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Roma, 16 settembre 2013

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Commissioni Affari sociali e Bilancio Camera dei Deputati

Audizione del Direttore Generale di Confindustria Marcella Panucci

“La sfida della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario ed obiettivi di finanza pubblica”

Roma, 16 settembre 2013

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2 INDICE

1. Tendenze demografiche e culturali 2. Spesa sanitaria/assistenziale pubblica e privata

- La spesa sanitaria pubblica nel confronto internazionale - Le tendenze a lungo termine

- La spesa sanitaria privata e la componente “out of pocket”

- Il welfare assistenziale – il fenomeno delle assistenti familiari

3. Sostenibilità, universalismo, solidarietà ed equità del SSN

4. Scelte di policy - Riflessioni per la maggiore efficienza del sistema - Finanziamento della domanda di salute dei cittadini

pag. 3

pag. 5 pag. 5 pag. 6 pag. 7 pag. 11

pag. 12

pag. 14 pag. 14 pag. 15

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3 1. Tendenze demografiche e culturali

L’invecchiamento della popolazione, il progressivo declino di quella attiva, le conseguenti questioni d’ordine occupazionale, finanziario, sanitario e sociale, costituiscono uno dei maggiori problemi che il nostro Paese deve necessariamente affrontare.

In Italia, secondo le ultime proiezioni ISTAT, la popolazione residente aumenterà ad un ritmo via via decrescente da 60,6 milioni nel 2011 fino a 63,9 milioni nel 2042 e scenderà a 61,3 milioni nel 2065, valore centrale di previsione.

L’età media della popolazione passerà dagli attuali 43,5 a 49,7 anni nel 2065, dopo di che il processo di invecchiamento dovrebbe stabilizzarsi. Nel 2065 un terzo circa della popolazione italiana avrà 65 anni e oltre, rispetto a un quinto nel 2011 e poco più di un quarto nel 2030 (Tab.1).

La popolazione in età 14-65 anni diminuirà di 6,3 milioni tra il 2011 e il 2065.

Questi cambiamenti della struttura per età determineranno un netto peggioramento dell’indice di dipendenza degli anziani (rapporto tra le persone di 65 anni e più e le persone in età 15-64 anni) e dell’indice di dipendenza strutturale (rapporto tra popolazione in età non attiva - 0-14 anni e 65 anni e più - e popolazione in età attiva, 15-64 anni). Nel 2011 si registravano 30,9 ultrasessantacinquenni per 100 persone in età attiva, nel 2065 saranno quasi il doppio, 59,7 (e 42,6 nel 2030). Nel 2065 ci saranno 82,8 persone in età non attiva ogni 100 in età attiva, contro 52,3 nel 2011.

Tab. 1 – Italia: popolazione per grandi classi di età 2011-2065

(Proiezione centrale, milioni di unità e valori %)

Variabili 2011 2030 2065

Popolazione per classi di età (milioni)

0-14 8,5 8,0 7,8

15-64 39,8 38,9 33,5

65 e + 12,3 16,6 20,0

Rapporti caratteristici (in %)

65 e + in % popolazione totale 20,3 26,1 32,6

Indici di dipendenza

Giovanile 21,4 20,6 23,6

Anziani 30,9 42,6 59,7

Strutturale 52,3 63,2 82,8

% stranieri residenti 7,5 14,5 23,0

Fonte: Istat 2011

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4

Questo processo d’invecchiamento della nostra società pone problematiche complesse, fino ad oggi per lo più esaminate per gli impatti che determineranno sul mercato del lavoro, sui sistemi pensionistici e ovviamente sugli aspetti relativi al welfare e alla salute.

Assai meno si è riflettuto sul mutamento che questa composizione sociale determinerà sulle nostre economie, sui modelli di consumo e sulle modalità con cui andranno organizzati i servizi sociali.

In generale parliamo di una fascia di popolazione che già oggi esprime una domanda non banale da comprendere e intercettare. Il processo d’invecchiamento attivo e creativo che, liberato da incombenze di lavoro (anche se caricato di nuove responsabilità familiari) cerca attività nuove e stimolanti, con comportamenti assai più dinamici di quello che si tende a pensare, avrà una forte accelerazione e riguarderà in particolare la fascia dei baby boomer su cui si è costruito lo sviluppo fino agli anni ’80 e che rappresenta un segmento di popolazione mediamente più istruito e consapevole di quelli che l’hanno preceduto. Un cittadino più flessibile e alla ricerca di quella soddisfazione e pienezza cui spesso ha dovuto rinunciare nella fase della vita attiva. Cittadini prevalentemente a contenute capacità di consumo e bisogni, ma che sanno soddisfare con maggiore razionalità e competenza rispetto a un tempo, che dispongono di forte capacità di giudizio e valutazione sui prodotti e i servizi, e che esprimono una domanda di trasparenza e chiarezza non sempre soddisfatta da quanto incontrano sul mercato. Attenti alla salute e alla comunicazione, chiedono proposte e servizi adeguati e personalizzati. Man mano che si avvicinerà all’età terza la generazione dei baby boomer, questo fenomeno di consumatori consapevoli e colti tenderà a incrementarsi. Apprendimento e comunicazione saranno aspetti essenziali da curare in una società che promuova l’invecchiamento attivo.

Con l’aumento del numero di persone in età avanzata, cresce l’esigenza di migliorare il loro benessere e le loro possibilità d’integrazione nella società della conoscenza. Nelle società che invecchiano, l’apprendimento svolgerà un ruolo essenziale nella misura in cui saprà contribuire a risolvere difficoltà quali l’aumento dei costi sociali e della sanità e l’inserimento sociale, la condivisione intergenerazionale di esperienze e conoscenze, una migliore organizzazione e distribuzione dei servizi essenziali.

Lo stereotipo dell’anziano debole, solo indifeso e inattivo, andrà insomma accantonato. La mutata composizione delle società europee pone sfide d’integrazione e scambio generazionale, di ripensamento dei servizi pubblici, di organizzazione sociale. Le pone alla politica e al mercato finora sordi o disinteressati a questo processo di profonda trasformazione, stretti nella miopia dello sguardo di breve corso ed inerzialmente portati a conservare un modello di società a crescita lineare e a ricambi generazionali immutati.

Crescita della domanda di welfare, nuovi modelli di consumo anche in questo settore e crescenti vincoli di bilancio rappresentano il contesto entro il quale vanno collocate le riflessioni sul welfare socio-sanitario, in un’ottica di progressiva integrazione e complemento fra pubblico e privato.

2. Spesa sanitaria/assistenziale pubblica e privata

La spesa sanitaria pubblica nel confronto internazionale

La sanità è uno dei sistemi pubblici di tutela maggiormente interessato dalla trasformazione demografica.

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In Italia la spesa sanitaria non è particolarmente elevata rispetto alla media dei paesi europei comparabili come livello di sviluppo, anche se appare complesso realizzare dei confronti tenuto conto della differenza fra i vari sistemi. Comunque, con 2.282 euro (in PPP) di spesa pro-capite e 9,3% di spesa in rapporto al Pil, il nostro paese si colloca oltre la media europea ma dietro alcuni importanti paesi (Figg. 1 e 2). In Germania la spesa pro capite è pari a 3.337 euro, 3.058 in Francia, 2.894 in Svezia, 2.636 nel Regno Unito.

Fig. 1 Health expenditure per capita, 2010 (or nearest year) € in PPP

Fonte: OECD Health Data 2012; Eurostat Statistics Database; WHO Global Health Expenditure database.

Fig. 2 Total health expenditure as a share of GDP, 2010 (or nearest year)

Fonte: OECD Health Data 2012; Eurostat Statistics Database; WHO Global Health Expenditure database.

Negli ultimi 10 anni la crescita della spesa sanitaria italiana non è stata superiore a quella media

3890 3607 3439 3383 3337 3058 3052 2894 2862 2636 2504 2345 2282 2244 2171 2097 1869 1783 1758 1614 1450 1231 1068 995 972 821 745 677 4156 4056 2524 1152 902 899 714 619

0 1 000 2 000 3 000 4 000 5 000

Netherlands Luxembourg1 Denmark Austria Germany France Belgium Sweden Ireland United Finland Spain Italy Greece EU-27 Portugal Slovenia Cyprus Malta Slovak Czech Hungary Poland Estonia Lithuania Latvia Bulgaria Romania Norway Switzerland Iceland Croatia Serbia Montenegro Turkey FYR of …

Total (no breakdown) Current expenditure on health Capital expenditure

12 11,6 11,6 11,1 11 10,7 10,5 10,2 9,6 9,6 9,6 9,3 9,2 9 9 9 8,9 8,6 7,9 7,8 7,5 7,4 7,2 7 7 6,8 6,3 6 0 11,4 10,4 9,4 9,3 9,1 7,8 7,1 6,1

0 2 4 6 8 10 12 14

Netherlands 1 France Germany Denmark Austria Portugal Belgium 2 Greece Spain Sweden United Italy Ireland Slovak Slovenia EU-27 Finland Malta Luxembourg 3 Hungary Czech Republic Cyprus Bulgaria Poland Lithuania Latvia Estonia Romania Switzerland Serbia Norway Iceland Montenegro Croatia FYR of … Turkey

% GDP Public Private

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europea. Al riguardo va però tenuta presente la situazione dei rapporti commerciali fra SSN e fornitori privati. I dati sui pagamenti della PA che hanno spinto Governo e Parlamento ad agire con il DL 35, testimoniano come il mancato pagamento dei fornitori abbia significativamente contribuito a finanziare negli anni il Servizio sanitario nazionale. L’ammontare di debiti delle aziende sanitarie verso le imprese fornitrici superano i 2 punti di Pil: tale dato deve essere considerato nelle analisi economiche e deve contribuire a valutare più correttamente il livello di spesa sanitaria pubblica del nostro Paese.

In secondo luogo occorre considerare che i tagli praticati nella spesa in attività ad alto contenuto tecnologico e di know how hanno fortemente danneggiato settori che sostengono la competitività del Paese, come la farmaceutica e o i beni strumentali sanitari.

Le tendenze a lungo termine

Questa situazione di continuo stress sulla spesa sanitaria è molto probabilmente destinata a perdurare anche nei prossimi anni. Il notevole invecchiamento della popolazione cui va incontro l’Italia, oltre che ad aumentare la quota relativa dei redditi da pensione sul reddito nazionale, contribuirà ad aumentare la domanda di servizi sanitari e assistenziali, che tendenzialmente si concentrano sulle fasce di popolazione molto giovane e anziana.

La Ragioneria Generale dello Stato prevede una crescita del rapporto spesa sanitaria/Pil di 1,8 punti nei prossimi quaranta anni, il modello del Ceis dell’Università di Roma Tor Vergata prevede invece una crescita di quasi 4 punti percentuali nel caso dello scenario meno favorevole, in cui il Pil cresce dell’1,5% all’anno, e di circa 2 punti percentuali nel caso dello scenario di riferimento in cui si ipotizza una crescita media del Pil di 2,5 punti l’anno1 (cfr. Fig. 3).

1 La proiezione RGS è realizzata secondo lo senario pure ageing, che assume l’invarianza nel tempo del profilo dei consumi specifici per età, sesso e Ipologia di prestazione e l’adeguamento del costo unitario delle prestazioni al PIL pro capite. Ciò rende la previsione del rapporto spesa sanitaria/PIL dipendente dalle sole dinamiche demografiche. Il modello Rgs incorpora inoltre l’impatto degli interventi di policy tesi a controllare la spesa. Il modello Ceis invece

“fornisce una stima della spesa futura che risente delle dinamiche incorporate nelle serie storiche, ovvero fornisce l’andamento inerziale del sistema sulla base delle relazioni tra spesa e i suoi driver consolidatesi nel passato”.

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Fig. 3 Italia: spesa sanitaria 2010-50 proiezioni RGS e CEIS (in % Pil)

Fonte: V. Atella, G. Marini e T. Proietti, Previsioni di breve e lungo periodo della spesa sanitaria pubblica, cit.

Questi scenari a lungo termine si inseriscono in un contesto di politica di bilancio che per molti anni ancora avrà pochi margini di libertà. L’impegno sottoscritto a livello europeo, di ridurre ogni anno il peso del debito pubblico sul PIL di un ventesimo dell’eccedenza rispetto a un valore del 60%, richiederà saldi primari positivi.

Conseguentemente, anche lo scenario di un relativamente contenuto incremento a lungo termine della spesa è uno scenario problematico. E’ evidente che in questa prospettiva il miglioramento continuo nell’utilizzo efficiente delle risorse diventa un nodo cruciale per conciliare controllo della spesa e tenuta del livello di prestazioni necessarie.

La spesa sanitaria privata e la componente ‘out of pocket’

In tutti i Paesi, alla spesa sanitaria pubblica si affianca una quota - più o meno consistente, secondo il modello di sistema sanitario – di spesa privata2. Nel 2010 la spesa privata italiana è risultata pari a 30,3 miliardi di euro. Dopo un trend di sensibile aumento negli anni novanta del secolo scorso, negli ultimi anni la spesa privata è sempre stata intorno a questo livello.3 Solo di recente, stanno emergendo segnali di un’ulteriore aumento della spesa sanitaria privata connessi al fatto che le recenti manovre finanziarie sulla sanità rischiano – limitatamente, per ora, ad alcune prestazioni – di porre il SSN “fuori mercato”. Si sta infatti diffondendo il timore che alcune prestazioni sanitarie non siano più realmente disponibili nell’ambito della sanità pubblica (effetto di razionamento implicito) ovvero che – anche se erogate in ambito pubblico – abbiano un costo significativo a volte superiore all’analogo costo di mercato. Tali considerazioni sono suffragate da

2 Per spesa sanitaria «pubblica» si intende la spesa finanziata attraverso fondi pubblici (ossia tributi prelevati dagli enti pubblici territoriali e contributi di schemi assicurativi sociali), mentre la spesa «privata» include schemi assicurativi/no profit privati (ovvero volontari), compartecipazioni alla spesa, pagamenti diretti da parte del paziente.

3 A tale dato ufficiale andrebbe poi ragionevolmente aggiunta una quota di spesa sanitaria “sommersa”.

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uno studio dell’Age.Na.S (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) del maggio 2013 che evidenzia un calo netto dei consumi di prestazioni specialistiche erogate da soggetti pubblici o privati accreditati a seguito dell’aumento dei ticket e superticket definito in questi ultimi anni.

Attualmente la spesa sanitaria privata corrisponde al 20% circa della spesa sanitaria totale. La spesa pro capite nel 2010 era pari a 451 euro correnti (Fig. 4). La media nazionale sottende notevoli differenze regionali (Fig. 5): la spesa privata pro capite nel Friuli (736 euro) è più del doppio di quella stimata in Basilicata e in Campania (rispettivamente 316 e 314 euro). La spesa privata risulta tendenzialmente più alta nelle regioni dove anche la spesa pubblica pro capite è elevata.

Fig. 4 Italia: spesa sanitaria delle famiglie pro capite (euro)

Fonte: Istat

Fig. 5 Italia: spesa sanitaria pro capite delle famiglie per regione - 2010

Fonte: Istat

In Italia l’incidenza della spesa privata non è sostanzialmente diversa da quella di altri Paesi europei in cui il sistema sanitario è in larga parte pubblico. Ciò che differenzia l’Italia è che una quota largamente preponderante di tale spesa risulta essere cash, oltre l’87%, mentre in Paesi

100 200 300 400 500 600

1990 1995 2000 2005 2010 2015

Nord Ovest Nord Est Nord Centro Sud Isole Mezzogiorno Italia

Spesa sanitaria delle famiglie (procapite)

<= 800

<= 700

<= 600

<= 500

<= 400 No dati Min = 300

Spesa sanitaria delle famiglie (procapite)

Ultimo disponibile

Italia 451

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come Regno Unito, Germania, Francia, Austria, Spagna e Belgio una larga parte della spesa privata è intermediata da agenti collettivi, siano essi assicurazioni private, organismi non profit, mutue o altro (Tab. 2).

Tab. 2 Spesa sanitaria totale per fonte di finanziamento – 2010 (valori%)

Composizione spesa totale Composizione spesa privata

Spesa

pubblica Spesa privata Totale

Assicurazioni private

Out of the pocket

Non profit,

altro

Totale

Netherlands1 85,7 14,3 100,0 36,2 38,8 25,0 100,0

Norway 85,5 14,5 100,0 100,0 0,0 100,0

Denmark 85,1 14,9 100,0 10,8 88,7 0,5 100,0

Croatia 84,9 15,1 100,0 4,0 95,8 0,0 99,8

Czech Republic 83,8 16,2 100,0 0,9 91,5 7,6 100,0

United Kingdom 83,2 16,8 100,0 18,8 53,1 28,2 100,0

Sweden 81,0 19,0 100,0 1,4 88,8 9,9 100,0

Iceland 80,4 19,6 100,0 93,0 7,2 100,1

Romania 80,3 19,7 100,0 0,4 97,8 1,9 100,0

Italy 79,6 20,4 100,0 5,2 87,3 7,5 100,0

Estonia 78,9 21,1 100,0 1,1 87,8 11,1 100,0

Austria 77,1 22,9 100,0 20,6 73,6 5,8 100,0

France 77,0 23,0 100,0 59,6 31,7 8,6 100,0

Germany 76,8 23,2 100,0 40,1 56,7 3,2 100,0

Belgium 75,6 24,4 100,0 19,7 79,5 0,8 100,0

Finland 74,5 25,5 100,0 8,4 75,5 16,1 100,0

Spain 74,2 25,8 100,0 21,4 76,2 2,4 100,0

Slovenia 72,8 27,2 100,0 46,8 47,6 5,6 100,0

Turkey (2008) 72,7 27,3 100,0 70,3 29,7 100,0

EU-27 72,6 27,4 100,0 13,6 78,4 8,4 100,3

Lithuania 72,1 27,9 100,0 2,0 97,6 0,4 100,0

Poland 71,7 28,3 100,0 2,4 77,9 19,7 100,0

Ireland 69,5 30,5 100,0 41,6 57,0 1,5 100,0

Montenegro 67,2 32,8 100,0 91,1 9,1 100,2

Portugal 65,8 34,2 100,0 12,8 76,1 11,1 100,0

Malta 65,5 34,5 100,0 6,0 93,5 0,5 100,0

Switzerland 65,2 34,8 100,0 24,7 72,2 2,9 99,8

Hungary 64,8 35,2 100,0 7,0 74,3 18,7 100,0

Slovak Republic 64,5 35,5 100,0 72,8 27,2 100,0

FYR of Macedonia 63,8 36,2 100,0 99,0 0,8 99,9

Serbia 61,9 38,1 100,0 99,9 99,9

Latvia (2009) 59,5 40,5 100,0 1,9 89,0 9,1 100,0

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Greece 59,4 40,6 100,0 5,5 94,5 100,0

Bulgaria (2009) 55,4 44,6 100,0 1,0 97,1 1,9 100,0

Cyprus 43,3 56,7 100,0 10,8 87,0 2,1 100,0

Fonte: OECD Health Data 2012; WHO Global Health Expenditure Database.

La spesa privata in Italia si compone: per poco meno della metà di acquisti di farmaci, articoli sanitari e materiale terapeutico; per il 36% di servizi medici e specialistici non ospedalieri; per il 17% di servizi ospedalieri. Dall’ultima indagine multiscopo ISTAT sul ricorso ai servizi sanitari risulta che su 100 visite specialistiche rilevate nell’indagine il 57% sono state a pagamento, e il resto o gratuite o con ticket. La propensione a pagare si riduce notevolmente per gli esami specialistici (il 21% degli esami di laboratorio e ambulatoriali sono totalmente a pagamento).

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Quanto ai motivi che spingono i cittadini a pagare privatamente le prestazioni, una componente fondamentale riguarda le liste di attesa nel sistema pubblico. Un’altra, sembra essere la fiducia nel rapporto tra paziente e medico, che può essere particolarmente rilevante in alcune specialità: su 100 visite ostetrico ginecologiche quasi due terzi sono state pagate di tasca propria. Un'altra ancora è l’età: le visite gratuite si concentrano nelle età elevate, quando cioè l’esenzione dai ticket è generalizzata e il tempo libero ha un valore più basso rispetto a quello delle persone in condizione lavorativa. La percentuale di visite a pagamento risulta mediamente maggiore per chi si dichiara in buone condizioni economiche, ma tale percentuale è comunque elevata anche per le persone in età lavorativa che si dichiarano in cattive condizioni economiche.

Nell’esaminare la spesa sanitaria privata va infine ricordato che essa non si rivolge solo all’offerta nazionale di servizi sanitari, ma anche all’offerta fuori dai confini nazionali. Si tratta di un trend crescente, agevolato dalla riduzione dei costi di trasporto e dalla diffusione delle tecnologie ICT e trainato da motivazioni completamente diverse dalla tradizionale ricerca di una qualità superiore per le cure a cui sottoporsi o dello specialista assoluto in determinate metodiche innovative. La motivazione più diffusa è, infatti, la ricerca di una qualità media a costi bassi di determinate cure e trattamenti. Un caso diffuso sono le cure odontoiatriche, ma il fenomeno si estende a determinate chirurgie anche complesse.

I dati Ocse documentano la rilevanza del fenomeno. In Europa, a parte i casi a sé stanti di piccoli paesi come il Lussemburgo, i principali paesi importatori sono i paesi ricchi e a elevati costi sanitari come Olanda, Germania, Belgio. I paesi esportatori sono prevalentemente i paesi dell’Europa centro-orientale, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia, Polonia.

In Italia la spesa per prestazioni sanitarie ‘importate’ costituisce una quota assai bassa della spesa sanitaria totale, ma il tasso di crescita medio annuo è intorno al 18%.

Questo trend ha stimolato la nascita di strutture sanitarie low cost anche in Italia. Per fronteggiare le difficoltà economiche e per intercettare la domanda di servizi di potenziali clienti che si indirizzano verso Paesi che offrono cure a spese più basse, ma non sempre garantiscono sicurezza di qualità o tutela giuridica in caso di malpractice, anche la sanità privata italiana ha infatti imboccato la strada del risparmio (poliambulatori, ambulatori specialistici, centri odontoiatrici). Si tratta di strutture che offrono visite specialistiche, esami del sangue, controlli oculistici, a tariffe contenute ed evitando lunghe liste di attesa e che si pongono a metà strada tra la pratica medica privata tradizionale e le strutture pubbliche.

In alcuni settori, come l’odontoiatria, di recente si assiste ad un fenomeno di cambiamento della struttura dell’offerta mediante una graduale trasformazione di una rete di offerta sostanzialmente caratterizzata da professionisti ad una rete di servizi più industrializzata. Lo sviluppo della sanità integrativa di questi ultimi anni, che si è basata su regole che hanno favorito il finanziamento dei fondi e delle casse sanitarie delle prestazioni odontoiatriche, sembra aver contribuito alla trasformazione dell’offerta rendendola più efficiente e moderna (nonché con minori costi gestionali relativi).

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In sintesi, la domanda dei cittadini – e la spesa privata con particolare riferimento a quella gestita dai fondi e dalle casse sanitarie – sta diventando un fattore di ricerca di efficienza dell’offerta. In sanità i cittadini votano con i piedi come mostra la mobilità interregionale di domanda di cure.

Questo fenomeno non incide ancora sufficientemente sull’efficienza dei sistemi regionali in quanto una spesa sanitaria privata sostanzialmente “out of pocket” non ha adeguato potere contrattuale nei confronti degli erogatori.

Una policy pubblica che favorisse l’organizzazione della spesa sanitaria privata, circa 30 miliardi di euro4, sarebbe probabilmente una forte leva all’efficienza complessiva dei servizi sanitari, pubblici e privati.

Il welfare assistenziale – Il fenomeno delle assistenti familiari

L’invecchiamento della popolazione e la limitatezza delle risposte fornite dal sistema del welfare pubblico nei confronti delle persone bisognose di assistenza, ha generato un forte aumento della presenza della figura dell’assistente familiare la cui attività è rivolta al sostegno ed all’aiuto a domicilio di persone anziane o disabili anche in situazione di non autosufficienza.

Secondo il rapporto del 2011 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla non autosufficienza basato su stime per difetto, le assistenti familiari risultano essere circa 770.000, in parte senza un regolare contratto di lavoro e generalmente di origine straniera.

Sulla base di stime prudenziali, tale fenomeno comporta una spesa a carico delle famiglie italiane stimata in circa 8 miliardi di euro.

I cittadini e le famiglie, quindi, non solo si fanno carico, come si è già visto, di una quota consistente della spesa sanitaria, ma svolgono anche un ruolo importante nel sostenere i costi dell’assistenza alle persone anziane o disabili. Non è facile individuare un confine netto fra la componente sanitaria e quella assistenziale nel caso di soggetti cronici o al limite della non autosufficienza.

E’ importante però sottolineare che, proprio in questi anni in cui sembra emergere una maggior consapevolezza fra i policy makers circa la necessità di potenziare l’assistenza primaria e territoriale alleggerendo il livello ospedaliero, cresce notevolmente il peso economico ed organizzativo sulle famiglie italiane del welfare sociosanitario legato agli anziani ed alle disabilità.

3. Sostenibilità, universalismo, solidarietà ed equità del SSN Il SSN è una delle principali conquiste sociali del nostro Paese.

4 Ma potenzialmente molti di più se si considera la spesa privata “sommersa”.

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Confindustria per prima non chiede di mettere in alcun modo nell’agenda politica il tema del superamento del Servizio sanitario nazionale.

Il punto però è chiedersi come intervenire affinché i principi che rappresentano i capisaldi del nostro modello di sanità pubblica possano essere declinati in chiave moderna ed essere restituiti al loro concreto significato.

L’universalismo e l’equità del SSN sono da anni a rischio. Lo sono nel momento in cui non si riesce a risolvere il problema delle liste di attesa. Lo sono quando è lo Stato stesso che decide di creare all’interno della sanità pubblica un sottoinsieme a pagamento (Intramoenia) più rapido ed efficiente. Lo sono se si pensa alle profonde disparità fra territori nei livelli di servizio. Lo sono se si tiene conto che, a causa del costo dei ticket, la prestazione erogata in ambito pubblico spesso costa di più di quella erogata mediante il libero mercato.

Quando un sistema sanitario, pensato quale strumento per dare concretezza al diritto costituzionale alla salute quale diritto dell’individuo, smette di essere universalistico i rischi di disgregazione del sistema sono rilevanti e di crescita delle sperequazioni interne allo stesso, con grave rischio per i cittadini ed i lavoratori più esposti.

La Sostenibilità di un sistema sanitario è un concetto che va valutato in termini relativi. Un sistema è sostenibile se il livello di prelievo (e di spesa) è ritenuto dalla collettività congruo in relazione al valore del bene pubblico tutelato (in questo caso la salute) ed alla capacità del sistema stesso di soddisfare le esigenze collettive.

In tal senso, ha poco rilievo dire se spendere il 7% del Pil per la sanità sia tanto o poco.

Maggiormente rilevante è capire se il livello di copertura fissato – qualunque esso sia – venga garantito in un quadro di compatibilità con le risorse disponibili, tenendo conto dei vincoli di finanza pubblica e delle variabili che incidono nel medio/lungo periodo sulla spesa sanitaria.

In base a tali considerazioni, ed al fatto che la pressione fiscale non possa essere a nostro giudizio incrementata anzi ridimensionata, appare oggi ragionevole nutrire dubbi sul fatto che la copertura sanitaria pubblica prevista dal SSN non debba essere riconsiderata.

Già oggi non lo è:

• a livello regionale proliferano le addizionali, Irpef ed Irap, creando forti ostacoli alla ripresa degli investimenti e dei consumi;

• parte del costo della sanità pubblica è ormai strutturalmente sulle spalle dei fornitori:

- attraverso il fenomeno dei ritardati (o mancati) pagamenti;

- tenuto conto che gran parte dei tagli alla sanità vengono scaricati sulle industrie mettendo a rischio una delle componenti più dinamiche ed innovative della struttura produttiva nazionale.

Sarebbe miope considerare che tali criticità finanziarie siano momentanee e possano essere superate unicamente con la lotta agli sprechi (sulla quale occorre peraltro maggiore serietà), con nuovi tagli su farmaci, forniture, apparecchiature, servizi sanitari privati, personale oppure inasprendo il sistema delle compartecipazioni.

Occorre un ragionamento più a vasto raggio per capire come una maggior finalizzazione della spesa privata, mediante lo sviluppo universalistico e volontario del secondo pilastro sanitario, unitamente ad un assetto regolatorio più liberale del sistema degli erogatori, possa consentire – in un quadro più dinamico che consenta aggiustamenti “automatici” verso obiettivi di sostenibilità

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– l’innalzamento tecnologico e qualitativo dei servizi sanitari garantendo i principi di equità e solidarietà.

Su questi temi la sensibilità sociale è altissima ed è anche crescente fra i cittadini il timore di perdere la sanità pubblica gratuita ed aperta a tutti, così come è stata intesa per tanti anni nel nostro Paese. Per la prima volta, secondo dati Censis del giugno 2013, si sta facendo largo l’idea cioè che occorra trasferire la responsabilità e il costo dei servizi su specifici segmenti di popolazione, da quelli che essendo abbienti non dovrebbero beneficiare per alcun motivo di esenzioni, a quelli che generano costi sanitari, in molti casi con comportamenti non sostenibili economicamente e non appropriati per la propria salute.

Questo aspetto si presenta come una novità nella società italiana, probabilmente indotta dalla crisi, perché sino a non molti anni fa gli italiani erano assolutamente contrari a qualsivoglia distinguo etico nell’accesso alle cure.

E’ compito della politica dare risposte a tali fermenti sociali, individuando soluzioni credibili e sostenibili, spiegando le decisioni ai cittadini ed a tutti gli stakeholders, prima che si allarghi nel Paese l’insostenibilità sociale nei confronti di un sistema sociosanitario che, pur essendo ancora nel novero dei migliori, presenta ormai vistose differenze nei livelli di prestazioni e costi e che invece di cercare soluzioni strutturali a problemi ormai evidenti ha privilegiato spesso rattoppi temporanei rispetto ad una seria revisione della spesa ed eliminazione delle troppe inefficienze e sprechi.

4. Scelte di policy

Riflessioni per la maggiore efficienza del sistema

Il sistema sanitario pubblico italiano è caratterizzato da una forte disomogeneità territoriale della qualità dei servizi erogati ai cittadini. Vi sono regioni d’eccellenza e regioni che offrono servizi insoddisfacenti mostrando evidenti segni di crescente debolezza sia sul piano finanziario che dei livelli di servizio.

Altro preoccupante fenomeno è rappresentato da una crescente quota di “inappropriatezza” delle prestazioni sanitarie, che è maggiore proprio in quelle regioni dove i servizi sono meno soddisfacenti. A questo riguardo un caso emblematico è rappresentato dai parti cesarei. Secondo un recente studio condotto dal ministero della Salute e Age.Na.S, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari, il 43% dei parti cesarei sarebbe privo di giustificazioni. Il ricorso eccessivo a parto cesareo si verifica soprattutto nelle regioni del Sud Italia, con punte del 60% di cesarei non giustificati in Campania.

Inoltre, sta diventando più critica la situazione infrastrutturale e dell’adeguamento tecnologico. Il

“parco macchinari” va rinnovato e gli investimenti infrastrutturali e nell’ICT sono ai minimi storici, sia per quanto riguarda la rete ospedaliera che l’assistenza primaria.

Particolare attenzione va riservata alla revisione della rete ospedaliera nel senso di una maggior efficienza ed al potenziamento dell’assistenza primaria e territoriale, integrando quest’ultima sia a valle con i servizi sociali ed assistenziali promossi a livello locale, sia a monte con le elevate specializzazioni garantite dalla rete ospedaliera. Tale integrazione può essere garantita unicamente realizzando una rete digitale che permetta la fruibilità e la mobilità dei dati.

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La promozione della diffusione delle tecnologie ICT è quindi un tassello fondamentale per accrescere l’efficienza e l’efficacia dei servizi sanitari.

L’efficacia dell’offerta dei servizi digitali è correlata alla totale copertura del territorio nazionale con il servizio di banda larga ed alla sua evoluzione verso le architetture cloud. Un recente studio dell’Osservatorio del Politecnico di Milano ha stimato come la completa digitalizzazione del settore sanitario nazionale porterebbe benefici al Paese, in termini di risparmi, di circa 14,5 miliardi € l’anno. L’utilizzo di soluzioni ICT da parte delle strutture sanitarie porterebbe risparmi per circa 6,8 miliardi € l’anno; al contempo, i risparmi stimati per i cittadini, grazie al miglioramento dei servizi e al recupero di efficienza delle strutture sanitarie, sarebbero di circa 7,6 miliardi € l’anno.

La realizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali di supporto allo sviluppo di servizi sanitari innovativi deve assicurare l’integrazione e la fruibilità dei dati da qualunque punto di accesso sul territorio li si voglia consultare e deve essere accompagnata dall’innalzamento del livello di alfabetizzazione digitale della popolazione attraverso progetti di formazione specifici.

E’ evidente che tali cambiamenti non possono essere realizzati in un contesto caratterizzato da una logica “ragionieristica” ed emergenziale fatta di tagli lineari, secondo un’agenda esclusivamente dettata dalle esigenze di cassa. La riqualificazione della spesa va realizzata secondo un disegno strategico di re-ingegnerizzazione del sistema e secondo una visione industriale del settore.

L’efficienza della sanità non può essere in ogni caso essere cercata mediante tagli ai settori industriali della filiera, settori ad alto contenuto di innovazione e di export, bensì potenziando i controlli e rendendo efficiente la gestione.

Gli obiettivi di razionalità ed efficienza sono strettamente connessi con l’organizzazione delle spese sul territorio, in un Paese come il nostro che ha una elevata presenza di piccoli presidi sanitari. Pertanto, con particolare riferimento alla revisione della rete ospedaliera, e' importante fare una approfondita riflessione sul rapporto tra il numero degli ospedali/posti letto e l'offerta di prestazioni specialistiche delle strutture. Gli ospedali, infatti, hanno ragione di esistere fino a quando sono in grado di erogare efficientemente tutti i servizi e le prestazioni richiesti dai cittadini. Ipotesi diverse da queste producono evidenti inefficienze che il bilancio dello Stato non può più sopportare e che rischiano di pagare in ultima istanza i cittadini. E’ dunque indispensabile arrivare a definire una logistica distributiva dei servizi che integri in maniera efficiente ed efficace le grandi strutture, le strutture di piccola e media dimensione e la rete territoriale dei servizi per garantire prossimità, efficienza ed equità.

Un punto fondamentale riguarda l’esigenza di rimuovere definitivamente i troppi sprechi del sistema, con attenzione al fabbisogno standard e al procurement pubblico.

A monte è necessario un sistema di razionalizzazione della spesa improntato ai criteri dell’efficienza e della qualità, a valle occorre il potenziamento dei controlli e il monitoraggio sulla gestione. Solo così si restituirà la giusta attrattività ad un settore fondamentale per l’industria e si raggiungerà un equilibrio tra costi e qualità del servizio/prestazione.

Infine, è necessaria una riflessione sulla governance e, in particolare, sul superamento della frammentazione regionale delle competenze, potenziando il ruolo dello Stato a difesa dell’interesse nazionale della tutela della salute. Il Titolo V della Costituzione ha infatti dimostrato di non essere in linea con le attese del settore e che chi investe ha bisogno di una governance chiara e stabile nel tempo.

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Non si tratta di mettere in discussione la scelta costituzionale di una legislazione concorrente su tale materia, ma di rafforzare i meccanismi di coordinamento ed il ruolo statale nel garantire omogeneità dei costi, prestazioni e controlli.

A distanza di oltre 20 anni dal decreto legislativo 502/92, occorre infine fare una riflessione su come consentire agli enti sanitari di poter operare secondo criteri gestionali efficienti, il più possibile rispondenti alla disciplina giuridica stabilita dal codice civile. L’impostazione stabilita all’inizio degli anni ‘90 (aziendalizzazione) appare ormai logora alla luce dell’evolversi della complessità dei processi produttivi. Ci si riferisce principalmente alla necessità di garantire una gestione delle risorse umane più flessibile ed efficiente in grado di garantire una più alta produttività.

Finanziamento della domanda di salute dei cittadini

Il tema dell’efficienza è fondamentale per utilizzare al meglio le risorse disponibili.

Ma esso, da solo, non è in grado di garantire la quadratura del cerchio di fronte al problema del finanziamento a breve-medio periodo della domanda di salute dei cittadini.

Il tema delle risorse è concreto e la politica non può più rinviare il confronto su questi problemi:

una delle chiavi per individuare soluzioni sostenibili può essere quella di spostare l’analisi dalla spesa sanitaria pubblica a quella totale, privata compresa.

E per individuare linee di policy sulla spesa privata occorre analizzare attentamente come essa viene organizzata dal mercato.

Le coperture assicurative sanitarie in Italia non sono sviluppate.

Questa situazione può essere ricondotta sostanzialmente a tre ragioni:

1. i cittadini/lavoratori sembrano avere poca fiducia nel sistema assicurativo, in questo settore (secondo dati Isvap, poco più di 2 mld di premi del ramo malattia a fronte di una spesa complessiva privata di circa 30). A parte rari casi, i prodotti sul mercato sono poco rispondenti alle esigenze dei consumatori ed i premi assicurativi sono alti. Inoltre le polizze sono disdettate a fronte dei primi problemi “gravi” di salute del cittadino;

2. manca nella popolazione la cultura e la consapevolezza che vi sia la necessità di una maggiore responsabilizzazione diretta dei singoli per la previdenza sanitaria. Per ragioni storiche gli italiani hanno infatti radicato in loro il concetto che la sanità sia gratuita e fornita dallo Stato. Solo in questi ultimi anni tale radicamento sta cedendo il passo ad un timore diffuso (e non solo al Centro - Sud) che alcune prestazioni sanitarie non siano più realmente disponibili nell’ambito della sanità pubblica o che – anche se erogate in ambito pubblico – abbiano un costo significativo. A fronte di tale convincimento, i cittadini-utenti non hanno però ancora maturato una sensibilità verso soluzioni di previdenza sanitaria di tipo collettivo preferendo pagare al momento dell’emersione del bisogno di sanità;

3. in assenza di un sistema fiscale e di meccanismi di controllo che incentivino lo sviluppo di un sistema di terzi paganti, la “cultura dominante” porta oggi a privilegiare un rapporto diretto fra paziente e professionista medico all’interno del quale la transazione finanziaria può caratterizzarsi da comportamenti opportunistici e poco trasparenti.

Diversa la riflessione sul ruolo dei fondi di sanità integrativa.

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Un importante segnale di cambiamento si è manifestato dopo il 2008-2009, anni in cui è stata realizzata una mini-riforma della sanità integrativa. In quel periodo è stata infatti stabilizzata la norma fiscale (art. 51 TUIR) che consente la non concorrenza alla formazione del reddito da lavoro dipendente per i contributi versati ai fondi sanitari di natura negoziale che rispettino alcuni vincoli relativamente agli ambiti d’intervento.

Quanto ai redditi diversi da quello da lavoro dipendente, l’ordinamento fiscale inserisce fra gli oneri deducibili anche i contributi versati ai fondi (art. 10 del TUIR). Tale norma però presenta ostacoli dal lato delle prestazioni sanitarie (articolo 9 del decreto legislativo 229/99 e successivi decreti Turco e Sacconi del 2008 e 2009) che ne depotenziano l’effetto.

Per le imprese non è prevista alcuna agevolazione fiscale per i contributi versati ai fondi.

Ciò nonostante, a seguito della stabilizzazione delle norme fiscali riguardanti i lavoratori sono state numerose le iniziative contrattuali in materia di sanità integrativa, sia sul piano categoriale che aziendale. Studi ed indagini evidenziano che il tema della sanità integrativa è ai primi posti in fatto di gradimento dei lavoratori fra le iniziative di welfare aziendale. La tutela della salute è una priorità delle persone, la nostra sanità pubblica dà sempre meno risposte, le prestazioni sanitarie – a differenza ad esempio di quelle previdenziali – sono di immediata fruibilità.

Sul punto il sistema Confindustria ha svolto un ruolo rilevante. Da un lato, ha contribuito significativamente alla definizione di provvedimenti innovativi sul piano fiscale ed ordinamentale (Legge finanziaria 2008 e decreti ministeriali del 2008-2009).

D’altra parte, sul piano organizzativo sono stati costituiti numerosi fondi bilaterali – aziendali o categoriali – che hanno utilizzato le risorse messe a disposizione dalla contrattazione collettiva per gestire tutele di sanità integrativa.

I dati e le osservazioni evidenziate possono condurre ad alcune riflessioni di policy.

Il punto più evidente è che il soddisfacimento della domanda di salute dei cittadini è sempre più caratterizzato da un sistema di finanziamento misto pubblico/privato.

L’impiego di fonti di finanziamento private è un elemento che assumerà un peso crescente nelle scelte di consumo dei cittadini soprattutto alla luce dell’inevitabile restrizione “relativa” del perimetro dell’intervento pubblico nel campo delle tutele di welfare sociosanitario.

Ma, come accennato, l’assetto attuale della spesa privata, quasi tutta di tipo cash, non è efficiente e drena risorse delle famiglie all’economia.

Organizzare un pilastro privato integrativo può contribuire alla sostenibilità, all’efficienza del sistema ed alla piena esigibilità del diritto alla salute. Un ruolo maggiore dei Fondi integrativi può essere utile non per aumentare la spesa sanitaria, ma per bilanciarne la composizione e rendere più efficiente il sistema nel suo complesso. A parità di livello, potrebbe infatti essere ridotta la parte pagata direttamente in contanti dai cittadini, spesso in condizioni di difficoltà legate all’insorgenza della malattia.

In tal senso, lo sviluppo del secondo pilastro andrebbe accompagnato dal completamento – sia sul piano ordinamentale sia fiscale – delle riforme del settore avviate nel biennio 2008-2009 adottando scelte in grado di garantire al tempo stesso la sostenibilità di medio-lungo termine delle iniziative di sanità integrativa e l’universalismo nell’accesso al secondo pilastro.

Diverse sono le possibilità di integrazioni. La progressiva introduzione di sistemi di finanziamento privati intermediati (assicurazioni, casse mutue, ecc.), che permetterebbero di tutelare la

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sostenibilità e l’equità del sistema, è comunque essenziale per l’equilibrio sociale e finanziario del sistema. Il sistema pubblico deve mantenere la sua funzione di controllo sulla qualità degli strumenti e delle prestazioni, senza occuparsi della gestione e limitando a tutti i costi le interferenze della politica.

Un punto fondamentale appare quello di perseguire un’organizzazione della spesa sanitaria privata che assicuri la necessaria “dimensione” e massa critica affinché:

1. la logica della ripartizione venga resa meno rischiosa mediante l’utilizzo di meccanismi

“ampi” di solidarietà e mutualità;

2. i fondi abbiano il necessario potere contrattuale nei confronti degli erogatori.

La massa critica può essere raggiunta con idonee politiche fiscali che favoriscano l’afflusso di risorse da parte delle famiglie e dei lavoratori verso il secondo pilastro piuttosto che verso forme cash di spesa nonché un impegno crescente da parte delle imprese, compensato sul piano fiscale.

Il costo di una tale politica per lo Stato può essere minimo o nullo. Si tratta di operare una revisione dei benefici fiscali già oggi esistenti in materia di spese sanitarie e di sfruttare gli indubbi benefici connessi all’emersione di una grande quota di sommerso generata dallo sviluppo del secondo pilastro rispetto ad un assetto caratterizzato da spesa sanitaria privata cash (i fondi chiedono la fattura).

Confindustria chiede al Governo e al Parlamento di inaugurare una nuova stagione, chiudendo alla nostre spalle quella fatta di “manutenzioni” precarie del SSN e di tagli ai privati, e aprendo un confronto operativo su questi temi per dare stabilità, sostenibilità e prospettiva al settore sanitario in una logica industriale incentrata sulla qualità delle prestazioni e dei servizi.

Un primo banco di prova, soprattutto per quanto riguarda il tema delle risorse, sarà già l'ormai imminente legge di stabilità.

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