i
ntroduzionetra i protagonisti della pittura siciliana dell’ottocento, Francesco Lojacono viene considerato «il signore del pae- saggio». È assodato che nella rappresentazione di vedute, raggiunse rilevanti livelli, di certo non inferiori a quelli dei maestri partenopei, toscani o piemontesi, non legato soltan- to alla corrente pittorica siciliana, ma con un posto di rilie- vo nella pittura italiana del secolo. un’artista a lungo a con- tatto con la natura, capace di subirne l’incanto vagando per la campagna, catturandone i colori, le vibrazioni, soprattut- to nelle prime ore del mattino quando l’aria è più tersa e i toni più morbidi e sfumati, affascinato dalla ricchezza delle variazioni cromatiche che il paesaggio offre, dalla gamma più svariata dei verdi degli alberi, dei prati, dei boschi, agli azzurri del cielo e del mare, ai grigi delle montagne lonta- ne, delle pietre e degli uliveti. Lojacono studiò a lungo la natura, s’immerse in essa per conoscerla, percorrerla, ispe- zionarla e riportarla poi sulle sue tele, senza alcun influsso romantico, ma così com’essa è realmente. rimase sempre fedele al dato naturale e volle rendere nei suoi dipinti la campagna siciliana con obiettivo realismo e con efficacia plastica divenendone il più autentico interprete.
c
aMPagne,
giardini eo
rto Botanico: L
an
atura coMe Fonte d’
iSPirazioneLa pittura di paesaggio dell’ottocento – detta anche di genere – costituisce un capitolo ricco e originale all’interno dei movimenti artistici nazionali ed internazionali del
medesimo periodo. Studi che affondano le radici nel secolo illuminista e indagati durante la corrente romantica – in cui vi è la ricerca e il recupero di una dimensione spontanea, libera e selvaggia in contrasto con la compostezza e la fred- dezza che costituivano le regole neoclassiche. Queste inda- gini gettarono le basi per un’attenzione più disincanta della realtà favorendo – a partire dagli anni Quaranta del secolo – la diffusione delle correnti del naturalismo e del realismo nelle arti figurative e in altri ambiti culturali (c
iSeri, 2005).
Luoghi deputati divennero le grandi campagne fuori città: Fonteinbleau in Francia, la Maremma in toscana, la valle dell’etna, di agrigento e della conca d’oro in Sicilia, la campagna di resina a napoli, le coste e le grandi vedu- te, reiterate dall’archivio d’immagini del periodo neoclassi- co; ma non solo: luoghi di grande interesse divennero anche i grandi giardini storici e scientifici. così, i pittori della scuola napoletana di resina, preferirono come luogo d’in- contro le tenute di caccia dei princìpi di Borbone, mentre i maestri macchiaioli, preferirono le atmosfere del parco di Villa dell’ombrellino a Bellosguardo, presso Firenze (B
ianco& al., 2005). anche i massimi esponenti della
‘Scuola siciliana’ preferirono, tra un soggiorno e l’altro fuori dall’isola, approfondire lo studio della realtà, an plein air, presso ville storiche baronali – come l’agrumeto di Villa napoli, il giardino romantico di Villa tasca nel capo- luogo siciliano, il parco di Villa Palagonia a Bagheria – o presso giardini scientifici come l’orto Botanico di Palermo.
L’istituzione, in questo periodo, divenne fonte d’ispirazio- ne per numerosi artisti che lo visitarono. Fu così che nel 1881, richard Wagner (1813-1883), immerso tra i sentieri Quad. Bot. Ambientale Appl., 27 (2016): 31-41.
Francesco Lojacono (1838-1915) interprete del paesaggio e della natura siciliana
V incenzo M agro
Società cooperativa cultura Botanica, via Lincoln 13-15, i - 90123 Palermo.
a
BStract. – Francesco Lojacono (1838-1915) interpreter of the Sicilian landscape and nature – after a general introduction to land- scape painting and references to the artistic movements that will characterize the post-risorgimento period, the author focuses on the role played by the painter Francesco Lojacono in the affirmation of the current Verista in Sicily. the importance of landscape and painting as a means of its representation is discussed, with reference to the cultural and natural values of the island. they are the same as those first received by travelers and artists of the grand tour, but this time enhanced by the light and by the Sicilian colors all strongly expressed by the great artist. these are natural and cultural landscapes, plants of indigenous and exotic flora, both spontaneous and cultivated, all elements that give life and expression to the Sicilian landscape made known by Lojacono beyond the island's borders.
Key words: genre painting, landscape, landscape painters, naples, Sicily, tuscany, nature and botanical culture.
Pubblicato online: 09.10.2019
http://www.quadernibotanicambientaleappl.it
dell’orto, trovò l’ispirazione per scrivere due pagine di par- titura del “Parsifal” e nello stesso periodo, il medesimo spi- rito contemplativo, armò la mano luminosa di Francesco Lojacono (1838-1915), che fissò nelle sue tele i colori e insieme l’armonia sprigionata da elementi naturali ed artifi- ciali, costituitivi dell’orto (r
otoLo, 2004). Francesco Lojacono, “ladro del Sole”, fu un assiduo frequentatore del- l’istituzione accademica – complice una sincera amicizia con l’allora direttore Vincenzo tineo (1791-1856) – soprat- tutto durante gli anni della maturità pittorica. Più tardi, alle soglie del novecento, l’orto Botanico di Palermo, sarà nuo- vamente fonte d’ispirazione per una delle figure più impor- tanti dell’architettura dell’ottocento siciliano: giovan Battista Filippo Basile (1825-1891). L’architetto durante la sua formulazione teorica e progettuale attinge dal mondo della botanica una inesauribile fonte d’ispirazione.1 L’originalità del processo di Basile viene riconosciuto a livello europeo nella realizzazione della grande fabbrica del teatro Massimo Vittorio emanuele, costruito a Palermo tra il 1875 e il 1897 e ultimato dal figlio ernesto Basile (1857- 1932). Seguendo la vocazione botanica del padre e rispet- tando il progetto originario, vengono indagate in maniera scientifica tutte le decorazioni d’ispirazione botanica pre- senti negli ornamenti dell’architettura come, le foglie d’a- canto a decoro dei capitelli in ordine corinzio, i bassorilievi con canestri contenenti differenti varietà pomologiche, i cui studi vengono presentati al pari di tavole d’illustrazione scientifica.
Suo figlio ernesto, anch’egli architetto ed erede della stessa linea culturale, frequenta l’orto botanico e fin da pic- colo - come fu per il padre – trae ispirazione dalle collezio- ni. dai disegni e dalle tavole a noi pervenute si evince come ernesto abbia assorbito la lezione paterna nel ricercare le leggi e le proporzioni geometriche insite nel regno vegetale.
anche per lui l’orto Botanico di Palermo è il punto di par- tenza per concepire un nuovo percorso creativo e una nuova architettura, che, alle soglie del novecento, daranno vita al cosidetto ‘Stile Floreale’, tutto italiano, elevando Palermo a capitale dell’Art noveau (inizio del sec. XiX) influenzando le arti figurative, l’architettura e le arti applicate in tutta europa. ed è proprio in una delle sue più grandi realizza- zioni architettoniche, realizzate per la famiglia Florio – Villa igiea a Palermo - che si trovano proiettate, all’interno delle sale - e in particolare negli affreschi parietali eseguiti da ettore de Maria Bergler (1850-1938) – espressioni natura- listiche tratte dallo studio della botanica irradiate dall’orto Botanico di Palermo che attraverso l’architetto – e quanti accolsero il nuovo linguaggio floreale – adesso si trovano nelle decorazioni parietali e architettoniche italiane d’inizio novecento (L
on
ardo, 2004).
i
L Secondoo
ttocento ini
taLia: F
ranceScoL
ojacono e iL Suo teMPotenendo conto della situazione geo-politica frammenta- ria, il panorama delle arti in italia appare eterogeneo, con progressiva tendenza alla creazione di uno “Stile naziona- le”, un fenomeno che scorre parallelo al processo di libera- zione e unificazione della Penisola. il comune senso patriot- tico è uno dei fattori che più contribuisce alla ricerca e dif- fusione di un linguaggio pittorico comune, favorito dalla coesione tra artisti di estrazione sociale e culturale assai
diversa. La situazione intellettuale e artistica italiana era ancora comunque caratterizzata dalle scuole regionali che presentavano tra di esse caratteristiche peculiari diverse, facenti capo a due dei maggiori centri culturali dell’italia risorgimentale: napoli e Firenze (B
artoLena, 2015).
napoli post-unitaria, si presenta ancora come una grande capitale europea e un centro internazionale di formazione intellettuale e artistica. ospita – fin dalla fine del Settecento – una fiorente scuola pittorica di vedutisti, che affonda le ricerche nella pittura di Hackert (1737-1807) e Kniep (1775-1825), ancora frequentata da molti artisti italiani e stranieri sul finire dell’ottocento. Proprio nella città parte- nopea, intorno al 1820 – grazie all’insegnamento e alle ricerche del pittore anton Sminck Van Pitloo (1790-1837) – nacque la “Scuola di Posillipo” lontana dalle regole accade- miche e così chiamata dai teorici del periodo. Pitloo fu uno dei promotori e dei protagonisti del paesaggismo d’inizio ottocento. intorno a lui si riunì una prima generazione di artisti partenopei, tra i più rappresentativi giacinto gigante (1806-1876), i fratelli giuseppe (1812-1888) e Filippo Palizzi (1818-1899), più tardi domenico Morelli (1826- 1901) e Francesco Paolo Michetti (1851-1929) (a
rgan, 2017).
a Firenze, tra il 1850 e il 1860, si sviluppò il movimento dei Macchiaioli. essi tendevano a “ottenere gli effetti del vero”, cioè costruendo l’immagine con fedeltà all’impres- sione visiva, restituendo su tela la forma attraverso masse cromatiche solide e concrete, per mezzo del contrasto netto tra macchie di colore, tra zone in luce ed ombra (g
raSSo, 1990) Le discussioni artistiche nascono tra i tavoli del
‘Michelangelo cafè’ frequentatissimo ed ubicato nel centro di Firenze. autorevoli esponenti del gruppo toscano furono giovanni Fattori (1825-1908), telemaco Signorini (1835- 1901), Silvestro Lega (1826-1895) e Vincenzo cabianca (1827-1902).
con i toscani si confrontarono artisti soprattutto campani e siciliani, mescolando le esperienze locali a quelle di que- sti ultimi. È infatti con il gruppo degli artisti napoletani che i macchiaioli cercarono un’azione concorde, un rapporto amichevole. domenico Morelli aveva attivato con essi un profondo scambio artistico, rafforzatosi tra il 1864 e il 1867 quando le ricerche della “Scuola di Posillipo” lasciarono il posto alla “Scuola di resina” che svolse un ruolo fonda- mentale nell’applicazione dei principi veristi del paesaggio.
Scuola avviata, soprattutto, dal pittore napoletano Marco de gregorio (1829-1875) insieme al fiorentino adriano cecioni (1836-1886), giuseppe de nittis e Federico rossano (1835-1912). Sebbene la “Scuola” durò solo quat- tro anni, significò comunque l’avvio di uno studio della
1. giovan Battista Filippo Basile e l’orto Botanico di Palermo hanno un legame indis- solubile. Figlio del guardiano, visse all’interno della Schola Botanica dove si avvarrà della protezione e dell’aiuto di una figura paterna, Vincenzo tineo, allora direttore e per Basile autentico mecenate. Sarà quest’ultimo che accompagnerà fin dall’infanzia la crescita culturale di giovan Battista Filippo, rivestendo un ruolo importante nella sua vita. Lo introduce all’insegnamento della Botanica come dimostratore della sua cattedra, assorbe i fondamenti del linguaggio della Pittura e dell’architettura neoclas- sica, schizzando le architetture del douforny; viene a contatto con botanici, scienzia- ti, viaggiatori, artisti e letterati provenienti da ogni parte d’europa, attratti dalla ric- chezza delle collezioni dell’orto palermitano. il corso di laurea in architettura che Basile segue dal 1845 al 1846, anno del conseguimento della laurea franca, si svolge all’interno della Facoltà di Scienze Fisiche e Matematiche. La Botanica, insieme alla geometria, è una disciplina che lascerà un’impronta decisiva sugli sviluppi futuri del giovane architetto (Lonardo, 2004).
natura affrontato dal vero e aprì la strada a un linguaggio basato sulla sintesi formale e sui rapporti tonali che resti- tuissero le forme del paesaggio, le atmosfere, i colori vivi e naturali. alla “Scuola di resina” vi soggiornarono, inoltre, anche alcuni esponenti della scuola siciliana tra i quali:
antonino Leto e Francesco Lojacono.
a queste ricerche vanno accomunate quelle delle scuole Lombarde e Piemontesi del gruppo della “Scapigliatura milanese” e della “Scuola di torino”, il cui massimo rap- presentante fu l’emiliano antonio Fontanesi (1818-1882) (a
rgan, 2017). L’aspirazione al realismo accomunò tutte le scuole pittoriche della Penisola e anche in scultura, l’ade- sione al “vero”, si manifestò attraverso la ricerca di nuovi temi e di un modellato sempre più disponibile alla resa del naturale.
Momento determinante per l’evoluzione stilistica della nuova generazione d’artisti è sicuramente l’esposizione nazionale di Parigi del 1855 che presentò al panorama arti- stico europeo le istanze, profondamente innovative della
“École de Barbizon”2, nella quale artisti aderenti al movi- mento dipingevano superando tutte le convenzioni accade- miche. tra i massimi esponenti vi erano theodòre rosseau (1812-1867) considerato il caposcuola, jean Françoise Millet (1814-1875) e jean-Baptiste camille corot (1796- 1875), che sviluppò precocemente uno stile realista, consi- derato il capofila della scuola moderna di paesaggio.
La contemplazione dell’ambiente naturale, della figura umana, veniva adesso introdotta nei dipinti mediante una tecnica di osservazione nuova e accuratissima.
al contempo gli artisti, avevano iniziato a considerare le possibilità di analisi offerte da un nuovo mezzo: la fotogra- fia.3 Quest’ultima – proprio da metà ottocento – da ecce- zionale mezzo sussidiario e sperimentale, entrò a pieno tito- lo nel moderno sistema delle arti, influenzando i linguaggi espressivi e creativi tradizionali. alcuni la adottarono quale supporto al proprio lavoro, per appunti sulla natura; altri per avere immagini di oggetti o modelli da poter studiare e inse- rire con agio per i propri dipinti. notevole importanza ebbe soprattutto per i paesaggisti. i contorni vaghi e sfuocati sug- gerirono ai pittori di paesaggio nuove soluzioni formali per allontanarsi dalla nitida definizione della pittura accademi- ca, nonché nel contribuire alla sua svolta stilistica, fatta di pennellate rapide e veloci in grado di cogliere l’atmosfera (B
ianco& al., 2005).
La fine degli anni Settanta dell’ottocento segnano l’ini- zio della crisi del realismo e del Verismo nella penisola.
nel panorama artistico dell’italia di fine secolo, si manife- stano i primi sintomi della crisi estetica realista che aveva guidato le ricerche sulle scelte stilistiche delle scuole regio- nali tra gli anni Quaranta e cinquanta. il realismo si evol- ve in altri linguaggi che da esso discendono, trovando nuove direzioni. il Verismo si trasforma in Verismo sociale, cor- rente che caratterizzerà gli anni ottanta, con soggetti ispira- ti alle classi meno abbienti, dai toni sentimentali, pietistici e di denuncia, ispirati al mondo della poetica e della letteratu- ra verghiana e da cui si svilupperà successivamente il divisionismo, a partire dall’ultimo decennio del XiX seco- lo (B
ianco, 2003).
n
aPoLi,
PoLo di eccezionaLe VitaLitàalle soglie della metà dell’ottocento, napoli, si presenta
come una grande metropoli, polo attivo d’irradiamento cul- turale, intellettuale e artistico nel sud italia. già massimo centro propulsore della cultura neoclassica in europa e nel sud italia, grazie alla presenza della corte illuminata di carlo iii di Borbone (1716-1788), divenne una delle più importanti capitali europee (M
attareLLa, 1982).
dopo le scoperte archeologiche di Pompei, ercolano e Stabia – durante gli anni del regno Borbonico – la presen- za di viaggiatori e artisti stranieri che soggiornano nella città partenopea s’intensifica, attratti dal fascino del passato e dalle manifestazioni artistiche del presente, dando vita al cosidetto voyage pittoresque, un tour incentrato sui maggio- ri siti d’interesse archeologico del sud e del centro italia. gli artisti fissavano sui loro taccuini non soltanto le magnifiche e imponenti vestigia dell’arte greca siceliota, italiota o romana ma anche vedute di città, marine e altri paesaggi, ancora lontani nel tempo e in anticipo sul romanticismo.4
È proprio in questo frangente che la pittura di paesaggio – in particolare quella del sud borbonico – si orientò verso il realismo e il Vedutismo, sviluppandosi soprattutto a par- tire dagli anni Quaranta del XiX secolo.
esempi massimi, furono le opere di grafici e incisori nor- dici come christoph Heinrich Kniep (1755-1825), disegna- tore e pittore tedesco che accompagnò lo stesso goethe nel suo viaggio in italia, jakob Philipp Hackert (1737-1807) anch’egli tedesco, a lungo in Sicilia, occupandosi prevalen- temente della raffigurazione di paesaggi per conto del re Ferdinando iV di Borbone, jean-Pierre Houel (1735-1813), per lungo tempo in italia e acuto osservatore dell’ambiente siciliano e l’olandese anton Sminck Van Pitloo (russo, 2015). Luoghi raccolti dapprima in una copiosa produzione di disegni e incisioni e successivamente rielaborati dalla pit- tura ottocentesca, vengono tuttavia rivisitati con massima attenzione al naturalismo, attraverso il colore e la luce natu- rale tipica della stagione o delle ore, secondo le ricerche maturate all’interno del Verismo.
a napoli, inoltre, durante la metà del secolo, si potevano incontrare anche i più autorevoli pittori del tempo, come jean Baptiste corot (1796-1875) – che vi soggiornò dal 1825 al 1828 e poi nuovamente dal 1834 al 1843 – conside- rato uno dei più sensibili paesaggisti dell’ottocento o William turner (1775-1851) massimo esponente del pae- saggismo inglese e presente in città tra il 1823 e il 1824.
Questi – così come altri artisti – scambiarono le proprie esperienze con una delle più importanti scuole della Penisola, la “Scuola di Posillipo”; pioniera del paesaggio pittorico moderno e fucina di nuove generazioni di artisti.
2. con questo termine si definisce un sodalizio artistico tra alcuni pittori che fondano un’atelier ai margini del villaggio di Barbizòn, a pochi chilometri da Parigi, posto ai margini della foresta di Fontainbleau. il luogo è stato un ritrovo di artisti principal- mente tra il 1830 e il 1870. La definizione di “scuola” è impropria: questi artisti non scrivono alcun programma, né hanno rapporti con la istituzioni didattiche ufficiali, ritenute obsolete e incapaci. (Bianco, 2003).
3. già dagli anni cinquanta del secolo, molti pittori vennero a contatto con fotografie di paesaggi e con studi fotografici parigini che realizzavano ritratti e nudi su albumi- na composti appositamente a uso dei pittori (Bianco, & al., 2005).
4. durante il periodo del voyage pittoresque si avrà, infatti, un’attenzione maggiore verso il vedutismo, verso il realismo e le peculiarità dei luoghi ritratti en plein air assumendo alti livelli nel corso dell’ultimo quarantennio dell’ottocento. La pratica dello studio en plein air, inoltre, permise ai maestri, inoltre, di captare rapidamente il mutare del tempo e della luce, cogliere l’aspetto effimero e fuggitivo della natura e del paesaggio, in cui trovava spazio l’esperienza immediata ed emotiva dell’artista (Lenzi
iacoMeLLi, 2003).
La presenza in città di giacinto gigante, considerato il continuatore della scuola di Pitloo e suo massimo esponen- te, e quella dei fratelli giuseppe e Filippo Palizzi (quest’ul- timo Maestro di Lojacono), in rapporto diretto con l’École de Barbizon e la città di Parigi, fecero sì che napoli e la
“Scuola di Posillipo” diventassero una tappa obbligatoria nella formazione e nella specializzazione dei giovani artisti.
della scuola fecero parte domenico Morelli - definito
“padre del realismo visionario”, che seppe relazionarsi con le ricerche di altre scuole regionali, facendo giungere a napoli le novità della scuola toscana soprattutto, e Paolo Michetti – allievo di quest’ultimo - che contribuì in modo determinante alla corrente Verista in ambito non solo napo- letano, ma nazionale (a
rgan, 2017).
a napoli si formò anche il palermitano Francesco zerilli (1793-1837), presenziandovi attraverso ripetuti soggiorni.
egli è considerato il precursore della pittura di paesaggio in Sicilia, il primo artista siciliano che si dedicò totalmente a questo genere, con tempere di piccolo formato e con inci- sioni, sulla scia del vedutismo settecentesco, prediligendo le vedute delle più importanti città siciliane. con zerilli la pit- tura di paesaggio recepisce quella effusiva dimensione luministica propria della “Scuola di Posillipo” e di artisti come il Pitloo o il gigante (n
iFoSì, 2014).
anche se influenzata dalla sfera culturale napoletana e aperta verso le novità culturali provenienti dal resto d’italia, in realtà, la Sicilia non riuscì mai a divenire un centro cul- turale realmente attivo, come avvenne per altre regioni della Penisola, neanche nel periodo in cui furono produttivi con- temporaneamente Leto, Lojacono e catti, rappresentanti autorevoli del paesaggismo siciliano.
di conseguenza non si formò mai una vera e propria
“Scuola siciliana”, sia perché gli artisti siculi cercarono nuovi contatti fuori dall’ambiente locale, per ampliare i loro confini culturali e artistici, sia perché nella pittura dell’ottocento polo d’attrazione fu napoli, tappa fondamentale per la formazione e lo scambio di idee culturali con incontri molto frequenti.
L’ambiente napoletano permise loro, infatti, di venire a con- tatto con gli artisti di altre regioni soprattutto dopo la restaura- zione, di entrare in comunicazione prevalentemente con la Francia, per via dei frequenti viaggi dei pittori partenopei a Parigi, nonché con la toscana, considerando Firenze un’altra tappa d’obbligo nel processo di ampliamento della propria cultura artistica, grazie alla presenza del gruppo macchiaio- lo.
i
MaSSiMi eSPonenti deLLa Pittura deLL’800
SiciLiano:
tra inFLuSSi LocaLi,
euroPei e deLLaP
eniSoLaÈ proprio durante questo fervore culturale, durante que- sta rinnovata ricerca artistica, che si formarono i Maestri siciliani del paesaggio.
Francesco Lojacono (1838-1915), considerato il più importante paesaggista dell’ottocento siciliano, intraprese vari soggiorni all’estero, con il bisogno sempre costante di tornare nella sua isola per catturarne l’atmosfera e le vibra- zioni. apprese le prime nozioni di pittura alla scuola del padre, Luigi Lojacono (1810-1880) anch’egli pittore di vedute, e successivamente fu allievo di Salvatore Lo Forte (1804-1885), per poi trasferirsi a napoli dove frequenta la scuola di Filippo Palizzi. È proprio tornando in Sicilia che elabora ciò che aveva appreso a napoli: una pittura analiti- ca, attenta al particolare, con un’ampia ricerca di soluzioni per rendere in modo veristico il rapporto tra luce naturale e gli oggetti su cui si posa. nelle opere successive all’appren- distato napoletano la tecnica del Palizzi è già assorbita.
numerosi i viaggi e i soggiorni per scambi culturali con altre scuole: Firenze, Parigi, Venezia, Milano, Vienna e Berlino, ma non volle mai distaccarsi dai modi di una cultu- ra realistica, né rimase colpito dalla tecnica dei Macchiaioli o dalle cromie dei naturalisti francesi. (a
ccaScina,1982)
allievo di Luigi Lojacono fu anche il monrealese antonino Leto (1844-1913), entrato in bottega nel 1862, appena diciottenne. da subito divenne un’abile maestro di vedute e scorci architettonici che eseguiva dal vero, stu- diando le forme del duomo e del chiostro della cittadina normanna. antonino – come Francesco - si formò successi- vamente a napoli, presso la scuola dei fratelli Palizzi, appe- na due anni dopo Lojacono (g
raSSo, 1990). nella città par- tenopea assorbe i precetti di una resa più rapida, antiaccade- mica della realtà, dei valori della luce, influenzato dagli arti- sti della “Scuola di resina”. tuttavia, dopo il soggiorno a napoli a roma, Firenze, Parigi e capri, il pittore torna presso la sua terra natìa da cui nuovi motivi d’ispirazione. negli ulti- mi anni, decide di trasferirsi definitivamente a capri per immergersi totalmente nella pittura, nello studio dei colori intensi del litorale, nelle delicate trasparenze, nelle ombre delle scogliere o nei riflessi del mare (g
raSSo, 1993) (fig. 1).
diverso fu per l’allievo di Francesco Lojacono, Michele catti (1855-1914). dopo la fuga dalla casa paterna,5 diven- ne un allievo stimato dal Maestro che lo accolse nel suo stu- Fig. 1 - a. Leto, Saline di trapani, 1881 ca. Palermo, galleria
d'arte Moderna - g.a.M. e. restivo (da a
ccaScina, 1982)
Fig. 2 - M. catti, Porta nuova, 1908, Palermo, galleria d'arte
Moderna - g.a.M. e. restivo (da a
ccaScina, 1982)
dio appena diciottenne, ma solo per un breve periodo, poi- ché la sua ricerca pittorica discordava dalla visione di Lojacono, focalizzata sullo studio attento della natura e della sua realizzazione pittorica in chiave realistica; mentre catti – il cui realismo non era alla base della sua ricerca – preferì una visione della pittura personale, improntata sul lirismo intimo e melanconico, che, negli ultimi dipinti, assunse talvolta accenti di intensa drammaticità, per via della sua vita triste e travagliata, avvicinandolo molto di più alla corrente romantica che a quella dei paesaggisti (M
attareLLa, 1982). catti, a differenza di Lojacono e di Leto, tende a ricostruire in studio i ricordi, le impressioni delle passeggiate, fissate su carta con veloci schizzi a mati- ta e rielaborati successivamente in atelier, attraverso l’aiuto di disegni preparatori che poi avrebbe tradotto in pittura. Per i suoi studi si avvalse molto anche dell’utilizzo della mac- china fotografica, che egli adoperava con disinvoltura. era consuetudine per gli artisti, all’epoca della diffusione della fotografia, l’uso di questo nuovo strumento nell’esperienza pittorica. opere ambientate in un’atmosfera plumbea, appartenenti a città del nord europa piuttosto che del sud, in cui sovrastano cromaticamente i grigi, i neri, talvolta rischiarati da lampi d’amaranto o giallo cadmio, su strade in cui passeggiano silhouette femminili, abbigliate secondo la moda e il gusto della Belle Époque, le cui ombre sono proiettate in riflesso sulle vie bagnate dopo un temporale, con il riverbero del vago chiarore di un cielo offuscato, ben lontano dalle rappresentazioni di natura serena dei maestri (g
raSSo, 1993) (fig .2).
P
ercorSo artiStico diF
ranceScoL
ojaconoFrancesco Lojacono (fig. 3) nasce a Palermo il 16 Maggio 1838. tra il 1852 e il 1856 vanno fissate le date del suo appren- distato presso la bottega del maestro Salvatore Lo Forte, già
direttore dell’ “accademia dell’uomo ignudo” a Palermo.
Questa prima formazione diede al futuro artista un orienta- mento sulle scelte stiliste d’approfondire, secondo direttrici d’interesse ben precise.
accostatosi al romanticismo, attraverso una pittura di carattere storico, risalgono a questo primo periodo le opere
“Francesco Ferruccio che passa l’arno (Feroccio a gavinana), “giovanni dalle Bande nere e Pia dei tolomei”, oggi custodite presso la collezione della galleria d’arte Moderna g.a.M. empedocle restivo (La cagnina 2005).
dovettero essere soprattutto le riflessioni sulle opere di zerilli e di riolo – che egli certamente osservò nello studio del Maestro Lo Forte – a segnare, nel giovane Lojacono, la svolta verso una totale aderenza ai principi della pittura di paesaggio. nel 1856 all’esposizione delle Belle arti di Palermo, presenta l’opera “Paesaggio grande ideale” (olio su tela, collezione privata, Palermo) opera fortemente lega- ta alla lunga tradizione del paesaggio d’invenzione.
La partecipazione all’esposizione del 1856 diede al gio- vane artista la possibilità di ottenere una modesta borsa di studio, che gli consentì di proseguire i suoi studi di pittura a napoli. il soggiorno triennale nella capitale borbonica fu determinante per il percorso formativo di Francesco Lojacono. appena diciottenne, giunse nella città partenopea in un momento di grandi cambiamenti culturali, in una città divenuta un vero crocevia di esperienze, al pari di altre gran- di capitali europee, come torino, Vienna o Parigi. in questo periodo, infatti, giacinto gigante, era giunto al punto più alto dei suoi studi sull’interpretazione del paesaggio e da poco, giuseppe Palizzi, era tornato da Parigi, dopo esser entrato in contatto con le opere di corot e con le ricerche dei naturalisti dell’École de Barbizon, nonché con il verismo di courbet (a
ccaScina, 1982).
a napoli Lojacono, frequenta la scuola dei fratelli giuseppe e Filippo Palizzi, formandosi come pittore di vedute, aderente al realismo, le opere prodotte durante que- sto periodo di studio sono frutto di varie influenze pittoriche dei maestri della scuola e dell’assimilazione della tecnica palizziana.6 terminato il suo apprendistato, il rientro nell’isola, nel 1860, coincide con lo sbarco di garibaldi in Sicilia. tra i picciotti palermitani che si arruolarono nelle truppe garibaldine vi furono molti artisti e letterati, simpa- tizzanti degli ideali del risorgimento; tra questi anche Luigi Lojacono con i due figli Francesco e Salvatore. Luigi, non più giovane, seguì il condottiero fino alla cittadina di Milazzo; Francesco e Salvatore seguirono l’eroe fino al Volturno (g
raSSo, 2005); Questo non fu un anno da dedi- care all’arte e la produzione del giovane maestro si arresta, a favore delle campagne risorgimentali.
5. nel 1837 lascia la casa paterna per evitare di dedicarsi - secondo il desiderio del padre - agli studi giuridici, verso cui non si sentiva portato, ed è accolto dallo scritto- re Luigi natoli. nello stesso anno comincia a frequentare lo studio di Francesco Lojacono (graSSo, 1993).
6. al soggiorno napoletano si possono ricollegare con certezza, alcune opere forte- mente influenzate dalle ricerche pittoriche dei maestri della scuola di napoli. “Piccola marina” e “Vesuvio” risentono fortemente della minuzia esercitata in pittura da Filippo Palizzi; “Palazzo donn’anna”, eseguito attraverso rapide pennellate sfilac- ciate, pare dimostri un notevole entusiasmo per la pittura di giacinto gigante; “Bosco di capodimonte”, per l’utilizzo della pittura a “macchia” può essere ricollegato all’os- servazione di opere di Michetti. Questi e altre opere mostrano come in un periodo gio- vanile, tutti i maestri della scuola napoletana divennero esempio per la crescita arti- stica del giovane Lojacono (accaScina, 1982).
Fig. 3 - a. campini, busto di Francesco Lojacono, 1830 ca.,
Palermo, galleria d’arte Moderna - g.a.M. e. restivo (da n
iFoSì,
2014)
deposte definitivamente le armi, nel 1862, intraprende un percorso incentrato sullo studio della campagna siciliana - sostando a trapani, catania e taormina - quasi per riap- propriarsi dei luoghi della sua terra e della sua pittura, fer- mandosi per più mesi ad agrigento. Fu proprio nella città della valle dei templi che l’apprendista della scuola di napoli si preparava – tramite le sue ricerche pittoriche e i suoi studi grafici – a divenire uno dei massimi esponenti della pittura siciliana dell’ottocento. Qui conosce i fratelli Sinatra, suoi più fedeli estimatori e collezionisti che lo avvi- cinano al mondo della fotografia. inizia un periodo di ricer- ca, che lo porta verso la maturità pittorica: volumi intrisi di luce, luce che trasfigura il tono del colore, pietre metalliche che ardono al sole, rocce calcaree dal bianco riverbero, quasi accecante, immerse nel chiarore del sole di Sicilia.
tra i dipinti di quest’epoca è il “tempio di castore e Polluce” (1862, olio su tela, agrigento, Museo civico, collezione Sinatra) (fig. 4), che risente ancora d’influssi neo- classici per la scelta del soggetto; dalle colonne dorate dal sole, realizzate con pennellate fluide e sfumate – che rivela- no una sensibilità simile a quella di giacinto gigante – allo sfumato degli alberi in lontananza, del cielo e del mare che si fondono all’orizzonte, contrapposti minuzia nella realiz- zazione dei cespugli in primo piano. Lo stesso si può dire per “La collina del tempio di giunone” (1862, olio su tela, agrigento, Museo civico, collezione Sinatra) dove l’aria si fa limpida e le forme più nette, come avveniva nelle tempe- re dei vedutisti d’inizio secolo.
Luce che esalta ancor di più i volumi degli ulivi dipinti dal vero nelle campagne dell’agrigentino. in “ulivi secola- ri” (1884, olio su tela, agrigento, Museo civico, collezione Sinatra) (fig. 5), si osserva la solida plasticità dei vecchi tronchi degli ulivi saraceni, sui quali la luce e la filamento- sa pennellata ne disegnano l’illusoria bellezza. Volume, colore e luce sono fissati sulla tela; la bellezza grigia del vecchio ulivo, le foglie livide al vento, le screpolature della corteccia.
gli anni Settanta dell’ottocento costituiscono un periodo di piena affermazione sociale per Lojacono e si intensifica- no gli impegni espositivi in italia e all’estero: napoli, Vienna, Parigi, Londra e la germania (L
ac
agnina, 2005).
nel 1871 espone a Vienna il dipinto “La Valle dell’oreto” – oggi trafugato – suscitando l’entusiasmo della critica d’ol- tralpe, proprio in virtù del forte naturalismo e realismo riflesso dall’opera. in austria non perde occasione di vaga- re tra le paludi e i boschi nei pressi della capitale, catturan- done le umide atmosfere, come nel caso della tela di picco- lo formato intitolata “Bosco di Vienna” (1871, olio su tela, collezione cinquemani, Palermo).
tornato in patria, si dedica nuovamente ai monti della sua Sicilia. e’ nel 1872 che raggiunge la piena maturità artistica con l’opera “Vento in montagna” (1872, olio su tela, galleria d’arte Moderna e. restivo, Palermo) (fig. 6) – pre- sentata successivamente all’esposizione universale di Parigi del 1878 – dove i procedimenti dell’indagine verista sono impiegati con straordinaria perizia per rappresentare ogni minuto particolare della natura sferzata dal vento, conside- rata, a ragione, una delle espressioni più alte del realismo di Lojacono. una veduta aperta, in cui cielo e terra sono dis- tribuiti equamente, lontana dai panorami precedenti sereni e immobili della campagna siciliana. in primo piano si rico- noscono gli elementi caratteristici dell’ambientazione regio- nale - le rocce coperte dai muschi, gli arbusti, le agavi, le pale di fichi d’india inclinati dal vento. in secondo piano la Fig. 4 - F. Lojacono, tempio di castore e Polluce, 1862, agrigento,
Museo civico, collezione Sinatra (da g
raSSo, 2005)
Fig. 5 - F. Lojacono, ulivi secolari, 1884, agrigento, Museo civico, collezione Sinatra (da g
raSSo, 2005)
Fig. 6 - F. Lojacono, Vento in montagna, 1872, Palermo, galleria
d’arte Moderna - g.a.M. e. restivo (da g
raSSo, 2005)
figura del pastore col suo gregge dal vello arruffato, tra i monti via via sempre più evanescenti; cumuli di bianchi cirri s’inseguono nel cielo.
nello stesso anno il Maestro è presente – con reiterate visite – a napoli, dov’è nominato professore onorario della cattedra di “Pittura del Paesaggio” presso l’accademia di Belle arti, e già scranno di tanti pittori insigni quali anton Van Pitloo e domenico Morello (g
raSSo, 2005). in questi stessi anni, il panorama della pittura italiana subisce profon- di cambiamenti: la “Scuola di Posillipo” e quella dei Palizzi lasciano spazio alla “Scuola di resina”, come centro pro- pulsore di nuove idee, grazie all’attività dei pittori de gregorio e cecioni, rappresentanti delle ricerche toscane dei macchiaioli, delle loro teorie ottiche sulla luce e delle loro proposte pittoriche (a
rgan, 2017). Lojacono, in questo frangente, fu capace d’intuire il senso di tutte le idee in cir- colazione, di coglierne ogni eventuale esempio o ogni espe- diente tecnico. così in un’epoca di continua sperimentazio- ne, sulla luce, sull’indagine verista della realtà, sull’impiego della macchia o del tocco, egli non utilizzò mai una tecnica prestabilita, ma una soluzione che corrispondesse all’esi- genza di realizzare su tela la visione.
La produzione di questi anni risente significatamene delle diverse posizioni dibattute sia a napoli che a Firenze.
negli anni Sessanta dell’ottocento – precisamente tra il 1861 e il 1865 – egli è nel capoluogo toscano con la precisa volontà di affermare la propria consonanza stilistica e meto- dologica scaturita dalle ricerche e dalle discussioni del
“Cafè Michelangelo”.7
“Monte catalfano” (1865-1870 circa, olio su tela, galleria d’arte Moderna e. restivo, Palermo) (fig. 7), o
“dintorni di Palermo” (1871, olio su tela, Fondazione Banco di Sicilia, Palermo) (fig. 8) dimostrano, ad esempio, un allineamento alle teorie della “Scuola di resina” (L
ac
agnina, 2005).
a questa stessa ricerca possiamo collegare la tela “Veduta di Palermo” (1875, olio su tela, galleria d’arte Moderna e.
restivo, Palermo) (fig. 9) opera, quest’ultima, realizzata con tocchi rapidi e leggeri attraverso varie sovrapposizioni di tinte, sfumando i contorni e i colori delle figure umane, velando nella distanza il biancheggiare delle case che costi- tuiscono la città, sovrastata dal riconoscibilissimo Monte del Pellegrino, punto focale della salda costruzione prospet- tica, impostata sulla strada di campagna raffigurata al cen- tro. Mai la luce dell’estate siciliana, il gravare dell’afa sulla campagna immobile sono stati resi in maniera così realisti- ca, attraverso veloci pennellate e leggere velature.
La stessa atmosfera riprodotta, ricercata, nell’olio su tela realizzato l’anno successivo, intitolato “il duello (una gior- nata di caldo in Sicilia)” (1876-1877, olio su tela, Museo di capodimonte, napoli) (fig. 10) in forte taglio prospettico,
7. a questo periodo di ricerca presso i macchiaioli toscani vanno assegnate le opere:
“il mulino di rignano” (1867, collezione privata) e “Paesaggio sull’arno” (1864, col- lezione privata) (SiSi, 2005).
Fig. 7 - F. Lojacono, Monte catalfano, 1865-1870 ca., Palermo, galleria d’arte Moderna - g.a.M. e. restivo (da g
raSSo, 2005)
Fig. 8 - F. Lojacono, dintorni di Palermo, 1871, Palermo, Fondazione Banco di Sicilia (da g
raSSo, 2005)
Fig. 9 - F. Lojacono, Veduta di Palermo, 1875, Palermo, galleria d’arte Moderna - g.a.M. e. restivo (da g
raSSo, 2005)
Fig. 10 - F. Lojacono, il duello (una giornata di caldo in Sicilia), 1876-
1877 ca., napoli, Museo di capodimonte (da g
raSSo, 2005)
immerso in un’atmosfera densa di vapori, di pulviscolo impalpabile, sollevato dalle ruote del carro in corsa sulla strada sterrata arsa dal sole, in un giorno di piena estate (g
raSSo, 2005). atmosfera calda e velata riprodotta con estrema perizia nell’opera “arrivo inatteso (il ritorno del coscritto)” (1882-1883, olio su tela, Segreteria generale della presidenza della repubblica, roma) (fig. 11) di cui si conservano vari studi su carta e cartone, presso la collezio- ne Sinatra del Museo civico di agrigento. La luce isola le sagome dei contadini in attesa, dopo una giornata di duro lavoro nei campi, conferendogli un’alta plasticità delle forme, accentuata dalla presenza di una forte ombra portata, sulle vesti e sui volti dei braccianti. La terra e il cielo ven- gono posti su due registri: una vegetazione ottenuta con pennellate sovrapposte di giallo cadmio, terra di Siena, terra di Siena bruciata, in forte contrasto con il cielo azzurro sol- cato da trasparenti cirri.8 L’opera conferì al Maestro la mas- sima visibilità e onorificenze nell’ambito della pittura, accompagnata da lusinghieri giudizi da parte dei maggiori critici dell’epoca, tra i quali gabriele d’annunzio. Sono anni importanti per l’affermazione pittorica di Lojacono, reduce dei successi riscossi a Vienna (1871) e a Parigi (1873 e 1878), il conseguimento della Medaglia d’oro alla Promotrice di napoli (1878) e la partecipazione all’esposizione internazionale di roma (1883).
nel repertorio dello stimato pittore un posto di rilievo trovano anche la vastissima produzione di marine, il punto più alto di realismo dell’ultimo ventennio dell’ottocento.
dopo svariati e approfonditi studi e diverse esercitazioni,
rintraccia una formula di perfetto equilibrio compositivo, abbassando il punto di vista sulla linea d’orizzonte, in modo d’aumentare il senso di profondità del mare. Linea d’oriz- zonte posizionata in mezzo alla tela, adesso divisa in due registri. Su questo schema tutte le possibili varianti: il primo piano con un tratto di spugnosa scogliera, realizzata a larghe pennellate di sapore impressionista, una barca concretizzata con pennellate pastose per il fasciame, la battigia con ragaz- zini intenti alla pesca con lunghe canne o recanti cestelli in vimini, in cerca di ostriche o di patelle, tra il degradare degli azzurri sotto e sulla linea d’orizzonte (g
raSSo, 2005). di fattura estremamente raffinata è l’olio su tela intitolato
“Marina di Palermo e Monte Pellegrino” (1884, olio su tela, collezione privata) (fig. 12), che si colloca nel periodo di massimo successo del pittore. La tela rappresenta una sug- gestiva immagine del porto di Palermo, visto dal litorale di Sant’erasmo. Sullo sfondo è la sagoma di Monte Pellegrino – al centro della tela – che emerge dalle acque, suddivide l’opera in due registri la linea d’orizzonte. in maniera niti- dissima, si distinguono i singoli edifici a ridosso del vecchio porto e le varie imbarcazioni ormeggiate, raffigurate con
8. L’opera fu più volte esposta: nel 1883 all’esposizione di belle arti di Monaco di Baviera, nello stesso anno presso l’esposizione di roma e nel 1891 presso L’esposizione di Berlino. tra i quadri comprati all’esposizione di roma da umberto i e Margherita di Savoia vi è nell’inventario “L’arrivo inatteso”. in origine, l’opera non fu comperata per adornare il palazzo del Quirinale, bensì per la real Villa di Monza, nell’appartamento di S.M. il re. (iMBeLLone, 2014).