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NON PATRIMONIAL DAMAGE: SOME SUGGESTIONS PROVE DI ASSETTO PER IL DANNO NON PATRIMONIALE: ALCUNE SUGGESTIONI

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TAGETE 4-2008 Year XIV

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NON PATRIMONIAL DAMAGE: SOME SUGGESTIONS

PROVE DI ASSETTO PER IL DANNO NON PATRIMONIALE:

ALCUNE SUGGESTIONI

Prof. Massimo Franzoni *

ABSTRACT

The author analyzes the interlocutory judgement of the III section of the Court of Cassation (19.12.2007 – 25.02.08 n 4712) that concludes that the damage to the person should be re- written. Past pronunciations from the Court of Cassation (n 8827/2003 and 8828/2003) and from the Constitutional Court have stated that the damage to the person is divided in patrimonial damage, biological damage and existential damage, but the author, regarding the art 2059 of the civil code, doubts that the existential damage can be accepted inside the damage to the person, in particular he thinks that existential damage and moral damage cannot be considered two different damages.

Key words: existential damage, moral damage, non patrimonial damage.

SOMMARIO:

1. I termini della questione.

2. … le parole e le cose.

2.1. Tipicità ed atipicità del danno: i rischi di ambiguità.

* Ordinario di Diritto Privato, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Bologna

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2 2.2. Il danno alla salute ed il danno esistenziale.

3. Il danno in re ipsa ed il danno da allegare o da provare.

4. Il danno esistenziale da demansionamento: il danno non patrimoniale da inadempimento dell’obbligazione.

5. La tripartizione del danno non patrimoniale: vale la pena di essere ripensata?

6. Il danno non patrimoniale e il danno morale.

7. Prove tecniche per definire l’assetto del danno non patrimoniale.

1. I termini della questione.

Sono occorsi 14 punti per descrivere lo stato di fatto del danno esistenziale attraverso la sua storia; 8 ulteriori punti per porre quesiti alle Sezioni unite; infine, 9 punti per chiedere alle medesime Sezioni unite di confermare o eventualmente modificare assunti che paiono abbastanza pacifici. Non vi è dubbio che l’appartenere o il non appartenere il danno esistenziale al nostro ordinamento costituisce «una questione di massima di particolare importanza» (art. 374, comma 2°, c.p.c.); lo stesso se questo sia un danno in re ipsa oppure se debba essere oggetto di specifica prova o, quantomeno, di allegazioni della parte interessata.

Sullo sfondo c’è il tema della riferibilità del danno non patrimoniale anche

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3 all’inadempimento delle obbligazioni contrattuali o soltanto a quelle di fonte extracontrattuale, come dovrebbe essere giustificato dalla collocazione dell’art. 2059 c.c. Sullo sfondo c’è, ancora, la necessità di trovare una serie di criteri che consentano di non duplicare risarcimenti per medesimi pregiudizi.

L’idea che si riceve dalla lettura di questa precisa e meditata ordinanza interlocutoria è che l’intero settore del danno alla persona debba essere ridefinito, dopo l’intervento del 2003, confermato dalla Corte costituzionale (1). Quelle sentenze hanno profondamente modificato il sistema; nel farlo hanno volutamente impiegato un linguaggio aderente al dettato normativo, è questa la ragione per la quale il danno esistenziale non vi figura mai. Soltanto la Corte cost. del luglio si riferisce alla categoria del danno esistenziale, «tributandogli, in seno al “nuovo” art. 2059 c.c., un espresso riconoscimento, anche semantico, al fianco del danno biologico e del danno morale subiettivo, in un sistema risarcitorio dei danni ormai definitivamente riconosciuto come sistematicamente bipolare (danno patrimoniale/danno non patrimoniale)» … Il giudice delle leggi, difatti, diversamente dalla Corte Suprema, discorre espressamente di un

“danno, spesso definito in dottrina e in giurisprudenza come esistenziale, derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona diversi da quello

(1) Cfr. Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827; Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828; Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, anche in Corriere giur., 2003, p. 1031, con nota di FRANZONI, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona.

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4 all’integrità psichica e fisica della persona conseguente ad un accertamento medico, ex art. 32 della Costituzione”» (2).

È pacifico altresì che quelle sentenze del 2003 hanno inteso rimodellare il sistema del danno alla persona, senza alcun intento abrogativo. In questo senso non è cambiato il contenuto del danno biologico, semplicemente ha mutato collocazione (dall’art. 2043 all’art. 2059 c.c.); non è stato sostanzialmente abrogato il vecchio danno morale soggettivo (art. 185, comma 2°, c.p.); si è creato uno spazio nuovo nell’art. 2059 c.c., attraverso la rilettura costituzionale della norma, all’interno della quale si chiede ora l’ordinanza in commento se possa trovare spazio il danno esistenziale. La grande apertura del 2003, in primo luogo, si apprezza nel linguaggio usato nelle motivazioni:

ad esempio l’uso dell’espressione “lesione di un bene” o di “un interesse di rilievo costituzionale”, secondo l’art. 2 cost., e non di un diritto della personalità o di un diritto inviolabile. È ben vero la tutela della persona realizzata con rinvio all’art. 2 cost. rende evanescente la distinzione fra “bene o interesse” e vero e proprio “diritto inviolabile”, tuttavia, anche sul piano del linguaggio impiegato, l’intento è stato di ampliare al massimo grado la protezione.

L’intervento evolutivo si apprezza anche qualche tempo dopo il maggio del 2003,

(2) Cass., ordinanza interlocutoria, 25 febbraio 2008, n. 4712, in Mass. Foro it., 2008, in motivazione § 3.

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5 pur nella logica di seguire e valorizzare le figure tradizionali di danno. Penso al dictum di una sentenza resa qualche mese dopo il 31 maggio, nella quale è stata superata una ulteriore barriera che aveva retto per anni e probabilmente proprio a causa della quale era incominciata la stagione del danno alla salute, proseguita poi con il danno esistenziale. La pronuncia ha stabilito che «non osta alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. e 185, comma 2°, c.p. il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come nei casi di cui all’art. 2054 c.c., debba ritenersi comunque sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo i relativi profili di colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato; infatti, attesa l’autonomia tra il giudizio penale e quello civile, in quest’ultimo il giudice deve accertare la fattispecie costitutiva della responsabilità aquiliana con i mezzi di prova peculiari del processo civile» (3). Questa decisione ha assunto una grande importanza non soltanto perché ha ampliato le ipotesi di impiego del danno morale soggettivo, ma soprattutto perché, così facendo, ha tecnicamente escluso che questa figura di danno possa svolgere quella funzione punitiva, che una lunga tradizione giuridica le aveva attribuito.

Infatti, quanto più il danno morale soggettivo si allontana da un fatto di reato, accertato

(3) Cass., 1 giugno 2004, n. 10482, in Danno e resp., 2004, p. 953, con nota di BITETTO, All’ombra dell’ultimo sole: il danno morale soggettivo e la sua funzione «punitiva»; in La responsabilità civile, 2005, p. 132, con nota di TODARO, Il danno non patrimoniale in progress; anche recentemente Cass., sez. III, 14 febbraio 2008, n. 3532, in Mass. Foro it., 2008.

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6 in concreto, quanto più la finalità del risarcimento si avvicina a quella satisfattiva, non punitiva.

Dopo questa generale revisione e dopo aver chiarito anche con l’ultima pronuncia citata che tutte le componenti del danno non patrimoniale hanno un carattere risarcitorio, ci si sarebbe attesi una fase di consolidazione, di delimitazione delle singole figure di danno. Al contrario si è verificato ciò che l’estensore della sentenza in commento descrive con precisione ed efficacia nei §§ 5 e 6:

«5) Gli sforzi ermeneutici di tutti gli operatori del diritto avrebbero, allora, potuto più proficuamente volgersi a nuovi e più fecondi approdi, prefigurati in nuce dalle sentenze del 2003, e costituiti: a) dall’analitica identificazione di una tavola di “valori/interessi”

costituzionalmente protetti suscettibili di risarcimento; b) dal(l’altrettanto rigorosa) individuazione di regole probatorie il più possibile certe, funzionali alla legittima predicabilità di un diritto al risarcimento del danno esistenziale inteso come vulnus al fare a-reddituale del soggetto da lesione “costituzionale”; c) nella (non agevole) determinazione di criteri non arbitrari (e comunque equitativi) di quantificazione complessiva di quel danno.

6) Si è viceversa assistito, in dottrina e in giurisprudenza, ad ulteriori ripiegamenti, a reiterati (e non di rado preconcetti) arroccamenti su posizioni nuovamente contrapposte (talvolta in modo del tutto acritico, tanto da evocare l’idea kantiana di giudizio analitico

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7 a priori), quasi che il danno esistenziale, novella categoria metagiuridica di pensiero, dovesse corrispondere all’idea che ciascuno degli interpreti del pianeta dell’illecito civile si era comunque formato “a priori”, piuttosto che rappresentare il terreno di coltura e di analisi, sul piano positivo (e sulla base dell’esistente, del de iure condito, del diritto vivente), di una nuova categoria di danno del terzo millennio» (4).

2. … le parole e le cose.

I passi appena riportati descrivono opportunamente ciò che è seguito al nuovo corso, ci riportano con immediatezza a riflettere sul rapporto fra il linguaggio delle parole ed il loro grado di descrittività. Così il danno esistenziale è stato inventato ben prima del 2003 (5), ed era stato pensato in un contesto sistematico che ne vedeva la possibilità di impiego concreto soltanto all’interno dell’art. 2043 c.c. Nonostante il profondo cambiamento apportato dalle sentenze del 2003, gli ideatori del danno esistenziale hanno proseguito la propria elaborazione, guardando con sospetto alla prospettiva del nuovo corso, proprio perché l’aggettivo “esistenziale” non compariva accanto al sostantivo danno. Quindi hanno continuato ad impiegare un riferimento

(4) Cass., ordinanza interlocutoria, 25 febbraio 2008, n. 4712, cit.

(5) Mi sembra che il primo precedente sia il Trib. Torino, 8 agosto 1995, in Resp. civ., 1996, p. 282, con nota di ZIVIZ e di GORGONI.

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8 semantico ad una realtà di fatto mutata dal diritto vivente.

Per contro, chi era ostile alla figura del danno esistenziale ha proseguito la propria ricerca, negando ciò che in concreto era già acquisito dal diritto vivente: la tutela della persona con la tecnica della responsabilità civile, una volta riletto costituzionalmente l’art. 2059 c.c. e con esso la possibilità di impiego del danno non patrimoniale.

In buona sostanza si è assistito ad un distacco fra le parole e le cose: le parole hanno continuato a rappresentare una realtà che non esisteva più; le cose hanno faticato a palesarsi per come erano effettivamente, in mancanza di una espressione efficace che le mostrasse nel giusto senso. Insomma gli esistenzialisti hanno continuato a combattere la loro battaglia, anche quando la guerra era finita; viceversa gli antiesistenzialisti non si sono accorti che il diritto vivente era cambiato, dunque che la loro battaglia era inutile. Parafrasando alcuni passi della motivazione, l’impressione è che per qualche tempo c’è stata un’area del danno non patrimoniale che ha incominciato ad esistere (le cose), che qualcuno ha chiamato danno esistenziale (le parole), che altri ha inteso come profilo relazionale del danno alla salute (le parole), che altri ancora ha visto come ampliamento del danno morale (le parole). Senonché il diverso modo di intendere le parole (danno esistenziale, danno morale, danno biologico relazionale) ha fatto perdere di vista che il mutamento era intervenuto nelle cose: il

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9 diritto vivente era cambiato (6).

Tutto questo per dire che il conflitto fra esistenzialisti e non esistenzialisti, in buona misura, è dipeso da mere ragioni linguistiche: il fatto che nei dicta vi fosse o non vi fosse il richiamo esplicito al danno esistenziale. Del resto nessuno ha mai pensato che il danno esistenziale possa costituire una categoria autonoma dal danno patrimoniale e dal danno non patrimoniale. Per di più, avendo questo ad oggetto la perdita di un fare a-reddituale del soggetto, diverso sia dal danno biologico del quale difetta della lesione medicalmente accertabile, sia dal danno morale, inevitabilmente la sua collocazione sistematica non poteva non essere l’art. 2059 c.c., giacché le conseguenze pregiudizievoli della lesione valutabile alla stregua dell’art. 2043 c.c. sono solo di carattere patrimoniale.

Senonché una certa confusione creata dalle parole ha rischiato di mettere in discussione anche taluni concetti che ci provengono dalla tradizione.

2.1. Tipicità ed atipicità del danno: i rischi di ambiguità.

(6) Mi sembra che la sentenza sul danno da fumo renda bene l’idea di ciò che si sostiene nel testo, Cass., 30 ottobre 2007, n. 22884, in Mass. Foro it., 2007, in motivazione, sul presupposto che non è stato liquidato nulla a titolo di nuovo danno non patrimoniale ha deciso che «la predetta motivazione, quindi, non indica se il giudice nella liquidazione dell’unitario danno non patrimoniale abbia tenuto conto solo delle sofferenze morali degli attori, danneggiati dalla morte del congiunto, o anche (in tutto o in parte) dei profili di danno non patrimoniale, derivanti dalla perdita del rapporto parentale, con i conseguenti pregiudizi alla quotidianità della vita, quale si era in precedenza instaurata. A tale complessiva valutazione provvedere il giudice del rinvio».

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10 La tipicità o la atipicità sono qualità delle quali normalmente gli interpreti hanno discusso con riguardo alla portata precettiva del danno ingiusto nell’art. 2043 c.c., inteso come clausola generale È la meritevolezza dell’interesse leso nella sfera giuridica altrui che non deve essere previamente tipizzato in alcuna norma ad attribuire natura atipica l’illecito aquiliano, come del resto ha avuto modo di decidere la Cass. 500 del 1999, chiudendo il cerchio sulla portata di clausola generale del danno ingiusto. Ora la tipicità o la atipica sono diventate attributi anche delle conseguenze della lesione (del danno ingiusto); così è si dice che il danno patrimoniale è atipico, mentre che è tipico il danno non patrimoniale (7).

Il fatto che l’art. 2043 c.c., in conseguenza di diversi secoli di vigenza di regole giuridiche, non limiti il risarcimento di tutte le conseguenze patrimoniali di un certo fatto o di un certo inadempimento non significa che il danno patrimoniale è atipico, ma che il patrimonio del danneggiato deve essere compensato integralmente della perdita o del mancato guadagno conseguenze dell’illecito. Significa che l’unico limite alla risarcibilità del danno patrimoniale è dato dalla operatività delle regole in punto di causalità giuridica (art. 1223 c.c.). Il fatto che l’art. 2059 c.c. limiti il risarcimento del danno non

(7) Tralascio di rifletter sulla scomposizione ulteriormente prospettata all’interno del danno patrimoniale fra danno emergente e lucro cessante, perché questi ultimi concetti non indicano specie diverse di danno, come ad esempio il danno biologico ed il danno da perdita di chance, ma sono modi per descrivere il danno patrimoniale. Su questi aspetti ho riflettuto in FRANZONI, Il danno risarcibile, Milano, 2004, Titolo I, Cap. II, intitolato « I concetti descrittivi del danno patrimoniale».

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11 patrimoniale ai casi previsti dalla legge e fra questi quelli indicati da una norma costituzionale, ad es. l’art. 2 cost., non significa che il danno non patrimoniale sia tipico, ma che non tutte le conseguenze di carattere non patrimoniale sono rilevanti per il diritto. Significa, invece, che in aggiunta alle comuni regole della causalità, chiamate ad operare su un terreno diverso da quello che l’anno vista nascere,va considerato l’ulteriore criterio selettivo rappresentato dalla legge.

In concreto, quando c’è la lesione di una situazione soggettiva di carattere non patrimoniale, occorre valutare:

a) se questa assuma rilievo quale danno ingiusto (art. 2043 c.c.) e nel fare ciò si deve esprimere il giudizio in considerazione del rilievo che questa situazione ha rispetto all’art.

2 cost.;

b) successivamente va valutato se il disagio per la lesione patita sia socialmente apprezzabile, tenuto conto delle circostanze del caso, della qualità della vita della vittima, più in generale di quella idea di salute che non si identifica con l’assenza della malattia, ma con il completo stato di benessere psicofisico, conseguente al fatto di poter fare e così facendo di poter svolgere la propria personalità (8).

(8) Così ad es. in una delle sentenze riportate fra quelle dei non esistenzialisti dall’ordinanza in commento si afferma che «la serenità e la sicurezza non costituiscono, in se stesse considerate, diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti alla persona, con la conseguenza che la loro lesione non consente il ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale» con ciò pare che la Cass., 12 febbraio 2008, n. 3284,

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12 In altri termini la tutela giuridica apprestata con il danno patrimoniale è generale, mentre non è tale quella del danno non patrimoniale. Senonché questo assunto non richiede espressamente l’impiego della categoria della tipicità o della atipicità, che nel tradizionale dibattito fra i civilisti ed i penalisti ha sempre decritto l’esistenza di una specifica norma di protezione per la lesione subita dalla vittima, non per indicarne gli effetti economici o non economici. Diversamente, si corre il rischio di ridurre il danno non patrimoniale (anche il danno esistenziale), al solo profilo della lesione dell’interesse personale di rilievo costituzionale, e di soprassedere rispetto alla valutazione dei riflessi soggettivi sulla vittima, nei termini di un peggioramento della capacità svolgere la sua personalità, dunque di godere del completo benessere psicofisico: in altri termini il fare a-reddituale.

in Mass. Foro it., 2008, voglia risolvere in punto di ingiustizia del danno (art. 2043 c.c. rispetto all’art. 2 cost.) una vicenda che, al contrario, avrebbe probabilmente potuto essere apprezzata sotto il profilo della mancanza di conseguenze pregiudizievoli di carattere non patrimoniali. La questione riguardava la richiesta condanna alla rimozione di un lampione per l’illuminazione pubblica posto da un Comune nell’immediata vicinanza della facciata del palazzo nel quale abitava la vittima. Poiché la distanza era molto ravvicinata dal suo appartamento la vittima temeva qualunque malintenzionato potesse accedere, ed in questo modo lamentava il pregiudizio al «suo diritto “alla salute ed alla sicurezza della persona”, tanto più in relazione ai possibili pericoli connessi alla sua qualità di magistrato». In questa vicenda non mi pare che la questione riguardi il fatto che “la serenità o la sicurezza” costituiscano o non costituiscano

«diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti alla persona»: mi sembrerebbe difficile escluderlo (artt. 2; 41, comma 2°, cost.). Quindi la lite non dovrebbe essere risolta in punto di ingiustizia del danno, ma per la mancanza di conseguenze che si asseriscono pregiudizievoli, secondo un rilievo socialmente apprezzabile.

Insomma, la serenità e la sicurezza costituiscono diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti alla persona, ma non vengono in questione per un lampione che crea una situazione di pericolo sussistente soltanto per l’attore in giudizio e non per qualsiasi persona. Sono le conseguenze del fatto a risultare carenti non l’inesistenza di un interesse leso.

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13 2.2. Il danno alla salute ed il danno esistenziale.

Nel § 14, l’ordinanza in commento così motiva: «la dottrina non ha poi mancato di osservare come, a mente del capo III, titolo X, d.lgs. 209/2005 (cd. “codice delle assicurazioni”), il combinato disposto degli artt. 137 (danno patrimoniale) e 138/139 (danno biologico) potrebbe addirittura indurre a ritenere legittimamente risarcibili soltanto tali voci di danno, dovendosi per volontà dello stesso legislatore identificare ormai l’intero danno non patrimoniale con il danno biologico, così abbandonando la triplice configurazione prospettata nel 2003». Il punto è tutt’altro che scontato, ma anche questo è stato il risultato di quei «forti momenti di contrasto (e [di] non poca confusione) sugli aspetti morfologici e funzionali del danno non patrimoniale» (9).

Così, ad esempio, il fatto che dopo il 2003 il danno non patrimoniale si sia tripartito, non significa che ogniqualvolta venga leso un bene o un interesse di rilievo costituzionale ricorrano costantemente i presupposti per la liquidazione del danno biologico, del danno non patrimoniale (il danno esistenziale) e del danno morale. Senza che la considerazione si traduca in una posizione antiesistenzialistica, può accadere che in seguito ad un sinistro stradale la liquidazione del solo danno biologico e del danno

(9) Cass., ordinanza interlocutoria, 25 febbraio 2008, n. 4712, cit.

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14 morale soggettivo, esaurisca le conseguenze di quella lesione (10). Del resto, se è vero che il danno biologico, in quanto risultato dell’accertamento medico legale, si approssimo alla lesione della integrità fisica dell’art. 5 c.c. è pur anche vero che questo ricopre un’area che attiene alla impossibilità di un fare a-reddituale che altrimenti certi medico legali chiamano invalidità. Questa invalidità ha una precisa causa data dalla lesione psico fisica medicalmente accertata, ma le conseguenze di questa lesione consistono nella incapacità o maggiore difficoltà di vivere secondo un certo standard comune a tutte le persone.

Tutto questo non significa che gli artt. 137 (danno patrimoniale), 138 e 139 (danno biologico) del d.lgs. 209/2005 (cd. “codice delle assicurazioni”), negano spazio al danno esistenziale, significa invece che, specie per le micro permanenti, manca in concreto un danno esistenziale da risarcire, accanto al danno biologico.

(10) Nonostante il linguaggio possa apparire diverso, mi sembra questa la ratio decidenti della Cass., 9 novembre 2006, n. 23918, anche in Foro it., 2007, I, c. 71, e commentata su molte riviste: «posto che, ai fini della risarcibilità dei danni non patrimoniali, non può farsi riferimento ad una generica categoria di danno esistenziale, in quanto, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge [il rinvio sembra essere all’art. 2087 c.c.], occorre la lesione di specifici valori della persona umana costituzionalmente garantiti, a chi lamenti di aver subito una lesione deturpante a seguito di un intervento chirurgico non correttamente eseguito, non si può accordare una somma ulteriore, a titolo di risarcimento del danno esistenziale, rispetto a quanto liquidato per tale pregiudizio, a titolo di danno biologico e morale». Nel caso di specie la corte ha ritenuto che «il danno biologico correttamente era stato determinato nella misura del 14%, anche sotto il profilo delle funzioni fisico-psichiche; che, liquidato il danno biologico nella misura di Euro 20.393,00 sulla base delle tabelle in uso presso il tribunale di Roma, equa era la liquidazione del danno morale nella misura della metà, indice massimo previsto da tali tabelle, e, quindi in Euro 10.000,00».

Come accade in molti danno da sinistro stradale una volta liquidato il biologico ed il morale non resta altro.

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15 3. Il danno in re ipsa ed il danno da allegare o da provare.

Il danno esistenziale in Cassazione, sezione I, nasce secondo il modello del danno in re ipsa, ossia di quel danno che si riassume nella sola dimostrazione della lesione di interesse costituzionale (11). Per lungo tempo l’esistenza in re ipsa del danno non patrimoniale ha aperto un vero e proprio conflitto tra gli interpreti. Molte diatribe fra esistenzialisti e non esistenzialisti in realtà celano un più profondo e concreto dissidio in punto di onere prova. Del resto un conto è affermare che provata la lesione il danno va soltanto quantificato con l’impiego dell’equità, altro conto è dire che provata la lesione occorre inoltre allegare o provare la rilevanza delle conseguenze di quella rispetto alla qualità della vita della vittima o rispetto al suo fare a-reddituale (12).

Nel primo caso la vicenda è molto prossima all’illecito penale, ci sono tutti i tratti

(11) Cfr. Cass., 7 giugno 2000, n. 7713, in Foro it., 2001, I, c. 187, con nota di D’ADDA; in Giur. it., 2000, p. 1352, con nota di PIZZETTI; in Corriere giur., 2000, p. 873, con nota di DE MARZO; Danno e resp., 2000, p. 835, con note di MONATERI e PONZANELLI: «la violazione dei diritti fondamentali della persona umana, collocati al vertice della gerarchia dei diritti costituzionalmente garantiti, deve essere risarcita, quale lesione in sé ed indipendentemente dai suoi profili patrimoniali, non come danno morale, ma come danno esistenziale e secondo la regola di responsabilità aquiliana contenuta nell’art. 2043 c.c.

in combinato disposto con l’art. 2 cost.».

(12) Per un caso diventato noto: Cass., 27 giugno 2007, n. 14846, in Mass. Foro it., 2007: «la perdita del cavallo in questione, come animale da affezione, non sembra riconducibile sotto una fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta. La parte che domanda la tutela di tale danno, ha l’onere della prova sia per l’an che per il quantum debeatur, e non appare sufficiente la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita delle qualità della vita. Inoltre la specifica deduzione del danno esistenziale impedisce di considerare la perdita, sotto un profilo diverso del danno patrimoniale (già risarcito) o del danno morale soggettivo e transeunte».

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16 tipici del danno punitivo; nel secondo, invece, la questione si presenta simile a tutti quelli che la trattatistica ci ha consegnato come fatti illeciti. Senonché respingere una condanna per mancanza di prova del danno non significa essere o non essere esistenzialisti; significa affermare che anche il danno non patrimoniale deve essere dimostrato nel processo.

Su questo punto, nonostante le sentenze del 31 maggio 2003 fossero state chiarissime nel respingere il danno in re ipsa dalle categorie giuridiche del danno, e nonostante analoga decisione fosse già stata presa anche da una precedente sentenza resa a sezioni unite (13), un certo passato legato alla qualificazione del danno biologico nei termini di tertium genus ha creato ulteriore confusione nella costruzione del danno non patrimoniale. Pertanto l’ordinanza in commento chiede conferma alla cassazione nel § 9 del fatto che «tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili se (e solo se) di entrambi il danneggiato fornisca la prova (anche mediante allegazioni e presunzioni), non esistendo, nel nostro sottosistema civilistico, “danni in re ipsa”».

(13) Cfr. Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, anche in Foro it., 2006, I, c. 1344; e in La responsabilità civile, 2006, p. 883, con nota di TUOZZO, Demansionamento, onere della prova e danno esistenziale: «il risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale derivante dal demansionamento e dalla dequalificazione del lavoratore postula l’allegazione dell’esistenza del pregiudizio e delle sue caratteristiche, nonché la prova dell’esistenza del danno e del nesso di causalità con l’inadempimento, prova che, quanto al danno esistenziale, può essere fornita anche ricorrendo a presunzioni».

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17 È prevedibile che la decisione confermerà la soluzione già intrapresa, fra l’altro coerente con la tradizione giuridica. La costituzione, come norma primaria nel sistema delle fonti rispetto alla legge ordinaria, può legittimare un certo riassetto dell’ordine dei valori che il diritto deve tutelare, può favorire la nascita di nuovi diritti, ma non può eliminare il modo in cui i diritti devono essere fatti valere. Così, senza con ciò voler divagare, la costituzione tutela il diritto di proprietà, ma in seguito ad un tamponamento del veicolo la vittima deve dimostrare il danno (patrimoniale) in concreto subito. Il modello di ragionamento deve essere riproposto anche per la persona, compatibilmente con la diversa natura del danno non patrimoniale che pone questioni di prova differenti rispetto al danno patrimoniale.

4. Il danno esistenziale da demansionamento: il danno non patrimoniale da inadempimento dell’obbligazione.

Sul danno esistenziale da demansionamento vale la pena si spendere qualche parola. Più in generale, il tema riguarda il risarcimento del danno non patrimoniale anche in seguito ad un inadempimento contrattuale. La vicenda è stata spesso sottoposta all’attenzione della giurisprudenza dei giudici di merito, spesso di equità; non ha avuto il pieno risalto dalla giurisprudenza lavoristica, poiché il rinvio all’art. 2087 c.c., con la tipicità, ha consentito di risolvere ogni questione, senza dover fare ricorso a

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18 principi sistematici (14). Al contrario il tema è attuale e sarebbe opportuno che le Sezioni unite dessero qualche indicazione al riguardo. Basti pensare che ormai anche molte cause in punto di responsabilità degli intermediari finanziari per carente informazione sui prodotti finanziari collocati sono spesso accompagnate dalla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, derivante dalla lesione del diritto al risparmio, tutelato dall’art. 47 cost. (15).

Una idea potrebbe essere quella che muove dalle ragioni tradizionali che hanno ammesso il cumulo della responsabilità contrattuale e della responsabilità extracontrattuale negli anni cinquanta, nell’ipotesi di infortunio subito nel corso di un contratto di trasporto di persone (16). Il problema risolto in quegli anni nasceva dal fatto che non si poteva applicare direttamente alla responsabilità contrattuale l’art. 2059 c.c., poiché la collocazione della norma non ne permetteva l’estensione. Del resto l’unico rinvio è quello dell’art. 2056 c.c. nell’art. 1223 ss. c.c. non ve n’è traccia. Dunque, per

(14) Per certi versi, seppure per ragioni diverse, lo stesso è accaduto per il risarcimento del danno da vacanza rovinata, sul quale ora art. 94 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

(15) Tra le tante, Trib. Rimini, 6 giugno 2007, in Danno e resp., 2008, fasc. I, con nota di PONZANELLI. Al

riguardo anche Trib. Pescara, 28 dicembre 2007, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1099.pdf; Trib. Lecce, 12 giugno 2006, n. 1105, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/397.pdf; Trib. Cosenza, 1 marzo 2006, n. 361, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/361.pdf; Trib. Ivrea 6 giugno 2007, n. 310, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/979.pdf; Trib. Udine, 21 marzo 2007, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/552.htm; Trib. Alba 3 ottobre 2007, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1076.htm.

(16) Cfr. FRANZONI, Il danno risarcibile, cit., Parte III, Titolo II, Cap. I, § 1.

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19 garantire il danno morale agli infortunati da un contratto di trasporto, gli interpreti pensarono di cumulare le responsabilità, sul presupposto che il fatto di infortunio costituiva inadempimento al contratto e nel contempo lesione di un diritto della personalità, dunque che anche la responsabilità civile poteva essere chiamata in causa.

Ora è un dato acquisito che un contratto può essere riguarda come atto, ma anche come fatto giuridico, in particolare come fatto illecito. Nella truffa, ad esempio, il raggiro o l’artificio può essere realizzato proprio inducendo la vittima a concludere un contratto dal quale subirà un danno. Nel contratto di lavoro o nel rapporto di lavoro, proprio perché questo implica che la formazione della personalità del lavoratore possa essere condizionata dalle vicende contrattuali, può accadere che la medesima violazione possa assumere il carattere dell’inadempimento e della la lesione di un bene o un interesse del lavoratore di rilievo costituzionale. Riterrei che in questa chiave sia da leggere l’art. 2087 c.c., ma riterrei anche che la tecnica di ricondurre qualsiasi lesione ad un interesse della persona di rilievo costituzionale possa esser impiegata per ogni inadempimento di un’obbligazione. Se c’è la domanda di parte e se c’è la prova che è stato leso un interesse di rilievo costituzionale, è invocabile il concorso tra la responsabilità extracontrattuale e la responsabilità da inadempimento dell’obbligazione, poiché, astrattamente, l’inadempimento di ogni contratto può essere nel contempo lo strumento per realizzare un fatto illecito.

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20 Insomma dietro il danno non patrimoniale nell’ambito del rapporto di lavoro c’è la tendenza presente anche in altri ordinamenti di estendere il danno non patrimoniale pure all’ambito contrattuale. Senza pretese di completezza, ricordo la importante modifica apportata al B.G.B. § 253; nei Principi unidroit dei contratti commerciali internazionali 2004, all’art. 7.4.2, comma 2°, (Risarcimento integrale), è previsto che «il danno può essere di natura non patrimoniale e comprende, per esempio, la sofferenza fisica e morale». Ancora nei Principi di diritto europeo dei contratti (c.d. Codice Lando) all’art. 9:501, comma 2°, (Diritto al risarcimento), è previsto che «la perdita di cui può essere domandato il risarcimento comprende: (a) il danno non patrimoniale; e (b) la perdita futura che è ragionevolmente prevedibile»; analoga regola con portata generale si trova nei Principi di diritto europeo della responsabilità civile.

Con queste premesse l’impiego non sistematico della categoria del danno esistenziale potrebbe costituire il viatico per legittimare il danno non patrimoniale quale conseguenza di ogni inadempimento. Non mi sembra questa una idea apprezzabile, vuoi perché la rottura con la tradizione sarebbe troppo drastica, vuoi perché un eccessivo impiego del risarcimento potrebbe dissuadere l’intrapresa di attività umane.

Occorre, tuttavia, individuare un criterio che consenta di stabilire quando il risarcimento del danno non patrimoniale debba essere concesso e quando invece non sussista.

Nell’immediato il criterio mi sembra quello che ci deriva dalla tradizione; ogni

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21 qual volta vi sia la lesione di un interesse personale di rilievo costituzionale l’illecito è plurioffensivo: può costituire un inadempimento e nel contempo può costituire un fatto illecito. Per questa via può trovare ingresso il risarcimento del danno non patrimoniale, ma così facendo si impiega la tecnica del cumulo di responsabilità di diversa fonte per limitare il risarcimento, non per ampliare. In altri termini il concorso è una tecnica per limitare il danno da stress a quello che risulti conseguenza di quelle lesioni meritevoli di tutela.

In conclusione la storia del diritto ci consegna la figura del cumulo di responsabilità per risarcire la vittima in modo adeguato, sostanzialmente per attribuirle di più di quanto potrebbe ottenere con la sola responsabilità da inadempimento. Qui il concorso potrebbe essere impiegato per attribuire alla vittima, oltre al risarcimento del danno conseguente ad una responsabilità da inadempimento, il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di un bene o interesse di rilievo costituzionale accertato con le tecniche della responsabilità civile. Una volta stabilito che il danno non patrimoniale, sub specie di danno esistenziale, deve essere concesso, la vittima deve allegare le conseguenze a sé sfavorevoli ed eventualmente provare l’entità di quanto ha patito (17). Non nego che al medesimo risultato si potrebbe giungere anche legando il

(17) L’ordinanza in commento si è posta il problema nel § 4 delle conferme quando afferma: «deve, ancora, darsi seguito all’orientamento, espresso da Cass., n. 23918 del novembre 2006, secondo il

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22 risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento all’art. 1174 c.c., norma che attribuisce mette in correlazione il valore della prestazione con «un interesse, anche non patrimoniale, del creditore».

Senonché l’evoluzione del danno esistenziale e del danno non patrimoniale mi sembra che si spieghi meglio con l’impiego del cumulo di responsabilità per evitare che ogni inadempimento produca un danno non patrimoniale.

5. La tripartizione del danno non patrimoniale: vale la pena di essere ripensata?

L’ordinanza della Corte chiede se, oltre al danno biologico ed al danno morale, vi sia spazio anche per un danno esistenziale (§ 1); con ciò chiede la conferma dell’orientamento inaugurato con le sentenze gemelle del 2003, se si accoglie l’idea che il nuovo danno non patrimoniale altro non sia che il vecchio danno esistenziale (18). Con queste premesse, può valer la pena di domandarsi se la richiesta della III sezione vada al di là di quella formale richiesta e miri invece a richiedere una più generale quale il dictum di cui alla sentenza a sezioni unite di questa corte del precedente mese di marzo doveva intendersi limitato, quanto al riconosciuto danno esistenziale, al solo ambito extracontrattuale, ovvero affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell’illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano?».

(18) Ho sostenuto questa tesi fin dal commento alle Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827; Cass., sez.

III, 31 maggio 2003, n. 8828, anche in Corriere giur., 2003, p. 1031, con nota di FRANZONI, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona; ed ho ripetuto la tesi successivamente ID., Il danno risarcibile, cit.; ID., Il danno esistenziale è il nuovo danno non patrimoniale, in Corriere giur., 2006, p. 1388, in nota a Cass., 12 giugno 2006, n. 13546.

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23 sistemazione all’intera area del danno non patrimoniale. In effetti mi sembra indiscutibile che il danno biologico sia parte del danno non patrimoniale e rappresenti un suo aspetto socialmente tipizzato: ormai con questo si richiama un’ampia ed elaborata disciplina dipendente dalla lesione psico fisica della persona. In questa disciplina si trovano sia criteri per stimare questo pregiudizio, attraverso i punti in percentuale di riduzione della integrità psicofisica di stretta competenza medico legale, sia la traduzione in un valore economico di questi punti.

Senonché è ormai indiscutibile che oltre al danno alla salute dell’art. 32 cost. (ma in fondo dell’art. 5 c.c.) possa essere risarcito con il danno non patrimoniale qualsiasi altra lesione personale di interesse costituzionale ai sensi dell’art. 2 cost. Che poi questa perdita debba essere chiamata danno esistenziale o danno non patrimoniale secondo la rilettura costituzionale, non mi pare che sia un argomento decisivo. La vera questione è che non soltanto la lesione personale medicalmente accertata può essere causa di un danno non patrimoniale (danno biologico), ma anche una qualsiasi altra, fonte di uno stress dipendente dalla lesione di una posizione soggettiva costituzionalmente garantita, può dare ingresso al danno non patrimoniale (danno esistenziale). Si legge nella ordinanza: «il danno biologico e il danno esistenziale hanno morfologia omogenea (entrambi integrano una lesione di fattispecie costituzionali, quella alla salute il primo, quelle costituite da “valori/interessi costituzionalmente protetti” il secondo) ma funzioni

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24 diversificate (anche per volontà del legislatore ordinario), con conseguenti differenze sul piano dei parametri valutativi delle poste risarcitorie». Probabilmente la funzione diversificata dipende dalla tipologia della lesione che nel biologico si approssima di più al concetto di validità della persona, mentre nel «danno esistenziale attiene alla sfera del fare a-reddituale del soggetto, e si sostanzia nella lesione di un precedente “sistema di vita”, durevolmente e seriamente modificato, nella sua essenza, in conseguenza dell’illecito» (19).

Non escluderei che questo fare a-reddituale del soggetto sia presente anche nel danno biologico, nel suo aspetto relazionale e che proprio per questa ragione il primo possa escludere il danno esistenziale poiché l’area ricoperta dal primo va in sovrapposizione con il secondo. Inoltre i criteri liquidativi del danno biologico presentano quel grado di elasticità che consente al giudice di personalizzare il danno anche in ragione del pregiudizio al profilo relazionale. Del resto ricordo che «agli effetti della tabella per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua

(19) Cass., ord. interlocutoria, 25 febbraio 2008, n. 4712, cit.

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25 capacità di produrre reddito» (art. 138, comma 2°, lett. a, d.lgs. 7 settembre 2005, n.

209). Ed ancora: «qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato»

(art. 138, comma 3°, cit.). Si può discutere forse sul fatto che la percentuale di personalizzazione sia sufficiente, ma non si può negare che, in presenza di un diminuzione della integrità psicofisica, tra il danno biologico ed il danno esistenziale vi sia una sostanziale sovrapposizione.

Probabilmente sono maturi i tempi per affermare che l’oggetto della tutela della persona è lo «stato di completo benessere psico-fisico inteso non soltanto come assenza di malattia» come ci indica l’organizzazione mondiale della sanità, leggendo con altri occhi il contenuto dell’art. 2 cost. Questa tutela, per via della storia trascorsa in Italia, si realizza con l’impiego del danno biologico, quando c’è una lesione rispetto alla quale il medico legale possa intervenire; si realizza, invece, con il danno esistenziale, quando l’offesa sia grave rispetto al sistema di valori costituzionali ed anche quando siano gravi e durevoli le conseguenze dannose scaturenti dal comportamento illecito (20).

(20) Cfr. Cass., ord. interlocutoria, 25 febbraio 2008, n. 4712, cit. § 2.

(26)

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26 A questo punto qual è lo spazio del danno morale?

6. Il danno non patrimoniale e il danno morale.

È pacifico che il presupposto del danno morale, storicamente si è allontanato dal fatto che costituisce reato, al punto che l’esistenza del fatto che costituisce reato è diventato sempre più un dato quasi evanescente. Basti considerare che sono aumentate le ipotesi di espressa previsione del risarcimento del danno non patrimoniale, al di fuori della previsione del fatto di reato. Inoltre al danno morale può essere condannato anche l’autore del fatto, seppure la vittima non abbia proposto la querela, basti pensare ancora che può essere condannato pure il non imputabile. Per di più l’ultima decisione in tema di prova anche per presunzione legale del fatto di reato finisce per essere uno dei tanti episodi che hanno visto l’erosione della regola tradizionale dell’art. 185, comma 2°, c.p. (21)

Orbene l’allontanamento dal fatto di reato comporta l’allontanamento dall’idea che questo risarcimento possa avere una funzione punitiva, secondo l’insegnamento della tradizione. Ancora allo stato attuale l’oggetto del danno morale «si caratterizza […]

per una diversa ontogenesi, restando circoscritto nella sfera interiore del sentire, mai

(21) Cass., 1 giugno 2004, n. 10482, in Danno e resp., 2004, p. 953, cit.

(27)

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27 destinata all’obbiettiva esteriorizzazione» (22). Sono ancora frequenti le massime che declinano il danno morale soggettivo «nella sofferenza contingente e nel turbamento dell’animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato» (23). È questa una formula tralatizia che è valsa anche a reggere il confronto fra il danno morale ed il danno esistenziale o il danno non patrimoniale risultato delle rilettura costituzionale dell’art. 2059 c.c.

Sarebbe auspicabile risistemare compiutamente l’intero danno non patrimoniale ed abbandonare una serie di ambiguità che, di fatto, sono sempre state accettate in omaggio all’assunto: quieta non movere. Così, a tacer d’altro, la sofferenza contingente ed il turbamento dell’animo transeunti possono essere patiti soltanto dalla persona fisica, per di più da una persona capace di intendere e di volere. È pacifico, invece, che anche le persone giuridiche e gli altri enti possano essere titolari del diritto al risarcimento del danno morale: “anche le persone giuridiche soffrono”, anche se questa sofferenza si trasforma in una perdita di immagine e di credibilità (24). Ancora è pacifico

(22) Cass., ord. interlocutoria, 25 febbraio 2008, n. 4712, cit. § 6, dei punti da confermare.

(23) Cass., 24 aprile 2007, n. 9861, in Mass. Foro it., 2007; Cass., 15 gennaio 2005, n. 729, in Dir.

informazione e informatica, 2005, p. 781; Cass., 19 ottobre 2005, n. 20205, ivi, 2005, p. 787.

(24) Cass., 18 febbraio 2005, n. 3396, in Mass. Foro it., 2005, p. 225; Cass., 3 marzo 2000, n. 2367, in Danno e resp., 2000, p. 490, con nota di CARBONE, Il pregiudizio all’immagine e alla credibilità di una spa costituisce danno non patrimoniale e non danno morale: «danno non patrimoniale e danno morale sono nozioni distinte: il primo comprende ogni conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento sibbene di riparazione, mentre il secondo consiste nella c.d. pecunia doloris; poiché il danno non patrimoniale

(28)

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28 che il minore, incapace per ragioni di età, ed anche il concepito possano chiedere ed ottenere il risarcimento del danno morale per la perdita di un congiunto, nonostante sia indubitabile la loro impossibilità (25). Mi torna in mente quando, prima della sentenza 500 del 1999, si affermava che il danno ingiusto dell’art. 2043 c.c. stava a significare danno contra ius ed ugualmente si risarciva il danno da lesione del possesso e da perdita del congiunto unito in una convivenza more uxorio: il possesso è una situazione di fatto così come la convivenza more uxorio.

Ora come allora non si dice la verità, seppure per ragioni diverse. La scelta di qualificare il danno ingiusto come danno contra ius rispondeva all’esigenza di negare il risarcimento alla lesione degli interessi legittimi che, in quanto interessi e non diritti,

comprende gli effetti lesivi che prescindono dalla personalità giuridica del danneggiato, il medesimo è riferibile anche a enti e persone giuridiche (nella specie, in applicazione di tale principio, la suprema corte ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto in favore di una società di capitali il risarcimento del danno non patrimoniale con riguardo a reato di diffamazione, accertato incidentalmente, quale fatto idoneo a pregiudicare l’immagine e la credibilità anche di persona giuridica) (il c.vo è mio)».

(25) Cass., sez. IV, 21 giugno 2000, in Corriere giur., 2001, p. 348, con nota di MOROZZO DELLA ROCCA, Il danno morale al concepito, ovvero il «già e non ancora» nella responsabilità civile: «ai fini della imputazione della responsabilità civile, il necessario nesso di causalità tra la condotta e l’evento e tra detto evento e le conseguenze dannose che ne derivino prescinde da qualunque criterio di contemporaneità, purché sussista l’adeguatezza causale; pertanto è risarcibile, iure proprio, il danno morale subito dal figlio della persona offesa che, alla data dell’incidente mortale, era stato già concepito ma non era ancora nato; in tal caso, il momento iniziale del verificarsi del danno è successivo alla nascita»; Trib. Terni, 2 marzo 2004, in Giur. merito, 2004, p. 2205: «è risarcibile il danno morale, conseguente all’uccisione del padre, subito da chi, al momento dell’evento, era concepito ma non ancora nato, posto che l’art. 2043 c.c. non richiede, per la sua operatività, la contemporaneità tra condotta e pregiudizio e, quindi, l’esistenza del soggetto passivo al momento dell’illecito»; App. Torino, 4 ottobre 2001, in Danno e resp., 2002, p. 151, con nota di BONA, La violazione del rapporto familiare nel segno del danno esistenziale.

(29)

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29 rimanevano fuori del ius. La scelta di conservare il danno morale come autonoma voce di danno è invece funzionale a conservare una certa tradizione sul danno morale che risale all’art. 38 c.p. Zanardelli del 1889 ed all’art. 7 c.p.p. del 1913. La prima norma disponeva: «oltre alle restituzioni e al risarcimento dei danni, il giudice, per ogni delitto che offenda l’onore della persona e della famiglia, ancorché non abbia cagionato danno, può assegnare alla parte offesa, che ne faccia domanda, una somma determinata a titolo di riparazione». La seconda norma prevedeva: «il reato può produrre azione civile per il risarcimento del danno e per le restituzioni. I delitti contro la persona e quelli che offendono la libertà individuale, l’onore della persona o della famiglia, l’inviolabilità del domicilio o dei segreti, anche se non abbiano cagionato danno, possono produrre azione civile per riparazione pecuniaria». Per la verità in questi testi c’è l’idea della riparazione che non necessariamente si apparenta con quella di punizione, senonché è pacifico che la storia del diritto ci ha consegnato queste espressioni come congeniali all’idea di danno morale (26).

Quando ancora era in auge la distinzione fra danno evento (o danno in re ipsa) e danno conseguenza c’era un orientamento assolutamente pacifica nell’affermare che il danno morale era un danno conseguenza, come il danno patrimoniale, non invece il

(26) Segnalo che questa ricostruzione è stata effettuata da Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, c. 2053 ss., nelle considerazioni in diritto § 2.

(30)

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30 danno biologico (27). Per coerenza con questa premessa, il danno morale avrebbe dovuto essere oggetto di una prova rigorosa, come per il danno patrimoniale. Al contrario, per questa specie di danno, il risarcimento è sempre stato concesso sulla base di valutazioni equitative che prescindevano da una vera e propria prova anche di tipo presuntivo. Tutte le tabelle predisposte per il danno biologico prevedono la valorizzazione anche del danno morale, sebbene manchi un criterio medico legale cui parametrare l’intensità del dolore o del patimento, seppure transeunti. In definitiva, in via di fatto, l’unico vero danno in re ipsa è stato da sempre il danno morale, non il danno biologico (28). Proprio per questa ragione avevo sostenuto che una certa funzione punitiva poteva permanere in capo al danno morale, accanto a quella satisfattiva (29).

Ciò sul presupposto che per poter distinguere il nuovo (art. 2 cost.) dal vecchio (art.

(27) Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184, cit., nelle considerazioni in diritto § 4: «per poter distinguere il danno biologico dai danni morali subiettivi, come dai danni patrimoniali in senso stretto, occorre chiarire la struttura del fatto realizzativo della menomazione dell’integrità bio-psichica del soggetto offeso.

Ed a tal fine va premessa la distinzione tra evento dannoso o pericoloso, al quale appartiene il danno biologico, e danno-conseguenza, al quale appartengono il danno morale subiettivo ed il danno patrimoniale».

(28) La sola eccezione è rilevabile negli illeciti di diffamazione a mezzo di stampa dove la prova del danno è desunta talvolta dalla gravità del fatto, dalla rilevanza e diffusione del mezzo impiegato, dal profitto conseguito con l’illecito e così via: FRANZONI, Il danno risarcibile, Milano, 2004, Titolo II, Cap. IV, sez. V,

§ 2.2.

(29) Cfr. FRANZONI, Il nuovo corso del danno non patrimoniale: un primo bilancio, in La responsabilità civile, 2004, p. 9; ID., Il danno morale fra lettera della legge, ratio legis e compito dell’interprete, in Corriere giur., 2004, p. 510, nota a Trib. Roma, 20 gennaio 2004; ID., Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona, in Corriere giur., 2003, p. 1031; ID., Il danno patrimoniale e non patrimoniale da perdita delle relazioni parentali, in Resp. civ., 2003, p. 977; oltre che ID., Il danno risarcibile, cit.

(31)

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31 185, comma 2°, c.p.) danno non patrimoniale mi sembrava utile ragionare sulla funzione dell’uno e dell’altro più che sull’area occupata dall’uno (danno esistenziale) come dall’altro (danno morale).

Questa soluzione, tuttavia, non è in linea con l’idea del risarcimento del danno non patrimoniale che si è delineata in sede comunitaria e neppure con le tendenze legislative descritte in precedenze. Non è neppure in linea con la tendenza della Cassazione, risalente nel tempo, che si allontana dal fatto di reato accertato in concreto (30). Del resto è passato qualche tempo dal 2003, e forse sono mature le condizioni per ridisegnare ancora la categoria del danno non patrimoniale: così mi pare auspichi la stessa ordinanza in commento.

7. Prove tecniche per definire l’assetto del danno non patrimoniale.

La tradizione ci ha consegnato l’idea che l’art. 2059 c.c. fosse soltanto una norma ricognitiva, in buona sostanza dell’art. 185, comma 2°, c.p. e di poche altre norme. In corso d’opera le norme utili per rendere operativo il generale rinvio dell’art.

2059 c.c. sono notevolmente aumentate: si pensi

– agli artt. 89 c.p.c. e 598 c.p. in tema di espressioni sconvenienti contenute negli scritti

(30) Alludo, ad esempio, alla Cass., 1 giugno 2004, n. 10482, in La responsabilità civile, 2005, p. 132, cit.

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32 difensivi dell’avvocato;

– all’art. 2, comma 1º, l. 13 aprile 1988, n. 117, l’illegittima detenzione causata da colpa grave, dolo o diniego di giustizia di un magistrato;

– all’art. 15, comma 2°, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, danno da lesione della privacy per trattamento scorretto dei dati personali;

– all’art. 44, comma 7º, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), il quale ha stabilito che «con la decisione che definisce il giudizio il giudice può altresì condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale»;

– all’art. 3, comma 3°, l. 1 marzo 2006, n. 67, rubricata «Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni», se il fatto sia stato di discriminazione «in pregiudizio delle persone con disabilità»;

– all’art. 2 l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), «diritto all’equa riparazione» per la illegittima durata del processo; all’art. 37, commi 3° e 4°; 38, comma 1°, d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, rubricato «codice delle pari opportunità tra uomo e donna»

nell’ambito dei provvedimenti diretti a vietare le discriminazioni fra uomo e donna prevedono consentono al giudice di «provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita».

Le sentenze del 2003 non hanno negato che l’art. 2059 c.c. abbia la natura di

(33)

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33 norma di rinvio, ma hanno affermato che questo rinvio è soddisfatto con il richiamo all’art. 2 cost.: questo (nuovo) danno non patrimoniale è il danno esistenziale riclassificato sistematicamente. Del resto, a tutto voler concedere, mi pare inverosimile che accanto al danno biologico, al danno morale, al nuovo danno non patrimoniale (art. 2 cost.), si possa aggiungere pure il danno esistenziale, da collocare sempre all’interno dell’art. 2059 c.c.

Lo stato dell’arte è che, in conseguenza della rilettura costituzionale dell’art. 2059 c.c., a questa norma fanno capo:

(a) il rinvio legittimato dagli interventi legislativi sul danno biologico, che storicamente proviene dalla tipizzazione sociale del danno alla salute come danno biologico (art. 32 cost.);

(b) una serie di rinvii a norme che contengono fattispecie determinate, che corrispondono al modello del vecchio danno morale: il modello e il testo dell’art. 185, comma 2°, c.p.;

(c) il rinvio alla legge costituzionale nella quale si trova il bene o l’interesse personale oggetto di tutela, come rinvio aperto, poiché le norme costituzionale spesso sono a loro volta clausole generali (art. 2 cost.): il vecchio danno esistenziale.

La differenza fra le precedenti lettere (b) e (c) non è tra specie di danni diversi, ma indica la diversa fonte del danno non patrimoniale. In concreto ciò comporta che in

(34)

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34 presenza di un rinvio tecnico preciso (lett. b), ad esempio l’art. 15, comma 2°, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, oppure l’art. 3, comma 3°, l. 1 marzo 2006, n. 67; oppure l’art.

185, comma 2°, c.p., il danneggiato non deve provare la meritevolezza dell’interesse leso, secondo il dettato costituzionale. Questo giudizio, infatti, è già stata compiuto dalla legge, deve allegare e dimostrare che il peggioramento delle condizioni di vita è avvenuto a causa di quel fatto. Al contrario in presenza di un fatto diverso (lett. c), il danneggiato deve provare che quell’illecito ha leso un interesse personale di rilievo costituzionale; inoltre deve allegare e dimostrare che il peggioramento delle condizioni di vita è avvenuto a causa di quel fatto.

In definitiva, l’art. 2059 c.c. è una norma che può essere chiamata in causa soltanto dopo che il fatto abbia prodotto un evento da qualificare come danno ingiusto, secondo l’art. 2043 c.c. A questo punto, se quel danno ingiusto corrisponde ad una lesione tipizzata dalla legge si avrà il danno biologico (ad es. artt. 138 e 139 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) oppure il danno il danno non patrimoniale conosciuto come danno morale (ad es. art. 185, comma 2°, c.p.; art. 2, comma 1º, l. 13 aprile 1988, n.

117); se il danno ingiusto corrisponde ad una lesione personale non tipizzata dalla legge, ma di rilievo costituzionale, come è per il caso della lesione al rapporto parentale, si avrà il danno non patrimoniale corrispondente al danno esistenziale.

Il risultato è che il vecchio danno morale non può cumularsi con il vecchio danno

(35)

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35 esistenziale per la semplice ragione che, modificatisi entrambi successivamente al nuovo corso del 2003, hanno finito per perdere in concreto la capacità di distinguersi nel contenuto, quindi nel tipo di pregiudizio che mirano a riparare, e nella funzione.

In alternativa:

(A) si possono qualificare punitive quelle ipotesi riconducibili al vecchio danno morale, in questo modo la distinzione con il vecchio danno esistenziale è ontologica e funzionale e non ha bisogno di particolari dimostrazioni. Ho già rilevato in precedenza che questa soluzione non gode di particolari consensi;

(B) si potrebbe valorizzare l’aspetto transeunte del danno morale rispetto alla definitività del non fare a-reddituale del vecchio danno esistenziale: mi viene in mente da distinzione fra invalidità temporanea e invalidità permanente. È una soluzione che non mi entusiasma, anche perché la distinzione fra invalidità temporanea ed invalidità permanente nasce in sede medico legale, proprio perché è riferita alla funzionalità del corpo umano ed al suo modo di reagire alla malattia nel breve e nel lungo periodo.

Non mi sembra che il pregiudizio da riparare con il danno non patrimoniale, fuori del danno biologico, possa essere misurato con quei criteri. Inoltre resterebbe da spiegare perché il danno morale, riconducibile alla invalidità temporanea, possa essere risarcito soltanto in presenza di un rinvio che risponda ai criteri di tassatività (art. 185, comma 2°, c.p.; artt. 89 c.p.c. e 598 c.p.; art. 2, comma 1º, l. 13 aprile 1988, n. 117, e così

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36 via);

(C) si può continuare a seguire l’indicazione delle sentenze del 31 maggio 2003. In entrambe quelle sentenze è deciso che il nuovo danno non patrimoniale non si sovrappone al vecchio danno morale soggettivo e che, a certe condizioni, il giudice può condannare il responsabile a pagare entrambi, oltre al danno alla salute ed al danno patrimoniale. I giudici hanno affermato «che, costituendo nel contempo funzione e limite del risarcimento del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, il giudice di merito, nel caso di attribuzione congiunta del danno morale soggettivo e del danno da perdita del rapporto parentale, dovrà considerare, nel liquidare il primo, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazione del risarcimento. In altri termini, dovrà il giudice assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento» (31). In passato ho criticato questo procedere che evidenzia un grande buon senso, ma non dà criteri effettivi al giudice del merito per liquidare una danno non correttamente identificato teoricamente.

(31) Nella motivazione di entrambe le sentenze, Cass., 31 maggio 2003, n. 8827; Cass., 31 maggio 2003, n. 8828, cit.

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