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Academic year: 2021

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CONCLUSIONI

Siamo giunti al termine di questo lavoro ed è arrivato il momento di trarne alcune conclusioni.

Abbiamo fin qui tentato di dimostrare come Grande sertão sia una traduzione geniale (tanto sul piano contenutistico quanto su quello formale) della realtà brasiliana; una realtà che ci pone di fronte alla necessità di un questionamento radicale del concetto di ‘identità’, che va oltre il discorso post-coloniale classico, tarato su realtà principlamente anglofone. Quella rivalutazione dell’ibridismo che per la post colonial theory è ancora una battaglia tutta da giocare è, infatti, uno dei perni dell’immaginario colonialista portoghese, di cui molte delle principali narrazioni nazionaliste brasiliane (come il Lusotropicalismo) si possono considerare delle vere e proprie riterritorializzazioni.

Grande sertão nasce con l’intento di aggiugersi al novero delle grandi autonarrazioni del Brasile, ma lo fa in una prospettiva assolutamente destabilizzante. Il discorso ufficiale della nazione tendeva, infatti, sì a rivalutare la mistura come tratto caratteristico e principale punto di forza del Brasile, ma in essa vedeva una fusione completa e del tutto aconflittuale di identità differenti (razziali in primis), in un’unica grande identità che le comprendeva e le superava.

Ci consegnava in questo modo una realtà pacificata, in cui le contraddizioni si

risolvevano dialetticamente in una sintesi perfetta. Il capolavoro rosiano, al

contrario, ci fornisce il ritratto di un Brasile tutt’altro che pacificato, un Brasile in

cui la violenza che si cela dietro la retorica del ‘Paradiso lusotropicale’ è tutt’altro

che celata, ma al tempo stesso è indagata con occhio interno e scevro di facili

moralismi e semplificazioni. La violenza e il conflitto sono infatti costitutive di un

Paese così fortemente contraddittorio e composito e il discorso che mira a negarli

(quello ufficiale, nutrito di legalitarismo e dell’ideologia occidentalista dell’ordine

e del progresso) non è altro che un ennesimo dispositivo di violenza, che pretende

di imporsi dall’alto su una maggioranza della popolazione che con esso non ha

mai avuto niente a che spartire.

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Il grande merito del romanzo è dunque quello di non tentare di chiudere dentro formule consolatorie una realtà troppo complessa per essere rinchiusa dentro schemi logici e ideologici e di utilizzare questa realtà per scardinare questi stessi schemi. In questo esso è assolutamente eterotopico e assolutamente semiperiferico, in quanto è capace di neutralizzare opposizioni troppo facili tra violenza e non violenza, legalità e illegalità, ordine e disordine, centro e periferia, trattando i conflitti come realtà da comprendere e non da cancellare con il colpo di spugna di una modernizzazione forzata. Nell’intervista a Lorenz, Guimarães Rosa afferma:

nós os brasileiros estamos firmemente persuadidos, no fundo de nossos corações, que sobreviveremos ao fim do mundo que acontecerá um dia. Fundaremos então um reino de justiça, pois somos o único povo da terra que pratica diariamente a lógica do ilógico, como prova nossa política. Esta maneira de pensar é conseqüencia da “brasilidade”

1

.

Accettare l’illogicità, il conflitto, la contriddizione è presupposto fondamentale per capire il Brasile e, dunque, per capire Grande sertão. Ciò significa accettare l’impossibilità di una reductio ad unum di ciò che è costitutivamente molteplice.

Per fare questo è necessario abbandonare la concezione di un tempo lineare e progressivo che relega nella categoria squalificante di ‘arcaico’ tutto ciò che è impossibile chiudere all’interno delle sue logiche particolari, ma che si prentendono universali. La grande sfida epistemologica lanciata da un concetto come quello di ‘semiperiferia’ è infatti quella di mostrare l’esistenza e la coesistenza di ‘temporalità’ diverse all’interno di uno stesso campo di forze.

Questo campo di forze è costituito dalle realtà post-coloniali, ma oggi dal mondo nel suo complesso, poiché le migrazioni sempre più massiccie caratteristiche del mondo globalizzato hanno investito gli stessi paesi centrali, riterritorializzando le opposizioni tra centro e periferia da un piano geopolitco a un piano urbano: quello delle grandi metropoli, oggi sempre più meticcie e in cui le disuguaglianze sociali

1GÜNTER LORENZ, Diálogo com Guimarães Rosa, cit., p. 92.

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seguono sempre più i contorni di una dispozione spaziale interna alla metropoli stessa (divisa tra quartieri centrali e quartieri periferici).

Queste temporalità diverse – lo abbiamo detto – non sono situabili avanti o indietro su di un’unica retta che va dall’arcaico al moderno. Esse sono infatti temporalità diverse non in quanto resti di un improbabile e mitico passato, ma nel senso di forme di esistenza che non possono essere ricondotte univocamente alle modalità rappresentative del tempo lineare. Il sertão ne è un chiaro esempio, in quanto la circolarità e la la ricorsività che costraddistingue le vite di chi lo abita hanno sempre costituito un fondo irriducibile all’imporsi del tempo finalizzante caratteristico dell’individualismo occidentale. Queste modalità di esistenza che la mentalità storicista ha bollato come ‘arcaiche’ sono piuttoso ‘alternative’, in quanto aprono possibilità di esistenza non previste dal Capitalismo, poiché non immediatamente valorizzabili in termini economici. Ma esse convivono e si mischiano continuamente con altre che invece sono perfettamente interne alla logica del Capitale, sorrette dall’ideologia tipicalmente coloniale della necessità della ‘transizione’, che si traduce nell’insieme di pratiche più o meno violente di riorganizazione, del territorio che si è soliti raggruppare sotto il termine modernização. Quest’ultima è l’irrompere nel Brasile (e nel sertão) del tempo vuoto e omogeneo delle Storia e Guimarães Rosa ha saputo descriverla come nessun’altro. Ancora nell’intervista a Lorenz, leggiamo:

Você, meu caro Lorenz, em sua crítica ao meu livro escreveu uma frase que me causou mais alegria que tudo quanto já se disse meu respeito. Conforme o sentido, dizia que em Grande sertão eu havia liberado a vida, o homem von der Last

Zeitlichkeit brefreit2.

Potremmo riformulare questa frase dicendo che Grande sertão tenta di liberare il Brasile dal peso della Storia. Il romanzo è, infatti, una messa in scena e al tempo stesso una decostruzione (nel discorso di Riobaldo, impossibilmente teso verso la lineareità) del tempo dello storicismo, da cui scaturisce la restituzione potentissima e incredibilmente lirica della moltitudine di estórias che sola può dar

2 ‘Liberato dal peso della temporalità’, ivi, p. 84.

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conto, nelle parole di Bhabha, delle «disjunctive forms of representation that signify a people, a nation, or a national culture»

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.

3 HOMI BHABHA, DissemiNation, cit., p. 292.

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