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17.PASOLINI 284

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Academic year: 2022

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284 Seconda Parte

17.

PASOLINI

Quindi, il 1971 è l’anno di uscita del Decameròn di Pier Paolo Pasolini [cfr. scheda 162]. Primo episodio della cosiddetta Trilogia della Vita, che si completa con I racconti di Canterbury del 1972, e Il fiore delle Mille e una notte del 1974; poi sog- getta ad Abiura nel 1975.

Universalmente noto, il film è stato abbondantemente analizzato e studiato, al punto che è ormai impossibile computar- ne una bibliografia esaustiva, italiana e non. È stato fatto oggetto delle più varie e discordi interpretazioni, e per lungo tempo fu considerato, da un pubblico intemerato, un osceno e inaccettabile film pornografico (cosa che non è). Simmetricamente, un alternativo schieramento di spettatori lo ha talora eletto a capolavoro assoluto della cinematografia mondiale (cosa che non è), o, in subordine, della filmografia pasoliniana (giudizio che, peraltro, io non mi sento di sottoscrivere). I due estre- mismi, più concretamente, sono appropriati nella misura in cui si neutralizzano a vicenda. A mio avviso, voler sottoporre di nuovo la pellicola a un’indagine accurata e capillarmente ravvicinata, significherebbe di necessità doversi confrontare con una marea di contributi e apporti; un oceano in cui l’obiettivo principale di questa monografia finirebbe per annegare.

Quindi preferisco mettere le mani avanti, come si suol dire, avvertendo che è mia intenzione soffermarmi solo sul ruolo, peraltro fondamentale, che il film riveste nell’articolazione che vado illustrando. Ciò non significa che non ci possano essere, come già ci sono state, occasioni per investigare specifiche parti di esso.

La funzione socio-culturale che il Decameròn di Pasolini svolge nella rielaborazione del personaggio e dell’opera di Boccaccio, mutatis mutandis, ha un peso più o meno equivalente, rispetto al pubblico popolare dell’ultimo quarto del Novecento, a quello che ebbe, per il pubblico borghese dell’ultimo quarto dell’Ottocento, l’operetta Boccaccio di Suppé.

La diversa distanza storica affievolisce la nostra percezione; e oggettivamente differenti sono i numeri e i media coinvolti.

Ma l’ascendente che il film di Pasolini ha avuto sul cinema popolare, la televisione, i fumetti, il costume, la cultura di massa fino almeno a tutti gli anni Ottanta e oltre, è adeguatamente comparabile alla suggestione e all’influenza che il lavoro di Suppé-Zell-Genée esercitò sul teatro leggero, musicale e non solo, la pubblicistica, il cinema degli esordi e l’im- maginario collettivo della cultura borghese, almeno fino ai primi decenni del Novecento. Suppé con l’arguzia e la joie de vivre della nuova borghesia metropolitana, Pasolini con il corpo e la “innocente gioia di vivere popolare” [cfr. Pasolini 1991: 247, 252, 253].

Film polimorfo e “ideologico”, come lo definì l’autore490, «un film sul popolo, di popolo, ma anche per il popolo», che

«vuole essere molto divertente» [Pasolini 1991: 252], il Decameròn si compenetra, tra gli altri suoi elementi, di una componente comico-sessuale che fu premiata da uno straordinario e inatteso successo di pubblico: quasi cinque miliardi di lire l’incasso al botteghino, una cifra enorme. Tale successo, replicato e irrobustito dagli altri titoli della Trilogia, det- te subito origine a un convulso fenomeno di proliferazione che, nel giro di pochi anni, fece realizzare e proiettare sugli schermi italiani (e del mondo) oltre cinquanta pellicole riconducibili, a vario titolo, alla novellistica medievale, rinasci- mentale e orientale. Tra queste, più di venti millantano, più o meno fondatamente, una diretta o presunta parentela col libro boccacciano.

490 Cfr. Pasolini 1995 bis: 238. E ancora: «Cosa significa la mia presenza nel Decameròn? Significa aver ideologizzato l’opera attraverso la coscienza di essa: coscienza non puramente estetica, ma, attraverso il veicolo della fisicità, cioè di tutto il mio modo di esserci, totale» [Pasolini 1991: 255]. Scrive François de La Bretèque: «Volgendosi alle grandi raccolte narrative della fine del Medioevo, sperava di trovare, in quel substrato, l’antidoto contro il cinema borghese e “colto”, un’espressione non contaminata della voce del popolo in cui il sesso, la miseria e la gioia di vivere si sarebbero espresse liberamente. La sua personale rappresentazione fantasmatica del Medioevo è quella di “corpi innocenti”, di una “violenza arcaica, oscura, vitale”, essenzialmente centrata sulla “rappresentazione dell’Eros”. Il mondo descritto dalle novelle di Boccaccio sarebbe un “ambiente umano di poco superato dalla storia ma ancora fisicamente presente”. Pasolini procede da umanista colto. Egli stesso è consciente (ispirato dalla lettura di Auerbach) di tale contraddizione così come non ignora di idealizzare il passato, ma rivendica questo atteggiamento come una contestazione contro il tempo presente» [Cinema mondiale 1999: 386].

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17. Pasolini 285 Ma ripartiamo dal Decameròn. Come viene sistematicamente ricordato in tutti i contributi critici sulla genesi e la strut- tura del film (non dirò niente di nuovo, ma, come si sa, repetita iuvant), da un appunto di Pasolini per il produttore Franco Rossellini, redatto nella primavera 1970, si ricava che il progetto iniziale immaginava un film della durata di almeno tre ore, suddiviso in tre tempi, e composto da quindici racconti,

ognuno dei quali rappresenta un momento di quello spirito interregionale e internazionale che caratterizza il Decameròn. Nel suo insie- me il film verrà dunque ad essere una specie di affresco di tutto il mondo, tra il medioevo e l’epoca borghese: e, stilisticamente, rappresen- terà un intero universo realistico [Pasolini 1991: 251].

La sua articolazione sarebbe stata la seguente (confermata poi anche nel primo trattamento):

Ser Ciappelletto, nel primo tempo, motivo conduttore delle storie di Martellino, Andreuccio da Perugia, Alatiel e Masetto di Lam- porecchio; Chichibio, nel secondo tempo, filo conduttore delle storie del Palafreniere, di Alibech, Gerbino, Lisabetta, l’Usignolo; Giot- to, nel terzo tempo, motivo conduttore delle storie di Peronella, Natan e Mitridanes, Gemmata [Pasolini 1991: 251].

Sulla base di questi indizi, molti interpreti hanno rilevato che, all’epoca dell’elaborazione preliminare, Pasolini aveva già disegnato di liberarsi dell’articolazione diegetica dell’originale, affinché ci fosse «una vicenda che sostituisca il meccanismo narrativo adottato dal Boccaccio, e rappresenti il [suo] libero intervento di autore» [Pasolini 1991: 251]. Nessun «orrido cominciamento» pestifero, perciò, e nessuna «onesta brigata» troverebbero spazio nel progetto filmico (né nel film poi realizzato). Scrive Gianni Canova:

la complessa “architettura gotica” del capolavoro boccaccesco viene eliminata e sostituita con tre agili racconti-cornice, caratterizzati sia dall’analogia che lega i tre personaggi protagonisti (tanto il mentitore Ciappelletto quanto il cuoco Chichibio e l’artista Giotto sono produttori di finzioni, facitori di sogni e simulazioni), sia da una fitta rete di rimandi interni, a volte di natura tematica (la Chiesa – vero e proprio topos dell’immaginario boccaccesco […]), altre volte di natura più squisitamente visuale (nel Secondo tempo, ad esempio, gli uccelli che volano via cacciati da Chichibio e dai ragazzini introducono la metafora ornitologica del «rosignolo» nella successiva novella di Caterina di Valbona) [Pasolini 1995: 22].

Pur confermando una tale struttura, il passaggio ulteriore dal trattamento alla sceneggiatura originale registra un par- ziale allentamento: scompaiono cinque novelle (Alatiel, Gerbino, Martellino, Agilulfo, Natan e Mitridanes), e ne vengono aggiunte due (Girolamo e Salvestra, Tingoccio e Meuccio). Poi, in corso d’opera il regista fa cadere il progetto di un terzo tempo affidato al racconto-cornice di Chichibio. Pertanto, al montaggio definitivo il film, ricondotto ai canonici due tempi, risulta così organizzato: nel primo tempo la novella-cornice di Ciappelletto ingloba le novelle di Andreuccio, Masetto, Pero- nella; nel secondo la novella-cornice di Giotto (o meglio, del suo allievo, interpretato da Pasolini stesso) ingloba le novelle di Caterina, Lisabetta, Gemmata, Tingoccio e Meuccio. Sotto le forbici del montatore, perciò, cadono la novella di Girolamo e Salvestra (comunque girata, ma abbandonata prima del montaggio) e quella di Alibech (girata e montata, ma poi sacrificata dall’autore all’ultimo momento, in post-produzione, per motivi di coerenza generale).

Infine, l’opera distribuita nelle sale risulta così strutturata:

primo tempo

• prima anticipazione della novella-cornice di Ciappelletto;

• Andreuccio [II 5];

• seconda anticipazione della novella-cornice di Ciappelletto (coincidente con la narrazione del vecchio cantastorie [IX 2]);

• Masetto [III 1];

• Peronella [VII 2];

• Ciappelletto [I 1].

secondo tempo

• il discepolo di Giotto [VI 5], e primo prolungamento della novella-cornice del discepolo di Giotto (contenente il preambolo della novella di Caterina);

• Caterina [V 4];

• secondo prolungamento della novella-cornice del discepolo di Giotto;

• Lisabetta [IV 5];

• terzo prolungamento della novella-cornice del discepolo di Giotto (montato senza soluzione di continuità con l’epi-

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