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DANNO BIOLOGICO E MOBBING NEL RAPPORTO DI LAVORO: CAUSE, CONSEGUENZE E IPOTESI DI INTERVENTO

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DANNO BIOLOGICO E MOBBING NEL RAPPORTO DI LAVORO:

CAUSE, CONSEGUENZE E IPOTESI DI INTERVENTO

Avv. Lino Greco

Questo tema rappresenta la prosecuzione naturale degli approfondimenti affrontati nei Congressi di Pisa (“ Vulnera Mentis”, nel maggio 2000) e di Forte dei Marmi (“Mobbing: quali esperienze, quale risarcimento ? ”, nel maggio 2001) e induce ora ad opportune e significative riflessioni d’attualità, alla luce sia delle pronunce giurisprudenziali e della copiosa letteratura socio-psico giuridica che delle iniziative e degli interventi sindacali ed aziendali di comune intesa sviluppatisi nel corso degli ultimi tre anni sul tema del mobbing.

Ciò testimonia una presa di coscienza in ogni campo riguardo all’espansione ed alla gravità del fenomeno “mobbing“ (nel pubblico impiego, nella sanità, nelle Banche e nell’Università in specie) ed alla conseguente necessità di porvi rimedio con strumenti appropriati, dato che i casi dichiarati in Italia sono 1.500 negli ultimi dieci anni, secondo l’ISPESL, contro una media europea nettamente superiore.

Nel nostro Paese il fenomeno del mobbing non è ancora regolato da una legge. Come vedremo nel prosieguo, pendono in Parlamento ben 14 proposte di legge, oltre alla recente proposta del Dott. Gilioli. L’Europa chiede all’Italia una legge contro gli abusi e le violenze in fabbrica ed in ufficio ma l’Italia continua a rimanere fuori dall’Europa in tema di “strategie idonee di lotta contro la violenza, e le prepotenze, sui luoghi di lavoro”, perché manca palesemente la volontà politica di varare una legge – pur a seguito della nota “ Risoluzione “ del Parlamento Europeo del 16 luglio 2001 e del successivo “ Libro Verde “ che ne è scaturito al fine di una “ strategia comunitaria per la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro 2002-2006 onde far fronte alla violenza ed alle molestie psicologiche sul lavoro, “avendo ravvisato nel mobbing un “pericolo“ ed un “rischio sociale “.

E dire che il termine “mobbing “, da facile anglicismo,è entrato a far parte da tempo

Avvocato, Milano

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del Dizionario della Lingua Italiana (Devoto-Oli,Ed. Le Monnier 2002-2003) con la seguente definizione: “Sistematica persecuzione esercitata sul posto di lavoro da colleghi o superiori nei confronti di un individuo, consistente per lo più in piccoli atti quotidiani di emarginazione sociale, violenza psicologica o sabotaggio professionale, ma che può spingersi fino all’aggressione fisica“.

Tante le pronunce che si sforzano di dare una definizione del mobbing: Trib. Milano, Atanasio sent. 2254/2000; Trib. Torino, est. Ciocchetti sent. n. 16/11 – 30/11/1999/;

Trib. Pistoia sent. 23/9/2001, est. Signorelli; Trib. Cassino sent. 18/12/2002. Anche la Corte Costituzionale, nel pronunciare con la sentenza n. 359 del 2003 la illegittimità costituzionale della Legge della Regione Lazio sul Mobbing, forniva una definizione del fenomeno mobbing come una “serie di atti o comportamenti vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima del gruppo”.

Di sicuro un ruolo decisivo riguardo alla maggior “pubblicizzazione“ del fenomeno del mobbing, divenuto dilagante nei luoghi di lavoro , è stato svolto dalle più recenti pronunce della magistratura in seguito ai numerosi ricorsi dei lavoratori mobbizzati, anche nel pubblico impiego (Tribunale di Tempio Pausania, sent. n. 157/2003).

Un ruolo altrettanto significativo e determinante sul piano sia degli interventi e cura che della ricerca sul fenomeno del mobbing è rappresentato dalla Clinica del Lavoro

“L.Devoto” dell’Università Statale di Milano, il cui Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo , punto di riferimento in tutta Italia , ha registrato che su 3000 persone rivoltesi dal 1996 ad oggi a tale struttura e cui sono state diagnosticati disturbi dell’adattamento e disturbi post- traumatici da stress ( in cui il lavoro costituisce la causa più rilevante ), circa un terzo rientra nella categoria dei “mobbizzati”!

Le notizie di stampa, i dibattiti televisivi , i convegni ed anche il cinema hanno fortemente contribuito a concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica e degli addetti ai lavori sul fenomeno e sulla necessità di interventi appropriati.

Tuttavia, anche nell‘ambito della più recente legislazione del nostro Paese si possono

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individuare spunti interessanti e quindi una maggiore attenzione del nostro legislatore riguardo alle sollecitazioni ed alle direttive comunitarie in materia di lavoro e di discriminazioni nei luoghi di lavoro.

In questo contesto si collocano :

a) - il Decreto Leg. n. 216 del 9 luglio 2003, che, in recepimento della Direttiva CEE 2000/78 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro introduce il “divieto di ogni forma di discriminazione” con particolare riferimento alle

“molestie ambientali“ connesse alla creazione di un clima intimidatorio, ostile, degradante ed offensivo;

b) - il Decreto Leg. n. 276 del 9/10/2003 (“Riforma Biagi sul lavoro” ), che in vari punti (art. 20 n. 5 , art. 23 n.5 , art. 34 n. 3 lett. C ed artt. 61 e 66 n. 4 , in ottemperanza al “dovere di sicurezza“ di cui all’art. 2087 del codice civile) richiama obblighi specifici di sicurezza, di informazione e sorveglianza medica speciale per i

“rischi specifici” e di osservanza della normativa sull’ igiene e sicurezza e più in generale del “dovere di protezione” che anche il “rischio mobbing” richiede a tutela della integrità psico-fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro;

c) - il D. Leg. n. 38 del 23 febbraio 2000 (“Riordino dell’Inail “ ) con l’introduzione del concetto di danno biologico (art. 13 ) e del riconoscimento quale malattia professionale di patologie non tabellate (art. 10 ), da il via libera con la recente circolare sul mobbing per il risarcimento danni da mobbing sul lavoro.

LE CAUSE DEL FENOMENO

E’ opinione diffusa nell’area giudiziaria e così pure nell’ambito della sociologia e psicologia del lavoro che il fenomeno del mobbing si identifica con il fisiologico conflitto nel mondo del lavoro, tra l’impresa datoriale e il prestatore di lavoro, fenomeno pertanto da sempre esistito.

Tale interpretazione, cui si accompagnano altre cause tra cui la “globalizzazione”

(con l’esportazione dell’attività produttiva dai Paesi ricchi a quelli più poveri, e nell’Oriente asiatico, per il basso costo della manodopera: basti pensare che in Cina il costo del lavoro è di 45 centesimi all’ora) e che spinge verso fenomeni di concentrazione e razionalizzazione della forza lavoro, cosicché per il singolo cambiano

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le condizioni del mondo del lavoro, i cui cambiamenti sfuggono totalmente alla sua possibilità di controllo, sovente percependo i mutamenti e le modifiche ambientali solo dopo che esse si sono compiuti, ed indipendentemente dal fatto che il mobber (l’aggressore) sia identificabile nella figura del responsabile o del capo oppure in quella del collega, situazione in cui ha tratto origine la differente qualificazione del mobbing rispettivamente in orizzontale e in verticale.

Parte rilevante di tali cambiamenti è costituita dalle grandi fusioni societarie (Banche, Compagnie di Assicurazioni, tra le tante) e dagli esuberi con le riduzioni di personale, che aumentano la competitività all’interno dei luoghi di lavoro, ma non può esonerare da responsabilità la sovente discutibile gestione nell’ambito aziendale delle Risorse Umane, e così pure la figura del Direttore Generale e “Manager”, cui peraltro la recente riforma del diritto societario – introdotta con il D.Lgs n. 6 del 17/1/2003 in attuazione della legge n. 366 del 3/10/2001 – ha esteso le responsabilità degli Amministratori.

Né sono di trascurabile rilievo i risultati delle recenti ricerche di mercato (“Il Sole 24 Ore) che ritraggono la figura del “manager” (che dovrebbe rivestire un ruolo di prestigio e di direzione nell’ambito aziendale) come “soggetto frustrato, depresso e stanco” e che nella misura del 62% dei casi risulta insoddisfatto del proprio ruolo in azienda: sofferente per la rivalità con i colleghi in azienda, ed incapace di apportare le ventate di rilancio positivo delle iniziative produttive in quanto privato, a causa della crisi, dei mezzi e del “portafoglio” necessario per gli investimenti e frenato, altresì ,da carenze organizzative o complicazioni burocratiche aziendali.

Risente anche, l’attuale manager, del generale clima di preoccupazione dei dipendenti riguardo al loro futuro lavorativo, cui egli non è in grado di dare le risposte del caso essendo divenuto, da diverso tempo, una delle principali “vittime”

del mobbing.

Il passaggio da mobber a mobbizzato è così presto fatto, come si evince anche dalla copiosa giurisprudenza formatasi negli ultimi dieci anni per l’elevato numero delle controversie instaurate dai dirigenti licenziati, vuoi per ragioni di costi e vuoi per far posto ad altro manager “amico” della proprietà o dell’Amministratore Delegato, o proveniente da realtà produttive o multinazionali più accreditate od emergenti sul

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mercato.

Il fatto è che, se la condizione del manager - dirigente d’impresa oggi risulta tra le più colpite dal mobbing – essendo una figura la cui vita lavorativa è caratterizzata da decisioni ma anche da rischi in quanto i soggetti coinvolti nei suoi atti (azienda, dipendenti, clienti, fornitori) possono rimanerne danneggiati ed esercitare un’ “azione diretta“ per responsabilità nei suoi confronti - le prospettive per la creazione di una nuova classe dirigenziale all’altezza, intento sempre più ricercato dalla SDA dell’Università “Bocconi”, ed ai tempi, sembrano non apparire tra le più rosee.

Difatti, se vittima di mobbing, il dirigente-manager avverte su di se , in misura a volte incommensurabile, il peso e gli strascichi derivatigli dalla palese “ deminutio ” da demansionamento patita e patienda per la lesione della professionalità (violazione art. 2103 c.c.) nonché per la perdita d’immagine e di “chances “1.

Oltretutto riciclarsi sul mercato del lavoro e del management per un dirigente licenziato o demansionato – ma questo è un problema che tocca molto da vicino anche i “quadri” - comporta, proprio a causa del depauperamento della sua professionalità2 la necessità di voltar pagina a 360 gradi e , sovente, persino di reinventarsi per la propria vita professionale futura un’attività autonoma che a volte non ha alcuna attinenza con il bagaglio professionale e la competenza acquisiti in azienda o in più aziende in precedenza.

Il dirigente potrà però contare, più di qualsiasi altro dipendente (e in ciò è avvantaggiato come del resto lo era in costanza di rapporto per la elevata consistenza del suo reddito) e pur perdendo diversi e significativi benefit, sugli adeguati indennizzi propri del contratto collettivo di appartenenza, salvo ricominciare con una carriera dal “basso” per tentare di risalire ad una “nuova” qualifica dirigenziale

Si può affermare, senza il timore che tale assunto appaia infondato o fuori luogo, che il dirigente - manager, allo stato, è nell’occhio del ciclone, sia in relazione all’estensione del mobbing alla sua categoria e sia in riferimento alle responsabilità

1 In dottrina, Pedrazzoli, “Danno biologico e oltre : la risarcibilità dei pregiudizi alla persona del lavoratore “, Giappichelli Editore, Torino, 1995, pg.59, a cura di Alessandra Raffi; nella giurisprudenza di legittimità, CASS.

sent. n.15759/2001 e CASS. Sent..n. 11322 de l21///2003

2 CASS. Sez. Lav. n.2763 del 22 febbraio 2003, in “Guida al Lavoro” n.15 dell’11/4/2003.

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attribuitegli dal D. Lgs n.626/1994 e successive modifiche, in caso di svolgimento di compiti di direzione e sorveglianza delle lavorazioni.

Né vi è esonero da tali responsabilità attraverso la delega, se il dirigente non aveva assicurato preventivamente determinate condizioni atte a liberarlo3, e ferma restando la responsabilità personale per i reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. (omicidio colposo e lesioni personali colpose), nonchè per i reati di cui all’art. 610 c.p. (violenza privata) ed agli artt. 437 e 451 in relazione alla inosservanza di altre norme antinfortunistiche4.

E’ innegabile che il fenomeno del mobbing, se da una parte ha dilatato e moltiplicato, ad avviso di chi scrive, le responsabilità ed i carichi, specie laddove il dirigente - manager non viene messo in condizioni di operare con la competenza e la professionalità riconosciutegli dalla qualifica di appartenenza e che gli procura una deleteria e pregiudizievole crisi d’identità e sindrome depressive, dall’altra tuttavia, consente anche al dirigente, se colpito, di invocare le tutele al pari degli altri lavoratori – eccetto la reintegrazione nel posto di lavoro - ovvero il danno patrimoniale da demansionamento, fermo restando il divieto di variazione in pejus5 (e il diritto alla indennità sostitutiva di preavviso ed alle indennità supplementari in caso di licenziamento), e quale perdita di reddito derivata dalla lesione dell’immagine e dalla conseguente perdita di chances sopra ricordate, nonché il danno biologico in caso di malattia procurata dall’illecita condotta datoriale tanto più se essa è stata contraria ai principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), e pertanto equivalente ad “abuso del diritto”, ed altresì il “danno morale”6 ed il “danno

3 CASS. Penale Sez. IV, sent. 5/10/2000

4 Come sottolineano Pasquale Dui e Stefano Vercesi su “IL SOLE-24 0RE” di lunedì 13 ottobre 2003 n.281.

5 CASS. Sez. Lav. n. 9546/2003 con nota di Toffoletto e soci.

6Specie alla luce delle ultime quattro sentenze nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 e nn. 7283 e 7281 del 12 maggio 2003 della Suprema Corte di Cassazione, che hanno riconosciuto risarcibile tale voce di danno anche svincolata dall’ipotesi di reato di cui all’art. 185 c.p.

Leggasi sullo stesso tema la recente sentenza della Corte Costituzionale 11 luglio 2003 n. 233 sul “nuovo corso del danno non patrimoniale”, in “Il Foro It.” n. 9 settembre 2003 pg. 2201 e segg. che ha dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 cc. In quanto la norma codicistica va interpretata nel senso che il danno non patrimoniale, ove riferito all’astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge, in riferimento dell’art. 3 Cost.

(sulla base dello stesso principio, la Corte ha dichiarato inammissibile l’ulteriore questione di legittimità

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esistenziale”, salvo gli aiuti provenienti dalla pratica contrattuale dell”Out- Placement”7.

E, a tal proposito, occorre sgomberare il campo da un equivoco ricorrente determinato da una certa tendenza psicologica delle persone ad attribuire a fattori di personalità la causa del proprio vissuto, nella specie, del mobbizzato, dal momento che ricerche scientifiche fondate su studi empirici (leggasi i vari Leymann, Gilioli, Hirigoyen) hanno dimostrato come siano invece “più determinanti i fattori situazionali” anziché le caratteristiche di personalità della vittima, costituendo il mobbing “fonte potenziale di danno psichico”, la cui a volte difficile configurabilità ha portato svariate pronunce giurisprudenziali al riconoscimento del danno sotto forma di “danno esistenziale”8.

Così pure ls Suprema Corte di Cassazione, che ha ritenuto risarcibile il danno del lavoratore colpito da sindrome ansioso-depressiva per effetto di un illegittimo licenziamento, anche se fisicamente predisposto alla malattia in quanto la concausa non riduce la responsabilità del datore di lavoro9, ed anche in caso di superamento del periodo di comporto, se la malattia è attribuibile all’ambito lavorativo.

2) LE CONSEGUENZE DEL MOBBING

Chi viene colpito dal mobbing lavora poco e male anche se ne ha molta voglia e gli

“piace lavorare” (secondo una ricerca del mensile Riza Psicosomatica pubblicata nel febbraio 2004, il 63% degli italiani si ammala di infelicità sul posto di lavoro, ovvero 4 impiegati su 6 soffrono il “mal d’ufficio”, in prevalenza donne con un grado di istruzione alto o medio alto, con l’età oscillante tra i 36 e i 45 anni e residenti nell’hinterland delle grandi città: il triste primato spetta fondamentalmente a chi lavora in uffici con pareti spoglie, luci artificiali sempre accese, colleghi troppo estranei e capi “ostili”, cui si aggiunge uno stipendio spesso insufficiente. A ciò si aggiungono le modalità di comunicazione, che avvengono principalmente con e-mail

costituzionale dell’art. 2059 c.c. in quanto limiterebbe la risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi stabiliti dalla legge, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.)

7 Leggasi “Dir. e Prat. Lav.” n. 1/1990

8 Trib. Forlì 15/3/2001, est. Sorgi, in “Riv. Crit. Dir. Lav.” n. 2/2001, con nota di Lino Greco; Trib. Pisa, 6/10/2001, est. Nisticò, in “Riv. Crit. Dir. Lav.” n. 1/2002; Trib. Pistoia, est. Signorelli, 23/9/2001 in “Riv. Crit.

Dir. Lav.” n. 4/2001. In dottrina, Pizzoferrato: “Mobbing e danno esistenziale: “Mobbing e danno esistenziale:

verso una revisione dell’illecito civile”.

9 CASS. Sez. Lav. , Pres. Sciarelli, sent. N. 5539 del 9/4/2003

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e che fanno sentire ancora più soli dentro le mura dell’ufficio.

A causa di ciò, il soggetto si assenta spesso, suo malgrado, dal lavoro rimanendo affetto da depressione e finisce per diventare gradualmente vittima, in un crescendo di perdita di autostima e di fiducia in se stessi con il contemporaneo svilupparsi dell’emarginazione e del boicottaggio ai suoi danni unitamente al contemporaneo aggravamento delle sue condizioni di salute, che si riflettono nell’ambito familiare (il c.d. “danno da rimbalzo” o “danno biologico riflesso”).

Ampia è purtroppo la casistica dei disturbi delle manifestazioni perniciose al riguardo, come vedremo.

DISTURBI E INCONVENIENTI FISICI E PSICOLOGICI CAUSATI DAL MOBBING ALLA PERSONA CHE NE È VITTIMA

Dagli studi e dalle ricerche socio-psicologiche del lavoro esaminate si evincono le seguenti manifestazioni negative a danno della salute e dell’equilibrio della persona

“vittima” del mobbing:

• depressione;

• ansia;

• disturbi ossessivi-compulsivi;

• disturbi da attacchi di panico (D.A.P.)10;

• tic di vario genere;

• anoressia;

• bulimia;

• disturbi fobici (agorafobia);

• continui attacchi intestinali, con necessità di recarsi di frequente in bagno;

• innalzamento della pressione minima tanto da richiedere l’uso di farmaci;

• cefalee ;

• cambiamenti di umore ;

• difficoltà a prendere sonno;

• risvegli con stanchezza;

10 Buzzi - Vanini: “Il danno biologico di natura psichica”, Cedam, 2001

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• necessità di ricovero ospedaliero per cure varie;

• paure ingiustificate per ogni evento, sia lavorativo che familiare;

• nervosismo e comportamenti scontrosi nei confronti di chicchessia;

• difficoltà nel prendere qualsiasi decisione;

• digestione lunga;

• inappetenza prolungata per più giorni;

• risvegli improvvisi durante la notte accompagnati da sogni con incubi;

• pessimismo costante accentuato da possibili disgrazie ai familiari;

• risvegli improvvisi nella notte con difficoltà nella respirazione;

• rifiuto di partecipare alle attività sociali ;

• rifiuto di incontrare amici e parenti;

• rifiuto di uscire di casa;

• pensieri di porre fine alla vita;

• rifiuto e paure di rispondere al telefono;

• perdita di autostima.

Dalla Medicina Legale e Scienze affini e dal citato Manuale DSM - IV questi disturbi vengono catalogati sotto la denominazione di “disturbi post-traumatici” da stress” e da essi deriva al lavoratore un danno biologico di natura psichica.

Il soggetto mobbizzato rimane così esposto non solo al rischio salute, ma anche al rischio posto di lavoro, a causa degli illeciti comportamenti datoriali che si attuano attraverso il demansionamento, le reiterate sanzioni disciplinari, il trasferimento, le visite fiscali ossessive e a pioggia11, i carichi di lavoro eccessivi (sono note le pronunce della Suprema Corte di Cassazione e del Tribunale Penale di Torino sul caso delle lesioni da infarto derivato dal mobbing12, ma merita una particolare segnalazione la sentenza n. 742/2002 del Tribunale Penale di Taranto per la condanna in virtù dei reati di tentata violenza privata e frode processuale riguardo

11 Sulla persecutorietà delle visite fiscali la Cassazione si è pronunciata con le sentenze n. 7768 del 1995, n.

8267 del 1997 e n. 475/1999

12 Vedasi Trib. Penale di Torino, 1/8/2002, per lesioni da infarto derivato dal mobbing in “Riv. Dir. e Prat. Lav”

n. 42/2002; Trib. Penale di Taranto, sent. n. 742/2002 sull’eclatante caso di “mobbing collettivo” della Palazzina LAF dell’ILVA di Taranto.

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all’eclatante caso di “mobbing collettivo” attuato alla Palazzina Laf (ex Laminatoio a freddo dell’Ilva di Taranto), il licenziamento (specie se ingiurioso) o per superamento del periodo di comporto (a causa del protrarsi per assenza di malattia), le dimissioni suscettibili di impugnazione per nullità ex art. 428 del codice civile (stato di incapacità naturale).

GLI INTERVENTI

A) LA TUTELA INDIVIDUALE E LE “AZIONI INIBITORIE”: LA TUTELA CAUTELARE

Per inibire il comportamento del datore di lavoro che integri una violazione degli obblighi di sicurezza o che leda la libertà o la dignità del prestatore di lavoro , è possibile al lavoratore esperire un’azione mediante ricorso in via cautelare e d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

In particolare, in tema di tutela mediante il suddetto strumento processuale contro il demansionamento od il mutamento di mansioni, sulla cui ammissibilità non si dubita più né in dottrina né in giurisprudenza, si ricorre sovente alla tutela cautelare in via d’urgenza al fine di evitare il verificarsi o l’aggravarsi di pregiudizi irreparabili alla professionalità del lavoratore ed alla salute, se la lesione comporta anche questo tipo di danno, ex art. 2087 c.c., e così pure in caso di licenziamento (in tal caso la giurisprudenza ha ritenuto che l’eventuale assegnazione, nelle more del giudizio, del posto occupato dal lavoratore licenziato ad altro dipendente, non costituisce valido motivo per non dare esecuzione all’ordine di reintegrazione ex art. 18 S.L. richiesto in via cautelare e d’urgenza) 13.

Anche per l’impugnazione delle sanzioni disciplinari , specie in caso di accanimento del datore nell’adozione di ripetuti provvedimenti disciplinari o di continui controlli e visite fiscali ossessive, lesivi della dignità e libertà del lavoratore, o di denunce penali infondate e che provocano sovente un danno biologico psichico14 (si tratta di misure

13 tra le tante, Pret. Milano sent. 4/10/93 in “De L”, 1994, pg. 321 e ss.;

Trib. Milano, 10/7/2001, est. Ianniello, Mangiacasale c/ Banca CARIME, in D e L, n. 4/2001;

Trib. Milano, 2/7/2002 est. Mascarello, Miceli c/ Alleanza Ass. Spa in D e L n. 4/2002;

Trib. Roma, 20/3/2001 Pres. Torrice, RAI Spa c/Cancellieri, in D e L, n. 3/2001.

14 L. De Angelis: “Interrogativi in tema di danno alla persona del lavoratore”, in Foro it. 2000, I, c. 1557.

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che sovente sfociano nel licenziamento), è ritenuto ammissibile il ricorso al Giudice in via cautelare e d’urgenza.

B) - LA TUTELA ORDINARIA

Il lavoratore può adire ugualmente le vie legali mediante lo strumento processuale ordinario (art. 414 c.p.c.), e previo l’avviamento della procedura ex art. 410 c.p.c., ai sensi del D. Lgsvo n. 80 del 31/3/1998 (tentativo di conciliazione obbligatorio alla competente Direzione Provinciale del Lavoro), ed ex D. Lgsvo n. 165 del 2001 normativa di riferimento ne passaggio della competenza dal giudice amministrativo al giudice ordinario, e quindi del lavoro, nel pubblico impiego, in caso di:

a) - impugnazione di sanzioni disciplinari illecite, o sproporzionate (ex art. 2106 c.c.) o irrogate senza l’osservanza della procedura garantistica prevista dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori;

b) - impugnazione delle dimissioni per uno o più fatti imputabili al datore di lavoro o per giusta causa (artt. 2118-2119 c.c.), od eccependo l’invalidità delle stesse (annullabilità del contratto ex art. 1324 c.c.) chiedendone l’annullamento ex art.

428 c.c. in quanto rese in stato di temporanea incapacità d’intendere o volere15, o perché sussistono altri vizi del consenso - 9 venga provata la sussistenza di tali presupposti e salvo che il Giudice compia un’opera di ricostruzione mediante la tecnica delle “presunzioni”;

c) - impugnazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, sussistendo l’obbligo del “répechage” (ipotesi frequente nei casi di mobbing per demansionamento e molestie (quelle sessuali se non accettate, procurano il mobbing) in conseguenza delle numerose assenze dal lavoro in malattia od infortunio dovute alla necessità di cure), o in quanto nullo e disciplinare, o in quanto privo di giusta causa e giustificato motivo, o quale licenziamento

“ingiurioso” (violazione leggi n. 604/66, 300/70, 108/90).16

15 Pret. Napoli sent. 9/6/94 in D. e L , 1994, pg. 977 e ss.;

CASS. Sez. Lav., sent. n. 13782 del 7/11/2001, Pres. Sciarelli, Rel. Picone, in Dir. e Pratica del Lav. n. 13/2002, pag. 910, con nota che approfondisce il tema della risarcibilità in caso di dimissioni per giusta causa (es.

molestie sessuali, comportamenti illeciti, ingiuriosi o illegali del datore di lavoro) ex art. 2119 c.c.

16 CASS. sent. n. 8267/1997

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C) - GLI EFFETTI DELLA TUTELA GIUDIZIARIA

In relazione alle impugnative su enunciate, derivano i seguenti effetti:

1) - la reintegrazione nelle mansioni precedentemente svolte ad equivalenti od equipollenti, in caso di accertato demansionamento, pur essendo consentito al datore di lavoro il legittimo esercizio dello ius variandi, e adibendo il dipendente a mansioni di contenuto professionale equivalente, oppure in caso di illegittimo trasferimento17,

2) - la reintegrazione nel posto di lavoro in seguito a licenziamento nullo e/o illegittimo - eccetto che per il dirigente - se vigente la tutela reale oltre al risarcimento del danno (applicazione art. 18 S.L.), rilevando che, di recente, la Suprema Corte di Cassazione ha riaffermato il principio della risarcibilità di un danno alla professionalità - in caso di ingiustificato licenziamento - derivante dalla impossibilità di prestare l’attività lavorativa, in aggiunta alla indennità risarcitoria prevista dall’art. 18 S.L., comma 4, salvo le future eventuali modifiche a seguito della recente ammissione da parte della Corte Costituzionale del “referendum” per l’estensione della tutela reale a tutti i licenziamenti 18;

3) - il risarcimento del danno in seguito a licenziamento in caso di tutela obbligatoria (da un minimo di 2 e mezzo ad un massimo di 6 mensilità)

4) - il risarcimento del danno per accertata responsabilità datoriale attribuibile a comportamenti di mobbing (danno patrimoniale ex art. 1223 c.c., danno per lesione della professionalità ex art. 2103 c.c., danno morale ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p., danno biologico, definito di recente dal legislatore con il D. Lgsvo n.

38/2000 e comunque suscettibile di valutazione medico-legale, danno esistenziale quale nuova ed ulteriore voce di danno.

17 CASS. sent. n. 11479 del 12/10/99 in L G , 2000, pg. 273

18 CASS., Sez. Lav. Pres. Trezza, sent. n. 10116 del 11/7/2002 e sent. n. 10203 del 13/7/2002 in Giuda al Lavoro, n. 35 del 10/9/2002: entrambe le pronunce sono di particolare rilievo in quanto pongono in risalto il diritto del lavoratore - in caso di licenziamento individuale - a far valere ulteriori danni subiti alla vita di relazione o per la perdita di capacità professionale, sempreché venga fornita la prova della sussistenza in punto di fatto di tale pregiudizio.

Corte Cost. sent. 30/1 - 6/2/2003 n. 41, Pres. Chieppa, Rel. Zagrebelsky, in Guida al diritto, Il sole 24 Ore, n.7 del 22/2/2003 pag. 46

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D) - L’ONERE DELLA PROVA:

GLI STRUMENTI E LE TECNICHE DELLA PROVA

Ai sensi dell’art.2697 del codice civile, “chi vuol far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, onere che pertanto il soggetto mobbizzato è tenuto ad assolvere in relazione alle condotte lesive di beni fondamentali della persona umana, dei quali la salute rappresenta il bene giuridico primario.

Per riuscire nell’intento di fare valere in giudizio il suo diritto, al lavoratore vittima del mobbing si pone la necessità di due “sostegni”: l’apporto dello psicoterapeuta e del medico legale e l’assistenza di un avvocato, strettamente interconnessi e, ove possibile, collaboranti.

Data la natura antidoverosa e la diversità delle molteplici azioni pregiudizievoli ed ostili che costituiscono il mobbing, nelle aule giudiziarie la discussione della causa viene affrontata preliminarmente, in concomitanza dell’esperimento del tentativo di conciliazione ex lege da parte del giudice, utilizzando la formula risarcitoria (tecnica che, pur idonea, ha suscitato qualche perplessità nella dottrina19 in quanto sminuisce o spegne dietro pagamento di un prezzo il tentativo di ricorso alla tutela inibitoria), o ipotizzando la rinuncia al posto di lavoro, dietro monetizzazione, percorso non facilmente praticabile in relazione non solo alla possibile inadeguatezza del quantum risarcitorio che funge da incentivo all’esodo ma anche all’età, al sesso ed allo status professionale del lavoratore o lavoratrice mobbizzati e per la non semplice ricollocazione nel mercato del lavoro.

Nella pratica giudiziaria quotidiana si assiste nel corso dell’esame della soluzione bonaria della lite ricercata dalle parti avverse con i buoni uffici del giudice,ad argomentazioni del seguente tenore:

1) - per alcuni, il demansionamento (con dequalificazione professionale), avendo creato condizioni lavorative negative e conflittuali con danno alla professionalità e alla salute del soggetto, ne renderebbe impraticabile la conservazione del posto e costituirebbe buon motivo di risoluzione consensuale del rapporto - ex art. 2113

19 Luigi De Angelis: “Interrogativi in tema di danno alla persona del lavoratore”, in Foro it., 2000, I, c. 1557.

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c.c., meglio utilizzabile se il rapporto è alle soglie del pensionamento - trascurando l’insegnamento della Cassazione e della giurisprudenza di merito al riguardo20, in quanto “il diritto disciplinato dall’art. 2103 c.c. è indisponibile e ogni rinuncia è invalida”;

2) - per altri, il danno alla salute derivato al lavoratore demansionato - mobbizzato, e caratterizzato da sindromi depressivo-ansiose e disturbi psichici di varia natura, sconsiglierebbe il ricorso al contenzioso giudiziario in quanto più nocivo del mobbing subito, trascurando che il diritto al lavoro è garantito costituzionalmente e lo Stato deve promuovere le condizioni che lo rendano effettivo (art. 4 Cost.), e posto che il lavoratore colpito dal mobbing non è di consueto persona debole o fragile ed in quest’ottica può inserirsi la visione del mobbing come concausa quantomeno, se non causa del danno psichico, ma è divenuta tale a causa del mobbing patito.

Tali teorie, salvo eccezioni, non sono condivisibili, a prescindere dalla immagine di querulomane che può suscitare il mobbizzato, di per sé ininfluente.

Innanzitutto, la conciliazione, sebbene auspicata e auspicabile e prevista dal codice di procedura civile (art. 420, 1° comma c.p.c.), non è un facile obiettivo nelle controversie di mobbing, in quanto il soggetto mobbizzato è, di solito, molto attaccato al lavoro e persona sensibile, moralmente integra e professionalmente responsabile, che si è formata una cultura sul fenomeno di cui è personalmente, suo malgrado, protagonista (è noto agli addetti ai lavori che il mobbizzato si aggiorna sul tema via internet, legge materiale utile e collabora con lo psicoterapeuta e con il legale di riferimento mediante la redazione di copiosi promemoria sulla sua vicenda lavorativa).

Il lavoratore vittima del mobbing, pertanto, tende a “rimanere” nel suo posto di lavoro ed accetta con difficoltà anche un’utile ricollocazione nello stesso ambiente di lavoro. Peraltro, la Suprema Corte di Cassazione ha disposto che, in caso di

20 CASS. sent. n. 421 del 13/1/2001;

CASS., sent. n. 10 del 2/1/2002;

Trib. Milano, est. Frattin, sent. n. 1411/2002;

Trib. Milano, est. Atanasio, sent. n. 2245 del 31/7/2000;

Trib. Milano n. 2592 del 28/12/2001.

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inidoneità sopravvenuta, il licenziamento non è giustificato e il datore di lavoro ha l’obbligo di reperire altra occupazione con mansioni equivalenti o equipollenti21 (il repechage” sopra citato).

Il lavoratore, dunque, insiste per la rimozione delle cause (e di qualche soggetto- mobber) che hanno reso negativa la sua condizione lavorativa e desidera vedersi reintegrato nelle sue mansioni e nel suo ruolo di competenza (perché non considerare l’adozione di interventi disciplinari nei confronti del mobber se Superiore Gerarchico, preposto o collega?).

Ciò determina una forma di “resistenza” da parte del lavoratore che non è soltanto una questione di principio e di rispetto della sua persona, ma la necessità di difendere la sua sussistenza e di quella del suo nucleo familiare, allo scopo di conservare il posto di lavoro e con esso la retribuzione, e pur nella consapevolezza di una reintegrazione presumibilmente problematica e densa di incognite e rischi nel rientro in un contesto ambientale in precedenza ostile.

In secondo luogo, la rinuncia preventiva all’azione giudiziaria di per sé impedisce l’esercizio del diritto da parte del lavoratore di tutelare la professionalità, la personalità morale e la dignità (diritti tutti costituzionalmente garantiti) e può comprimere ulteriormente il diritto di difesa dell’integrità psicofisica, a fronte della lesione subita, - salvo i casi di estrema gravità per i quali gli stessi psicoterapeuti sconsigliano il conflitto giudiziale - venendo paradossalmente a privare il mobbizzato del soccorso e della solidarietà necessaria per riportarne la condizione lavorativa nel giusto equilibrio ed operatività e ripristinare il rispetto a suo favore come persona e come lavoratore (art. 2 Cost.: “diritti inviolabili”, in relazione all’art. 32 Cost.).

Bisogna infine considerare che le pretese risarcitorie introdotte in giudizio, se comprensive di varie voci di danno legittimamente vantate, portano ad irrigidire la parte obbligata, ma a ciò si potrà ovviare con un’opzione ragionevole e ugualmente proficua riguardo ad alcune delle voci di danno richieste e fatto salvo il potere discrezionale del giudice di liquidarle in via equitativa, come si evince dalla giurisprudenza formatasi in materia.

21 CASS. Sez. Un. Civ. sent. n. 7755/1998, in Guida al Lavoro n. 39 del 13/10/98

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Occorre anche evitare che la causa divenga un calvario e che assuma tempi e costi di ogni genere spropositati: può costituire una buona conciliazione anche quella che privilegia la reintegrazione delle mansioni ad una elevata entità del risarcimento, contenendolo, dato il fine precipuo di conservare il posto di lavoro e la professionalità.

Il “danno” alla persona, comunque, dovrà essere riparato e risarcito, anche con il ricorso all’equità, ex artt. 1226 e 2056 c.c.

Si ha fondato motivo di ritenere che il “timore” per la salute del mobbizzato, se inteso come preclusivo di idonee azioni giudiziarie, comporterebbe un peggioramento ulteriore e ancorpiù pregiudizievole per la salute dello stesso e lo collocherebbe in una posizione contrattuale di maggior debolezza ed a rischio della conservazione del posto di lavoro, specialmente se privo del sostegno e solidarietà sindacali.

L’ingiustizia del danno sarebbe, perciò, doppia.

Pur risultando l’esito della controversia molto condizionato, e subordinato, “all’onere della prova” che assume sovente i toni della “probatio diabolica” in relazione alle varie fattispecie della condotta lesiva da mobbing, sussistono numerosi strumenti processuali che consentono di superare almeno in parte le difficoltà che vi si frappongono:

a) - iniziative e contestazioni scritte sulle azioni negative, con precisazioni di date, eventi, e personale presente al fatto;

b) - prove testimoniali, potendo contare sulla solidarietà di colleghi e funzionari sindacali;

c) - CTU medico-legale;

d) - le registrazioni nell’ambiente di lavoro di colloqui ed espressioni pesanti, vessatori, offensivi e persecutori, la cui audizione andrebbe autorizzata dal giudice, e cui fare ricorso in caso di assenza di testimoni, o di mancanza di solidarietà sindacale, tutte situazioni sovente ricorrenti nei luoghi di lavoro ai nostri giorni22.

22 CASS. Sez. Lav. sent. n. 143/2000 cit., ove la stessa Suprema Corte riconosce che “la prova del mobbing è particolarmente difficoltosa a causa di eventuali sacche di omertà, sempre presenti, o per altre ragioni”;

CASS. Sez. Civ. II. sent. n. 12206 del 11/12/93, Pres. Angelani secondo cui la “registrazione su nastro magnetico di una conversazione telefonica, costituisce fonte di prova a norma dell’art. 2712 c.c. ed

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E) - NESSO DI CAUSALITA’ E IRRILEVANZA DELLE CONDIZIONI PERSONALI DELLA VITTIMA

Una delle obiezioni più ricorrenti che viene sollevata dagli addetti ai lavori nelle controversie di mobbing è quella inerente al nesso di causalità, in relazione alla

“multifattorialità” del danno psichico, potendo sussistere non una sola causa attribuibile a tale danno, specie se si assume che l’illecita condotta datoriale sia una concausa e non l’unica causa scatenante del danno lamentato dal lavoratore.

E’ possibile che tale assunto sia in parte vero, se scientificamente fondato, ma ciò non esonera il datore di lavoro dalla responsabilità degli eventi lesivi e dell’insorgenza di una psicopatologia ai danni del lavoratore da lui, o per interposta persona, mobbizzato, come sia la giurisprudenza di merito che di legittimità hanno posto in risalto nel ribadire che23 “la Costituzione all’art. 32, e la legge all’art. 2087 c.c.

tutelano indistintamente tutti i cittadini, siano essi forti e capaci di rispondere alle prevaricazioni, viceversa più deboli e quindi destinati anzitempo a soccombere”, ed altresì “il diritto al risarcimento del danno biologico a favore del lavoratore il cui demansionamento abbia causato una malattia nervosa e persino un infarto miocardico.24.

Anche la giurisprudenza ha cercato di dare risposte al delicato quesito con particolare riguardo alla rilevanza che possono assumere preesistenti alterazioni psichiche o fisiche della vittima del mobbing, palesando un orientamento che sembra propendere per la irrilevanza di tale dato25, pur essendo suscettibili tali fattispecie di

all’ammissibilità della prova non osta la disposizione dell’art. 615 bis cod. pen., che non vieta la riproduzione di conversazioni da parte del destinatario”;

CASS. Sez. Lav. sent. n. 12715 del 18/12/98, Pres. Lanni, ove è scritto che “l’efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche (registrazioni fonografiche) è subordinata all’esclusiva volontà della parte contro la quale esse sono prodotte e all’ammissione che siano realmente accaduti i fatti di cui si tendono a provare le effettive modalità e la rispondenza a quanto sostenuto dalla parte producente”.

23 Trib. Torino sent. 16/11/99 - 30/12/99 cit. in RCDL, 2000, 108 e 386 Trib. Milano sent. 21/4/98 in RCDL, 1998, 957

24 CASS. sent. n. 12339 del 5/11/99 CASS. sent. n. 1307 del 5/2/2000

25 Trib. Torino sent. 16/11 e 30/11/99, citate;

CASS. Sez. Lav. sent. n. 5539 del 9/4/2003, Pres. Sciarelli, Rel. Vidiri, secondo cui “la concausa naturale non riduce la responsabilità del datore di lavoro”, nel caso di dipendente colpito da sindrome ansiosa depressiva per

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opportune indagini conoscitive (ad esempio, che in precedenza mai la vittima aveva manifestato debolezza o cedevolezza sul piano emotivo e comportamentale) e considerando pure la particolare sensibilità della vittima26.

Anche la dottrina sovente accede a tale passaggio interpretativo, attribuendo rilevanza sostanziale alle concrete modalità dell’aggressione e all’impatto sulla

“vittima”, e ponendo così a carico del datore di lavoro la previsione di responsabilità per i danni sofferti dal dipendente molestato in ragione di una concausa (la particolare fragilità del soggetto), e potendo inoltre, la violenza esercitare una pressione tale da impressionare una persona sensata e da farle temere di esporre se o i suoi beni ad un male ingiusto e notevole, avuto riguardo all’età, al sesso e alla condizione della vittima, e venendo sovente esercitata nei confronti di un soggetto contingentemente fragile, quale vittima designata.

In tale senso, non si può convenire con quella parte della dottrina, che peraltro risulta minoritaria27, per cui il mobbing è uno “strumento straordinario” che seleziona i migliori, dal momento che le persecuzioni e le vessazioni morali ostacolano coloro che posseggono potenzialità e capacità, mettendoli in cattiva luce e distruggendoli, comportando ciò divisioni e selezione tra i dipendenti, e nuocciono altresì, alla socialità.

L’auspicio che faccia presa la prevenzione è il motivo ispiratore di buona parte delle proposte di legge28 sul mobbing.

LA TUTELA DELLA SALUTE QUALE BENE GIURIDICO PRIMARIO (artt. 2 – 32 - 41, 2° comma Cost.)

ED IL RICONOSCIMENTO DEL MOBBING COME MALATTIA PROFESSIONALE

Alla luce della sentenza n. 179/1988 della Corte Costituzionale, che ha previsto il

effetto di un illegittimo licenziamento e fisicamente predisposto alla malattia e fisicamente predisposto alla malattia

26 F. Amato - Cascimo - Lazzeroni - Loffredo: “Il mobbing”, Giuffrè Editore 2002.

27 M.Meucci “Violenza da mobbing sul posto di lavoro” in “RCDL”, 275-284

28 S. Pirola,: “Il mobbing tra repressione e prevenzione”, in “RCDL”, 2000, pg. 645.

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riconoscimento della malattia professionale secondo criteri extratabellari, anche il danno psichico derivato dal mobbing ha trovato formale ingresso tra le “tecnopatie”, in virtù della previsione di cui all’art. 10 del D.Lgsvo n. 38/2000 e delle recenti disposizioni dell’INAIL in materia, ed anche a fronte delle previsioni legislative esistenti in altri Paesi dell’Unione: basti pensare che in Germania il mobbizzato ha diritto al prepensionamento.

LE FORME DI INTERVENTO NEI LUOGHI DI LAVORO Significative appaiono in tale scenario:

- la costituzione di un “Comitato Paritetico sul fenomeno del mobbing”, previsto (per la prima volta) dall’art. 8 - che si ispira altresì alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 20/9/2001 - nel Contratto Collettivo Nazionale relativo al Personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio economico 2002-2003, che al titolo 2° “Relazioni sindacali e partecipazione”, prevede forme di

“partecipazione” e “raffreddamento dei conflitti”;

• la formazione nei luoghi di lavoro - anche in virtù dell’istituzione della figura del “Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza” di cui all’art. 18 del D.

Lgsvo n. 626/94 ed in ottemperanza della predetta normativa basata sugli interventi di formazione, di informazione, di partecipazione, di valutazione e prevenzione dei rischi, nonché della formulazione di osservazioni e proposte nell’ambito della generale “protezione” dai rischi medesimi

• gli “Accordi di Clima” all’ATM di Torino, alla Wolkswagen, all’Ospedale Sant’Anna di Torino ed in svariati Comuni (Palermo, Ragusa);

• il “codice etico” della Reale Mutua di Torino e dell’Azienda ULS 10 di Firenze;

• la Deliberazione del Consiglio Regionale del Lazio del 26/9/2001 (che riserva un apposito capitolo alla definizione del mobbing all’art. 2, crea organi paritetici – richiamando anche Direttive CEE al riguardo sul tema del miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori e istituisce Centri antimobbing per assistenza e consulenza mediante l’ausilio di specialisti della mente, legali, sociologi e assistenti sociali, ed istituendo altresì un

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“Osservatorio regionale sul mobbing”, dichiarata però di recente incostituzionale dalla sentenza della Corte Costituzionale del dicembre 2003 su ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentando il tema della salute precipuo compito della Stato;

• il progetto di legge n. 221 del Consiglio Regionale del Veneto del 29/11/2001 si muove su questa linea, nella previsione di “Interventi per la prevenzione e tutela delle lavoratrici e dei lavoratori da molestie morali e psicologiche nei luoghi di lavoro” (che si aggiunge alle 14 Proposte di legge presentate in Parlamento), che definisce il mobbing come “una patologia sociale dilagante”, con conseguenze catastrofiche negative che ricadono oltre che sull’azienda e sulla sua produttività, anche sulla famiglia e sui suoi equilibri, con enormi costi sociali ed auspica la diffusione di una “cultura di prevenzione” del fenomeno mobbing, individua l’organo di vigilanza nell’esistente SPISAL (in applicazione della Legge regionale 54/82 e del D. Lgsvo 626/94, prevede un’attività di vigilanza ed interventi socio-sanitari che limitino i danni alla persona con l’invito alle OO.SS. e ad ogni altra Associazione od Ente coinvolti nell’applicazione della legge regionale in questione con l’apertura di “sportelli di ascolto” condotti da personale appositamente formato e che ha, come riferimento, l’Osservatorio Regionale sopra citato avente funzioni di raccolta, ridistribuzione delle risorse e diffusione di conoscenze nella materia, introducendo sanzioni amministrative per le violazioni degli obblighi imposti dalla stessa legge.

• gli “sportelli sindacali e di ascolto”, per l’assistenza e gli interventi sui casi di mobbing, sono stati aperti dalla CISL in Roma (Sportello Nazionale Mobbing) ed in varie sedi regionali, e così pure dalla CGIL presso la Camera del Lavoro di Milano e dalla UIL presso il Comune di Milano (molti altri “sportelli mobbing”

in varie sedi d’Italia sono stati creati da Enti e Associazioni);

• la posizione assunta dall’Informatore Inaz nel 2001 sul mobbing, di recente, riguardo al Management ed alla Gestione Risorse Umane, non ravvisando nell’uso del mobbing una soluzione per ridurre i costi aziendali e mettendo in mostra, per contro, l’inadeguatezza dell’azienda ad adattarsi ai nuovi

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cambiamenti, con una emorragia pericolosa di risorse preziose29.

SULLE PROPOSTE DI LEGGE

Autorevoli giuristi di recente hanno sostenuto che non sia necessario un intervento legislativo che disciplini ad hoc il mobbing30 - ritenendo che l’ordinamento è dotato di tutti gli strumenti di tutela, dalle norme del codice civile a quelle penali, dallo Statuto dei Lavoratori alla normativa di prevenzione e sicurezza antinfortunistica e di tutela della lavoratrice madre - per proteggere le vittime sul mobbing.

Altri contraddicono tale orientamento rimarcando la necessità di prevenire, anzitutto, e poi anche di reprimere il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro31

PROGETTI E DISEGNI DI LEGGE PRESENTATI NELLA XIII LEGISLATURA I progetti di legge presentati nella XIII legislatura sono animati da analoghi fini ispiratori:

• definiscono concettualmente il “mobbing”;

• individuano quali possibili persecutori i datori di lavoro, i superiori gerarchici, i pari grado e (solo alcuni progetti) i subordinati;

• prevedono responsabilità disciplinari a carico dei promotori del mobbing e la

“responsabilizzazione” del datore di lavoro che viene obbligato a verificare le denunce di “mobbing” e ad assumere le necessarie conseguenti iniziative (irrogazione di provvedimenti disciplinari, ecc.);

• pongono a carico del datore di lavoro l’onere di indicare le azioni di prevenzione e informazione;

• si propongono l’individuazione e punizione di eventuali strategie aziendali che, attraverso il “mobbing”, si propongono di ridurre o razionalizzare il personale

29 “L’informatore INAZ” n. 5 del marzo 2001: “Mobbing, un campanello d’allarme per l’azienda” a cura di Roberto Merlini – Consulente di Direzione.

30 P.G. Monateri, M. Bona e U. Oliva: “Mobbing: vessazioni sul lavoro”, Giuffrè Editore , Milano, 2000 pg.

132;

P. Denari: “La responsabilità diretta e personale nel danno da mobbing”, in “Lavoro e Previdenza oggi”, n.1, 2000, 5 e ss.

31 R. Gilioli, “Cattivi capi, cattivi colleghi”, Mondadori, Milano, 2000

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(progetto n. 4313 del 2 novembre 1999);

• definiscono le azioni di tutela che la vittima potrà promuovere (ricorso alla conciliazione, anche attraverso le rappresentanze sindacali e all’autorità giudiziaria.

Esiste una differenza di approccio di non poco conto tra i vario progetti in esame:

mentre nei disegni di legge n. 4265 e n. 4313 del 1999, nel n. 4512 del 2000 e nel progetto n. 6410 del 1999 s prevede un tipo di tutela privatistica (annullamento o nullità degli atti vessatori, risarcimento del danno patito dalla vittima in via equitativa, responsabilità disciplinare del mobber o di chi denuncia fatti di mobbing non veritieri), negli altri progetti n. 1813 del 1996, n. 6667 e n.

7265 del 2000 è prevista una tutela penalistica della vittima di mobbing con sanzioni penali detentive e pecuniarie, eventualmente corredate da pene accessorie quali ad esempio l’interdizione dai pubblici uffici.

DISEGNI E PROPOSTE DI LEGGE DELLA XIV LEGISLATURA SUL MOBBING

Nella XIV Legislatura il mobbing continua ad essere al centro di discussioni parlamentari ed oggetto di numerosi disegni di legge; attualmente sono in corso di esame nelle aule parlamentari ben quattordici progetti di legge (di cui 9 al Senato e 5 alla Camera) sul “mobbing”.

Alcuni di questi costituiscono la riproduzione di d.d.l. e p.d.l. presentati dalle stesse forze politiche nella XIII Legislatura.

In linea di principio, dovrebbero essere in grado di rinforzare le difese del lavoratore dalle persecuzioni psicologiche.

Senato:

1. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Tapparo ed altri n.

4265, ripresentato nella XIV legislatura dal sen. Battafarano con il n. 924 del 5 dicembre 2001:

“Tutela della persona che lavora da violenze morali e

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persecuzioni psicologiche”

2. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Tomassini, n. 4512, ripresentato dallo stesso nella XIV legislatura con il n. 122 del 6 giugno 2001: “Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza o dalla persecuzione psicologica”

3. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Magnalbò n. 4802, ripresentato dallo stesso nella XIV legislatura con il n. 422 del 9 luglio 2001:

“Norme per contrastare il fenomeno del mobbing”

4. Disegno di legge n. 266 del 21 giugno 2001 d’iniziativa del sen. Ripamonti – identico al n. 924/2001:

“Tutela della persona che lavora da violenze morali e

persecuzioni psicologiche nell’ambito dell’attività lavorativa” 5. Disegno di legge n. 870 del 21 novembre 2001 d’iniziativa del sen. Costa:

“Norme per contrastare il fenomeno del mobbing”

6. Disegno di legge n. 986 del 20 dicembre 2001 d’iniziativa del sen. Tofani ed altri:

“Disposizioni a tutela della persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro”

7. Disegno di legge n. 1242 del 14 marzo 2002 d’iniziativa del sen. Montagnino:

“Tutela della persona che lavora da violenze morali e

persecuzioni psicologiche nell’ambito dell’attività lavorativa”

8. Disegno di legge n. 1280 del 21 marzo 2001 d’iniziativa del sen. Sodano Tommaso:

“Norme per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori da molestie sessuali e psicologiche nel mondo del lavoro”

9. Disegno di legge n. 1290 del 27 marzo 2002 d’iniziativa del sen. Eufemi:

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“Norme generali contro la violenza psicologica nei luoghi di lavoro”

Camera :

1. Proposta di legge n. 581 del 6 giugno 2001 dell’on.

Loddo Tonino:

“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica”

2. Proposta di legge n. 1128 del 28 giugno 2001 dell’on. Benvenuto:

“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica”

3. Proposta di legge n. 2040 del 28 novembre 2001 dell’on. Fiori:

“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica”

4. Proposta di legge n. 2143 del 21 dicembre 2001 dell’on. Tarantino:

“Disposizioni per la tutela dei lavoratori da molestie morali e violenze psicologiche”

5. Proposta di legge n. 2346 del 14 febbraio 2002 dell’on. Zanella

Si tratta di proposte animate da analoghi fini ispiratori che:

a) - definiscono concettualmente il "mobbing" e descrivono i comportamenti

persecutori in modo generale, ovvero attraverso esemplificazione delle più comuni ipotesi vessatorie od emarginanti in azienda. In alcune di esse si rinvia ad un decreto del ministero del lavoro il compito di individuare le fattispecie concrete (e tassative) di violenza psicologica e morale ai danni dei lavoratori;

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25 b) - individuano nei possibili persecutori datori di lavoro, superiori gerarchici, pari

grado e (solo alcuni progetti) subordinati;

c) - in alcuni casi prevedono che la persecuzione debba avere la finalità di danneggiare il lavoratore, in altri ritengono sufficiente la attuazione del comportamento persecutorio, considerato illegittimo e condannabile anche in assenza di una precisa finalità;

d) - prevedono precise responsabilità disciplinari a carico dei promotori del "mobbing e la "responsabilizzazione" del datore di lavoro che viene obbligato a verificare le denunce di "mobbing" e ad assumere le necessarie conseguenti iniziative

(irrogazione di provvedimenti disciplinari, rimozione degli effetti, ecc.);

e) - pongono a carico del datore di lavoro l’onere di indicare le azioni di prevenzione e informazione che vanno realizzate (imponendo chiarezza e trasparenza nei rapporti aziendali) disponendo, a tal fine, anche lo svolgimento di apposite assemblee del personale, consultazioni periodiche o la istituzione di un apposito organo (progetto di Forza Italia), composto da rappresentanti del datore di lavoro, dei lavoratori e della ASL;

f) - si propongono la individuazione e punizione di eventuali strategie aziendali che, attraverso il "mobbing" si propongano di ridurre o razionalizzare il personale ;

g) - definiscono le azioni di tutela che la vittima potrà promuovere (ricorso alla conciliazione, anche attraverso le rappresentanze sindacali e alla autorità giudiziaria);

h) - impongono l’obbligo di ripristino delle situazioni professionali colpite dalle azioni persecutorie, il risarcimento dei danni subiti e la nullità degli atti discriminatori e di eventuali atti di ritorsione in seguito alla promozione di iniziative di tutela;

i) - prevedono la possibilità di pubblicità del provvedimento del giudice.

***

Elemento comune a tutte le proposte parlamentari miranti a regolamentare il mobbing come fenomeno giuridico, è la valutazione equitativa del danno subito dal lavoratore da parte del giudice ex art. 1226 c.c., ma per quanto riguarda la tipologia del danno risarcibile (danno biologico, morale, esistenziale) sono ancora accese e contrastanti le tesi esposte in dottrina ed applicate in giurisprudenza.

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Fra tutti i d.d.l. e p.d.l. appare interessante innanzitutto la finalizzazione sotto il profilo dell’azione preventiva efficace del Disegno di legge Smuraglia, nonchè analizzare il Disegno di legge n° 1290 del 27 marzo 2002, contenente Norme generali contro la violenza psicologica nei luoghi di lavoro, ad iniziativa del Sen. Eufemi, poiché, rispetto ad altre proposte di legge, presenta tre novità così sintetizzabili:

a) la previsione del mobbing come delitto; tale scelta risponde ad esigenze di giustizia sostanziale, trasponendo sull’evento originato nell’ambiente lavorativo lo schema giuridico della violenza privata;

b) l’attenzione ad una forma di mobbing perpetrata contro dirigenti o funzionari direttivi; il fenomeno riguarda sovente vessazioni operate da dipendenti sindacalisti contro autorità gerarchicamente sopraordinate;

c) la previsione del mobbing esterno, cioè di una pressione sovente da organizzazioni esterne.

Da ultimo si segnala che una Commissione Tecnico-Scientifica (composta dal Direttore Servizio Legislativo dell’Aran, dal Presidente della Federmanagement, dal Responsabile del Laboratorio di Psicologia del Lavoro dell’Ispesl, dal Presidente della Mima e dal Prof. Renato Gilioli) di analisi e studio sulle politiche di gestione delle risorse e sulle cause e le conseguenze dei comportamenti vessatori nei confronti dei lavoratori ha presentato, nel febbraio 2003, alla Presidenza del Consiglio ed al Ministero della Funzione Pubblica una “proposta di legge” contro la violenza morale e psichica in occasione di lavoro (Mobbing).

Detta proposta di legge prevede l’obbligo per il datore di lavoro di valutare i rischi relativi a situazioni di tale natura (peraltro già previsti ex lege), di adottare in collaborazione con il RLS ed il medico competente le misure organizzative e gestionali per la prevenzione di tali situazioni, nonché apposite regole di comportamento con l’obbligo di osservanza da parte dei singoli lavoratori, l’adozione di opportuni provvedimenti per la cessazione delle situazioni pregiudizievoli su descritte, l’intervento del medico competente per l’accertamento dei disturbi correlati a violenze morali o psichiche sul luogo di lavoro e la promozione da parte RLS di misure preventive con segnalazioni al datore. Allegato alla suddetta proposta vi è un protocollo valutativo di patologia., stress e valutazione psico-diagnostica correlate

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alle forme di violenza morale o psichica verificatesi in occasione di lavoro.

In buona sostanza, e per concludere:

OCCORRE UNA LEGGE REGOLATRICE DEL MOBBING che si ispiri alle

norme già esistenti nell’Ordinamento, senza sovrapporvisi e senza inventare a tutti i costi nuovi strumenti giuridici e processuali di difficile applicazione, che

possono ingolfare la già malconcia giustizia anziché snellirla e proiettarla con più efficacia verso la tutela effettiva del bene-salute, intesa come integrità psico-fisica e personalità morale (come ha ricordato il Giudice Nisticò del Tribunale del Lavoro di Pisa) e come hanno dettato le sentenze n. 184 del 1986 e n. 356 del 1991, e del diritto al lavoro, pure costituzionalmente garantito. Meritano un ringraziamento la medicina e la psicologia del lavoro per l’apporto dato alla conoscenza e agli interventi sul mobbing.

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