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Periodo di preavviso in caso di recesso

Autore: Carlos Arija Garcia | 12/10/2021

Come funziona la procedura per comunicare l’interruzione anticipata del contratto di lavoro. Chi non è tenuto a rispettarlo.

Interrompere un rapporto di lavoro deve dare qualche garanzia a chi avrebbe voluto proseguirlo. Su questo principio si basa la nozione del periodo di

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preavviso in caso di recesso. Dove per «recesso» si intende licenziamento se a chiudere il rapporto è il datore o dimissioni se a farlo è il dipendente.

Il periodo di preavviso non è lo stesso per tutti i settori produttivi e nemmeno in tutte le situazioni. Le variabili sono tante, ad esempio: il tipo di contratto nazionale di categoria siglato tra rappresentanti degli imprenditori e dei lavoratori: il preavviso di un impiegato del tessile potrebbe essere diverso da quello del commercio o dell’industria metalmeccanica; la qualifica ed il livello contrattuale del lavoratore; la motivazione del recesso: in alcuni casi, come nel licenziamento o nelle dimissioni per giusta causa, il periodo di preavviso non è contemplato.

In ogni caso, rispettare questa regola è fondamentale per non perdere dalla liquidazione il numero di mensilità pari al tempo del preavviso. Così come è importante sapere che cosa fare con ferie residue e con giorni di malattia: che succede se vengono presi prima di lasciare definitivamente il posto di lavoro?

Vediamo come funziona il periodo di preavviso in caso di recesso.

Periodo di preavviso: che cos’è?

Il periodo di preavviso è il tempo che trascorre da quando una delle parti coinvolte in un contratto comunica la volontà di recedere a quando effettivamente il rapporto si conclude. La durata di tale periodo è prevista nel Contratto nazionale di categoria (Ccnl).

Questo significa che se un dipendente ha intenzione di lasciare il posto di lavoro per qualsiasi motivo (tranne che per giusta causa o durante la prova, come vedremo più avanti), dovrà innanzitutto darne comunicazione all’azienda indicando quale sarà l’ultimo giorno di attività e restare attivo fino a quella data, rispettando il citato periodo di preavviso.

Se, invece, il recesso viene deciso dall’altra parte, cioè dall’azienda, si parla di licenziamento. Anche in questo caso, è necessario il preavviso (sempre ad esclusione della giusta causa).

La parte che non rispetta il preavviso è tenuta a riconoscere un’indennità alla controparte equivalente al periodo previsto ma non lavorato.

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Periodo di preavviso: come va comunicato?

Verba volant, scripta manent, ci insegnano i latini. Le parole le porta via il vento, le cose scritte rimangono per sempre. Per questo motivo, mai cadere nella tentazione di comunicare a voce e basta il periodo del preavviso per recesso: sarà necessario mettere le cose nero su bianco, cioè notificare per iscritto l’interruzione del rapporto di lavoro.

Questo vale per entrambe le parti, cioè per il dipendente e per l’azienda. Il lavoratore che intende dimettersi non deve pensare che se ha un rapporto di fiducia e di confidenza con il titolare si può limitare ad una chiacchierata in cui fa sapere la sua volontà di lasciare il posto ed il giorno in cui prevede di farlo. Non può escludere che il datore non gradisca questa scelta ed agisca successivamente per via giudiziaria accusando il dipendente di non essersi presentato al lavoro e di non avere comunicato alcunché, con le conseguenti sanzioni.

Viceversa, il datore che non comunica per iscritto da quale giorno si intende risolto il rapporto di lavoro potrebbe incorrere in un illecito ed essere tenuto a continuare a pagare il dipendente nei periodi successivi, poiché non c’è nulla che dimostri il recesso dal contratto.

La procedura per le dimissioni volontarie è stata modificata a suo tempo dal Jobs Act: non è più possibile consegnare la lettera a mano o darne comunicazione via e-mail (che si tratti di quella personale o di quella aziendale). Ora, è prevista soltanto la procedura telematica accedendo al portale Inps, tranne per:

lavoratori domestici;

lavoratori marittimi;

dipendenti pubblici;

collaboratori;

lavoratori in prova;

genitori lavoratori;

lavoratori che si dimettono nelle sedi protette.

Trovi tutti i dettagli sulla procedura nella nostra guida Come dare le dimissioni.

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Periodo di preavviso: da quando decorre?

Di norma, nella maggior parte dei contratti nazionali di lavoro, il periodo di preavviso per recesso decorre in due momenti del mese: dal giorno 1 e dal giorno 15. Che cosa significa?

Vuol dire che per chi consegna le dimissioni volontarie, ad esempio, il giorno 20 del mese, la decorrenza del preavviso scatterà dal primo giorno del mese successivo.

Facciamo un esempio.

Se il contratto di Tizio prevede due mesi di preavviso e presenta le dimissioni il 20 agosto, la decorrenza partirà dal 1° settembre e, pertanto, il suo ultimo giorno di lavoro sarà il 31 ottobre.

Periodo di preavviso: quanto dura?

Come detto all’inizio, la durata del periodo di preavviso per recesso dipende da diversi fattori: il tipo di contratto, il livello di inquadramento, la qualifica, l’anzianità di servizio. Vuol dire che non per tutti i lavoratori è stabilito lo stesso lasso di tempo per poter lasciare l’attuale posto.

Per quanto riguarda l’anzianità, nella maggior parte dei casi, i tempi sono questi:

8 giorni di calendario per chi lavora full time da non oltre 5 anni presso lo stesso datore;

15 giorni di calendario per chi lavora full time da più di 5 anni presso lo stesso datore;

4 giorni di calendario per chi lavora part time da non oltre 2 anni presso lo stesso datore;

8 giorni di calendario per chi lavora part time da più di 2 anni presso lo stesso datore.

A titolo esemplificativo, e prendendo come riferimento una fascia di anzianità media, cioè da 5 a 10 anni di lavoro presso lo stesso datore, ecco quello che prevedono alcuni dei principali contratti nazionali di categoria.

Nel settore del terziario, della distribuzione e dei servizi:

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I° livello: 60 giorni;

II° e III° livello: 30 giorni;

IV° e V° livello: 20 giorni;

VI° e VII° livello: 15 giorni;

operatori di vendita: 45 giorni.

Nel settore metalmeccanico:

I° categoria professionale: 15 giorni;

II° e III° categoria professionale: 20 giorni;

IV° e V° categoria professionale: 2 mesi;

VI° e VII° categoria professionale: 3 mesi.

Nel settore del commercio:

quadri e I° Livello: 90 giorni;

II° e III° livello: 45 giorni;

IV° e V° livello: 30 giorni;

VI° e VII° livello: 20 giorni.

Periodo di preavviso: che succede a chi non lo rispetta?

Il Codice civile [1] dispone che «ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso – continua il Codice –, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro».

In pratica: se un dipendente per il quale è previsto un periodo di preavviso di due mesi dà le dimissioni oggi comunicando che dopo un mese non ci sarà più, il datore di lavoro ha diritto a trattenergli dal Tfr una somma pari allo stipendio di un mese. Viceversa, se è il datore a chiudere il rapporto di lavoro anticipatamente rispetto alla scadenza del preavviso, dovrà corrispondere al dipendente un’indennità pari al tempo non lavorato fino a quella scadenza.

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Come riportato dal Codice civile, se il dipendente muore, i suoi eredi avranno diritto all’indennità di mancato preavviso.

Periodo di preavviso: che succede in caso di malattia?

Probabilmente qualcuno si chiederà se, una volta consegnate le dimissioni, è possibile mettersi in malattia per non tornare più al lavoro. Nulla gli vieta di ammalarsi, ma è meglio che lo eviti sia per la sua salute sia perché a effetti del preavviso non servirebbe assolutamente a nulla.

Ci sono dei giorni che, come la malattia, non vengono conteggiati nel periodo di preavviso per recesso. Si tratta di quelli usufruiti per:

malattia;

infortunio;

ferie;

maternità.

Significa che, ad esempio, il lavoratore che resta a casa per una settimana in malattia o in ferie avrà il periodo di preavviso «congelato» ed il conteggio ripartirà dal giorno del suo rientro. Questo, però, può essere ovviato con un accordo scritto tra l’azienda ed il dipendente, ad esempio per la necessità del datore di fargli smaltire un po’ di ferie arretrate in modo da non pagargliele alla conclusione del rapporto.

Periodo di preavviso: quando non è previsto?

Non è necessario rispettare il periodo di preavviso per recesso:

durante il periodo di prova;

nei rapporti di lavoro a tempo determinato;

durante uno stage o un rapporto di collaborazione;

per le dimissioni o per i licenziamenti per giusta causa.

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