato, può avere svariate controindicazioni. Dal punto di vista ingegneristico, non è possibile migliorarla dal punto di vista di riduzione delle problematiche che si sviluppano all’interno dell’ambiente occhio, in seguito all’intervento chirurgico, ma invece è possibile sviluppare dei dispositivi chirurgici in grado di ridurre o evitare la formazione di perle di umor vitreo. Il presente lavoro di tesi nato dalla collaborazione con la Clinica di Chirurgia Oftalmica dell’Ospedale SS. Chiara di Pisa, si propone di sviluppare un trocar oftalmico di nuova generazione in grado di risolvere il problema della formazione di drop all’interfaccia vitreo-sala operatoria. Tale dispositivo consentirà una diminuzione delle controindicazioni chirurgiche precedentemente descritte, diminunendo le probabilità di distacco della retina e riducendo il rischio di infezione dell’umor vitreo. Il problema della fuoriuscita di fluidi biologici da dispositivi mini-invasivi è usualmente risolto nei trocar per laparoscopia tramite l’uso di valvole a rubinetto. Tale scelta però è inapplicabile nel caso dei trocar oftalmici a causa delle loro dimensioni microscopiche. Nasce quindi la necessità di sviluppare una nuova modalità di controllo dell’interfaccia trocar-umor vitreo e trocar-ambiente operatorio.

L’obbiettivo di questo lavoro di tesi è quindi progettare e realizzare un trocar oftalmico dotato di un sistema a microvalvola che riduca drasticamente il volume di umor vitreo che normalmente fuoriesce durante la Transconjuntival Sutureless Vitrectomy. Il

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suddetto dispositivo dovrà rispecchiare le seguenti specifiche di progetto, dettate dagli specialisti del settore:

- essere realizzato in materiale biocompatibile, possibilmente elastomerico, - resistente all’usura e alla rottura,

- sterilizzabile con le classiche tecniche di sterilizzazione presenti in ambiente clinico, - producibile su larga scala con metodologie fabbricative standard,

- dal costo contenuto,

- facile da utilizzare dall’operatore medico.

La progettazione del dispositivo sarà preceduta da una attenta modellizzazione analitica ed agli elementi finiti, al fine di valutare il suo comportamento meccanico al variare sia della topologia della microvalvola sia delle diverse condizioni operatorie. Tale fase permetterà di ridurre sia i tempi che i costi di sviluppo del sistema, consentendo un primo screening sulle geometrie della microvalvola da realizzare.

Viste le dimensioni micrometriche del dispositivo da sviluppare, verrà valutata, a seconda della topologia prescelta in seguito alla fase di modellizzazione, la tecnica di microfabbricazione più idonea al conseguimento del risultato desiderato.

Infine, per convalidare il minuzioso e attento lavoro di tesi saranno condotti dei primi test in-vivo rispettando, naturalmente, le normative vigenti in fase di sperimentazione animale, al fine di dimostrare la rispondenza da parte del trocar drop-free realizzato con i requisiti precedentemente indicati.

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Bibliografia

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Figura

Fig. 2.3.1 Schema della chirurgia episclerale
Fig. 2.4.2 Trocar Oftalmici
Fig. 2.5.1 Procedura Chirurgica
Fig. 2.5.2 Formazione della goccia in seguito all’intervento chirurgico

Riferimenti

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