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MOBBING, AMBIENTE DI LAVORO,

STRESS AT WORK NEI DOCUMENTI EUROPEI

Avv. Umberto Oliva

In un convegno che pone al centro dei propri interessi il rispetto della dignità e della salute della persona, non può essere ignorato, sia in chiave prospettiva sia in termini di attualità, il grido di allarme che ormai già da qualche anno l’Unione Europea e la comunità internazionale hanno lanciato sul problema dello stress da lavoro, il c.d. work related stress.

Lo stress è infatti divenuto, nei paesi ad economia sviluppata, il fattore di rischio che di gran lunga, più di ogni altro, incide negativamente sulla salute e sulla qualità di vita dei lavoratori.

Le dimensioni del fenomeno sono obiettivamente allarmanti. Secondo i dati della Direzione Generale per l’Occupazione e Affari Sociali della Commissione Europea, lo stress da lavoro colpisce circa 40 milioni di lavoratori residenti nella Comunità. La medesima fonte stima in circa 20 milioni di euro l’anno il costo globale indotto dallo stress at work.

E’ chiaro che di fronte a questi dati il diritto non può restare inerme.

Cercheremo allora, in questo intervento, di fare il punto sulla situazione, prima di tutto andando ad individuare, in sintesi, e senza pretesa di esattezza scientifica, alcune definizioni di stress da lavoro; poi esamineremo, per quanto ci viene insegnato dagli studi nel settore, le cause dello stress e le sue conseguenze, a livello individuale, aziendale e sociale.

Dopo di che, e qui in termini più strettamente giuridici, andremo ad analizzare in che modo i diversi organismi della Comunità Europea siano intervenuti sul problema, e con quali atti.

Infine, e soprattutto, cercheremo di capire se e come gli impulsi comunitari abbiano influenzato la produzione legislativa lavoristica italiana, e se, eventualmente, possa ritenersi possibile oggi affermare, anche sulla scorta di precedenti giurisprudenziali, l’esistenza di principi normativi o contrattuali di prevenzione e repressione dello stress da lavoro.

Studio Legale Ambrosio & Commodo, Torino

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Definizione di stress da lavoro

Lo stress da lavoro, oppure, secondo la diversa dizione usata negli studi sinora pubblicati - tutti in lingua inglese, lo stress at work, o work related stress, conosce diverse definizioni, per quanto tra di loro abbastanza simili.

Lo stress da lavoro, inteso come stato psicologico che fa parte e riflette un processo più ampio di interazione tra la persona e il proprio ambiente di lavoro, è stato definito come:

“ le reazioni nocive fisiche ed emotive che si presentano quando le esigenze del lavoro non incontrano le capacità, le risorse o i desideri del lavoratore”1; oppure

“la reazione emotiva, cognitiva, comportamentale e psicologica ad aspetti avversi e nocivi del lavoro, dell’ambiente di lavoro e dell’organizzazione del lavoro”2; e ancora

“la reazione che le persone hanno in presenza di pressioni eccessive o altri tipi di richieste focalizzate su di loro”3.

In generale, è stato posto in luce come lo stress può costituire anche un fattore fondamentale e positivo in termini di performance lavorativa, ma che può divenire, ed anzi spesso diventa, un fattore negativo e dannoso per la salute quando esso risulta essere elemento costante ed incontrollato della prestazione lavorativa.

Le cause dello stress da lavoro

Lo stress da lavoro conosce diverse cause.

L’International Labour Organization4, nel suo “Draft code of practice on violence and stress at work in services: a threat to productivity and decent work” ha raccolto i fattori di stress in cinque gruppi:

• Lavoro svolto sotto eccessiva, febbrile o non equilibrata richiesta di lavoro;

• Lavoro svolto in condizioni di lavoro pericolose e insalubri;

• Lavoro svolto in un ambiente di relazioni umane insoddisfacenti;

• Lavoro svolto con insufficiente controllo del proprio operato;

1 Stess at work, United States National Institute of Occupational Safety and Health, 1999.

2 Guidance on work related stress: spice of life, or kiss of death, European Commisison, Directorate General for Employement and Social Affairs.

3 Managing stress at work: Discussion document, United Kingdom Healt and Safethy Commisison, London, 1999.

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• Lavoro svolto senza riconoscimento

Da altro punto di vista, i fattori di stress possono essere ricondotti entro due macro-categorie:

Fattori derivanti da cattiva organizzazione del lavoro:

Vi rientrano tutti i fattori che trovano origine (e possibile rimedio) nella organizzazione del lavoro, inteso sia da un punto di vista della cura dell’ambiente fisico di lavoro (quindi salubre, sicuro, ma anche confortevole), sia da un punto di vista della cura della distribuzione dei carichi di lavoro, sia infine da un punto di vista di mantenimento di un sufficiente livello di soddisfacimento nel rendere la prestazione lavorativa.

Fattori derivanti da cattivi rapporti interpersonali:

Vi rientrano tutti i fattori dettati da rapporti di bullismo, prevaricazione, esercizio abusivo dei poteri; da mobbing, sia orizzontale che verticale; da esclusione dalle comunicazioni sociali e dalla rete di solidarietà dettata dalla colleganza; da pratiche discriminatorie; da molestie sessuali e morali.

Le conseguenze dello stress da lavoro:

Lo stress ha un notevole costo tanto per i lavoratori, quanto per le aziende e l’organizzazione sociale in generale.

Per l’individuo, lo stress comporta conseguenze innanzitutto sul lavoro stesso, che viene gestito con minori possibilità di successo, con rischio di perdita di opportunità di carriera sino alla perdita dello stesso posto di lavoro; lo stress sul lavoro incide poi a livello sociale della persona, che accusa perdita della capacità di sentirsi a proprio agio e rendere nelle situazioni di confronto sociale e anche nelle relazioni famigliari.

Ma lo stress può anche costituire un serio fattore di rischio per la salute se da elemento eventuale dell’esperienza lavorativa diventa fattore costante: “se una tale condizione viene avvertita come parte integrante dell’esperienza quotidiana di lavoro, essa influirà sul ritmo al quale hanno luogo i processi di usura dell’organismo. Quanto più si preme sull’accelleratore tanto più aumentano i giri ai quali funziona il motore del nostro corpo, così che tale motore si logorerà più rapidamente. In questo caso lo stress diventa un vero e proprio veleno mortale

4 Nota anche sotto la sigla O.I.L., è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, che persegue la promozione della giustizia sociale e il riconoscimento universale dei diritti umani nel lavoro. L’OIL formula, sotto forma di Convenzioni e Raccomandazioni, le norme internazionali in materia di lavoro.

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…….. La maggior parte della persone quando è sottoposta ai fattori stressanti avverte reazioni emotive di ansia, depressione, disagio, inquietudine o fatica. Lo stressa da lavoro può anche influenzare il comportamento : alcuni tendono a fumare di più, o mangiano troppo o corrono rischi eccessivi nel lavoro o nel traffico. Le reazioni possono anche essere di tipo fisico ...

possono insorgere sintomi quali aumento della pressione arteriosa, accelerazione del battito cardiaco o tachicardia, irrigidimento muscolare con conseguenti dolori al collo, alla testa e alle spalle, secchezza della gola, della bocca, pirosi…. Tutte queste reazioni possono provocare uno stato di sofferenza, di malattia. In tal modo, possono essere influenzati praticamente tutti gli aspetti dello stato di salute e di malattia in relazione al lavoro ”5 .

Per l’azienda, il costo dello stress assume forme diverse, che vanno dall’assenteismo, al costo dell’assicurazione sociale, alla disorganizzazione del lavoro per supplire alle assenze e per il frequente turn-over, con quel che ne consegue in termini di reclutamento e di addestramento di nuovo personale. Inoltre, ormai diversi studi hanno dimostrato che lo stress ha pesanti ricadute in termini di perdita di produttività ed efficienza.

A livello di organismi statali, sono state anche fatte recenti stime sul costo dello stress.

Secondo i dati riportati dalla Research on work related stress, European Agency for Safety and Health at work, 2000, nella sola Inghilterra si stima che ogni anno circa 40 milioni di giorni di lavoro sono persi a causa di problemi legati allo stress da lavoro.

L’intervento degli organismi comunitari

A fronte di tutto ciò, come è intervenuta la Comunità per indirizzare e/o obbligare gli Stati membri, le OO.SS. e quanti altri interessati, ad intervenire sulle cause dello stress e ridurne l’impatto individuale, economico e sociale?

Innanzitutto, sono stati promossi e finanziati importanti studi e ricerche, che hanno senz’altro migliorato il livello di comprensione e di informazione del fenomeno.

Tra i più importanti citiamo:

Ø Ricerca sullo stress correlato al lavoro, della Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul lavoro, 1997;

5 Guidance on work related stress: spice of life, or kiss of death, European Commission, Directorate General for Employement and Social Affairs.

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Ø Guida sullo stress legato all’attività lavorativa, della Direzione Generale per l’Occupazione e gli affari sociali della Commissione Europea, 2002;

Ø Il programma di prevenzione dello stress correlato al lavoro, elaborato dalla I.L.O.

(International Labour Organization), 2000;

Ø Il Codice sulla violenza e lo stress da lavoro nell’attività di servizi: una minaccia alla produttività e ad un lavoro dignitoso, I.L.O., 2003

Ma soprattutto la Comunità Europea è già intervenuta a livello di atti normativi. Ricordiamo:

Ø La fondamentale Direttiva 391/1989, art. 6, che introduce i concetti di: A) adeguamento del lavoro all’uomo; B) elaborazione della prevenzione tenendo presente fattori quali organizzazione del lavoro, relazioni sociali, ambiente di lavoro;

Ø La Direttiva 43 del 29 giugno 2000, attuativa del principio di non discriminazione fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, e la Direttiva 78 del 27 novembre 2000, attuativa dell’analogo principio indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, da handicap, età o tendenze sessuali. Tali direttive risentono chiaramente della problematica sullo stress lavorativo, nella parte in cui prevedono che “le molestie sono da considerasi una discriminazione in caso di comportamento indesiderato … avente lo scopo o l’effetto di creare un clima ostile, degradante, umiliante ed offensivo”.

Ø Risoluzione sul Mobbing, 20 settembre 20016;

Ø Raccomandazione della Commissione Europea del 19 settembre 2003 sull’elenco delle malattie professionali, che all’art.1 comma 7 raccomanda agli stati membri “di promuovere la ricerca nel settore delle affezioni legate a un’attività professionale, in particolare …. per i disturbi di natura psicosociale legati al lavoro”;

Ø Il tutto nel quadro dei principi dettati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che all’art.1 pone la dignità umana quale diritto “inviolabile”, all’art. 3 sancisce il diritto di ogni individuo “alla propria integrità fisica e psichica”, all’art. 31 riconosce che “ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure, dignitose”.

6 In merito la quale si rimanda alla relazione dell’avv. Lino Greco.

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Ora la domanda è: questi impulsi, di vario livello, hanno influenzato la produzione legislativa, la giurisprudenza, la contrattazione collettiva nazionale?

La risposta è sicuramente positiva, e vi è motivo di ritenere che sia solo l’inizio di un trend destinato ad aumentare nel tempo:

Ø Innanzitutto, ricordiamo il DLGS n.215 del 9 luglio 2003 e il DLGS n.216 del 9 luglio 2003, che hanno attuato fedelmente le sopra citate Direttive n.43 e n.78 del 2000;

Ø Poi vi è la fondamentale Circolare INAIL 17 dicembre 20037, avente ad oggetto

“Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche”

Ø Importante e significativa è poi la Direttiva del Consiglio dei Ministri 4 marzo 2004, “per il miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni, del sistema sociale interno, delle relazioni interpersonali e, in generale, della cultura organizzativa”, che si pone, tra gli altri, il dichiarato scopo di

“prevenire i rischi psico-sociali”. In questo documento normativo, seppure appartenente alla c.d. legislazione debole, si pongono principi inediti quali “costruzioni di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della vita dei lavoratori e delle prestazioni”, si sottolineano valori come “le condizioni emotive dell’ambiente in cui si lavora … i rapporti tra le persone …il miglioramento del sistema sociale interno e delle relazioni interpersonali,… attraverso una rinnovata attenzione ad aspetti non monetari del rapporto di lavoro …”. Inoltre, la Direttiva impone che negli atti di indirizzo per la stipula dei contratti collettivi del personale delle aree dirigenziali “venga richiamato lo specifico impegno di tutti ad assicurare adeguati livelli di benessere organizzativo”.

Ø A livello di contrattazione collettiva poi le citazioni potrebbero essere molte. Mi limito qui a richiamare il Contratto collettivo Nazionale del Comparto Ministeri 12 giugno 2003, e il Contratto collettivo Nazionale del comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali 22 gennaio 2004, che istituiscono un Comitato paritetico sul

7 In merito la quale si rimanda, amplius, alla relazione del dr. Giuseppe Cimaglia.

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mobbing, inteso come “forma di violenza morale o psichica in occasione di lavoro ….

Che comporta un degrado delle condizioni di lavoro idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore”.

Anche la giurisprudenza, tuttavia, inizia a risentire della importanza della questione stress da organizzazione sul lavoro.

In questo senso, esiste già una significativa decisione della Corte di Cassazione Sezione Lavoro, sentenza n.8267/1997.

Il caso riguardava un dipendente che chiedeva al datore di lavoro un risarcimento di £.

500.000.000 per “risarcimento del danno biologico derivato dall’infarto da lui subito in conseguenza della stressante attività cui aveva dovuto sottoporsi per fronteggiare il carico di lavoro dell’ufficio cui era preposto, con un organico del tutto insufficiente”.

In tale decisione la Corte riformava integralmente la decisione del Tribunale di Bari, a sua volte conforme alla decisione in primo grado, che aveva respinto la domanda del lavoratore sul presupposto che il carico di lavoro eccessivo non obbliga l’azienda ad adeguare l’organico e che il lavoratore che accetti, di sua iniziativa, di sottoporsi a super lavoro “compie una scelta da ascriversi esclusivamente a sua responsabilità, senza che possa essere evocata quella del datore di lavoro”.

La Suprema Corte ha invece ritenuto che, in ottemperanza al precetto secondo cui l’attività imprenditoriale non può mai contrastare con la sicurezza, la libertà, la dignità umana,

“giusta quanto disposto con immediata efficacia nella regolazione del conflitto di interessi e valori, dall’art.41 comma 2 Cost.”, l’interpretazione del caso doveva essere di senso opposto, in quanto “il datore di lavoro non può esimersi dall’adottare tutte le misure necessarie, compreso l’adeguamento dell’organico, volte ad assicurare livelli competitivi di produttività senza compromissione, tuttavia, della integrità psicofisica dei lavoratori soggetti al suo potere organizzativo e di dimensionamento della struttura aziendale”.

Appare dunque chiaro, alla luce di questa decisione, che l’obbligo datoriale di predisporre una organizzazione del lavoro funzionale alla salvaguardia della salute e della dignità dei lavoratori è un principio già acquisito dalla giurisprudenza nazionale.

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Conclusioni

In un momento in cui le vecchie certezze del (diritto del) lavoro vanno inesorabilmente assottigliandosi, fin quasi a scomparire, diventa necessità prioritaria riportare al centro delle opposte tensioni l’uomo e la sua dignità di lavoratore, in modo da bilanciare la perdita dell’avere con la conferma della irrinunciabilità all’essere.

Solo così, solo attraverso il riconoscimento di questo valore, che è trasversale a tutti i contratti, a tutte le categorie, si potrà offrire veramente un punto di partenza uguale per tutti, la certezza della permanenza di un fascio di diritti irrinunciabili e non negoziabili.

Forse si tornerà a parlare di lavoratori, come individui, e non già come risorse umane.

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