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Questo complesso meccanismo, definito “trasduzione del segnale” consente all’informazione di passare da una molecola all’altra in un sistema di veri e propri messaggeri molecolari

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1.INTRODUZIONE.

Le interazioni tra le cellule e l’ambiente extracellulare sono mediate dalla membrana citoplasmatica. Questa struttura è un mosaico fluido dove, tra le altre, sono presenti specifiche proteine recettore. Il legame tra recettore ed il ligando extracellulare induce complessi e precisi meccanismi che consentono alla cellula di rispondere a stimoli esterni e di adattarsi ai mutamenti ambientali. Ormoni, fattori di crescita o differenziamento presenti nell’ambiente extracellulare sono componenti fondamentali dei sistemi regolatori degli organismi pluricellulari. Molti svolgono la loro funzione attraverso il legame e la conseguente attivazione di recettori di membrana con attività tirosina chinasica (RTK). La capacità di mediare processi cellulari quali replicazione e differenziamento è dovuto generalmente ad una serie di eventi che iniziano con il legame del ligando all’RTK, e proseguono con una cascata di reazioni biochimiche, un evento necessario per il trasferimento del segnale esterno a specifici compartimenti cellulari.

Questo complesso meccanismo, definito “trasduzione del segnale” consente all’informazione di passare da una molecola all’altra in un sistema di veri e propri messaggeri molecolari. Una classe importante e conservata nell’evoluzione dei messaggeri sono le proteine chinasi, enzimi che possono legare covalentemente gruppi fosfato su residui di Tyr, Ser, Thr in determinate regioni accettrici. Questa proteina si può trovare in forma attiva (fosforilata) e inattiva (defosforilata). Le proteine chinasi attivate a loro volta, fosforilano altre proteine facendo fluire la comunicazione fino ad una eventuale attivazione dei meccanismi di trascrizione o replicazione del DNA nel nucleo della cellula. Una particolare famiglia di proteine chinasi sono le MAPK (Mitogen Activated Protein Kinases) filogeneticamente conservate dal lievito fino ad arrivare all’uomo (Widmann et al., Review 1999).

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1.1. LA FAMIGLIA DELLE MAPK.

Specifici programmi intracellulari di trasduzione del segnale portano all’attivazione delle proteine chinasi attivate da mitogeni (MAPKs). Ogni cellula eucariotica possiede diverse vie di attivazione delle MAPK, che regolano differenti attività cellulari influenzando i processi di espressione genica, mitosi, metabolismo, motilità, sopravvivenza, apoptosi e differenziamento.

Fino ad oggi sono stati caratterizzati nei mammiferi diverse sottofamiglie di MAPK: chinasi regolate da segnali extracellulari (ERKs) 1, 2, 3, 4, 5 (ERK1/2/3/4/5); chinasi ammino-terminale di c-Jun (JNKs) 1, 2 e 3 ; p38 con le isoforme α, β, γ e δ. Considerando che il lievito Saccharomyces cerevisiae possiede sei differenti MAPK, la relativa complessità del genoma

umano suggerisce la probabile esistenza di altre sottofamiglie di MAPK. Le MAPK possono essere attivate da una grande varietà di stimoli, ma in generale ERK1 e ERK2 sono attivate preferenzialmente in risposta a fattori di crescita ed a esteri del forbolo, mentre JNK e p38 rispondono per lo più a stress quali shock osmotico, radiazioni ionizzanti e stimolazione da citochine. Sebbene ogni MAPK abbia caratteristiche uniche molte di esse condividono alcune vie di trasduzione sia a monte che a valle della loro attivazione. A monte delle MAPK vi sono MAPK chinasi (MAPKK) e MAPKK chinasi (MAPKKK). Le MAPKKK, sono serina-treonina chinasi, attivate attraverso fosforilazione e/o in seguito all’interazione con una piccola proteina legante GTP della famiglia Ras/Rho in risposta a stimoli extracellulari. L’attivazione delle MAPKKK porta alla fosforilazione ed alla conseguente attivazione di una MAPKK, che a sua volta attiva una MAPK tramite la doppia fosforilazione su residui di treonina e tirosina localizzati nella regione di attivazione del sottodominio VIII della chinasi. Una volta attivate, le MAPKs fosforilano i loro substrati (targets) su residui di serina e treonina seguiti da una prolina. La specificità della cascata delle MAPK è mediata dall’interazione con proteine strutturali che organizzano le vie di trasduzione in specifici moduli attraverso il legame simultaneo dei vari componenti di queste.

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L’ampio spettro di funzioni delle MAPK è ottenuto tramite la fosforilazione di diversi substrati fra i quali fosfolipasi, fattori di trascrizione e proteine citoscheletriche. Le MAPK catalizzano la fosforilazione e l’attivazione di diverse protein chinasi, dette protein chinasi attivate da MAPK (MKs), che rappresentano un passaggio di amplificazione enzimatica nella trasduzione del segnale. Queste ultime sono chinasi strutturalmente correlate che mediano differenti funzioni biologiche in risposta a stimoli di mitogeni e stress. La famiglia delle MK comprende le chinasi ribosomali S6 (RSKs), le chinasi attivate da mitogeni e da stress (MSKs), le chinasi che interagiscono con le MAPK (MNKs), le protein chinasi attivate da MAPK 2e 3 (MK2 e MK3, chiamate anche MAPKAP-K2 e -K3) e la protein chinasi attivata da MAPK 5 (MK5 chiamata anche MAPKAP-K5).

1.1.1 Meccanismi di attivazione

I recettori di membrana accoppiati a tirosina chinasi e a proteine G trasmettono segnali di attivazione alla cascata Raf/MEK/ERK attraverso differenti isoforme della piccola proteina legante GTP Ras. L’attivazione di Ras è dovuta a reclutamento di SOS (son of sevenless), un fattore di scambio per i nucleotidi di guanina. SOS stimola Ras a scambiare GDP con GTP, permettendo a questa di interagire con differenti proteine effettrici, fra le quali diverse isoforme della serina-treonina chinasi Raf. L’esatto meccanismo di attivazione di Raf è ancora poco conosciuto, ma sembra richiedere tanto il legame di Ras quanto una serie di eventi di fosforilazione a livello della membrana cellulare. La regolazione di entrambe Ras e Raf è cruciale per un corretto mantenimento della proliferazione, in quanto mutazioni “attivanti” in questi geni portano all’oncogenesi. Infatti, mutazioni di Ras sono state rilevate nel 30% di tutte le forme di cancro nell’uomo, mentre B-Raf è mutata nel 60% dei melanomi maligni.

Raf attivata lega e fosforila le chinasi MEK1 e -2 che a loro volta fosforilano ERK1 e 2 in un motivo conservato treonina-glutammato-tirosina (TEY) sito nel loro loop di attivazione.

L’amplificazione attraverso la cascata del segnale è così ampia che basta l’attivazione del 5%

delle molecole di Ras per indurre la completa attivazione di ERK1 ed ERK2.

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In S. cerevisiae le vie di MAPK sono organizzate da proteine di sostegno che assicurano l’efficienza e la specificità della cascata. La proteina di sostegno (scaffold) Ste5p lega selettivamente una precisa MAPKKK (Ste11p), una MAPKK (Ste7p) ed una MAPK (Fus3p), accoppiandole ai loro attivatori a monte. Nei mammiferi non è stato ancora identificato l’omologo di Ste5p, ma la proteina scaffold JIP-1 sembra avere funzioni simili nella cascata delle JNK. È stato dimostrato che molte proteine interagiscono con membri della cascata di ERK, portando ad una sua stimolazione o inibizione, fra le quali le proteine scaffold MP-1 e KSR e i modulatori CNK e RKIP.

1.1.2 Substrati e funzioni.

ERK1 e -2 sono distribuite in tutta la cellula quiescente, ma dopo la stimolazione una parte significativa di queste si accumula nel nucleo. Mentre il meccanismo di accumulo nucleare di ERK1 e -2 rimane poco conosciuto, molta importanza è rivestita dai processi di ritenzione nel nucleo, dimerizzazione, fosforilazione e rilascio dagli ancoraggi citoplasmatici. Dal momento che ERK1 e 2 hanno un ruolo fondamentale nella proliferazione, sostanze inibitrici della via di ERK vengono usate in trials clinici come potenziali agenti anti cancro. Due di queste vengono comunemente usate nella pratica di biologia cellulare. Entrambe U0126 e PD98059 sono inibitori non competitivi delle chinasi MEK1/2/5, prevenendo l’attivazione di ERK1/2/5.

ERK1 e -2 attivate fosforilano numerosi substrati in tutti i compartimenti cellulari, fra le quali varie proteine di membrana (CD120a, Syk e calnexina), substrati nucleari (SRC-1, Pax6, NF- AT, Elk-1, MEF2, c-Fos, c-Myc e STAT3), proteine citoscheletriche (neurofilamenti e paxillina) ed alcune MKs. RSKs, MSKs e MNKs rappresentano tre sottofamiglie di substrati di ERK1/2.

Mentre le MSK e le MNK sono attivate da entrambe le vie di ERK e p38, le RSKs sono attivate soltanto dalle ERK.

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Fig.1 schema della via di attivazione delle MAPK nei mammiferi.

La fig.1 mostra “pathways” di attivazione e successiva attività chinasica di ERK; la via inizia con il legame tra la molecola segnale e il recettore di membrana. Questa interazione permette ai recettori di membrana di reclutare tre molecole adattatrici: Shc, Gbr e Sos che possiede un sito

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catalitico per l’attivazione di Ras (scambia una molecola di GDP, con la quale era legato, con una di GTP). Ras attivato va a fosforilare Raf1 (altamente conservata in tutti gli eucarioti), la prima delle tre MAPK, attivandola. Segue l’attivazione di MEK1 e conseguente fosforilazione di ERK. In assenza di segnali ERK è localizzato nel citoplasma nella sua forma inattiva legato ad altre proteine di ancoraggio; in presenza di stimoli ERK viene rilasciato dalle proteine che lo sequestrano, dimerizza e trasloca nel nucleo dove fosforila fattori di trascrizione modificando l’espressione genica.

La traslocazione di ERK dal citoplasma al nucleo consente modificazioni a lungo termine nella cellula come la crescita, il differenziamento e la plasticità neurale.

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1.2. ERK1 ED ERK2.

Per molti anni si è pensato che le proteine ERK1/2 avessero la stessa funzione perché sono espresse negli stessi tessuti, condividono gli stessi substrati, mostrano la stessa localizzazione subcellulare ed il loro segnale è bloccato degli stessi inibitori.

Il ruolo fisiologico delle ERKs è molto ampio. Nei neuroni, per esempio è implicato nel controllo della plasticita sinaptica andando ad interagire con stimoli diversi come neurotrofine, flussi di calcio e livelli di AMP-ciclico. Nella facilitazione a lungo termine (LTF) in aplisia, dove si hanno cambiamenti sinaptici, l’immunoreattività di ERK aumenta (Martin K et al., 2001). La capacita di queste due chinasi di riuscire ad interagire con una così vasta gamma di

stimoli le vede coinvolte in diversi stati patologici.

Infatti le ERKs rivestono un ruolo importante anche nel controllo e nella progressione del ciclo cellulare, nella migrazione e nel mantenimento della sopravvivenza cellulare, regolando proteine coinvolte nell’apoptosi incluse BCL-2 e BAD.

Sono coinvolte ad esempio nei tumori, il ruolo è provato dall’alta frequenza di mutazioni nei componenti a monte della via (pathway) di ERK come Ras o Raf. Dopo essere state fosforilate sia ERK1 che ERK2 traslocano nel nucleo dove fosforilano a loro volta diversi substrati proteici mettendo in moto uno specifico programma di attivazione genica. Nel nostro laboratorio è stato dimostrato che ERK2 si sposta continuamente tra il compartimento citoplasmatico e quello nucleare. La cinetica e le conseguenze funzionali non sono ancora state chiarite.

La specificità del segnale sia di ERK2 che di ERK1 è determinata dall’intensità dello stimolo, dalla compartimentazione e dal crosstalk tra ERK ed altri fattori intracellulari.

Tutti questi meccanismi non spiegano la grande diversità dei bersagli attivati da ERK in risposta a stimoli diversi, ma soprattutto non spiegano la concomitante presenza di ERK1 ed ERK2.

L’approccio genetico ha dimostrato che le due isoforme hanno effetti diversi, in quanto la delezione di ERK2 è letale nell’embrione, mentre quella di ERK1 non lo è, ma determina una

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up-regolazione di ERK2 traducendosi in una alterazione della plasticità sinaptica, del comportamento e uno sbilanciamento dell’adipogenesi con una riduzione del tessuto adiposo.

Le interazioni molecolari che sono alla base della coesistenza di queste due chinasi sono apparentemente ridondanti. Le proteine ERKs consistono infatti in un dominio chinasico centrale fiancheggiato da brevi tratti n- e c-terminali. Sebbene la loro attivazione e regolazione sia stata studiata, sappiamo ancora poco su n-terminale al di fuori del dominio chinasico che contiene la maggior differenza aminoacidica tra le due isoforme.

Fino ad ora in queste due regioni non sono stati mappati domini funzionali ed è per questo che non è stata proposta nessuna ipotesi in relazione ai differenti meccanismi di azione delle due chinasi dovute alle diversità tra i due domini.

L’imaging dinamico ha dimostrato che la localizzazione nucleare dipende dall’equilibrio tra attivazione citosolica e la rapidità in attivazione nucleare, per cui la quantità di fosfo-ERK è mantenuta da un trasporto continuo attraverso la membrana nucleare. I ricercatori del nostro laboratorio hanno scoperto, utilizzando la tecnica della FRAP, che un trasporto rapido (interno- esterno del nucleo) è necessario per compensare la rapida defosforilazione nucleare. In base a queste osservazioni la domanda che ci siamo posti è stata se differenze tra le due chinasi possano risiedere nelle diversità del tournover nucleo-citoplasma.

Per provare l’ipotesi è stata visualizzata e comparata la dinamica di localizzazione di ERK1 e ERK2 complete, fuse con proteine fluorescenti (GFP) ed ERK(1,2)-GFP con n-terminale deleto.

Questo approccio sperimentale ha indicato che ERK1 attraversa la membrana nucleare circa quattro volte più lentamente di ERK2 e per questo è molto meno capace di attivare bersagli nucleari.

Sempre nel nostro laboratorio è stato dimostrato che queste differenze sono causate dall’n- terminale. La delezione di questa regione in ERK1 converte le caratteristiche di trasporto di questa isoforma in quelle di ERK2. L’ipotesi che il dominio presente all’n-terminale di ERK1 possa essere necessario e sufficiente ad inibire l’attività di ERK2 è in accordo con i nostri dati

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biofisici. Queste informazioni implicano che la mobilità e il trasfering nucleo-citoplasma di ERK1 ed ERK2 rappresentano un sistema nel quale le due chinasi sono dinamicamente regolate e dove il bilancio tra le concentrazioni delle due proteine è determinante nella capacità del pathway di convertire stimoli extracellulari in cambiamenti della funzione cellulare di lunga

durata.

Come abbiamo visto il ruolo delle proteine ERKs nella cellula è molto importante, per questo devono essere presenti nel citoplasma nella loro forma inattiva in modo da dare una continuità alla cascata di traduzione del segnale fino all’interno del nucleo una volta attivata la via. La concentrazione delle ERKs è regolata a diversi livelli: trascrizione, esportazione nel citoplasma dell’ mRNA, stabilità dell’RNA, localizzazione nella cellula, traduzione e degradazione della proteina.

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1.3. Sistemi di regolazione post trascrizionali.

L’espressione di una proteina è un evento finemente regolato sia nelle cellule procariotiche sia in quelle eucariotiche. Infatti in queste ultime i sistemi di controllo sono presenti a livello trascrizionale e traduzionale. I meccanismi di traduzione dell’RNA messaggero noti fino ad oggi, nella maggioranza dei casi, sulla agiscono sul trascritto inibendolo. Tale inibizione può avvenire in toto oppure essere selettiva per specifici messaggeri. L’evento che vincola maggiormente la

traducibilità di un messaggero è assemblaggio del complesso di pre-inizio. Questo è strettamente correlato al riconoscimento della struttura di capping al 5’, la quale consente l’assemblaggio di 25 polipeptidi differenti (Pestova et al.,2001;Pestova e Hellen,2001) determinando l’instaurarsi delle condizioni favorevoli al legame della subunità ribosomiale 40S e ne favorisce lo scorrimento in direzione 5’→3’(Pestova e Hellen, 2001).

La disponibilità dei fattori che concorrono a formare il complesso di pre-inizio dipendono dalle condizioni nutrizionali delle cellule e/o da alcuni ormoni quali ad esempio l’insulina (Dever et al.,2002).

Alcuni trascritti possiedono degli elementi cis-regolatori presenti in regioni non trodotte (UTR), che hanno il compito di regolare l’emivita e la traducibilità del messaggero; queste possono essere classificate in diverse categorie in base alla sequenza “di consenso”o in base alla loro posizione nel trascritto e all’interazione con fattori attivi in trans.

Tali elementi denominati AREs (A-U rich elements; Kruys et al.,1989) sono stati indicati fattori implicati nella regolazione della stabilità e regolazione dell’mRNA (Bakheet et al.,2001; Green et al., 2006) attraverso l’interazione con specifiche proteine dette ARE-binding (ARE-BP). Gli

elementi AREs , presenti in regioni 3’UTR molto estese (Bakheet et al.,2001), determinano negli mRNA che le possiedono regolazione della stabilità e della traducibilità del trascritto (Chabanon et al., 2005).

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Le ARE sono divise in tre categorie che differiscono per il numero di ripetizioni e per la sequenza di un core formato da un pentamero consensus AUUUA (Zhang., 2002). Possono essere presenti nella stessa sequenza più elementi ARE, che a sua volta possono essere uguali o diverse tra loro; inoltre la stessa sequenza può avere effetti diversi se presenti in trascritti differenti.

Le ARE-BP presentano come le sequenze ARE un’alta eterogeneità di struttura e funzione; il complesso A-U binding factor-1 (AUF-1) è il maggior determinante dell’instabilità dei trascritti (Paschoud et al., 2006; Lu et al., 2006 ; He et al., 2006), mentre altre come le “embrionic lethal abnormal vision (ELAV-like), in Drosophila, omologo del complesso HuR, nei mammiferi, determina un incremento dell’emivita del messaggero (Zhu et al., 2006; Rajasingh et al., 2006) e la stimolazione della traduzione (Antic et al., 1999).

Le ARE di seconda classe determinano nel trascritto una destabilizzazione dipendente dalla deadenilazione della coda al 3’, quando sono formate da copie multiple del pentamero AUUUA o del nonamero UUAUUUAUU. Mentre quelle di classe prima hanno una funzione di controllo della traduzione se poste in una regione ricca di uridine e costituite da un solo pentamero.

Questo complesso proteico specifico per sequenze AREs contenute nei 3’ UTR dei trascritti, di alcune citochine, agiscono destabilizzatori e repressori della traduzione modulabili come TIA-1, TTP, TIAR (Coke et al., 2003).

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1.4 I sistemi di regolazione traduzionale poliadenilazione-dipendenti.

Un RNA-messaggero maturo possiede al suo 3’ una coda di adenosine di lunghezza che varia da trascritto a trascritto, ed in alcuni casi è modulabile. La sequenza di adenosine ha la funzione di proteggere l’RNA dall’attacco delle (eso)nucleasi, allungando il tempo necessario agli esosomi per arrivare alla regione codificante. I messaggeri esportati dal nucleo hanno corte sequenze di adenosine al 3’ (circa 50-250), che poi possono subire, nel citoplasma, drastiche variazioni della estensione in precise condizioni. Esistono infatti sistemi di controllo della traduzione che dipendono dalla poliadenilazione citoplasmatica. Alcuni messaggeri sono presenti in alcuni distretti cellulari e mantenuti in una forma inattiva, come trascritti dormienti fino all’insorgere di un segnale che non determini l’allungamento della coda di poliadenilazione ( Wickens et al.,1997). Questo comporta una attivazione trascrizionale con un rapido incremento della sintesi

proteica che non richiede l’utilizzo di sistemi di controllo della regolazione traduzionali.La poliadenilazione citoplasmatica è stata caratterizzata in contesti dove è necessario un controllo temporale e/o spaziale della produzione proteica, e in condizioni che neccessitano un rapido incremento della produzione proteica come nell’oogenesi di Xenopus dove alcuni mRNA come quello della ciclina B2 rimangano silenti fino alla stimolazione della maturazione dell’oocita.

Questo sistema di controllo traduzionale è coinvolto anche nella determinazione antero- posteriore dell’embrione di Drosophila; nel sistema nervoso adulto di topo, dove la produzione di CaM chinasi 2 è controllata a livello traduzionale dalla lunghezza della coda di poli-a. Gli mRNA controllati da questo meccanismo di regolazione presentano una vasta regione 3’UTR che contiene particolari sequenze ARE nella porzione terminale, tra cui l’esanucleotide AAUAAA conosciuto come elemento CPS/PAE (cleavage polyadenylation element) e l’altra sequenza UUUUUAU denominata CPE (cytiplasmic poluadenylation element) si trova a breve distanza. Il primo elemento è necessario per il taglio e l’addizione della coda corta di poli-a sul pre-mRNA, mentre il secondo conferisce al trascritto la capacità di essere poliadenilato nel

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citoplasma. Anche se il processo di poliadenilazione richiede un solo elemento CPE (entro 20-30 nt dal CPS/PAE) gli mRNA dormienti contengono copie multiple di questo elemento. La regolazione del timing di inizio di questo processo è regolata dalla distanza tra questi fattori ed altri elementi cis-regolatori fiancheggianti. La proteina CPEB, un fattore altamente conservato contenente un dominio zin finger e un RRM (RNA recognition motif) riconosce l’elemento CPE.

Il processo di allungamento della coda di adenosine richiede l’attivazione della proteina CPEB tramite la fosforilazione, da parte di una chinasi appartenete alla famiglia della Eg2 (Aurora A, in Xenopus), sul residuo di serina 174. L’attacco del gruppo fosfato determina un incremento dell’affinità di CPEB per la proteina CPSF ( cleavage and polyadenylation element specificità factor), che riconosce sul trascritto l’elemento di legame CPS/PAE solo se attivato da CPEB.

Una volta che si è formato il complesso ribonucleoproteico messaggero-CPEB-CPESF viene reclutata sul 3’ del trascritto la PAP (poly-A polimaresi) citoplasmatica, che catalizza la reazione di allungamento della coda di adenosine. La proteina PAPB (poly-a binding proteins) ha molteplici effetti sul trascritto, perché riconosce la coda di poliadenilazione legandocisi. Una coda molto estesa consente il legame di molte di queste unità proteiche che hanno la proprietà ri reclutare il fattore di iniziazione eIF4G. Tutta questa serie di eventi determina una torsione del messaggero in un anello chiuso agli estremi 5’e 3’ che facilita la traduzione e il processo di reclutamento del ribosoma. Le PAP conferiscono una migliore competenza trascrizionale tramite la formazione di una struttura al 5’ capI o 5’ capII. Fintanto che il trascritto non viene attivato è immagazzinato in un compartimento sub-cellulare, proteggendola così dall’azione delle esonucleasi. La proteina CPEB è coinvolta nel mantenimento del trascritto nella fase di dormienza. Questa rimane defosforilato fino a che non è azionato il meccanismo di allungamento della coda di poly-A, riducendo così l’affinità per CPSF ma non altera la capacità di legame per CPE. Nella sua forma inattiva CPEB si lega ad eIF4G-BD, che agiscono da competitori con il fattore di iniziazione eIF4E poichè contengono lo stesso dominio riconosciuto da CPEB. La formazione del complesso CPEB-eIF4G-BD non consente la formazione del complesso di pre-

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inizio, determinando una inibizione della traduzione. La proteina chinasi responsabile discriminazione tra la forma inattiva e quella attiva, mediante fosforilazione, di CPEB è Eg2. Il segnale che attiva Eg2 è di origine extracellulare e varia di sistema cellulare a sistema cellulare.

In oogenesi di Xenopus, il trascritto della ciclina B2, del gene Mos, e di altri mRNA dormienti sono attivati da poly-A citoplasmatica in seguito al trattamento delle cellule con Progesterone.

Anche le ERKs presentano infatti differenze di poliadenilazione dell’RNA- messaggero, che suggeriscono l’importanza dell’mRNA nel regolare finemente la presenza della proteina tradotta nella moltitudine di sistemi in cui le ERKs stesse sono espresse.

Stimolo

Figura 2

L’immagini mostrano il reclutamento della proteine necessarie alla stabilizzazione e alla poliadenilazione citoplasmaticadie trascritti.

Un allungamento citoplasmatico della coda di poliadenosine favorisce la traduzione

Traduzione favorita Trascritto dormiente

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1.5 MICROSCOPIA CONFOCALE.

1.5.1 IL FENOMENO DELLA FLUORESCENZA.

La maggior parte delle molecole, nello stato elettronico fondamentale definito da una particolare funzione d’onda, si trova in uno stato di singoletto, So (tutti gli elettroni con spin appaiati, due elettroni per orbitale molecolare). L’assimilazione di radiazione più probabile è quella che avviene con conservazione della molteplicità di spin, e porta ad uno stato di singoletto eccitato:

S1, S2, …, Sn, a seconda della lunghezza di onda assorbita. Una molecola che si trovi in uno stato elettronico eccitato tende spontaneamente a perdere l’eccesso di energia ed a portarsi allo stato elettronico fondamentale. Uno dei possibili modi di diseccitare una molecola è attraverso l’emissione spontanea di radiazioni elettromagnetiche, di frequenza corrispondente alla differenza di energia tra i due stati. Se sia lo stato eccitato sia quello fondamentale sono stati di singoletto, l’emissione spontanea viene detta Fluorescenza, cioè durante il rilascio di energia nella transizione elettronica non si ha il cambiamento di spin. Quando una molecola è eccitata può trovarsi ad un livello vibrazionale qualsiasi dello stato elettronico eccitato. Il primo processo a questo stadio, il più rapido, è la cessione dell’eccesso di energia vibrazionale, mediante urti con le altre molecole, che si traduce in un aumento di calore ed è detto “Rilassamento Vibrazionale”.

I tempi caratteristici sono dell’ordine di 10-12s, vale a dire l’inverso delle tipiche frequenze di collisione in soluzione.

Le molecole che subiscono urti si portano perciò ad uno stato vibrazionale fondamentale dallo stato elettronico eccitato. Il tempo medio di questo stato è di circa 10-8s dopo di che si ha un’ulteriore perdita di energia con l’emissione di un fotone di lunghezza di onda maggiore rispetto a quella di assorbimento (legge di Stokes). I livelli energetici possono essere rappresentati nel diagramma di Jablonski con delle linee orizzontali che indicano l’energia degli

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elettroni di un determinato atomo. La molecola fluorescente, che dagli esperimenti da noi descritti è la G.F.P., inizialmente si trova a bassi livelli energetici. Quando un fotone si scontra con la proteina determina un trasferimento di energia in questa ultima portando uno o più elettroni in una stato di eccitazione che persiste per un lasso temporale molto breve, durante la quale il fluoroforo è soggetto ad un certo numero di interazioni con l’ambiente circostante. A causa di queste interazioni si ha la perdita di parte dell’energia acquisita, restando ad un stato eccitato ma con moto vibrazionale inferiore. Successivamente gli elettroni tornano allo stato iniziale, non eccitato, però questa volta la perdita di energia si ha tramite l’emissione di un fotone, ed è in questa fase che si sviluppa la fluorescenza.

Possiamo dire che l’energia totale che compete all’intero processo è così quantificata:

ETOT=EEC+EEM+e

EEC, energia di eccitazione EEM, energia di emissione

e, quota di energia persa sotto forma di calore

In un solvente polare oltre a prodursi un allargamento delle bande che impedisce la risoluzione della struttura vibrazionale, come nel caso dell’assorbimento, si osserva uno spostamento verso il rosso dello spettro di emissione. Lo stato eccitato e quello fondamentale hanno, carattere dipolare diverso (diverso momento di dipolo) e quindi diversa solvatazione. Durante la transizione elettronica in assorbimento (10-15), le molecole di solvatazione non fanno in tempo a riarrangiarsi completamente intorno alla molecola eccitata e mantengono la solvatazione condizione, di non equilibrio e quindi di energia maggiore, caratteristica della polarità dello stato fondamentale. Anche durante l’emissione le molecole di solvente non hanno tempo di orientarsi

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secondo la diversa polarità dello stato fondamentale, a causa del non equilibrio della solvatazione.

Il risultato globale è che la transizione in assorbimento corrisponde ad una differenza di energia maggiore di quella di emissione, anche se gli stati molecolari coinvolti sono gli stessi.

Quindi più polare è il solvente e tanto più grande è lo spostamento verso il rosso della banda di emissione. Nel caso di un solvente non polare la differenza di solvatazione è trascurabile e l’energia della luce emessa non differisce di molto da quella assorbita.

Eccitazione molecolare multifotoni Diagramma energetico di Jablonski

Fluorescenza convenzionale ad 1 fotone

Fluorescenza a 3 fotoni Fluorescenza a due

fotoni: Parity selection

Fig.3 Schema energetico di emissione della fluorescenza.

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Le curve rappresentano l’energia degli elettroni in funzione della distanza tra gli atomi della molecola, mentre le linee orizzontali poste all’interno delle curve rappresentano i livelli energetici corrispondenti alla loro vibrazione. Un elettrone colpito di raggi ultravioletti acquista energia passando da un orbitale di primo livello (bassa vibrazione) ad uno di livello superiore più esterno (alta vibrazione); a questo punto come indicano le frecce perde energia fino ad arrivare allo stato di eccitazione più basso. Però questo è instabile e l’elettrone ricade nell’orbitale iniziale, rilasciando una onda elettromagnetica che è visibile come luce blu (se il salto è elevato), come luce rossa o verde (se il salto è basso). La lunghezza di onda delle radiazioni è tanto più corta quanto il salto è alto; questo spiega perché per l’eccitazione sono necessari gli ultravioletti, con lunghezza di onda più piccola del visibile (il salto di assorbimento deve essere maggiore di quello di emissione).

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1.5.2. MICROSCOPIO CONFOCALE.

Nei moderni microscopi confocali la luce di un laser viene fatta convergere dalle lenti di un obbiettivo in un punto estremamente piccolo del campione osservato. La luce emessa dal punto stesso, attraversa un sistema di specchi oscillanti, viene “spostata” attraverso tutto il campo visivo dell’obbiettivo così da effettuare una scansione completa di tutto il piano focale.

Le caratteristiche della luce laser (estrema coerenza, alta intensità e lunghezza d’onda unica) consentono di evitare fenomeni di diffrazione e di aberrazioni tipiche invece della luce prodotta da tradizionali lampade ad incandescenza. Inoltre le lenti dell’obbiettivo fanno si che l’intensità della luce laser sia sufficiente ad eccitare i fluorocromi nel punto di massima concentrazione del raggio, corrispondente al piano di messa a fuoco dell’obbiettivo. In questo modo le aree superiori ed inferiori al piano di fuoco, non venendo eccitate, non contribuiscono alla formazione dell’immagine, evitando la formazione di aloni e riducendo il rumore di fondo.

La luce emessa dai fluorocromi presenti nel campione viene catturata dalle lenti dell’obbiettivo e deviata da uno specchio picrico (linea nera diagonale della fig.3) su un fotomoltiplicatore, che trasforma l’intensità luminosa rilevata in un segnale elettrico di intensità proporzionale. Tra lo specchio dicroico e il fotomoltiplicatore, il fascio luminoso attraversa il diaframma (o pinhole), che impedisce alla luce proveniente dalle zone fuori centro (che, se pure in minima parte vengono illuminate per effetto di fenomeni di rifrazione che avvengono all’interno del campione) di raggiungere il fotomoltiplicatore. In questo modo solo il segnale luminoso relativo al piano di fuoco viene registrato e utilizzato nella formazione dell’immagine finale.

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Figura 3

Schema della struttura di un microscopio confocale.

Il segnale elettrico in uscita dal fotomoltiplicatore viene quindi digitalizzato ed inviato ad un computer che registra i valori di intensità misurata per ogni punto. Questi valori vengono poi utilizzati per ricostruire l’immagine video: ogni punto del campione verrà cioè a corrispondere ad un pixel dello schermo, e l’intensità luminosa del punto verrà rappresentata da una

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corrispondente tonalità di grigio. L’accostamento di tutti i singoli pixel corrispondenti ai punti scanditi dal fascio laser nel campione darà così l’immagine finale.

Spostando lungo l’asse verticale il campione dopo ogni scansione, è possibile eseguire serie di scansioni successive corrispondenti ai piani focali via via più profondi all’interno del campione.

Queste scansioni prendono il nome di “sezioni ottiche” e la loro sovrapposizione ordinata, eseguita dal software, consente di ricostruire un’immagine complessiva dell’intero volume, in cui tutti i piani sono contemporaneamente a fuoco.

Figura 4.

Schema della ricostruzione di immagine tridimensionale tramite sovrapposizione di singole sezioni ottiche.

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Il dicroico è un particolare specchio capace di selezionare determinate lunghezze d’onda, ovvero risulta trasparente ad alcune, mentre è completamente riflettente ad altre.

Molti fotoni possono tornare indietro riflessi anche se non hanno colpito il campione, di conseguenza questi non portano informazioni sul campione in esame; la differenza rispetto agli altri è che tornano indietro con la stessa energia iniziale. Per questo davanti al detettore è posto un filtro che ha le stesse caratteristiche dello specchio dicroico.

Il fotomoltiplicatore è un tubo di vetro nel quale è stato creato il vuoto spinto. Esso contiene delle placche metalliche ricoperte di metalli rari collegate a resistenze che scaricano all’esterno.

Quando arriva un fotone emesso dal campione colpisce il metallo, cedendo quindi la sua energia all’elettrone in questione che passa ad uno stato vibrazionale ad alta energia risentendo solamente della differenza di potenziale tra le placche, inizia ad essere accelerato raggiungendo la placca sottostante. Il parametro di elaborazione e controllo dell’informazione che arriva al fotomoltiplicatore è il PMT o valore di voltaggio tra le due placche. Questo può assumere un valore da 0 volt a 100. Proprorzionalmente all’aumentare del voltaggio aumenta l’intensità di corrente dando un segnale più intenso, nello stesso tempo assume una maggior componente artefattuale infatti, aumenta la probabilità che alcuni elettroni che si muovono per agitazione termica abbiano la stesso tipo di accelerazione contribuendo alla formazione dell’immagine, anche se con essa di fatto non c’è nessun rapporto. Un altro fattore molto importante è l’intensità della luce laser che se troppo alta può dare fenomeni di “photobleach”. Il segnale originato del rumore strumentale ha una distribuzione casuale quindi si può supporre che non si ripeta esattamente negli stessi punti, quindi è possibile fare una distinzione tra l’immagine e l’errore strumentale facendo più acquisizioni dello stesso oggetto e poi compiere una media di esse. In questo modo nella media l’errore assumerà un valore trascurabile.

Per i nostri esperimenti abbiamo utilizzato due medie per ogni fotogramma acquisito e utilizzato un PMT con un valore di 669 volt.

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1.5.3.Acquisizione dell’immagine

L’acquisizione dell’immagine negli esperimenti di immunoistochimica, “time lapse” e FRAP nucleare è stata eseguita con l’uso di una testa di scansione confocale Olympus Fluoview 300 montata su un microscopio diritto con una lente ad immersione in acqua (Olympus WLSM 60X, NA 0,9). Gli esperimenti di “spot FRAP “ sono stati acquisiti con un microscopio confocale Leica TCS NT attraverso una lente ad immersione in acqua (Leica HCX APO 63X, NA 0,9). In tutti gli esperimenti la fluorescenza della GFP è stata eccitata con l’emissione a 488 nm di un laser Argon/Kripton. L’acquisizione per l’immunoistochimica su pERK è stata eseguita su campi scelti a caso da un operatore “ in cieco” (eccitazione a 543 nm). L’acquisizione simultanea dell’immunofluorescenza di pERK e di ERK2-GFP su uno stesso campo è stata eseguita separatamente per i due canali per evitare il fenomeno del “cross-talk”. La quantificazione della fluorescenza è stata eseguita su piattaforma Fluoview o tramite l’uso di software “custom”.

Precedentemente agli esperimenti di acquisizione dell’immagine in “time-lapse” , i coprioggetto sono stati immobilizzati in una camera di registrazione riempita con 0,7 ml di soluzione salina.

Le cellule adatte per l’acquisizione sono state selezionate con cura attraverso la misurazione della fluorescenza di ERK2-GFP:cellule caratterizzate da livelli medio-alti di espressione del transgene sono state scartate, come spiegato nei risultati. L’acquisizione dell’immagine è stata eseguita in condizioni ottimali per un sensibile campionamento del segnale di fluorescenza. Tali condizioni richiedono una apertura confocale massima ed una larga banda passante per raccogliere tutta la fluorescenza emessa. Questa combinazione causa la frequente presenza di detrito fluorescente nelle immagini delle cellule registrate. Durante la quantificazione della fluorescenza questi punti sono stati evitati con cura. Il fondo medio di fluorescenza è stato valutato con l’uso di cellule non trasfettate ed è stato sottratto da tutte le misure. In nessun caso, comunque, è stata mascherata la presenza di artefatti di fluorescenza nelle immagini e nei filmati

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mostrati. In media, la potenza del laser impiegata durante l’acquisizione dell’immagine è stata di circa 30 μW.

Per valutare il grado di localizzazione nucleare è stata misurata la fluorescenza media nel nucleo (FNUC) ed in un anello attorno al nucleo di circa lo stesso spessore del raggio nucleare (BG) l’indice di traslocazione (TI) è stato calcolato come:

TI=(FNUC – BG)/(FRING – BG)

ove BG rappresenta il rumore medio di fondo. Tutte le immagini mostrate nello studio sono state sottoposte solo ad aggiustamento lineare dei livelli e non sono state processate in altro modo.

La rappresentazione in grafici e l’analisi statistica dei dati (test t ad una o a due code, ove appropriato) è stata eseguita su piattaforma Origin 7.

1.5.4 Misurazione della fluorescenza delle proteine (FRAP).

Molecole fluorescenti, negli esperimenti di FRAP, vengono irreversibilmente fotospente in una piccola area della cellula, utilizzando un lampo laser focalizzato ad alta energia. La successiva diffusione delle molecole non fotospente nell’area trattata determina un recupero della fluorescenza che viene registrata con un laser a bassa potenza.

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Frazione mobile, D Tasso di mobilità, τ1/2

Condizioni iniziali Fotospegnimento

Recupero

Recupero della fluorescenza dopo fotospegnimento ( FRAP )

Raggio laser

Figura 4 Rappresentazione schematica di un esperimento di FRAP.

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Fotospegnimento quantitativo.

Gli esperimenti di FRAP forniscono informazioni sulla mobilità di una molecola fluorescente in un compartimento definito. Da questo tipo di esperimenti possono essere dedotti due parametri, quali la frazione mobile delle molecole fluorescenti e il tasso di mobilità che è correlato al tempo di diffusione caratteristico (τd ).

La frazione mobile può essere determinata comparando la fluorescenza nella regione fotospenta dopo completo recupero (F) con quella prima del fotospegimento (Fi) e subito dopo di esso (F0).

La frazione mobile (R) è definita da :

R = F-F0 / (Fi-F0)

La frazione mobile può cambiare in condizioni differenti, per esempio quando la proteina fluorescente interagisce con altre molecole. Questa è influenzata anche dalle barriere costituite dalle membrane e dai microdomini delle membrane. Queste discontinuità possono abolire o restringere temporalmente la diffusione libera delle molecole di membrana. Quando il movimento è dovuto al trasporto libero o al flusso unidirezionale può essere trascurata la mobilità delle proteine in una cellula è dovuto a moto browniano. La mobilità è espressa tramite il coefficiente di diffusione D, che è correlato al tempo di diffusione τD. Gran parte delle formule che descrivono questa relazione si basano sull’equazione di diffusione in due dimensioni (introdotta daAxelrod et al.).

τD = ω2γ / 4D

ω = raggio del raggio laser focalizzato con l’intensità e-2 . γ = fattore di correzione per la quantità di fotospegnimento.

Questa equazione presuppone la diffusione libera in un’ area circolare fotospenta senza alcun recupero da sopra o sotto il piano focale. Dal momento che questo è valido solo per la diffusione

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nelle membrane e nei sottilissimi films liquidi, sono state proposte altre formule. Sono stati prospettati anche alcuni parametri biologici che determinano la diffusione di molecole libere o legate a membrane. La diffusione libera di una particella in un modello di volume è descritto dalla formula di Stoke :

D = KT / 6πηR.

che correla il comportamento idrodinamico di una sfera con la temperatura assoluta T, con la viscosità η, con la costante di bolzman K e con il raggio idrodinamico della particella Rh. In una molecola approssimabile ad una sfera con un volume proporzionale alla sua massa molecolare, il coefficiente di diffusione è proporzionale all’inverso della radice cubica della massa molecolare (D=M-1/3). La relazione tra D e il raggio idrodinamico è stata confermata in un range di macromolecole in vitro. Non c’è un chiaro limite di dimensioni per la diffusione libera in vivo, perchè complessi proteici grandi come i proteosomi possono diffondere liberamente attraverso il citoplasma e il nucleo. Oltre alla temperatura, viscosità e raggio altri fattori hanno effetti sulla diffusione in cellule vive, incluse interazioni specifiche o ingombro da parte di ostacoli mobili e immobili. La collisione con altre proteine o barriere, quali filamenti del citoplasma, altera la mobilità come dimostrato da esperimenti con cellule gonfiate e contratte.La FRAP è stata anche usata nello studio della diffusione laterale proteica associata a membrana. Questo processo è considerevolmente più lento di quello delle proteine solubili, perché le membrane hanno una viscosità superiore. La fase acquosa di molecole trans-membrana difficilmente influisce sulla diffusione perché la viscosità delle molecole è molto più alta. Per esempio delezioni estese del dominio citoplasmatico del recettore dell’EGF non hanno effetto sulla mobilità laterale. Sebbene modelli matematici simili si applichino alla diffusione di molecole associate alla membrana, la variabile principale è in questo caso il raggio del segmento di proteine localizzate nella fase del doppio strato lipidico. L’equazione sopra scritta perciò correla la diffusione principalmente con

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il raggio del segmento trans-membrana, ma anche con la viscosità e la temperatura assolutadove D è il coefficiente di diffusione, c e K sono costanti che incorporano la viscosità della fase acquosa e lo spessore della membrana. Quando differenti proteine di quest’ultima sono comparate si osserva la dipendenza dal raggio e dalla temperatura. Questa equazione prende in considerazione una proteina teorica con un segmento trans-membrana cilindrico, privo di interazioni con il doppio strato lipidico. Molte molecole di membrana diffondono molto più lentamente di quanto atteso per un modello di movimento Brauniano casuale in uno strato lipidico. Questo può essere dovuto ad interazioni, segmenti trans- membrana trasversali, ostacoli e siti di legame temporanei nelle membrane cellulari.

L’equazione di S.B. deve quindi essere considerata un’approssimazione dalla quale l’effettivo raggio non può essere calcolato.

Applicazioni della FRAP nelle cellule viventi.

La tecnica di FRAP è stata utilizzata per lo studio delle proprietà dinamiche di molte di proteine;

in particolare si è rivelata di grande utilità nella caratterizzazione della distribuzione subcellulare, nello studio dei domini funzionali, e nelle interazioni molecolari delle cellule viventi.Grazie all’utilizzo di proteine di fusione con la GFP, è stato possibile analizzare i processi di diffusione e traslocazione nei compartimenti intracellulari quali nucleo o mitocondri.

Altre importanti applicazioni della FRAP permettono di studiare il movimento delle proteine sulla superficie della membrana citoplasmatica, e la caratterizzazione delle interazioni con il citoscheletro e matrice extracellulare. Grazie alla FRAP è stato possibile dimostrare che l’involucro nucleare si fonde con il R.E. durante la mitosi, come è stato osservato usando le molecole della membrana nucleare recettore delle laminine B fuse con la GFP. Questi esperimenti mostrano che il recettore diffonde liberamente e rapidamente quando è ridistribuito sul reticolo endoplasmatico. Utilizzando questa tecnica, per esempio stata caratterizzata in vivo la mobilità laterale di MHC di classe 1-GFP nel reticolo endoplasmatico, il suo coefficiente di

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diffusione aumenta dal momento da cui la molecola è rilasciata dal complesso di caricamento dell’antigene. Un altro esempio che enfatitizza l’importanza di questa tecnica è lo studio dell’attività delle GTPasi, quali ARF1-GFP e Kras. Dal momento che le forme che legano GDP risiedono nel citosol, mentre le forme che legano il GTP sono associate alla membrana, il fotospegnimento del pool di membrana rivela la cinetica del ciclo del GTP in vivo.

Cambiamenti conformazionali associati all’attività possono essere visualizzati tramite FRAP come mostrato per GFP-TAP Esperimenti di FRAP condotti a 37° C con GFP solubile diretta sul R.E. risulta in un incremento del tasso di recupero di un fattore 1,4 rispetto a quello osservato a 23 gradi a causa delle differenze nella viscosità. Il coefficiente di diffusione dei complessi TAP del reticolo endoplasmatico raddoppia quando la temperatura viene portata da 25° a 37° C.

Questo comporta che gli esperimenti di FRAP devono essere condotti in un regime di temperatura strettamente controllato.

1.6. GFP.

La Proteina Verde Fluorescente (Green Fluorescent Protein, GFP) è stata scoperta nella medusa Aequorea victoria e purificata per la prima volta nel 1962. Le sue proprietà ottiche sono uniche all’interno di una classe di proteine foto-attive, quali la capacità di convertire la luce blu al verde e soprattutto la sua fluorescenza intrinseca.

La GFP è costituita da 238 amimoacidi (PM=27000). Assorbe la luce con un massimo di eccitazione 395 nm e ha un picco di emissione di 510nm.

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Figura 5

A) Struttura terziaria della GFP, B)il grafico mostra il picco di assorbimento della GFP.

La a struttura quaternaria di questa proteina mostra una struttura a cilindro cavo all’interno ed accessibile al solvente polare. Questo “canale” è necessario per l’attività fluorescente della proteina in quanto al suo interno è contenuto il cromoforo, che si forma autocataliticamente durante il ripiegamento della proteina tramite ciclizzazione di quattro aminoacidi.

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Figura 6

Composizione dell’anello aminoacidico del fluoroforo della GFP

La GFP è una utilissima sonda fluorescente perché ha una elevata stabilità in un vasto range di condizioni (temperatura, pH, sostanze chimiche) e tramite tecniche di biologia molecolare può essere fusa ad altre proteine senza alterarne la funzionalità.

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1.7. FGF E RECETTORI.

Gli stimoli esterni regolatano tramite le risposte delle cellule a molecole segnale che guidano processi come la crescita embrionale, lo sviluppo, la proliferazione, il differenziamento. La proteina FGF, per esempio (fattore di crescita dei fibroblasti) è uno stimolo di proliferazione cellulare che indirizza la utilizza un sistema di trasduzione del segnale ubiquitario

Gli effetti delle FGFs sono mediati da quattro tipi di recettori di membrana tirosina chinasi costituiti da cinque regioni: una extracellulare contenente una regione con tre domini immunoglobinici (Ig1,2,3) , sette aminoacidi acidi, un dominio di legame per l’eparina, una singola elica transmembrana e un dominio citosolico con attività tirosin chinasica. Il livello di omologia aminoacidica dei recettori per l’fgf (FGFR)p oscilla tra il 48% e il 69%, mentre in alcune sub-regioni è presente il 100% (sono altamente conservate).

I membri della famiglia dei fattori di crescita dei fibroblasti hanno una alta affinità per l’eparina o l’eparina solfato che si legano con specifiche sequenze del dominio Ig. L’eparina interagisce con il suo dominio non riducente, con il sito di legame specifico sull’FGF e il recettore per l’FGF, promovendo la formazione di un complesso ternario 1: 1: 1 . Questo tipo di molecole aumenta notevolmente l’affinità del recettore con il suo ligando ed inoltre favorisce la stabilità di legame del complesso trimolecolare. L’eparina solfato è una molecola che ha la funzione di stabilizzatore dell’FGF, nella sua oligomerizzazione, nell’accesso dell’FGF al suo recettore, nella formazione dei complessi FGF-recettore e nella repressione e/o attivazione degli oligomeri.

L’eparina solfato cellulare in un complesso binario con l’ectodominio del recettore è un determinante isotopo- e cellula-specifico per la selezione dell’FGF che interagisce con il complesso (Kan et al., 1999). Questo può ridurre la ridondanza, all’interno dello stesso tessuto, di quattro tipi di recettori per la grande varietà dei ligandi dell’FGF. Soltanto l’FGF1 non risente di questo meccanismo perché è un recettore universale per tutti i recettori, mentre gli altri mostrano una specificità, anche se pur lieve, affinità per i recettori.

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