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GUIDA AL LAVORO

IL SOLE 24 ORE

RIFORMA DEL LAVORO Articoli

N.3-Luglio2012

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Gabriele Bubola

e

Flavia Pasquini

Commissione di certificazione Centro Studi internazionali e comparati «Marco Biagi» - Università di Modena e Reggio Emilia

Collaborazioni a progetto:

la riforma cambia le regole

Incremento contributivo, minimi salariali e rafforzamento della presunzione di subordi­

nazione, tra le principali novità

Il venir meno del programma di lavoro e la più precisa definizione del progetto La riforma del lavoro, con riferimento alle colla­

borazioni coordinate e continuative, prevede in­

nanzitutto la sostituzione dell’art. 61, comma 1, del Dlgs n. 276/2003. Qui, come in altre parti del capo I, titolo VII del Dlgs n. 276/2003, scompa­

iono i riferimenti al programma di lavoro o fase di esso, così che le collaborazioni coordinate e conti­

nuative dovranno d’ora in avanti essere riconduci­

bili esclusivamente ad uno o più progetti specifici (ferme restando le eccezioni già note, contenute nell’art. 61, comma 3). Chiaramente, il campo di applicazione dell’istituto si restringe notevolmen­

te, posto che appare difficile pensare di poter ri­

condurre nell’alveo del progetto ciò che fino ad oggi è stato considerato facente parte di un programma di la­

voro o di una sua fase.

I progetti, poi, dovranno essere funzio­

nalmente collegati a un determinato risultato finale e non potranno consi­

stere in una mera riproposizione del­

l’oggetto sociale di parte committente. Il legislato­

re sembra così voler affermare che, se nell’oggetto sociale è stata indicata una determinata attività, questa non potrà poi essere concretamente realiz­

zata tramite una o più collaborazioni. Benché si condivida lo spirito dell’intervento, volto a conte­

nere l’abuso delle collaborazioni a progetto, qual­

che dubbio emerge analizzando il tipo di limita­

zione imposta. Non tanto per la definizione asciut­

ta conseguente al riferimento puro e semplice all’oggetto sociale (posto che, come ben noto, le imprese hanno oggetti sociali che includono un numero assai rilevante di attività, soltanto talune delle quali vengono poi poste concretamente in essere), quanto piuttosto perché, sul punto, un riferimento al core business aziendale o alle attivi­

tà prevalenti ed effettivamente svolte sarebbe sta­

to probabilmente più opportuno ed adatto a per­

seguire la ratio che le modifiche in esame paiono perseguire.

Ancora, il progetto non potrà comportare lo svolgi­

mento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi (che potranno essere individuati dai contratti collet­

tivi stipulati dalle organizzazioni sindacali compara­

tivamente più rappresentative sul piano nazionale).

Inoltre, la riforma prevede anche una nuova formu­

lazione del comma 1 dell’art. 62, lett. b), Dlgs n.

276/2003, in virtù della quale la committente, a cui spetta il compito di definire il progetto, non potrà più limitarsi a individuarlo, ma dovrà descri­

verlo dettagliandone il contenuto caratterizzante ed il risultato finale che con esso si intende conseguire.

Le disposizioni appena accennate paiono poter incidere in maniera talmente significativa sul mo­

dello organizzativo aziendale, che addirittura po­

trebbero essere considerate in contrasto con l’art.

41 Cost. Abbandonata infatti l’ipotesi di restrin­

gerne il campo di applicazione dell’istituto facen­

do leva sulla dipendenza economica, e senza sondare altre opportunità che probabilmente avrebbero avuto il medesimo effetto (come ad esempio l’aumento del livello della professio­

nalità necessaria per l’utilizzo dell’isti­

tuto attraverso l’introduzione di un limite minimo di età o di esperienza lavorativa del collaboratore, posto che troppo spesso il contratto di collaborazione è utilizzato come primo contratto di accesso al mondo del lavoro in luogo dell’apprendistato), il legislatore pare aver di fatto confinato l’utilizzo del contratto a progetto ad ipotesi straordinarie.

Sebbene all’interno delle norme dedicate alla di­

sciplina delle altre prestazioni rese in regime di lavoro autonomo, la riforma del lavoro fornisce poi un’interpretazione della prima parte del primo periodo del comma 3, dell’art. 61, Dlgs n. 276/

2003: l’esclusione dal campo di applicazione del­

la disciplina in tema di lavoro a progetto concerne

«le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle atti­

vità professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi pro­

fessionali».

Escluse

dalla disciplina

le professioni

intellettuali

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21 Solo laddove il collaboratore ponga in essere pre­

stazioni non riconducibili alla specifica attività professionale intellettuale, si applicheranno allora le norme in materia di lavoro a progetto.

Il recesso del committente e quello del collaboratore

La riforma del lavoro prevede la riformulazione della disciplina del recesso in corso di rapporto, attraverso la sostituzione dell’art. 67, comma 2, del Dlgs n. 276/2003, con conseguente irrigidi­

mento della disciplina. Infatti, se da un lato resta ferma la possibilità di recedere prima del termine per giusta causa, dall’altro lato non sarà invece più possibile prevedere all’interno del contratto la fa­

coltà per le parti di recedere «acausalmente».

Più in particolare, parte committente potrà recede­

re solo nel caso siano emersi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere im­

possibile la realizzazione del progetto. Certamente non sarà agevole formulare adeguatamente, all’in­

terno del documento, criteri oggettivi che possano descrivere tale inidoneità: sul punto, probabilmen­

te, potrebbe pertanto essere opportuno trovare conforto nell’ambito delle procedure di certificazio­

ne. In ogni caso, potrebbe essere appropriato l’inse­

rimento, da parte della committente, all’interno del documento contrattuale, degli obiettivi, anche par­

ziali, che il collaboratore è tenuto a raggiungere, in modo da poter più agevolmente giustificare l’even­

tuale recesso in corso di rapporto.

Alcune restrizioni in tema di recesso sono previste però anche per il collaboratore, il quale potrà recedere prima della scadenza del termine, previo preavviso, unicamente nel caso in cui tale facoltà sia prevista all’interno del contratto. Deve dunque ritenersi che, in mancanza di tale disciplina, il collaboratore recedente risulterà esposto al ri­

schio di risarcimento danni, parametrabile al con­

tenuto stesso della prestazione, alla sua fungibilità, al tempo ed alle modalità del recesso.

Il corrispettivo del collaboratore

Le nuove norme in materia di lavoro a progetto prevedono poi la sostituzione integrale dell’art.

63, Dlgs n. 276/2003: per la prima volta, la contrattazione collettiva (interconfederale, nazio­

nale o, su delega, territoriale) per i lavoratori subordinati diviene parametro esplicito di riferi­

mento per la valutazione della congruità del cor­

rispettivo erogato al collaboratore ­ parasubordi­

nato ­ a progetto. Infatti, l’emolumento del colla­

boratore a progetto «non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività (...), tenuto conto dei minimi

salariali applicati nel settore medesimo alle man­

sioni equiparabili svolte dai lavoratori subordina­

ti». In assenza di tale contrattazione collettiva, comunque, il corrispettivo non può essere infe­

riore, tenuto conto dell’estensione temporale del­

la prestazione, ai minimi retributivi previsti per figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza è analogo a quello del collaborato­

re a progetto.

Posto che a tale previsione normativa non risulta ricollegata alcuna presunzione di subordinazione, le parti dovrebbero essere considerate libere di stabilire i criteri di determinazione del corrispetti­

vo ricollegandolo, in tutto o in parte, ai risultati;

pur tuttavia, è plausibile che al termine della col­

laborazione (o comunque dell’anno), nel caso di erogazioni inferiori ai nuovi parametri di legge, parte committente possa essere chiamata a rico­

noscere al collaboratore un adeguato conguaglio.

La presunzione assoluta e relativa di subordinazione

Presunzione assoluta di subordinazione per mancanza del progetto ­ Tra le novità della riforma si trova altresì un’interpretazione dell’art.

69, comma 1, Dlgs n. 276/2003, nel senso della presunzione assoluta di subordinazione. Infatti, se il «progetto costituisce elemento essenziale di vali­

dità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costi­

tuzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato», ne consegue che, ritenuta in giudizio la mancanza di progettualità, parte committente non potrà comunque provare la sus­

sistenza di altri elementi o indici volti a conferma­

re la non riconducibilità del rapporto nell’alveo del lavoro subordinato.

Tale scelta riflette, in sostanza, uno dei due orientamenti giurisprudenziali che finora si era­

no contrapposti in tema di interpretazione della summenzionata presunzione, contrastando però con il noto insegnamento della Cassazione se­

condo il quale qualsiasi attività può essere ogget­

to tanto di un rapporto di lavoro subordinato quanto di un rapporto autonomo o parasubordi­

nato, a seconda delle modalità di esecuzione (sul tema si veda anche la recentissima Cassazione n.

3594/2011).

Presunzione relativa di subordinazione in ca­

so di svolgimento di attività analoghe a quelle dei dipendenti ­ A ciò va sommata l’aggiunta di un periodo al comma 2 dell’art. 69 Dlgs n. 276/

2003, nel quale è previsto che, pur in caso di

sussistenza di progetto, il rapporto possa essere

trasformato in un rapporto di lavoro subordinato

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laddove venga accertato che, in concreto, si sia venuta a configurare tale situazione. In questo modo si introduce una presunzione relativa di subordinazione (ossia salva prova contraria a cari­

co di parte committente) sin dalla data di costitu­

zione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia stata svolta con modalità analo­

ghe a quelle dei lavoratori dipendenti dell’impresa committente.

La presunzione non opera per le prestazioni di elevata professionalità eventualmente individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ma, ove i contratti collettivi nulla dispongano, o nelle more di un accordo sul punto, il contenzioso tra le parti, che con queste stesse norme si mira a ridurre, potrebbe assumere dimensioni rilevanti.

Le «vecchie» regole

per le collaborazioni in corso

Le disposizioni sopra sintetizzate si applicheranno soltanto ai contratti stipulati successivamente al­

l’entrata in vigore della riforma, il che significa che per le collaborazioni in corso continueranno a trovare applicazione le «vecchie» norme, almeno fino al termine finale già pattuito (dubbio è invece il caso delle collaborazioni instaurate prima del­

l’entrata in vigore delle nuove norme, che siano però prorogate successivamente all’entrata in vi­

gore della riforma). Conseguentemente, si assiste­

rà al paradosso in virtù del quale, fino al giorno dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, le parti potranno stipulare, ad esempio, una collabo­

razione a programma o a fase di esso «a lungo termine», avente ad oggetto un’attività ricollegata all’oggetto sociale, posta in essere con modalità similari a quelle realizzate da personale dipenden­

te, con conseguente applicazione del regime di recedibilità acausale.

Sembra inoltre opportuno segnalare il riferimento alla norma interpretativa dell’art. 69, comma 1, Dlgs n. 276/2003: se tale comma deve essere interpretato nel senso della presunzione assoluta, ma solo per i nuovi contratti, è possibile ritenere, per i contratti in corso, a contrario, la vigenza di una presunzione di subordinazione solamente re­

lativa? Ciò anche in considerazione del fatto che la disciplina in tema di altre prestazioni di lavoro autonomo, anch’essa di carattere interpretativo, non risulta inclusa nella previsione, quasi a voler confermare, in quel caso, che l’interpretazione for­

nita vale anche per le collaborazioni in corso (a meno che non si tratti di un mero mancato coordi­

namento tra le norme).

L’aumento contributivo e l’indennità

«una tantum» per i collaboratori

Per completezza, si evidenzia come, a decorrere dal 2013, la riforma preveda il riconoscimento, in favore dei collaboratori a progetto disoccupati ed iscritti alla gestione separata Inps (salvo i soggetti titolari di redditi di lavoro autonomo che hanno titolo ad addebitare ai committenti una percentua­

le nella misura del 4% dei compensi lordi), di un’indennità una tantum nel caso sussistano tutte le condizioni che seguono:

a) aver operato, nel corso dell’anno precedente, in regime di monocommittenza;

b) aver conseguito, nell’anno precedente, un red­

dito lordo complessivo soggetto a imposizione fi­

scale non superiore al limite di 20.000 euro (riva­

lutato annualmente);

c) con riguardo all’anno di riferimento, sia stato accreditato, presso la gestione separata, un nume­

ro di mensilità non inferiore a uno;

d) aver avuto un periodo di disoccupazione inin­

terrotto di almeno due mesi nell’anno precedente;

e) risultino accreditate nell’anno precedente alme­

no quattro mensilità.

L’indennità viene riconosciuta (in unica soluzione se di importo inferiore a 1.000,00 euro) in misura pari al 5% del minimale annuo di reddito, molti­

plicato per il minor numero tra le mensilità accre­

ditate l’anno precedente e quelle non coperte da contribuzione. È comunque prevista una discipli­

na transitoria relativamente agli anni 2013, 2014 e 2015, con criteri parzialmente diversi.

Il legislatore ha infine previsto, in stretta correla­

zione con tale riconoscimento economico, l’au­

mento contributivo a carico di tutti i lavoratori iscritti alla gestione separata Inps (e non dunque dei soli collaboratori a progetto). Verosimilmen­

te, tale aumento non è solo finalizzato al finan­

ziamento dell’una tantum, ma anche a scoraggia­

re l’utilizzo delle forme di lavoro non standard attraverso un aumento del loro costo. Nel 2013 si passerà, per coloro che non sono assicurati presso altre forme di previdenza obbligatoria, al 28%, con un aumento successivo di un punto percentuale per anno fino ad arrivare, nel 2018, al 33%, con una sostanziale equiparazione a quanto previsto per il lavoro subordinato. In realtà, l’aumento dei contributi sembrerebbe funzionale solamente alla prima finalità, posto che è ragionevole ritenere che, visti gli ordinari rapporti di forza tra committente e collaborato­

re, sarà quest’ultimo il soggetto sul quale rica­

drà, di fatto, tale aumento, con la conseguenza diretta di una diminuzione dell’emolumento net­

to riconosciuto.

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