Le origini delle lavorazioni tessili
e del „cotto„ nella provincia di Salerno
P a r t i c o l a r m e n t e i m p o r t a n t e e rigogliosa fu, sin dal Duecento, l'arte della lana, fiorente nella Valle d e l l ' I m o ( p a r t i c o l a r m e n t e a Coperchia e nelle sue frazioni di Cologna, Pellezzano, Capriglia, Casabarone) e nell'Alto Picentino ( s o p r a t t u t t o a Giffoni, Pre-pezzano, San Cipriano, Sieti), dove il terreno in gran p a r t e collinoso non consentiva u n a coltura intensiva e, quindi, red-ditizia p e r quelle popolazioni. A Salerno e nella sua Foria veni-vano utilizzate le acque d e l l ' I m o , sotto la sovranità dei principi di Sanseverino, i quali obbligavano i fabbricanti di p a n n i di lana a servirsi — dietro p a g a m e n t o di u n canone — delle « balchere » e delle « saponere » colà esistenti (gualchiere e mulini), m e d i a n t e il divieto di allestire altre « balchere » e « saponere » lungo il corso del fiume.
Nel territorio dell'Alto Picentino le popolazioni si avvale-vano, p e r alimentare le loro gualchiere e i loro mulini, oltre che del Picentino, del suo affluente Prepezzano. Tra le località più i m p o r t a n t i e r a l'alpestre Castiglione, a nord di S a n Cipriano, ove u n a lussureggiante vegetazione dava alimento alle n u m e r o s e m a n d r i e di pecore, le quali fornivano a b b o n d a n t e m a t e r i a p r i m a p e r l'industria tessile, caratterizzata, così come a San Cipriano, s o p r a t t u t t o da m a n t e di lana dai colori ricercati.
Lo sviluppo raggiunto dai paesi dell'Alto Picentino fu tale che essi, per evitare le frequenti interruzioni dei loro traffici causate dalle piene del Picentino, incaricarono, l'8 o t t o b r e 1569, il m a e s t r o Aurelio Cesario di Giffoni di realizzare u n p o n t e sul fiume che ponesse in diretta comunicazione Giffoni con Monte-corvino, e agli architetti progettisti — Roderico Romano, Fran-cescantonio de Amato e Francesco M a r o t t a — fu affidata la direzione dei lavori.
Risale al 1299 la p r i m a documentazione sull'industria la-niera nell'Amalfitano; in quell'anno il Re Carlo II d'Angiò concedeva
vanni Allegri, il privilegio della « tenda » e della « celendra » (cioè della « tinctoria » e cilindratura dei tessuti).
I più i m p o r t a n t i centri di produzione furono Atrani, Scala, Ravello, Minori e la stessa Amalfi.
L'industria laniera nell'Amalfitano era concentrata nelle m a n i della nobiltà, che curava, con l'abbondanza dei mezzi a sua disposizione, la produzione dei tessuti pregiati, s o p r a t t u t t o della cosiddetta sajetta della Costa, che veniva venduta nelle località più lontane.
Particolare incremento dette all'industria tessile D. Antonio d'Aragona Piccolomini, che, costruito in Amalfi u n opificio de-stinato a lavorare e a tessere la lana come s'usava a Siena ed a Firenze, il 26 giugno 1474 stipulava u n c o n t r a t t o con Barto-lomeo de Pietro, di Siena, fabbricante di p a n n i di lana, e con i suoi soci Chillozio de Tommasio, Lodovico Boninsegna e Giacomo de Piero, m a e s t r i tessitori senesi, in base al quale essi si impegnavano a lavorare in Amalfi per cinque anni; e proba-bilmente nello stesso t e m p o fu invitato a prestare la sua opera in Amalfi il m a e s t r o tintore Pietro de Gizzis, p u r e di Siena.
La vicina città di Cava, allora estesa sino alla Marina di Vietri, il villaggio di Cetara, le frazioni di Raito, Albori e Bonea non si potevano dedicare all'arte della lana, in q u a n t o p e r la n a t u r a stessa del suolo collinoso, che non presentava pascoli a b b o n d a n t i , erano le m e n o a d a t t e del Salernitano p e r l'alleva-m e n t o di grandi l'alleva-m a n d r i e di pecore, da cui ricavare poi la lana necessaria alla filatura e alla tessitura. Perciò gli artigiani del Cavese si dedicarono alle arti della seta, della canapa, del lino, del cotone (specialmente per la grande diffusione che, a p a r t i r e dal XV secolo, ebbe il gelso nel Salernitano), n o n c h é ad u n commercio fiorente dei vari p r o d o t t i tessili, s o p r a t t u t t o dei rino-m a t i b e r r e t t i di lana '(le « coppule de lana »), che si produce-vano nella Valle d e l l ' I m o , nell'Alto Picentino, e nei villaggi di
Molina e di Vietri.
Nel febbraio 1221 Re Federico II concedeva alla c o m u n i t à del celeberrimo Monastero di Cava ed ai suoi sudditi il diritto allo stesso t r a t t a m e n t o vigente p e r gli uomini delle città e delle terre ove essi si fossero recati, privilegio al quale faceva seguito, il 31 ottobre 1229, la concessione della piena libertà
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di d i m o r a e di t r a n s i t o p e r t u t t o il Regno. Le cronache del t e m p o d a n n o notizie di i m p o r t a n t i traffici di tessuti, effettuati da m e r c a n t i cavesi e forestieri; ad esempio, in u n diploma di Roberto d'Angiò, p o r t a n t e la data del 27 gennaio 1313, si p a r l a di stranieri che si recavano a Cava per effettuare acquisti e vendite di manufatti e dei dazi di consumo e di uscita che venivano applicati sui p r o d o t t i cavesi.
Nel secolo successivo il commercio ricevè un potente im-pulso per effetto del diploma 22 settembre 1460 di Ferrante I d'Aragona, che — in riconoscimento della costante fedeltà dei Cavesi verso la sua Casa — dichiarava t u t t i gli abitanti di Cava esenti, nell'intero Regno, da qualsiasi imposta, così a n n u l l a n d o ogni onere fiscale gravante sull'industria locale.
I Cavesi raggiunsero grandi fortune e « in loco Scaraven-t u l o r u m », deScaraven-tScaraven-to in seguiScaraven-to « in Magno Burgo », crearono im-p o r t a n t i aziende industriali e deim-positi di filati di seta, lino e cotone.
Mercanti, tessitori, m a e s t r i di m u r o e di ferro, osti, orafi ed altri artigiani si trasferirono dai più remoti villaggi nel Borgo grande e c o n t r i b u i r o n o a fare di Cava, nella seconda m e t à del Quattrocento, il più i m p o r t a n t e centro economico ed indu-striale del Principato Citra.
Sulla fine del secolo sorgeva in Cava, p e r i n t e r e s s a m e n t o del Cardinale d'Aragona e su progetto di Onorato De Marinis, quindi modificato da Petrillo de Curti, il Palazzo del Commercio, che diveniva la sede della corporazione dei « Mercatores » cavesi ed accoglieva i pellegrini ed i visitatori che si recavano a Cava
per affari.
L'industria serica cavese — la quale aveva mosso i suoi primi passi nel periodo feudale e tanto doveva agli insegna-menti dei monaci benedettini dell'Abbazia della SS. Trinità — visse p a r i m e n t i il suo periodo a u r e o sotto il dominio aragonese. Tra i m a e s t r i che diventarono r i n o m a t i nell'arte serica r i c o r d i a m o quelli delle famiglie De Rogerio e Furno, che vis-sero a cavallo t r a il 1400 ed il 1500.
I m e r c a n t i cavesi, inoltre, si industriavano con successo a vendere in ogni località del Regno le tele tessute nel Saler-nitano. I n t a n t o nel maggio 1561 era stata iniziata in Cava, accanto al Palazzo del Commercio, la costruzione del Duomo,
anni dopo venivano assunti, da u n a società di imprenditori e maestri di fabbrica cavesi con a capo Rainaldo De Lamberto, i lavori per la costruzione della strada Cava Salerno.
L'industria serica, tuttavia, decadde l e n t a m e n t e sotto la dominazione spagnola, allorché u n a « Provvisione » della R. Ca-m e r a del 1610 dispose il pagaCa-mento, a favore della Corte, di un carlino per ogni libbra di seta esportata dal Regno, onere questo che si aggiunse ai gravosi diritti di a p p r o d o e di anco-raggio pretesi dal portolano della r a d a di Vietri.
L'industria cavese si estinse poco p r i m a della m e t à del secolo XVII, a seguito della rivoluzione napoletana del 1647, allorché i maestri dell'arte serica della città di Napoli, che pretendevano da t e m p o l'esenzione da ogni onere fiscale e la esclusività della manifattura dei p r o d o t t i della seta, ottenevano, con il b a n d o del 20 s e t t e m b r e 1647, in virtù dei Capitoli da loro presentati al Governo Vicereale, il divieto di esercizio della « nobil arte della seta » fuori della « fedelissima Città di Napoli ». Il provvedimento del Governo Vicereale p o r t ò nel Salerni-tano, come conseguenze naturali, da u n a parte, all'intensificarsi del commercio della seta grezza, e, dall'altra, al diffondersi della cosiddetta « arte b i a n c a » (lino, canapa, cotone), t a n t o vero che poco p r i m a del 1789 si contavano circa mille telai nella città di Cava ed altrettanti nella campagna.
Tuttavia, sin dai primi decenni dell'800, incominciò u n a fase discendente per l'« arte bianca » di Cava, sia perché privata di taluni ampi privilegi, sia, s o p r a t t u t t o , per il sorgere di grandi complessi industriali che ben presto ebbero ragione della concorrenza artigianale dei telai cavesi. Inoltre, verso la seconda m e t à dello scorso secolo, si diffondeva r a p i d a m e n t e nel Saler-nitano la « diaspis p e n t a g o n a » ed il gelso quasi ovunque si immiseriva e periva. Il bosco veniva, infine, ulteriormente abbat-tuto e la m a n o d'opera locale si dedicava alla coltivazione dei cereali, dei frutteti ed al pascolo del bestiame, il cui alleva-mento acquistava u n a sempre maggiore i m p o r t a n z a nell'eco-nomia della provincia, anzi della intera regione c a m p a n a .
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I documenti del tempo, a n d a t i smarriti, non ci p a r l a n o delle antiche lavorazioni del « cotto »; rimangono tuttavia, quali
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m o n u m e n t i perenni, i manufatti allora prodotti.
Il « cotto » s e m b r a si sia sviluppato nella Foria di Sa-lerno, a Ogliara, a Brignano e nel villaggio di Rufoli. In origine esso s'indirizzò verso i p r o d o t t i richiesti dall'economia locale •— tegole di solida argilla richieste s o p r a t t u t t o dai m a e s t r i di m u r o della vicina Cava, vasellami e utensili di cucina, boccali e lancelle. Le fonti dell'epoca — ad esempio u n a p r o t e s t a elevata nel 1464 dal m a e s t r o di m u r o cavese Petrillo de Curti contro Martinello de Crescenzo per non avere costui fatto fronte all'im-pegno di t r a s p o r t a r e con il p r o p r i o brigantino ventimila « tegulas fulcitas » dalla m a r i n a di Salerno a quella di Napoli — fanno ritenere che le faenze della Foria di Salerno c o m p r e n d e s s e r o n u m e r o s i ed a m p i forni per la cottura. In quel t e m p o soprat-t u soprat-t soprat-t o la produzione di soprat-tegole delle faenze di Scaramazza Clarizia e Carlo De Martino era n o t a ed apprezzata.
Rinomati m a e s t r i di cotto nella Foria di Salerno furono, nel 1500, Rufolo, Scattaretica, Galdo, De Rosa, D'Auria.
Nell'Alto Picentino il centro dell'attività era Giffoni, ove m a e s t r a n z e specializzate fabbricavano manufatti di creta e in particolare embrici. E m b r i c i e grezzi vasellami erano prodotti p a r i m e n t i nelle fornaci di Agropoli e Teggiano.
L ' i n d u s t r i a oggi famosa di Vietri risale a d a t a più recente, sebbene anch'essa vanti origini remote. Nell'antichità a Vietri — già villaggio di Cava e p o r t o n a t u r a l e di q u e s t ' u l t i m a — si producevano solo piccoli vasi e modesti utensili, e ciò in q u a n t o la speciale costruzione dei suoi forni e la m a n c a n z a di argilla non consentivano di fabbricare manufatti di pregio, il cui prezzo, c o m u n q u e , sarebbe stato notevolmente aggravato dalle spese di t r a s p o r t o della m a t e r i a p r i m a .
Maestri di cotto della fine del Q u a t t r o c e n t o furono Gof-fredo Angelillo e i Cassetta, e nel Cinquecento i Pizzicara.
Faenze si trovavano a n c h e a Salerno, il cui m e r c a t o offriva ampie possibilità per oggetti di gusto più raffinato. Le fonti d o c u m e n t a n o che a due commercianti della Marca di Ancona — Mario Maccaletto e Giovan Angelo Cozzano — il 7 o t t o b r e 1585 furono consegnati in Salerno n u m e r o s i oggetti di creta di Faenza, fabbricati in Napoli per conto dei m a e s t r i di cotto Minico de Pietro e P o m p e o de P e r n a m o n t e , di Napoli.
pene-salernitano. Ma è soltanto t r a il 1600 ed il 1700 che la produ-zione di Vietri si indirizza verso vasi e piatti dai disegni e dai colori vari e delicati secondo gli insegnamenti provenienti dalla faenza salernitana del Dr. Matteo Francesco Grillo in cui ope-ravano esperti m a e s t r i abruzzesi. Ai p r i m o r d i dello scorso se-colo la produzione di Vietri raggiunge la m a s s i m a perfezione artistica, s o p r a t t u t t o per m e r i t o del D'Agostino e del Punzi, e nella p r i m a m e t à dell'Ottocento dà lavoro a 400 operai distri-buiti in quattordici faenze.
Aniello Palmieri
BIBLIOGRAFIA
SILVESTRI A., Il commercio a Salerno nella seconda metà del Quattrocento, Salerno, 1952; SINNO A., Commercio e industrie nel Salernitano dal XIII ai
pri-mordi del XIX secolo. Parti I e II, Salerno, 1954 (« Collana Storico-Economica
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