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L’ARTO INFERIORE

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Academic year: 2022

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IL TRATTAMENTO CON I FISSATORI ESTERNI:

EVENTUALI RIPERCUSSIONI MEDICO LEGALI DEL TRATTAMENTO L’ARTO INFERIORE

Dr. Mario Manca *

Le fratture di femore e tibia negli USA sono le condizioni che più di frequente sfociano in un contenzioso medico legale (J.A.A.O.S. 2005 Vol 12 N° 6)

Sulla base della letteratura internazionale e della nostra esperienza crediamo di poter affermare che l’incidenza di complicanze ma soprattutto di insuccessi, nel trattamento con Fissatori esterni delle fratture dell’arto inferiore, sia sovrapponibile a quella riscontrabile nell’uso di altre metodiche di sintesi per traumi di uguale entità.

Behrens F; e coll.:JBJS 66B(2):246,1986

Marsh J.L.e coll W.: J. Orthop.Trauma, 5(3): 341, 1991 Melendez E.M. e coll.: Clin. Orthop., 241:224, 1989 Zachee B., e coll..: Acta Orthop. Belg., 57(3): 266,1991)

* Direttore U.O. Ortopedia e Traumatologia USL1 Massa e Carrara

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2 Ricordiamo come spesso siano affidati alla fissazione esterna quadri anatomo clinici di grande complessità e tale metodica accetti sfide oggettivamente difficili che la traumatologia quotidianamente propone.

La fissazione esterna, nata come metodica di salvataggio, (Gustilo R.B. et al. J.B.J.S.

Am. 1990 72: 299-304) si è via via guadagnata un posto di diritto come sistema di sintesi dove i vari fissatori esterni diventati sono gli strumenti di una metodica.

In termini di fattori di rischio questi possono essere:

a) intrinseci alla patologia traumatica stessa per la quale è stata decisa l’applicazione di fissatori esterni:

- Fratture complesse - Fratture ad alta energia

- Fratture con compromissione dei tessuti molli - Fratture gravemente esposte

- Fratture con lesioni vascolari

- Fratture in pazienti politraumatizzati

b) legati alla applicazione del fissatore esterno:

- insiti nell’”Hardware” cioè nello strumento stesso e nella scelta del montaggio

- insiti nel “software” cioè nel modo di utilizzo e di applicazione

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3 c) legati alla organizzazione per la gestione dei pazienti portatori di fissatori esterni d) legati alla scelta del momento della rimozione del fissatore esterno.

Come è noto i traumi ad alta energia sono sicuramente in crescita e l’energia cinetica che si scarica su di un segmento traumatizzato espone tale segmento di per sé ad un rischio maggiore di non guarigione.

La scelta ricade verso l’uso di un fissatore esterno quando il danno traumatico è già di per sé alto e, di conseguenza, il danno chirurgico deve essere limitato per non incorrere in sicure complicanze.( J. Hollingdale, AO Alumni Symposium 1996)

Non infrequentemente il fissatore esterno, come si evince dalla letteratura, trova indicazione sia come metodica temporanea (in accordo con i criteri del Damage Orthopaedic Control Surgery) sia come metodica definitiva.( Instr. Course 124, 71st AAOS meeting 2004)

L’utilizzo della fissazione esterna temporanea si può concentrare in un unico termine: “prepara”:

- Prepara il Paziente alla chirurgia con recupero dei parametri vitali.

- Prepara i chirurghi per ciò di cui avranno bisogno: ulteriore studio con

“imaging”, acquisizione di impianti particolari non sempre disponibili, e non ultimo all’aiuto di colleghi più esperti nel trauma.( G.J. Haidukewych JOT vol 16 N° 9: 678-685, 2002)

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4 - Prepara l’arto traumatizzato alla necessaria chirurgia definitiva attraverso la possibilità di un debridement dei tessuti molli con il loro controllo ed il recupero a frattura stabile.

Vi è convergenza di opinioni sull’utilizzo della fissazione esterna temporanea da parte di tutti i chirurghi ortopedici, come primo passaggio, in determinate condizioni del segmento fratturato o del paziente.

( Pape et al., J.Trauma, No. 34,1993

Sterk et al., Arch. Ch. Suppl. Kongress, 114:1005-10,1997 Buhren et al., Zentrallbl Chir.,115:581-91)

L’applicazione di un fissatore esterno in condizioni di emergenza è giustificato e si mantiene in uno standard di cura, all’interno di linee guida codificate e riconosciute come pratica idonea.

I rischi incorrono allorquando si decida di passare ad altra metodica.

Il passaggio ad un diverso sistema di sintesi dopo una fissazione esterna temporanea, prevede che l’interfaccia cute-vite sia esente da infezione.( Steven A.

Olson Instr. Course AAOS 2003 52: 623-631)

L’infezione, di solito grave, che avviene dopo l’introduzione di un chiodo o di una placca “in seconda battuta” è l’evento sfavorevole più comune.

E’ da considerare poi che tali pazienti, non infrequentemente, soggiornano in rianimazioni o terapie intensive per un periodo più o meno lungo e tali luoghi sono sicuramente maggiormente a rischio per infezioni nosocomiali con germi resistenti.

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5 Qualora siano presenti infezioni dell’interfaccia cute-vite, occorre bonificarle prima di passare ad altra metodica.

La bonifica si attua con terapia antibiotica mirata, frequentemente con la rimozione del fissatore esterno, l’utilizzo di una trazione o di un apparecchio gessato o tutore, e successivamente con l’impianto di altro mezzo di sintesi.

Più lungo è il periodo che intercorre fra l’applicazione del fissatore ed il cambio di strategia, più alto è il rischio infettivo.

Qualora non sia possibile bonificare le infezioni o qualora le condizioni del paziente rimangano oltremodo critiche è controindicato un intervento di inchiodamento o di sintesi aperta, si dovrà di necessità, optare per una fissazione esterna definitiva.

Qui occorre essere estremamente chiari con i pazienti con un consenso informato dettagliato.

Nelle fratture di femore infatti, è opinione comune che l’inchiodamento endomidollare bloccato sia il gold standard, la fissazione esterna è contemplata in alcune indicazioni e soprattutto come metodica temporanea.

Occorre pertanto informare il paziente circa la necessità di tale trattamento sottolineando i pericoli nell’eventuale cambio di strategia.

Il consenso deve essere chiaro in questi 5 punti: (JAAOS 2005 Vol 12 N° 6)

1) Gravità della tipologia della frattura con i possibili rischi generici e specifici insiti in quella frattura

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6 2) Descrizione accurata del trattamento che si vuole fornire, il suo scopo, la durata minima necessaria; descrizione del mezzo di sintesi scelto (il f.e.) con le possibilità di successo e le necessarie implicazioni personali (strumento esterno alla cute)

3) Tutti i rischi che il trattamento può avere e le complicanze in itinere con una particolare attenzione a sottolineare la necessità del paziente a partecipare come attore attivo al processo di guarigione con la cura del fissatore stesso 4) Le possibili alternative terapeutiche con bilancio rischio-beneficio rispetto alle

altre metodiche

5) Rischio in cui il paziente può incorrere se non venisse trattata tale frattura Necessariamente non tutto può essere scritto; è necessaria una combinazione fra consenso scritto e relazione verbale.

Nonostante sia lapalissiano, uno studio ha mostrato che medici che stabiliscono un rapporto con i pazienti e che efficacemente spiegano sia il danno sia il piano di trattamento sono gravati da minori ricorsi per “malpractice”

(Goult MT, Langworthy MJ, Santore R., Provencer MT: An analysis of Orthopaedic liability in the acute care settino. Clin. Orthop. 2003; 407: 59-66).

Per le fratture di tibia il compito è più semplice, come emerge da un Instructional Course dell’AAOS non esiste in questo campo una controindicazione alla fissazione esterna che invece è giudicata versatile e di facile esecuzione.

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7 Nel segmento tibia il fissatore è di solito meglio tollerato, ha bisogno di meno attenzioni ed i tempi di guarigione rientrano in range accettabili in fratture semplici.

In fratture complesse, rappresentano frequentemente l’indicazione elettiva e sicuramente gravati da una percentuale inferiore, rispetto ad altre metodiche, di complicanze a breve termine.

Ovviamente anche qui il consenso informato sarà determinante al fine di limitare i rischi ma la scelta del fissatore esterno come metodica definitiva è meno controversa nonostante altre metodiche possano essere scelte con successo.

Con tali criteri, l’obbligazione del medico nei confronti del paziente di perseguire la guarigione,si può dire soddisfatta; nel caso in cui questa non avvenga, egli ha adottato le tecniche necessarie ed adeguate allo scopo.

Il mancato raggiungimento della guarigione (in caso di una frattura la pseudoartrosi) non comporta né può comportare di per sé inadempimento (Martini G et Al G.I.O.T. 2005; 31: 214-216).

Fattori di rischio legati alla applicazione del fissatore

Il fissatore esterno è uno strumento meccanico che deve resistere a diverse forze che vengono scaricate su di esso; deve perciò avere dei requisiti meccanici di

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8 resistenza, stabilità ed avere intrinseche possibilità di variare il suo modulo di elasticità o possibilità di dinamizzazione (G. De Bastiani JBJS 1984) a seconda della fase maturativa della frattura.

Contrariamente ad altri mezzi di sintesi che vengono posizionati così come vengono costruiti, il fissatore esterno è uno strumento modificabile dalle mani del chirurgo in base alle esigenze che di volta in volta si presentano.

Ciò presta il fianco a montaggi instabili dal punto di vista meccanico se non si rispettano alcune regole che comunque vengono segnalate nelle brochure illustrative delle varie ditte.

Le varie configurazioni delle varie tipologie di montaggio cambiano a seconda del tipo di fissatore che viene utilizzato.

Non esiste il fissatore ideale, ma solo la corretta applicazione dello stesso.

Ma già insiti nella struttura stessa del fissatore possono essere presenti dei fattori di rischio che minano la stabilità esponendo al rischio di fallimenti.

Nei fissatori pluriuso, come ad esempio il fissatore esterno assiale, alcune componenti sono da sostituire dopo ogni montaggio; occorre prestare molta attenzione che non ci siano delle cricche in punti fondamentali per la tenuta.

Tipica è la cricca sul colletto dello snodo sferico se il fissatore viene sterilizzato serrato.

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9 I diversi coefficienti di dilatazione delle varie parti, alcune in acciaio ed alcune in duralluminio, fanno si che quest’ultimo ceda meccanicamente con formazione di pericolosissime microfratture.

I vari assemblaggi nelle varie configurazioni, che dovrebbero essere scelte in base alla stabilità della frattura, possono non essere sempre disponibili.

Tutto ciò ha portato le varie ditte a costruire fissatori monouso in un unico kit nel quale tutto ciò che è necessario è presente, sicuramente sterile e meccanicamente intatto.

Questo anche in considerazione che, fra i prodotti multiuso, non sempre è chiaro e scritto per quanti montaggi il fissatore è garantito nella sua stabilità intrinseca; non sempre è chiaro se la ditta produttrice debba rivedere il prodotto per riconsegnarlo dopo una valutazione di integrità e dopo quanti montaggi tale controllo debba essere eseguito.

La stabilità, però, di volta in volta non è data solo dal fissatore esterno, ma dall’insieme osso fratturato-fissatore esterno.

Qui si va incontro ai fattori di rischio insiti nel software, cioè nella modalità d’uso ed applicazione del fissatore esterno stesso segmento per segmento.

Un posto di rilievo, in tal senso, lo rivestono le viti; vero tallone d’Achille della fissazione esterna.

Il problema della tenuta delle viti è al centro dei vari problemi della fissazione esterna.

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10 Una vite inserita in un osso e sottoposta ad un sistema di carico è destinata ad allentare la sua forza di presa nel tempo.

Un sicuro miglioramento in tal senso è stato rappresentato dall’uso di viti rivestite in idrossiapatite.

Queste ultime dimostrano, alla rimozione, una forza di tenuta superiore a quella che è stata necessaria per introdurle; cioè, la tenuta migliora nel tempo con una osteointegrazione sull’interfaccia vite-osso.

Altro fattore di rischio in termini di stabilità è rappresentato dal numero e dal diametro delle viti e dalla loro configurazione spaziale.

Per il diametro vale la regola generale che il diametro della vite non deve superare mai un terzo del diametro dell’osso dove la vite viene applicata; questo per non incorrere nel rischio di fratture iatrogene sulla sede di applicazione.

Il numero non deve mai scendere al di sotto di due viti per moncone e, se il moncone è instabile è utile una terza vite su di un altro piano così da eseguire un montaggio a tripode estremamente stabile.

Un numero insufficiente di viti o una configurazione errata delle medesime porta o ad una instabilità del sistema osso-fissatore con tendenza alla pseudoartrosi o alla possibile rottura da fatica delle viti.

Se un gruppo di viti sono posizionate, per necessità di configurazione del fissatore esterno, troppo distanti dal focolaio di frattura (frequente nei fissatori che

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11 presentano un corpo centrale) può essere utile una vite cosiddetta per terzo frammento per aumentare la forza del braccio di leva.

Fra i fattori di rischio alcuni sono insiti nell’introduzione delle viti e la non osservanza delle regole previste per questo semplice atto chirurgico.

Oltre a seguire tutti i necessari passaggi occorre che la punta del perforatore sia perfettamente tagliente e dritta.

Una punta non tagliente produrrà eccessivo calore con necrosi locale e probabile allentamento da infezione; un punta non dritta produrrà dei fori ovali che rapidamente faranno perdere tenuta alle viti con fallimento del montaggio.

Di fondamentale importanza è la cura da riservare alle viti istruendo il paziente alla automedicazione illustrando quei semplici gesti che necessariamente quotidianamente dovrà fare.

Dovrà essere informato delle normali secrezioni sierose che fuoriusciranno dal tramite e sulla necessità di detergere la cute.

Se si dovessero avere infezioni superficiali dell’interfaccia, dovranno essere presi provvedimenti più importanti quali l’esecuzione di un antibiogramma e di seguito dovrà essere impostata una terapia mirata.

Se l’infezione tende ad approfondirsi occorre rimuovere la vite per non incorrere in una osteomielite che, per quanto limitata, può essere importante e rappresentare un motivo rivendicativo.

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12 Da qui si evince come un altro fattore di rischio con la fissazione esterna soprattutto nell’arto inferiore, visti i carichi cui deve essere sottoposto e visto il maggior tempo in cui il fissatore dovrà essere mantenuto per arrivare a guarigione, sia rappresentato dalla organizzazione per la gestione dei pazienti.

In ogni tipo di trattamento ortopedico-traumatologico occorre fornire una continuità terapeutica fino alla guarigione.

Il non provvedere ad un appropriato follow-up è una delle cause che conduce ad azioni di Malpactice verso i chirurghi ortopedici (Goult MT, Langworthy MJ, Santore R., Provencer MT: An analysis of Orthopaedic liability in the acute care settino. Clin. Orthop. 2003; 407: 59-66).

Il chirurgo può delegare un suo collaboratore ed è necessario uno staff che segua i pazienti portatori di fissatori esterni attraverso delle linee terapeutiche comuni e condivise.

Occorre essere chiari sulla gestione del fissratore esterno e sulle concessioni del carico che dovrà essere modulato e fornito in termini di Kg e di tempo; così come una prescrizione terapeutica.

Il paziente dovrà essere informato sulla necessità di eseguire i controlli programmati con le relative date.

Dimettere un paziente senza aver fornito adeguate istruzioni equivale ad un abbandono (Suk M., Udale A.M., Helfet D.L.; JAAOS 2005; 13: 397-406)

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13 A tal proposito, nel caso si tratti con fissazione esterna un paziente che vive a notevole distanza è buona norma fornire il nome di un collega o di una struttura in grado di seguire il paziente nel trattamento.

Anche il paziente è tenuto a seguire le regole di questo “contratto” e nel caso contravvenga alle raccomandazioni impartite, il medico deve mettere per scritto l’inadempienza.

Durante la gestione del fissatore ci sono altri momenti delicati che rappresentano un fattore di rischio: la dinamizzazione del fissatore esterno, indispensabile nell’arto inferiore al fine di generare un callo periostale orientato lungo le linee di carico.

Tale momento terapeutico non è sempre codificato ed anche la letteratura, pur concordando sulla necessità di tale provvedimento, non aiuta nei termini e nei modi di come attuarla.

Questa è legata alla sensibilità specifica del chirurgo ed alla interrelazione paziente-medico-frattura-fissatore.

La dinamizzazione va modulata ed in base alla risposta soprattutto in termini di dolore del paziente, rivalutata e modificata.

Solo dalla corretta esecuzione di tutte queste azioni che si succedono nel tempo, è possibile giungere ad una consolidazione ossea.

E qui si arriva all’ultimo fattore di rischio.

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14 Ultimo in senso cronologico nel processo di guarigione ma non ultimo per importanza ed implicazioni: la scelta del momento della rimozione.

La formazione di un buon callo riparatore con ossificazione del medesimo, permette di raggiungere una consolidazione radiografica accettabile.

Non sempre a tale quadro radiografico corrisponde una adeguata resistenza meccanica alle forze di compressione, torsione e taglio cui un segmento di femore o tibia sono sottoposti.

La rifrattura alla rimozione del fissatore è una evenienza descritta in una moltitudine di lavori pubblicati.

Le varie valutazioni strumentali inerenti la documentazione della stabilità intrinseca del focolaio di frattura con estensimetria o altro, non hanno fornito i risultati sperati.

A tal proposito, quindi, si passa ad una valutazione manuale della frattura con stress in varo-valgo e procurato-recurvato.

Un modesto movimento in tali test si trasformerà in un movimento preternaturale al carico.

Se la valutazione manuale fornisce una certa garanzia di tenuta, è bene lasciare le viti in situ per un periodo di 10-15 gg facendo camminare il paziente con carico totale e stressando la sede di frattura con ogni tipo di stimolo.

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15 Se dopo tale periodo, ad una successiva valutazione clinico-radiografica, non si evidenziano cedimenti o deformazioni, siamo autorizzati a rimuovere il f.e.

segnalando per iscritto la resistenza al carico libero dimostrata nei giorni precedenti.

Se invece, qualcosa in termini di dolore, gonfiore, motilità preternaturale, deviazione assiale, è successa durante l’esecuzione di tale test, si riposiziona il fissatore nei corretti rapporti assiali e si prosegue il trattamento.

Se, nel segmento tibia, non siamo del tutto sicuri della resistenza meccanica, magari per una inaffidabilità del paziente e delle sue effettive prove di carico, un gesso funzionale a fine trattamento è da alcuni proposto come ulteriore sicurezza.

Un trattamento così condotto ci permette una certa tranquillità anche medico legale e si può concludere con una frase del Prof. Aldegheri: “La fissazione esterna con una buona preparazione culturale, una buona esecuzione tecnica, su di un accurato planning ed un serrato controllo dei pazienti è il più completo sistema di osteosintesi poiché lo stesso apparato permette il trattamento di fratture e le loro sequele, ivi incluso le correzioni post operatorie e gli allungamenti”.

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