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Ipparco (Nicea 200, Rodi 120 a.C.) noto come Ipparco di Nicea (o anche Ipparco di Rodi)

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Ipparco (Nicea 200, Rodi 120 a.C.) noto come Ipparco di Nicea (o anche Ipparco di Rodi)

A Nicea molti anni dopo (325 d.C.) si terrà il primo concilio ecumenico che sancirà la natura divina di Cristo, considererà eretica la posizione di Ario (monaco e teologo in Alessandria) e stabilirà la data della Pasqua cristiana (prima domenica dopo il plenilunio di primavera) slegandola

definitivamente dalla Pasqua ebraica.

Si suppone che Ipparco abbia compiuto le sue osservazioni a Rodi e che abbia ottenuto delle informazioni da altri studiosi che vivevano ad Alessandria e dagli astronomi babilonesi.

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E’ ancora una volta Tolomeo a riferirci degli studi e delle scoperte di Ipparco poiché anche di luii non è rimasto nulla, solo un commentario sul poema

didascalico Phaenomena (di Arato di Soli, Soli 315- Pella 240 a.C. ca) che si è conservato e in cui viene messo in versi il lavoro di Eudosso [interessante

n.d.A.!]

Mersin in Turchia (l’antica Soli).

Ma Arato potrebbe essere nato nella vicina Tarso.

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Arato descrive in versi anche le costellazioni della zona settentrionale e

meridionale, il loro sorgere e tramontare e i circoli che dividono la sfera celeste.

Il poema si conclude con le Prognoseis (Προγνώσεις ), gli indizi che segnalano variazioni prossime del tempo, tratti da alcuni fenomeni del mondo naturale e animale.

La trasposizione in versi dell’opera di Eudosso fece dei

Phaenomena un testo per lo studio dell’

astronomia.

Si tratta inoltre

dell’unica poesia greca rimasta “viva” in

Occidente per tutto il Medioevo e tradotta in latino da diversi autori (fra i quali Cicerone).

Le costellazioni dei Pesci e di Perseo nel manoscritto più antico (IX secolo) pervenuto fino a noi dei Phaenomena di Arato tradotto da Cicerone.L'opera si trova nella biblioteca di Londra (British Library)

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Tolomeo riferisce di 3 opere di Ipparco:

- Sulla durata dell’anno

- Sull’intercalare dei mesi e dei giorni - Sul variare dei solstizi e degli equinozi .

Ipparco chiarì che bisognava distinguere le 2 definizioni di anno e che la durata dell’anno non deve essere determinata dal ritorno delle stesse stelle (anno

siderale) ma dal ritorno dello stesso equinozio o solstizio (anno tropico).

Confrontando la posizione delle stelle al solstizio d’estate (osservate nel 280 a.C da Aristarco) con quelle che osservò lui nel 135 a.C. notò uno spostamento (dovuto alla precessione degli equinozi). Nel suo Sul variare dei solstizi e degli equinozi scrisse che i punti equinoziali retrocedono regolarmente lungo l’eclittica.

L’irregolarità con cui il Sole si muove lungo l’eclittica e che produce una diversa lunghezza delle stagioni era stata notata da Calippo di Cizico ma Tolomeo attribuisce ad Ipparco il merito di aver trovato valori più accurati. L’ottimo

accordo fra i valori di Ipparco e quelli delle tavole caldee fa sorgere qualche sospetto : erano valori derivati dalle osservazioni di Ipparco o li aveva avuti dai babilonesi?

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Il contributo originale di Ipparco sta nell’aver attribuito la ragione di questa differenza ad un orbita circolare eccentrica (cfr. il modello di Apollonio)

Ipparco compì numerose osservazioni delle eclissi di Luna e ideò (secondo Strabone) un metodo per determinare la differenza di longitudine di due luoghi sulla Terra misurando la differenza di tempo relativa al fenomeno.

Il ragionamento è semplice se l’eclissi di Luna comincia alle 22:00 in un

determinato luogo e alle 24:00 in un altro questo significa che i 2 luoghi distano 2h di tempo di rotazione (della terra) fra loro. Poiché la terra impiega 24h a fare un giro completo 1h corrisponde a 15° e 2h a 30°. La differenza in longitudine dei due luoghi risulta pertanto di 30°.

Ipparco pensava che fosse il Sole a ruotare attorno alla Terra, ma la sostanza del ragionamento non cambia: il Sole gira attorno alla Terra in 24h.

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Ipparco è ricordato per aver ideato il sistema di magnitudini

Le magnitudini sono utilizzate per classificare le stelle sulla base del loro

“splendore” . Si dividono in apparenti (dipendono dalla distanza a cui si trova l’astro) e assolute (sono magnitudini calcolate attribuendo ad ogni astro la

distanza di 10 pc. (parsec)

1 pc≃206265×150×106km≃3×1013km≃3.09×10 18 cm

Poiché 1 anno luce è pari a se ne deriva che

9461×109km 1pc≃3.26 a.l.

Parsec lo dice la parola sta per parallasse pari a 1” e corrisponde pertanto a 206265 U.A.

Poiché 1 U.A. corrisponde a ca 150 000 000 km

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Ipparco notò che le stelle avevano splendore diverso e le classificò in 6 classi dalla magnitudine 1 alla 6: attribuendo il valore 1 alle più luminose, e 6 alle più deboli e redasse anche un catalogo di 1088 stelle andato perso.

La scala delle magnitudini stabilita da Ipparco resta tuttora valida (è stata resa quantitativa ed estesa a valori che comprendono lo zero e i numeri negativi) e viene utilizzata dagli astronomi “ottici” (che lavorano in bande visibili o ad esse contigue, dall’ultravioletto all’ infrarosso).

Pare che l’idea di catalogare tutte le stelle note sia stata data ad Ipparco dalla comparsa in cielo di una stella Nova nel 134 a.C.

L’apparizione di una Nova (o di una Supernova) come vedremo costituiva un duro colpo all’idea che le stelle fossero fisse e immutabili.

Una Nova è una stella che appare improvvisamente nel cielo (diviene luminosissima, la sua variazione di luminosità può raggiungere le 12 magnitudini).

La Nova può essere ricorrente ossia mostrare variazioni di luminosità regolari su un intervallo di tempo oppure divenire luminosissima solo una volta.

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Rappresentazione artistica del meccanismo che è alla base del fenomeno di Nova.

Lo stesso tipo di meccanismo è invocato per spiegare l’origine di alcune Supernovae (le Sn Ia) la differenza è che la quantità di gas che cade sulla nana bianca è tale da farle superare un limite (massa di Chandrasekhar pari a 1.4 masse solari) che porta l’oggetto a

collassare in stella di neutroni provocando un’enorme esplosione.

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La SN Ia esplosa nel 1994 in NGC 4526 a 55 Mly (milioni di anni luce)

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La nebulosa del Granchio che si trova nella costellazione del Toro a 6523 a.l. da noi è il resto di una Supernova (di tipo II) esplosa nel 1054 d.C.

Scoperta da John Bevis nel 1731 astronomo non

professionista inglese e

riscoperta da Messier alcuni anni dopo (è il primo oggetto del catalogo di Messier M 1)

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assieme alla cometa di Halley nella sua apparizione del 1066

Nessuno in Europa si accorse della Supernova che secondo gli astronomi cinesi che registrarono l'evento il 4 luglio 1054 risultò molto più luminosa di Venere e rimase visibile alla luce solare per 23 giorni e ad occhio nudo di notte per 653 . Esistono indicazioni che sia stata notata dai Navajo (nativi

americani dell' Arizona) e che sia rappresentata nel Chaco Canjon in Messico (il luogo dove la luce del sole disegna forme di pugnali sulla spirale)

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Marcello Cantari mi ha segnalato un articolo (Sthephenson & Green, 2003, Journal of Astronomical History and Heritage, 6,46) in cui si mostra che la Supernova del 1054 fu osservata anche dagli arabi e dai giapponesi.

L'articolo discute anche la dibattuta questione delle osservazioni europee

della Supernova, anzi a dir la verità questo è proprio il cuore dell'articolo il cui titolo è Was the Supernova of AD1054 reported in European history?

giungendo alla conclusione che le evidenze a sostegno di tale ipotesi devono essere rigettate perchè le presunte osservazioni della Supernova sono affette da troppi errori (posizioni inaccurate, date sbagliate ecc.ecc.)

Agnese questo è il tuo momento...

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Supernovae in galassie lontane

La cometa di Halley nell'arazzo di Bayeux.

L'arazzo lungo 68 metri descrive la battaglia di Hastings del 1066 in cui Guglielmo il

conquistatore, duca di Normandia, ebbe la

meglio sul re

anglosassone Aroldo.

Oltre alla battaglia e alla rappresentazione della cometa,

nell'arazzo si trovano immagini relative ad episodi antecedenti.

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Supernovae in galassie lontane (Sloan Digital Sky

Survey, SDSS)

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Plutarco (Cheronea 46/48, Delfi 125/127) biografo, scrittore, cittadino romano con incarichi amministrativi. Nell’ultima parte della sua vita fu sacerdote del tempio di Delfi.

Studiò ad Atene dove risentì dell’influenza

della filosofia di Platone.

La sua opera più nota è Vite Parallele.

Scrisse i Moralia ( θικά) un’opera eterogenea

erudita di carattere

scientifico e morale.

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Nei Moralia si trova Il Volto della Luna un dialogo che riporta le diverse teorie che cercavano di spiegare la ragione delle macchie nere visibili sulla Luna.

Il dialogo si concentra su cosa siano le macchie e come sia possibile che un corpo celeste presenti tali imperfezioni.

La discussione fra I personaggi è garbata nessuno vuole prevaricare l'opinione dell'altro. Non ci sono personaggi superbi nè ipotesi considerate superiori.

L'autore presenta attraverso i suoi personaggi diverse possibili spiegazioni . C' è chi afferma che la Luna è simile alla Terra e le sue montagne e depressioni danno

origine alle ombre. Qualcuno arriva persino ad ipotizzare che la Luna possa essere abitata. Alla fine il lettore può scegliere l'ipotesi che preferisce.

Da il Volto della Luna

è peraltro ridicolo porsi il problema della stabilità degli abitanti della luna se poi essi non hanno neppure di che nascere e sussistere. Gli

Egizi e i Trogloditi, sul cui capo il sole al solstizio prima di ripartire posa allo zenit per un solo istante di un unico giorno, quasi vengono bruciati dalla secchezza dell'atmosfera: come può accadere che gli uomini della luna, col sole che ogni mese al plenilunio se ne sta fermo sulla loro

verticale, sopportino ogni anno dodici estati?

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I Trogloditi erano gli abitanti della Trogloditica una zona dell' Africa

Orientale vicina al Mar Rosso. Anche Erodoto li cita. Il termine deriva dal greco τρωγλοδ της

composto da τρ γλη

(caverna) e δ ωύ (entrare) e quindi significa abitante

delle caverne.

Plutarco nelle sua biografia di Marco Antonio afferma che la regina Cleopatra VII parlava il troglodita.

Dipinto di Stefano Buonsignori cartografo fiorentino (1579) Palazzo Vecchio Firenze

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Un pò più giovane di Plutarco è Claudio Tolomeo (Pelusio 100 ca,

Alessandria 175 ca), di cultura greca visse ad Alessandria al tempo degli imperatori Adriano e Antonino.

L'Egitto all'epoca era una prefettura dell' impero romano

Tolomeo dipinto da un autore anonimo

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Tolomeo era astronomo, astrologo e geografo.

La sua opera più nota e importante è l'Almagesto . In realtà questo nome (che significa il grandissimo) venne dato dagli arabi (al-Magis īṭ ) , il titolo originale in greco era il più semplice Trattato di Matematica.

Nell' Almagesto Tolomeo raccolse tutte le conoscenze astronomiche pre esistenti nel mondo greco, molte delle quali attribuibili ed attribuite dallo stesso Tolomeo ad Ipparco.

L'Almagesto contiene infatti anche un catalogo di un migliaio di stelle (per realizzare il quale Tolomeo si basò sul catalogo di Ipparco disposte in 48 costellazioni (che per motivi evidenti non coprono l'intera volta celeste) comprensivo di coordinate (longitudine e latitudine rispetto all'eclittica) e

magnitudini (apparenti) di ciascuna.. Le classi di luminosità sono rappresentate in accordo con Ipparco con valori da 1 a 6.

Sei stelle vengono definite da Tolomeo giallastre (hypokirros) si tratta di Aldebaran, Betelgeuse, Arturo, Antares, Polluce e Sirio (!!).

Il fatto che Sirio sia inclusa nel gruppo ha fatto pensare che potesse aver cambiato colore nel tempo (impossibile dal punto di vista astrofisico....)

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Un articolo pubblicato su Nuova Orione nel febbraio 2017 da Mario Codebò e intitolato Il Colore di Sirio fornisce una chiave di lettura differente:

Sirio un tempo era rossa, o bianca com'è oggi? Questa domanda è stata provocata da uno strano aggettivo – υποκιρρος (υποκίρρος o υποκιρρός, a seconda del dialetto greco) – usato da Tolomeo sia nell'Almagesto che nel Tetrabiblos. Gli autori latini poi parlavano di rubra canicula, con ciò

riferendosi però più probabilmente a Procione, come dimostrò efficacemente Schiaparelli nel suo celebre articolo omonimo del 1896.

Resta l'equivoca testimonianza di Tolomeo che ha indotto gli astronomi moderni a pensare che circa duemila anni fa Sirio B fosse una supergigante rossa.

Ma se si analizza bene sia l'aggettivo che il contesto in cui esso viene usato dall'astronomo alessandrino, si notano subito delle incongruenze.

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Υποκιρρος è formato da υπό = ipo, sub, e da κιρρος (κίρρος o κιρρός) = giallo (da cui, in italiano, "cirrosi"). Significa quindi "subgiallo", cioè: meno che giallo, biancastro (in pieno accordo col colore attuale di Sirio).

Ancora più strano è che, nell'Almagesto, Tolomeo lo attribuisca a sei stelle, molto brillanti ma ben diverse tra loro, e che di tutte le altre 1016 da lui citate non dia nessuna indicazione sul colore: Aldebaran (arancione di classe K5), Antares (rossa di classe M1), Betelgeuse (rossa di classe M2), Arturo (arancione di classe K1), Polluce (gialla di classe K0), Sirio (bianca di classe A1). Nel Tetrabiblos invece definisce υποκιρρος solo Aldebaran, Antares ed Arturo.

Insomma: questo strano aggettivo appare proprio fuori luogo e avvalora l'ipotesi di Schiaparelli che un anonimo copista abbia operato delle sostituzioni ai

manoscritti originali. L'astronomo di Savigliano cita inoltre altre fonti (Giulio Igino;

l'anonimo scoliaste che Ha commentato la versione latina di Germanico Cesare dei "Phaenomena" di Arato; Manilio; Efestione Tebano; Rufo Festo Avieno)

secondo le quali Sirio era bianco-cerulea come oggi.

A tutte queste testimonianze se ne può oggi aggiungere una – trovata dallo

scrivente e presentata al Convegno SIA 2016 – citata nell'Avesta e risalente a I millennio a. C.: "bianca stella" dai "raggi immacolati" (Yašt Tīr 8, v. 2).

Sirio, dunque, probabilmente fu sempre bianca.

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Codebò cita L' Avesta (il fondamentale o il comandamento) è il titolo dei libri sacri dell' antico Iran appartenenti alla religione mazdeista che si ispira agli insegnamenti del profeta Zaratustra (o Zoroastro) l'opera è prevalentemente di carattere religioso ma contiene elementi di astronomia astrologia e cosmogonia

Zoroastro in un particolare de La scuola di Atene di Raffaello

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Codebò cita anche Sirio B.

Sirio è in realtà Sirio A in quanto ha una compagna (Sirio B) che orbita attorno ad essa con una distanza fra le 8 e le 32 U.A, e un periodo di circa 50 anni.

L'esistenza di Sirio B fu ipotizzata da Bessel nel 1844 in relazione alle

disuniformità del moto di Sirio A . Nel 1862 Clark riuscì ad osservarla con un rifrattore da 18 pollici (Sirio B ha una magnitudine apparente pari a 8). Sirio A e B mostrano ulteriori irregolarità nel moto che fanno pensare all'esistenza di una terza stella che però ad ora non è stata osservata.

.

(24)

Codebò cita anche Manilio (Marcus Manilius) che era un poeta e astrologo vissuto nel I secolo d.C. Manilio ci ha lasciato un poema didascalico in 5 libri gli Astronomica (scritto in latino) di cui solo il primo è dedicato all'astronomia (comprendente anche una descrizione del cosmo e ipotesi sulla sua origine) gli altri 4 sono invece a carattere astrologico. In riferimento a Sirio Manilio scrive che poiché è molto lontana getta raggi freddi dal suo volto blu e azzurro.

Di fianco la vicinanza di Sirio e Procione su cui fonda l'ipotesi di Schiapparelli (menzionata da Codebò).

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Tolomeo scrisse anche altre opere di astronomia fra cui Ipotesi Planetarie in cui viene descritto un modello meccanico del sistema planetario, costituito da sfere materiali incastonate l'una nell'altra, che è totalmente assente nell’Almagesto.

Un'opera molto importante è la geografia che contiene le coordinate (longitudine e latitudine) di 8000 località oltre a una discussione dei metodi utilizzati per realizzare la carta del “mondo abitato” dell'epoca.

Per realizzare questo lavoro Tolomeo si servì dei resoconti di viaggi (frequenti e accurati entro I confini dell'impero romano) e del lavoro di un geografo precedente (Marino di Tiro) la cui esistenza avremmo ignorato se non fosse stato per Tolomeo. Quest'ultimo prende da Marino la convenzione di scegliere come meridiano di longitudine zero (meridiano fondamentale) quello passante per le Isole Canarie (forse perchè erano le terre note più a Ovest).

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Il “mondo” di Tolomeo

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Un’ altra opera scientifica di cui ci è giunta una versione (traduzione dall'arabo in latino) incompleta è l’ Ottica,

Il trattato comprende, oltre a una sezione sulla riflessione, una

trattazione dei fenomeni di rifrazione e in relazione a quest' ultima

include, una tabella che fornisce gli angoli di rifrazione corrispondenti a vari angoli di incidenza per le coppie acqua-aria, aria-vetro e acqua- vetro.

Tolomeo aveva osservato che l'angolo di rifrazione era minore

dell'angolo di incidenza quando la luce passava da un mezzo rarefatto ad uno denso e che il contrario accadeva nel passaggio da un mezzo denso ad una rarefatto

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Per quanto riguarda l'astrologia Tolomeo scrisse il Tetrabiblos (Quattro Libri, il titolo originale tuttavia era Τ ν ποτελεσματικ νῶ ἀ Tôn apotelesmatikôn ossia Le previsioni astrologiche)

Nel Tetrabiblos egli getta le fondamenta dell'astrologia occidentale che considera una scienza. Polemizza quindi con quelli che

definisce ciarlatani e istruisce il lettore su come poter dedurre predizioni fondandosi su leggi geometriche precise.

Fornisce tavole “precise” della posizione dei pianeti, descrive il carattere dei loro influssi e l'effetto della combinazione fra i pianeti e la loro posizione zodiacale, nonchè delle loro posizioni relative (congiunzione, opposizione, quadratura, trigono) e delle posizioni relative fra pianeti e levate eliache di alcuni astri.

I movimenti che avvenivano nel cosmo riflettevano un disegno superiore nelle cui “mani” erano non solo gli uomini e le loro

caratteristiche interiori o materiali (ricchezza, fortuna ecc) ma anche i paesi e i ìfenomeni atmosferici.

La conoscenza dei moti degli astri aveva così un risvolto pratico che soddisfaceva il sogno dell'uomo di poter conoscere in anticipo gli eventi .

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Il modello di universo di Tolomeo poneva la Terra ferma al centro con i pianeti che si muovevano attorno ad essa. Tolomeo utilizzò la tecnica di deferenti e epicicli (ereditata da Apollonio e da

Ipparco) ma per calcolare le posizioni in modo preciso (abbastanza preciso) dovette utilizzare il punctum equans (l'equante) anch'esso introdotto da Apollonio e ripreso da Ipparco.

La Terra non è esattamente al centro dell'orbita circolare ma si trova ad una certa distanza da esso. L'equante è il punto speculare della Terra rispetto al centro del cerchio (ad uguale distanza ma nella parte opposta).

La velocità del pianeta non è uniforme rispetto alla terra nè

rispetto al centro della circonferenza ma rispetto all' equante.

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Con questo “espediente” cinematico che contiene in sé un' approssimazione del fatto che le orbite di Terra e pianeti rispetto al sole sono delle ellissi (e non dei cerchi) e che quanto vediamo dalla Terra è una composizione del nostro moto e di quello dei pianeti, Tolomeo riusciva a riprodurre abbastanza bene le

osservazioni ed era proprio questo il punto di forza del suo modello che permetteva non senza qualche difficoltà (di natura filosofica) di rinuciare al principio di uniformità del moto dei corpi celesti.

C'era ovviamente qualche difficoltà :

Il modello per la Luna (ereditato da Ipparco) funzionava discretamente solo quando Terra, Sole e Luna erano allineati. Per superare questa difficoltà

Tolomeo introdusse un meccanismo che agiva sull'epiciclo della Luna

spingendolo verso la Terra quando Luna Terra e Sole formavano un angolo retto.

Il modello era cinematicamente corretto in relazione alle coordinate aspettate ma provocava una variazione della distanza fra Terra e Luna di quasi un fattore 2 (fra 33 e 64 raggi terrestri) una differenza che avrebbe dovuto provocare una variazione del diametro apparente pari a quasi 2 che non veniva assolutamente osservata.

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Per riprodurre l'evidenza che Mercurio e Venere (i pianeti interni) fossero

osservabili solo “in prossimita'” del Sole (alba e tramonto) Tolomeo introdusse un meccanismo ad hoc nel suo modello allineando i centri degli epicicli di

Sole, Mercurio e Venere.

Per quanto riguarda l'ordine dei pianeti (in funzione della distanza dalla Terra) Tolomeo stabilì sulla base della lunghezza del periodo di

rivoluzione osservato che Saturno era quello più vicino alle stelle fisse (periodo di rivoluzione di circa 30 anni) poi veniva Giove (periodo orbitale di circa 12 anni) poi Marte (periodo orbitale di circa 2 anni) e il pianeta più vicino alla Terra era la Luna (periodo orbitale di circa 1 mese).

Per quanto riguardava il Sole Venere e Mercurio che restavano sempre vicini fra loro era impossibile stabilire l'ordine in questo modo.

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Tuttavia poichè era indubbia l'importanza (la predominanza) del Sole che appariva unico per aspetto rispetto ai pianeti. Tolomeo in accordo con le

tradizioni precedenti decise di metterlo al centro facendolo circondare nel suo moto da 3 pianeti “esterni” (Saturno Giove e Marte) e 3 pianeti interni (Luna Mercurio e Venere). Una sorta di sovrano dei cieli che viaggia circondato dai suoi cortigiani che si dispongono simmetricamente ai suoi lati.

La scelta di collocare Mercurio più vicino alla Luna fu fortuita (50% di probabilità di sbagliare).

Collocati i pianeti in ordine di distanza Tolomeo ne diede i valori per le

“altezze”

- l'altezza massima della Luna era 64 raggi terrestri pertanto l'altezza minima di Mercurio doveva essere pari ad essa. Dal rapporto fra le

dimensioni dell'epiciclo e del deferente di Mercurio Tolomeo stabilì l'altezza massima del pianeta che pose uguale all'altezza minima di Venere e così via fino a ricavare l'altezza massima di Saturno

Con questo calcolo Tolomeo stabilì la dimensione dell' Universo 19865 raggi terrestri.

Valore “ridicolo” ai nostri occhi ma enorme per l'epoca.

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L'opera di Tolomeo rappresenta il punto di arrivo dell' astronomia

dell'epoca: un lavoro imponente capace di predire in modo accettabile le posizioni dei pianeti (gli ultimi 5 libri dell'Almagesto oltre alla teoria che illustra i movimenti relativi di epicicli e deferenti contengono tabelle che permettono di calcolare la posizione dei pianeti)

Le comete (in accordo con quanto stabilito da Aristotele non sono corpi celesti ma fenomeni locali, atmosferici li definiremmo oggi,

Aristotelica del resto è la costruzione del suo sistema con la Terra immobile al centro e I pianeti disposti su sfere attorno ad essa fino alla fine

dell'universo sferico anch'esso.

Tolomeo non rinuncia a polemizzare (senza neppure citarli) con chi asseriva che fosse la Terra a ruotare da Ovest a Est.

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Tolomeo ha lasciato anche una descrizione accurata della Via Lattea che non sarà modificata per lungo tempo

Una suggestiva visione della Via Lattea dalla Nuova Zelanda premio Astronomy Photographer 2013 (la luce a destra è artificiale)

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La via Lattea era in greco Galaxias che significa latte o di latte Secondo il mito greco Zeus innamoratosi di Alcmena assunse le

sembianze del marito Anfitrione che era in guerra ed ebbe con lei un rapporto da cui nacque Eracle (in realtà nacquero 2 gemelli uno figlio di Zeus e l' altro figlio di Anfitrione)

Zeus portò Eracle dalla moglie Era che stava dormendo affinchè il bambino bevendo il latte materno divenisse immortale, ma Era si svegliò ed accorgendosi che stava allattando un bambino non suo lo respinse. Il latte di Era schizzò in cielo formando la via Lattea.

Via Lactea è il nome che I romani diedero alla galaxias.

Anche i babilonesi avevano un mito (diverso da quello greco) sull'origine della via Lattea, mentre per gli egiziani essa era la controparte celeste del Nilo.

Nel Somnium Scipionis di Cicerone (50 a.C ca) si afferma che nella Via Lattea trovano riposo tutti coloro che hanno operato per il bene dello

stato.

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