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Angelo Porrone , Alfredo Cristiano **, Rachele Aucello ***

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618 TAGETE 4-2012

Year XVIII ISSN 2035 – 1046

LE NEOPLASIE RADIO - INDOTTE: ASPETTI EPIDEMIOLOGICI, METODOLOGICI E PREVENZIONISTICI.

CRITERIOLOGIA D’INDAGINE MEDICO LEGALE.

Radio- Induced Malignancy: Epidemiological, Methodological And Prevention Aspects. Forensic Investigation Criteriology

Angelo Porrone *

,

Alfredo Cristiano **, Rachele Aucello ***

ABSTRACT

Gli autori affrontano l’impegnativo problema sia sotto il profilo epidemiologico che sotto quello squisitamente metodologico – applicativo e medico legale, ai fini della dimostrazione del nesso di causalità materiale fra esposizione a radiazioni ionizzanti e insorgenza di neoplasie solide o ematologiche.

Ne deriva una interessante disamina delle conoscenze più attuali in materia, in rapporto alle tipologie più comuni di neoplasie discendenti, in linea teorica e probabilistica, da esposizione a radiazioni ionizzanti, in base ai dati prevalenti della letteratura specifica del settore.

Aspetti generali e di biologia molecolare inerenti la cancerogenesi, criteri di tipo probabilistico, legami e differenze fra esposizione ad alte e basse dosi di radiazioni ionizzanti, incidenza delle neoplasie in rapporto all’esposizione, metodologia di studio in campo eziologico oncologico, criteri di radioprotezione per la prevenzione dei

* Responsabile UOC Area Studi, Ricerca e Procedure Medico Legali – Coordinamento Generale Medico Legale INPS - Roma.

** Specialista in Medicina Legale - Roma.

*** Infermiere professionale, con funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie. Dipartimento di Prevenzione e Sanità Pubblica - Ufficio igiene e Vaccinazione, ASL FG di S.Marco in Lamis (FG).

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tumori radio indotti, sono tutti aspetti che vengono trattati in modo piuttosto dettagliato per informare sui risultati delle più recenti indagini in materia.

Indicazioni sulla valutazione e congruenza della documentazione allegata comprovante l’insorgenza del tumore solido in relazione all’esposizione alle radiazioni ionizzanti, confronto con i casi similari studiati in letteratura, esclusione di eventuali altre cause eziopatogeneticamente correlabili con l’insorgenza del tumore, applicazione rigorosa dei criteri metodologici e applicativi utili alla disamina del singolo caso in specie, descrizione e applicazione della cosiddetta “probabilità causale”, sono tutti elementi di cognizione che vengono presi in considerazione e utilizzati ai fini di una corretta valutazione dei casi possibili in specie, da riconoscere o meno come derivanti da malattie professionali indotte da radiazioni ionizzanti.

INTRODUZIONE

Piuttosto ben conosciuti sono gli effetti lesivi diretti dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

E’ pertanto possibile analizzare e quantificare i meccanismi di azione propri in ambito subcellulare capaci di scatenare l’insorgenza di un cancro, nell’ambito del processo individuato come cancerogenesi.

I - Cancerogenesi

Gli effetti stocastici o aleatori o probabilistici sono la conseguenza delle modificazioni a cui va incontro il materiale genetico (1).

Nel caso in cui ad essere lese sono le cellule somatiche si potrà indurre l’insorgenza del cancro, nel caso invece che si verifichino delle alterazioni genetiche delle cellule germinali si produrranno delle modificazioni fenotipiche nella discendenza.

Tali effetti sono osservabili solo a partire da dosi medie e forti, in base agli studi epidemiologici (1).

Oltre il limite soglia dell’esposizione si osserva un incremento della probabilità di apparizione di tali effetti stocastici in modo proporzionale alla dose.

Una volta apparsi, tali effetti si sviluppano in maniera indipendente dalla dose.

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L’insorgenza del cancro in conseguenza dell’esposizione a forti dosi delle radiazioni ionizzanti è un fenomeno ben noto sin dalla scoperta dei raggi X avvenuta nel 1895.

Qualunque sia il fattore scatenante a livello del cosiddetto oncogene o protoncogene, il processo di cancerogenesi passa attraverso tre tappe:

 l’iniziazione,

 la promozione e

 la progressione.

L’iniziazione risulta dall’attivazione di un oncogene ovvero dall’inattivazione di un antioncogene.

Il punto di partenza di una linea cellulare cancerosa può risiedere in una trasmissione erronea della moltiplicazione cellulare la cui sintesi è governata da un gene chiamato oncogene.

Gli oncogeni derivano da dei proto – oncogeni che sono funzionali solo nel corso dell’embriogenesi, durante la quale essi permettono la moltiplicazione di linee cellulari.

Successivamente diventano inattivi ma possono essere riattivati per mutazione, traslocazione o amplificazione che agisca sempre in un punto preciso.

Così, per esempio, nella tiroide una traslocazione indotta da radiazioni ionizzanti conduce il locus PTC a contatto del locus RET sul cromosoma 10 e questa congiunzione può indurre un carcinoma papillifero.

Questo meccanismo è, in effetti, molto raro poiché l’attivazione di un oncogene necessita di un impatto molto preciso sul locus del protoncogene, e tale probabilità è molto remota.

Ogni lesione distruttrice, definita delezione, che si verifica in prossimità del locus sopprime la funzione del gene; non può, dunque, aversi l’iniziazione della linea cancerosa.

Inoltre il protoncogene non è affatto accessibile se non in occasione del corso della crescita dell’organo.

Quando questo è arrivato a maturità il protoncogene non è più attivabile.

Solo a seguito di numerosi impatti, in soggetti non adulti, come nel caso della contaminazione con iodio radioattivo a forti dosi sopravvenuta nei bambini dopo Chernobyl, si verificano le condizioni necessarie per la cancerogenesi.

Esistono, poi, altri geni, gli antioncogeni, che regolano le capacità di proliferazione cellulare di un tessuto e le relazioni di ogni cellula con le altre cellule del tessuto.

Se ne conoscono più di cento, la maggior parte esistenti in linee somatiche ma una ventina presenti in linee germinali e suscettibili di trasmissione alla discendenza.

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In realtà il meccanismo d’azione di inattivazione dell’antioncogene è molto più spesso in causa nella genesi di un cancro rispetto all’attivazione dell’oncogene.

Ciò può avvenire in ogni età.

I due alleli di un gene, avendo una funzione di controllo della funzione cellulare svolgono una funzione equivalente.

Se una mutazione o una lesione destruente, quale la delezione, colpisce uno degli alleli, l’altro assicura solo il controllo della proliferazione cellulare.

Un’inattivazione dell’allele restante nella stessa cellula è la condizione indispensabile per dare luogo ad una linea cellulare incontrollata, ossia ad un cancro.

Se la probabilità di inattivazione di un singolo allele è di n elevato alla meno 1, la probabilità di disattivazione dei due alleli sarà di n elevato alla meno 2.

Poiché l’insorgenza del cancro risponde a questo obbligo di doppia inattivazione appare spiegato il motivo per cui il cancro compare tardi nel corso dell’esistenza dei soggetti (1).

Essendo la probabilità limitata, occorre del tempo alle mutazioni, indotte da ogni tipo di avvenimento, tra cui, in primo luogo, i guasti legati al metabolismo ossidativo, poi quelli provocati da diversi agenti mutageni, tra i quali, appunto, le radiazioni ionizzanti, per verificarsi.

Uno dei geni più conosciuti, il gene ATM, che è deficiente nella forma morbosa ereditaria definita atassia – teleangectasia, governa la sintesi della proteina P53, vero inibitore della catena della moltiplicazione cellulare.

In caso di errore verificatosi sul DNA della cellula in corso di divisione, questa proteina blocca la catena al fine di consentire il tempo necessario ai meccanismi di riparazione di intervenire.

Se tale gene è deficiente, la moltiplicazione cellulare prosegue senza correzioni portando a delle linee cellulari anomale.

Questi pazienti sono inclini a sviluppare numerosi tumori e particolarmente sensibili agli agenti oncogeni, fra i quali le radiazioni ionizzanti (1).

Se si sono verificate multiple lesioni a livello del DNA, il gene della proteina P53 sospende il meccanismo di replicazione, in attesa che i meccanismi di riparazione possano essere in grado di restaurare l’integrità del cromosoma alterato.

Se la riparazione è insufficiente, il meccanismo di divisione cellulare viene bloccato e la linea erronea si estinguerà naturalmente.

Un certo numero di malattie ereditarie è dovuto alla mutazione trasmissibile di un allele che reprime la moltiplicazione cellulare.

Fra queste vanno comprese l’atassia teleangectasia, l’anemia di Fanconi, lo xeroderma pigmentoso o la sindrome di Li – Fraumeni.

I soggetti omozigoti esprimono il fenotipo della malattia e sviluppano ineluttabilmente nel corso del tempo un’affezione neoplastica specifica.

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I soggetti eterozigoti sono predisposti al cancro, in quanto una sola mutazione è sufficiente per scatenare il meccanismo che porta ad una linea cellulare cancerosa.

In pratica l’azione degli agenti cancerogeni in generale e quella delle radiazioni ionizzanti, in particolare può consistere nella riattivazione di un oncogene o nella disattivazione successiva di due alleli di un antioncogene, o di un solo allele, in caso di inattivazione preesistente di uno dei due, ereditata o prodotta da un altro oncogene.

Nel primo caso l’effetto diretto o indiretto di una radiazione consiste nel produrre un’alterazione con una riparazione scorretta finale, per traslocazione, al punto da mettere in contatto due geni normalmente distanti.

Nel secondo caso ogni perdita di un frammento di cromosoma, interessante o coinvolgente nella totalità il locus di un antioncogene è sufficiente a sopprimere la funzione di uno dei due alleli.

In ogni caso l’esposizione a radiazioni ionizzanti a dosi elevate produce più lesioni per unità di volume elementare, ciò che comporterà una probabilità maggiore di produrre una configurazione cancerogena (1).

D’altronde, dopo ogni lesione del DNA entrano in gioco, praticamente immediatamente, i meccanismi riparatori.

Questi meccanismi sono molto efficaci ed assicurano la restututio ad integrum completa della struttura genetica compromessa purché il numero delle lesioni non sia troppo elevato.

Quando il numero delle lesioni indotte diventa eccessivo, i meccanismi di riparazione possono essere superati e riparare in modo incompleto o scorretto le lesioni del DNA (1).

Questo spiega il ruolo fondamentale del quantitativo di dose nella genesi delle lesioni del materiale genetico.

Lo sviluppo di un carcinoma invasivo non rappresenta un evento ineluttabile dopo la tappa d’iniziazione.

Molti organi sono, con l’invecchiamento suscettibili all’insediamento di carcinomi quiescenti o occulti, specialmente la prostata, la mammella e la tiroide, in special modo.

Solo quando intervengono fattori estrinseci si può assistere alla proliferazione locale.

I fattori capaci di stimolare la proliferazione, agenti promotori, sono numerosi.

Esistono fattori intrinseci, come infiammazioni croniche ed ormoni, o estrinseci, dati dai prodotti chimici.

Si sa, ad es., che il carcinoma epatocellulare è legato alla forma cronica di epatite B o C, ma non è dovuto all’azione del virus stesso, che non è un oncogene, ma è il frutto, in seno al parenchima epatico, di reazioni di difesa infiammatoria che

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vanno a promuovere delle linee cancerose a partire da cellula mutate, in stato quiescente.

Stesso discorso va fatto per la bilharziosi.

Infine si può verificare la progressione che rappresenta l’ultima tappa dello sviluppo del cancro, accelerando la facoltà di sorpassare i limiti dell’organo d’origine e svilupparsi a distanza, dando luogo alle metastasi, capaci di essere trasmesse, con inoculazione, perfino ad altri soggetti.

Questa capacità viene acquisita solo da una parte o frazione delle cellule cancerose che vengono selezionate a scapito delle cellule con minore attitudine alla proliferazione.

Questa tappa è sottomessa alle capacità di difesa dell’ospite che, normalmente, identifica come estranee queste cellula anormali e le distrugge.

Un abbassamento delle difese immunitarie dell’ospite permette l’espansione cancerosa senza che sia noto se agisca con un meccanismo preesistente o se questa deficienza sia indotta dal tumore medesimo.

Diverso è il discorso della quantificazione della probabilità che si sviluppi un tumore.

Tutte le tappe intercorrenti fra l’evento iniziale e il cancro sintomatico dipendono da numerosi fattori che possono scatenare il meccanismo.

Il primo fattore di controllo attivo è il sistema enzimatico di riparazione delle lesioni cromosomiche, molto efficace quando il numero delle lesioni è modesto.

D’altronde esistono dei fattori di sicurezza passivi che sono rappresentati dalla scarsa probabilità di sviluppo delle cellule il cui materiale genetico è danneggiato;

alcune cellule vanno incontro alla morte immediatamente, altre vanno a sparire dopo qualche divisione (apoptosi).

Il sistema di riparazione stesso è sotto il controllo di geni che esprimono delle proteine regolatrici del ciclo cellulare come la proteina P53.

Le tappe di promozione e progressione sono anche dipendenti da fattori estrinseci o intrinseci, la cui assenza può impedire l’espressione della linea cancerosa.

Il processo di sviluppo che va da un avvenimento, la lesione del DNA prodotta dalla ionizzazione e un carcinoma necessita, dunque, di una interazione complessa di probabilità condizionali e la probabilità risultante è molto più scarsa di ciascuna delle probabilità di avvenimenti necessarie allo sviluppo di un cancro invasivo.

La teoria semplicistica della linearità senza soglia, ossia che ogni dose anche piccolissima, è suscettibile di provocare un cancro è indicativa della complessità di questi fenomeni biologici appena esposti (1).

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Riguardo ai dati epidemiologici esistenti, si stima che la probabilità di decessi per cancro, pesata per ogni singolo soggetto, sia di circa il 25 % a fronte della probabilità di insorgenza di un tumore in un individuo pari a circa il 30 % (2), (3), (4).

In effetti spesso gli esami autoptici sistematici mostrano la presenza di cancri occulti nella maggioranza degli individui deceduti per altre cause.

Riguardo ai dati inerenti la cancerogenesi indotta, nell’insieme dei tumori dichiarati si stima schematicamente che 1/5 sono dovuti all’intossicazione tabagica, 1/10 all’intossicazione alcolica, 1/3 ai fattori alimentari, 1/20 ai cancerogeni ambientali, tra i quali vanno comprese le radiazioni ionizzanti che arrivano lontano dopo le radiazioni ultraviolette, implicate nell’insorgenza dei tumori cutanei.

Le principali cause di decessi per tumore sono soprattutto comportamentali, specialmente alimentari, poiché il sovrappeso da solo è associato ad un aumento delle morti per cancro in circa il 50 % dei casi nell’uomo e nel 60 % dei casi nella donna.

Gli studi epidemiologici si basano sui sopravvissuti delle bombe atomiche in Giappone (4).

Essi poggiano su 100.000 persone seguite dopo il 1950.

Si sono verificati circa 700 casi di decesso per cancro in eccesso in rapporto al numero atteso nella situazione relativa ai soggetti in esame, con 25.000 decessi per tumore, rapportati ad una popolazione giapponese di confronto non irradiata, con eguali condizioni di vita.

Da notare che un fattore importante è rappresentato, nel caso specifico, dall’irradiazione di questi soggetti avvenuta con forti dosi liberate in un lasso di tempo troppo breve.

A partire da questi solidi dati epidemiologici è stata messa in evidenza una relazione indiscutibile tra l’irradiazione e l’insorgenza di cancri con una relazione sensibilmente lineare tra la dose ricevuta e la probabilità di apparizione dei tumori, ma unicamente per le dosi elevate.

Non c’è, al proposito, evidenza di aumento del tasso di cancri nelle persone che hanno ricevuto dosi inferiori a 0,2 Sv (4).

Per poter supporre un effetto alle deboli dosi bisogna ricostruire la parte iniziale della curva prolungandola verso l’origine.

Inoltre bisogna applicare un fattore di riduzione del rischio tenendo conto del quantitativo di dose.

In realtà l’esperienza mostra che gli effetti di una data dose di radiazioni ionizzanti sono minori se questa dose viene liberata in un tempo più lungo (4), (5).

Questo coefficiente di riduzione di dose si situa tra 2 e 10.

Per avere la certezza di non sottostimare il rischio si utilizza il modello di estrapolazione lineare, che, peraltro, non è da ritenersi il più probabile, e si applica il fattore di riduzione della dose più basso, vale a dire 2.

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E’ così che viene costruita la relazione lineare senza soglia, da cui derivano tutti i calcoli di radioprotezione e le raccomandazioni della ICPR (5).

I tumori osservato sono di tutti i tipi ma la loro cronologia di insorgenza è stata differente; si è, infatti notato:

 un eccesso importante di leucemie, con rischio relativo, RR, pari a 5, che sono apparse relativamente presto, a partire dal 5° anno dopo i bombardamenti, con un picco all’ottavo anno e un decremento lento con un eccesso persistente fino al quindicesimo anno, poi un ritorno alla linea basale;

 tra le neoplasie solide l’eccesso è apparso a distanza di 15 anni dopo l’irradiazione, incrementandosi tale eccesso con il tempo, per una frazione costante rispetto al numero spontaneo atteso, ciò che equivale a dire che il rischio relativo resta costante e che il numero di cancri in eccesso aumenta in relazione all’aumento di incidenza dei tumori con l’età.

Riguardo, poi, alle irradiazioni in campo medico, numerosi studi epidemiologici sono stati effettuati per dei livelli di esposizione sufficienti per autorizzare delle conclusioni statistiche.

I due studi più conosciuti sono quelli di coorte di pazienti irradiati al rachide per pelvispondilite reumatica e di donne irradiate per cancro del collo dell’utero.

Per il primo studio i pazienti, circa 14.000, avevano ricevuto dai 3 ai 5 Gy.

E’ risultato un eccesso di tumori solidi intorno al 30 % e un triplicamento del tasso di leucemie in rapporto ai casi attesi (5).

Questo eccesso di cancri è passato da un massimo di una decina d’anni dopo l’irradiazione fino al decremento a livelli basali dopo circa 20 anni.

Lo studio conferma, in sostanza, l’effetto cancerogeno delle irradiazioni a forti dosi, mentre non pare indicativo rispetto al modello del rischio relativo costante, poiché, in questo caso, l’eccesso di tumori non è più stato osservato dopo 20 anni, quando il numero dei tumori spontanei aumenta con l’età.

Nel caso dello studio multicentrico internazionale relativo all’insorgenza di tumori secondari in donne trattate con radioterapia e curieterapia per cancro del collo dell’utero, si dimostra un eccesso di cancri per gli organi che sono stati irradiati ad alte dosi, ossia più di 10 Gy, nelle vicinanze dell’utero (6).

Si tratta, in particolare, di cancri della vescica, del retto e delle ossa.

Al contrario, l’incidenza di leucemie è relativamente scarsa, con RR pari a 1,7 per 1 Gy.

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Queste discordanze possono spiegarsi con un quantitativo di dose molto differente verificata a livello del midollo osseo, tra il trattamento radioterapico localizzato dovuto a radioterapia e l’esposizione più massiva del midollo osseo come nel caso delle bombe atomiche giapponesi (6), (7).

In rapporto all’irradiazione naturale, l’unica situazione in cui si è notato un incremento di cancri è stata quella dei cancri polmonari nei lavoratori delle miniere d’uranio (7), (8).

L’aria delle miniere d’uranio contiene un’importante quantità di radon.

In buona sostanza gli effetti stocastici sono ritenuti senza soglia e, sulla base degli effetti osservati alle deboli dosi, la radioprotezione ha fondato i suoi principi di prevenzione sulla base di un’estrapolazione lineare degli effetti osservati alle forti dosi.

Per le radiazioni ionizzanti a forti dosi e forte quantitativo di dose hanno un indubbio effetto cancerogeno ma relativamente debole in rapporto agli altri cancerogeni naturali o artificiali (9).

Gli effetti sul materiale genetico, eventualmente trasmissibili alla discendenza, non sono stati stabiliti nella specie umana e sono probabilmente trascurabili in rapporto al numero di alterazioni genetiche spontanee.

Si utilizza la relazione lineare senza soglia per stimare l’ordine di grandezza del rischio per i lavoratori ma questa relazione lineare senza soglia è sprovvista di ogni credibilità scientifica quando viene utilizzata per accertare la probabilità d’induzione degli effetti stocastici alle deboli dosi nella popolazione generale.

In ogni caso i principali tipi di neoplasie solide osservate in caso di irradiazione alle forti dosi, o, più in generale, in caso di esposizione alle radiazioni ionizzanti sono, essenzialmente i seguenti:

 leucemie;

 tumori cutanei;

 neoplasie della tiroide;

 neoplasie della mammella;

 neoplasie ossee;

 neoplasie dell’apparato urogenitale;

 altre neoplasie, fra le quali principalmente i tumori dell’apparato respiratorio, quelli dell’apparato digerente e quelli del sistema nervoso (4).

Nel primo caso si tratta di carcinomi spinocellulari e fibrosarcomi.

Nel caso dei tumori della tiroide sembrano prevalere le forme papillifere.

Per la mammella non vengono segnalate forme specifiche, in particolare.

Per le neoplasie ossee prevalgono le forme sarcomatose.

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Per l’apparato urogenitale si osservano principalmente le forme germinali maschili e femminili, ma anche prostata ed utero.

La pubblicazione relativa ai primi tumori radioindotti risale ad appena 5 anni dopo la scoperta della radioattività dovuta alle radiazioni ionizzanti (Frieben, 1902).

Risalgono agli anni ’20 le prime misure di radioprotezione dopo la scoperta di casi di osteomielite a carico dei mascellari in operai orologiai che dipingevano i quadranti degli orologi.

Lo studio del rischio relativo di sviluppare un tumore radioindotto, in rapporto ad una popolazione di riferimento viene rapportato alla valutazione del rischio in quanto tale.

Se si prende l’esempio storico delle irradiazioni del cuoio capelluto per trattare le tigne, si è potuto stabilire in base ad uno studio che su 10.834 pazienti irradiati da 1 a 6 Gy, che l’insorgenza di tumori era di 60 in numero assoluto, pari ad un rischio relativo di 6,9.

Il rischio di tumori radioindotti è stato o non valutato o sottostimato per le esposizioni a radiazioni in ambito terapeutico e in base al rapporto costo/benefici in base alla valutazione delle conseguenze a lungo termine (10).

Si è dovuto attendere il 1977 con la Pubblicazione 26 della ICPR per rendersi conto che il rischio di induzione di cancro sia la base essenziale della regolamentazione concernente l'esposizione professionale dell'uomo alle radiazioni ionizzanti.

II - Studi Epidemiologici

La regolamentazione dell’esposizione alle deboli dosi delle radiazioni ionizzanti si basa sullo studio dei superstiti di Hiroshima e Nagasaki come studio di coorte di riferimento (12). Una coorte di 86.572 persone, è stata seguita dal 1945 fino ai nostri giorni (Life Span study). Un eccesso di 335 tumori (il 7%) rispetto alla popolazione di riferimento, e di 83 leucemie (il 49%) è stato riscontrato con un contributo variabile dei differenti tessuti ed organi, neoplasie delle vie digestive, leucemie, polmone, mammella, e vie urinarie. I fattori che modificano la sensibilità sono l’età, l'irradiazione in utero, il sesso, il tempo trascorso dalla I^ esposizione (4), (12).

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Da notare che l'eccesso di rischio per unità di dose, il sievert, relativo o assoluto, cresce con l’età, raggiunge l'ordine del 20% per ogni 10 anni di esposizione per tendere dopo 50 anni verso il rischio relativo riconosciuto per gli adulti.

L'esposizione media è di 0.2 - 0.3 Gy ma queste esposizioni si sono verificate con dosi intense in un tempo molto corto. La difficoltà consiste nell’estrapolare i dati dei superstiti di Hiroshima e Nagasaki rispetto alle condizioni di esposizioni che si verificano per esposizioni più deboli e prolungate, quali esposizioni avvenute in modo prolungato come si riscontra in ambiente professionale ad esempio, dunque.

Peraltro, lo studio sull’insorgenza di tumori secondari dopo radioterapia (10) è una sorgente di conoscenza per gli effetti delle forti dosi delle radiazioni ionizzanti. I tumori radio – indotti sono la prima causa di decesso che sopraggiunge 10 anni dopo il trattamento radioterapico della malattia di Hodgkin.

I criteri descritti da Cahan per definire un tumore radio – indotto nel 1948 (tumore situato nel campo di irradiazione, istologia differente della lesione iniziale, tempo di apparizione > 5 anni) sono considerati adesso come troppo limitativi (11).

I tumori radio - indotti possono essere benigni o maligni. La sensibilità all’'irradiazione è molto differente secondo gli organi: 0.09-0.11 Gy per la tiroide (Boice ed al.), 5 Gy polmone, 3 Gy per l'osso, 20 Gy per le mucose ORL e 40 Gy per i tumori digestivi (11).

Bisogna considerare la dose ricevuta per organo, che sia o no nel campo di irradiazione.

Si scoprono spesso dei tumori secondari nelle zone dei bordi delle schermature di protezione dalle irradiazioni utilizzate in radioterapia per proteggere gli organi non riguardati dall'irradiazione stessa. Nelle zone della penombra, la dose può variare di un fattore 10 su meno di 2 cm (10).

In riassunto l'origine di un tumore radio - indotto non potrà essere scoperta che in base a dei caratteri genetici.

L'associazione radioterapia/chemioterapia ha mostrato di essere più induttore di tumori secondari che la radioterapia sola (10). Così un studio mostra che su una coorte di 4.400 pazienti trattati tra 1942 e 1985 per tumori dei tessuti molli (BJC 1999), si riscontrano 16 sarcomi secondari dei tessuti molli contro 0.294 aspettati nella popolazione generale.

In ben 13 sarcomi sui 16, i pazienti hanno ricevuto un'associazione chemioterapia radioterapia. Già, questo effetto potenziante del trattamento chemio/radioterapico per l'insorgenza di tumori radio - indotti, era stato messo in evidenza dopo trattamento dei tumori di Hodgkin per paragone ai pazienti trattati da radioterapia sola.

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L’età al momento dell'irradiazione è un fattore di rischio; i bambini raggiunti da una leucemia acuta linfoblastica trattata da un'irradiazione encefalica di 24 Gy hanno un rischio di tumore cerebrale aumentato tra 80 e 100 (13).

L'esperienza dell'utilizzazione del thorotrast in medicina negli anni 50 a titolo del prodotto di contrasto per tutte le vie di somministrazione ma soprattutto per via endovenosa ha messo in evidenza la patologia legata al torio.

È stabilito attualmente che l'iniezione di diossido di torio è responsabile della formazione di tumori maligni del fegato. È la radioattività alfa del thorotrast che è responsabile del suo effetto cancerogeno; certi calcoli hanno mostrato che la dose tessutale liberata sul fegato era dell'ordine da 15 Gray a 100 gray in 25 anni (11).

I principali tipi istologici riscontrati sono l'angiosarcoma, il colangiosarcoma e i carcinomi epatocellulari.

I colangiocarcinomi sono circa la metà dei tumori maligni del fegato dovuti al diossido di torio. Nei pazienti che non hanno mai ricevuto diossido di torio, l'angiosarcoma rappresenta meno del 10% di tutti i tumori maligni del fegato.

Il thorotrast aumenta anche il rischio di leucemie per la sua presenza nel midollo rosso delle ossa. Il termine medio di sopravvenienza di una leucemia può essere di 24 anni contro 28 anni per il colangiocarcinoma. La relazione tra tumori ossei e thorotrast restano molto controversa.

III - Riparazione

Le lesioni dovute alle radiazioni ionizzanti sono le spaccature della singola elica e della doppia elica di DNA. Le radiazioni inducono in modo aleatorio queste lesioni del DNA. Dopo 1 Gy, è descritto che si osserva, classicamente, per 100. 000 ionizzazioni, 1.000 spaccature della singola elica, 1.000 lesioni delle basi di DNA, 150 rotture dei ponti, 40 spaccature del doppio filo di DNA.

La spaccatura della singola elica di DNA può facilmente essere riparata, grazie al meccanismo di complementarità dell’altra elica presente sul filo intatto di DNA.

La spaccatura del doppio - filo necessita di un meccanismo di riparazione più complesso con possibilità di errore (17).

Questa riparazione imperfetta è all'origine di mutazioni di espressione recessiva che finisce il più spesso per esitare nella perdita funzionale del gene coinvolto e rinforza l'attenzione sulla portata nei confronti dei geni soppressori nell’ambito della concezione generale della cancerizzazione radio-indotta.

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Si stima ammontare solo all’incirca al 20% il contributo della variabilità legata alla sensibilità individuale in rapporto alla dose e/o al suo frazionamento (18).

Ciò potrebbe essere largamente legato all'efficacia dei meccanismi di riparazione delle lesioni del DNA. Questi meccanismi sono molteplici e complessi, ed implicano la funzione di numerosi geni (18), (19).

In conclusione, in caso di lesioni del DNA, i sistemi enzimatici di riparazione orienteranno la cellula verso una morte detta programmata (apoptosi), verso una restitutio ad integrum o ancora una riparazione anomala. In questo quadro, queste cellule portatrici di riparazione anomala possono essere all'origine di neoplasie maligne (18).

IV Alterazioni genetiche

L’omeostasi in un tessuto adulto normale è un effetto caratterizzato da un equilibrio tra i numeri di cellule proliferate, differenziate ed apoptotiche.

Tutti i fattori capaci di modificare questo equilibrio verso una proliferazione cellulare incontrollata sono dei cancerogeni come i fattori che inducono delle mutazioni nei geni che controllano il ciclo cellulare, il ritmo di proliferazione o l'induzione di apoptosi.

Gli effetti delle sostanze genotossiche si traducono in termini di alterazioni irreversibili del genoma (mutazioni) con la conseguenza di un aumento delle anomalie ereditarie e della frequenza dei tumori (18).

Nel 50% dei tumori, si ritrovano delle mutazioni puntiformi dei geni chiamate RAS (20).

La sostituzione di un amminoacido, può creare un epitopo, a partenza da un antigene che si combina con un anticorpo, riconosciuto come il no - si per il sistema immunitario.

L'ostacolo all'espansione della cellula trasformata è la sorveglianza immunitaria contro l'espressione delle proteine trasferite. Proprio in quel momento o il sistema di controllo poi sfugge.

Il modello di carcinogenesi è un processo multi - tappe in cui si osserva l'accumulo di altra perdita durante la progressione tumorale e di conseguenza l'alterazione di funzionamento di un certo numero di geni (20).

Esistono, grossolanamente, 3 tipi di profili citogenetici relativi al cancro:

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1. Tumori con translocazione (scambio di cromosoma) e poco rimaneggiamento cromosomico: è il caso del LIVIC (translocazione 9-22 chiamato cromosoma philadelphia), sarcoma Ewing (translocazione 11- 22), il linfoma di Burkitt (transiocation 8-14);

2. Tumori trisomici: si osserva un incremento del numero di cromosomi;

questo è il caso dei tumori infantili (neuroblastoma, tumore di Wilms, tumore dell'adulto: endometrio e il 20% dei tumori del colon;

3. Tumori monosomici: perdita importante di materiale cromosomico, numerose delezioni.

I tumori radio-indotti hanno spesso dei profili di questo tipo. Le radiazioni ionizzate inducono, in modo aleatorio, delle multipli lesioni del DNA. La probabilità di una perdita di funzione dei geni toccati è dunque maggiore rispetto ad un'attivazione funzionale. Il rischio aumentato e l’età precoce di apparizione di un cancro possono indicare che la prima tappa di un processo è superata fin dal concepimento (20), (21).

Paragonate all’invecchiamento tessutale, le radiazioni mostrano un incremento dell'accumulo delle mutazioni.

Dopo radioterapia ed irradiazioni a forte dose, si osserva un apporto brutale di mutazioni recessive. Il rischio di una seconda mutazione per indurre un tumore è allora legato all'invecchiamento ulteriore (23).

Un'eccezione è rappresentata dall'incidente di Chernobyl dove si è osservato un eccesso di tumori nei bambini fin da 1992.

Nel periodo 1990-1998, in Bielorussia, in Russia e nelle regioni più contaminate dell'Ucraina, 1800 casi sono stati censiti dalle persone che avevano meno di 18 anni prima del 1986, (mentre la malattia è rara nel bambino, 1 a 2 casi per milione e per anno) (21).

Questi tumori solidi multifocali sono apparsi spesso velocemente, solamente 6 anni dopo l’irradiazione, per delle dosi più deboli, 100 mSv per la tiroide, rispetto alle dosi abituali per sviluppare dei tumori radio-indotti (24).

Non ci sono state infine delle mutazioni recessive con perdita di funzione ma al contrario un'azione dominante di un oncogene.

Tra le ipotesi per spiegare queste differenze, si noterà il ruolo dell'addebito di dose importante, la specificità dello iodio 131, raggi beta, tragitto corto, inalato ed ingerito, che ha un tropismo per un organo come la tiroide o si concentra di un fattore maggiore di circa 25 rispetto al sangue, i meccanismi molecolari messi in evidenza

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(Formazione di un gene di fusione tra l'oncogene RET ed i gene PTC3 sul cromosoma 10) (22).

L'attivazione di RET è specifica del tumore papillifero della tiroide.

Infine il fatto che questi tumori sopraggiungono in soggetti giovani nel momento in cui l'organo mira, la tiroide, è in piena crescita sotto il controllo di proto - oncogeni.

L'aumento dell'incidenza dei tumori della tiroide presenta un'opportunità per studiare il ruolo di fattori che possono modificare il rischio di tumori radio indotti (22).

V – Radiosensibilità Individuale

La dimensione del carattere ereditario del tumore ha potuto essere presa in considerazione grazie allo sviluppo della genetica umana e ha condotto all'identificazione di geni di predisposizione a parecchi tumori frequenti come quello mammario, del colon e della cute. La scoperta dei geni soppressori di tumori o anti- oncogene e della loro funzione ha portato ad identificare i soggetti predisposti ai tumori perché portatori costituzionalmente di un allele mutato di uno di questi geni.

È la mutazione somatica del secondo allele, con l'invecchiamento o sotto l'effetto delle radiazioni ionizzanti "che accelera l'invecchiamento tessutale" che può comportare la cancerizzazione a partire dalla doppia cellula mutante.

Oggi, si pensa che ogni mutazione trasmissibile di geni implicati nella riparazione del DNA, nella proliferazione e nel ciclo cellulare, (ruolo del gene p53 per esempio) può trascinare una sensibilità aumentata agli effetti cancerogeni e deterministici delle radiazioni ionizzate (22).

Il numero ed il tipo di geni sono probabilmente molto importanti.

Questo numero e queste variazioni potrebbero spiegare la più o meno grande severità dell’ipersensibilità alle radiazioni ionizzate (23), (24).

La suscettibilità individuale agli effetti stocastici e deterministici delle radiazioni ionizzanti esiste e questi soggetti rappresentano una minoranza della popolazione generale.

Sembra che una componente importante della sensibilità degli individui può essere legata ai fattori genetici costitutivi (25), (26).

Due malattie sono particolarmente molto conosciute: l'atassia teleangectasia, AT, e la malattia di Fanconi. Queste malattie autosomiche recessive sono fortunatamente molto rare, talvolta rarissime, AT = 1/100.000. L'atassia teleangectasia fa parte delle sindromi caratterizzate da un'ipersensibilità alle radiazioni per le quali è stato caratterizzato un fattore genetico.

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Oltre le anomalie genetiche costitutive (predisposizione) o acquisite a causa dell'irradiazione, una componente importante della variabilità della radiosensibilità individuale è legata ai fattori epigenetici, (ormonali, etc.) (S. Chevillard).

Le variazioni di radiosensibilità individuale provengono molto probabilmente dalla variabilità inter - individuale a riparare le lesioni del DNA o ad eliminare le cellule danneggiate.

Le conclusioni della ICPR sono "il rischio individuale sulla popolazione geneticamente predisposta è aumentato solamente in modo minimo dalle deboli dosi anche se la radiosensibilità è 100 volte più elevata" (pubblicazione 79 della CIPR).

Tenuto conto della loro debole prevalenza nella popolazione, il numero di questi casi non cambia la stima del rischio per la popolazione generale ciò che non rientra nel calcolo del rischio di secondo tumore nel campo delle forti dosi come la radioterapia (27), (28), (29).

Alla luce delle conoscenze attuali, si potrebbe suddividere come proposto da R. Masse (comunicazione personale) gli effetti delle radiazioni ionizzanti sulla cellula in tre gruppi di dose:

 Il campo della dose molto debole, il millisievert (mSv) o inferiore al millisievert; così come la decina di millisievert, a basso contenuto di dose:

in questo caso, non si osserva trasformazione cellulare, le cellule sono dette native ed il priorità è data dalla morte cellulare (ipersensibilità a dose molto debole).

 Il campo di una decina di mSv a basso contenuto di dose: si osserva per questa gamma un'attivazione di una batteria di geni e questo fino a 500 mSv, una migliore gestione delle lesioni del DNA (risposta adattativa), delle comunicazioni intercellulari (by-stander) destinate ad eliminare le cellule vicine (instabilità genetica indotta) ed a sollecitare le cellule di sostituzione nel tessuto.

 Infine il campo di qualche decina di mSv a basso contenuto ed al di là del basso contenuto di dose: in questo caso il priorità tessutale è data dalla preservazione funzionale del tessuto favorendo la sopravvivenza tessutale, rispetto all'apoptosi. Si osserva un tasso elevato di mutazioni che possono colpire i meccanismi di riparazione (27).

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VI - Instabilità Genomica

L'instabilità genomica risultante delle multiple interazioni, anche a distanza dalla

cellula irradiata, è l'equivalente a un'intossicazione. La conseguenza dell'acquisizione dell’instabilità genomica è la produzione di mutazioni che l'irradiazione non produce inizialmente (26), (28).

La persistenza dell'instabilità genomica mediante multiple divisioni cellulari può anche trasmettersi per alterazione delle cellule germinali alla discendenza.

C. Streffer l'aveva dimostrato nel 1984, e pubblicato, che le mutazioni ritrovate dopo 20 a 30 divisioni cellulari nei fibroblasti di embrioni di topi irradiati non corrispondevano inizialmente alle mutazioni indotte dalle radiazioni ionizzate.

Da questa osservazione iniziale, il meccanismo che conduce all'instabilità del genoma è diventato un punto cruciale in materia di cancerogenesi.

L'interpretazione di questo fenomeno corrisponderebbe ad una forma di instabilità genetica, influenzata da una predisposizione, e non legata direttamente alla produzione di doppie spaccature del filamento di DNA provocate dalle radiazioni ionizzanti.

Questo tipo di instabilità è stato osservato anche nelle cellule non esposte ma vicine (effetto "bystander”) (28).

Un segnale viene emesso da una cellula irradiata verso le cellule non irradiate permettendo così l'osservazione di un effetto biologico nelle cellule non esposte.

Le ipotesi attuali di cancerogenesi si spiegano più per un "effetto di campo"

e di comunicazione inter – cellulare (effetto by-stander) che per l'irradiazione di un singolo gene o di una sola cellula (28).

In base allo scala di grandezza cellulare, la dimensione del bersaglio necessario per acquistare l'instabilità sembra incompatibile con la grandezza di un gene. Un segnale è emesso da una cellula toccata verso le cellule non irradiate permettendo così l'osservazione di un effetto biologico nelle cellule non esposte.

Tra le ipotesi avanzate, i segnali di membrana ed i canali delle membrane cellulari ("gap junction") sembrano avere un ruolo importante per la comunicazione tra le cellule (Azzam ed al, 2001). Littie ha dimostrato il ruolo del metabolismo ossidativo ma ha anche messo in evidenza la secrezione di citochine (1992), Nagasawa e Littie hanno dimostrato che la relazione dose - risposta per le emissioni deboli di particelle alfa era curvilinea per l'induzione di mutazioni su un locus, chiamato HPRT, su delle culture di cellule CHO (1999).

La risposta curvilinea alle deboli dosi (0-2cGy) è il risultato di mutazioni che sopraggiungono dalle cellule by-stander non irradiate. Un'instabilità può essere

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indotta da irradiazione di cellule per una sola particella alfa (microbeam) (Kadhim ed al, 2001), e può essere saturata a più alta dose (28).

Gli effetti By-stander sono stati osservati a basso o alto trasferimento di energia lineare (Tale). Le principali conseguenze osservate sono state:

• delle mutazioni di geni specifici (Nagasawa e Littie, 1999) ed è da notare che il 90% delle mutazioni sono puntiformi ( all’inverso delle delezioni osservate nelle cellule irradiate) (Huo ed al 2001).

• delle formazioni di micronoduli dovuti ai danni del DNA responsabile dell'apoptosi nelle cellule by-stander (Prenda ed al, 1998, Beiyakov ed al, 2001).

• delle modulazioni dell'espressione di certi geni. Il gene p53 gioca certamente un ruolo centrale, ma anche altre cicline (proteine del ciclo cellulare, CIDC2, Ciclina B1 e rad51 (Azzam ed al. 1998).

Un legame tra gli aumenti della trasformazione maligna e gli effetti by- stander hanno potuto così essere messi in evidenza (Sawant ed al, 2001).

Nella scala di grandezza cellulare, la dimensione dell’energia radiante necessaria per acquistare l'instabilità sembra incompatibile con la grandezza di un solo gene, ma, al contrario, appare compatibile con quella del nucleo cellulare.

Essa non si produrrebbe che solamente al di là di una soglia tale per creare il livello citotossico necessario all'accumulo dei danni dello stress che ossida e dello spaccature del doppio filo di DNA.

Tuttavia quali sono le domande non risolte oggi? Quale è il legame tra l'instabilità genetica e il processo multi - tappe per la cancerogenesi? Quale è l'avvenimento iniziale? Come è l'effetto trasmissibile da una generazione all'altra?

VII - Conclusione

I tumori radio - indotti consecutivi ad un'irradiazione terapeutica per un primo tumore sono rari. Tuttavia questo rischio deve essere preso in considerazione in nell'elaborazione dei protocolli di trattamento nel bambino e nei pazienti portatori di una predisposizione genetica verso il cancro.

Le modalità di sorveglianza a lungo termine devono essere stabilite in funzione del rischio prevedibile. Questi tumori radio - indotti devono essere trattati secondo i protocolli per i tumori spontanei e se il trattamento è possibile, la prognosi è la stessa di questi ultimi (30).

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Interessante appare, quindi, sotto il profilo epidemiologico, lo studio pubblicato sul British Medical Journal, apparso in data 29 giugno 2005 avente per titolo:

“Rischio di cancro a seguito dell’esposizione a deboli dosi di radiazioni ionizzanti.”, studio condotto in 15 paesi, di cui si è brevemente accennato in precedenza.

Lo scopo dello studio era, appunto, quello di stimare il rischio di decessi per cancro, comprese le leucemie, dopo un’esposizione a deboli livelli di radiazioni fotoniche ad alta energia, principalmente raggi gamma nella popolazione mondiale di lavoratori dell’industria nucleare.

Pertanto le norme di protezione contro le radiazioni si fondano principalmente sulle stime di rischio di cancro derivate da studi sui sopravvissuti ai bombardamenti atomici in Giappone che sono stati esposti a dosi relativamente elevate in un lasso di tempo limitato (4), (15).

Andando, quindi meglio nel dettaglio di questo studio, è possibile definire che è stato realizzato proprio per sapere se le stime di rischio derivate da popolazioni caratterizzate da esposizioni prolungate a deboli dosi, come nel caso dei lavoratori dell’industria nucleare, corrispondessero scientificamente alle norme attuali (18).

Lo studio è stato condotto su 407.391 lavoratori, fra uomini e donne che portavano un dosimetro o un badge di registrazione dei raggi e che hanno lavorato almeno un anno nell’industria nucleare in uno dei 15 paesi presi in considerazione.

Sono state incluse nello studio le persone che lavoravano nelle centrali nucleari, nella ricerca o nella gestione dei detriti nucleari, o nella produzione di carburante, d’isotopi o di armamenti nucleari.

I lavoratori che avrebbero potuto ricevere un’esposizione sostanziale ai neutroni o un’esposizione interna, per es. al plutonio, sono stati esclusi poiché queste esposizioni possono essere state mal misurate nel passato.

Le cause del decesso sono state determinate per tutti i lavoratori deceduti.

Tali cause sono risultate essere:

1. tutti i tipi di tumori, salvo la leucemia;

2. tutti i tipi di leucemia, salvo la leucemia linfatica cronica;

poiché le neoplasie rappresentano la principale causa di decessi sui quali sono fondate le norme di radioprotezione.

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I risultati sono stati comparati ai risultati degli studi effettuati sui bombardamenti atomici giapponesi, trattandosi della base essenziale delle norme attuali di radioprotezione.

Nello studio non è stato possibile sapere se i lavoratori fumavano tabacco, essendo il tabagismo un fattore eziologico legato al rischio di diversi tumori.

Sono state, pertanto, realizzate delle analisi supplementari sui tumori legati o meno al tabagismo e sui malati non cancerosi tabagisti, per vedere, appunto se il tabagismo poteva influenzare le stime di rischio.

Il rischio per tutti i tumori esclusa la leucemia è stato ugualmente studiato dopo esclusione del cancro dei polmoni e del mesotelioma pleurico, essendo questi due ultimi tumori fortemente associati al tabagismo o all’esposizione all’amianto.

I risultati dello studio hanno permesso di appurare che la maggior parte dei lavoratori erano uomini, il 90 %, e la dose totale media di esposizione era di circa 19 millisievert (mSv che equivale a 1,9 rem) per lavoratore.

Circa il 6 % della coorte era deceduto, con un totale di 6519 decessi per tumori solidi, escluse, quindi, le forme leucemiche, e 196 in totale erano deceduti per leucemia, esclusa la leucemia linfatica cronica.

L’eccesso di rischio relativo, ERR, per tutti i tumori soldi esclusa la leucemia, era elevato, pari a 0,97 per sievert, con un intervallo di confidenza del 95 %, andando lo stesso ERR da 0,14 a 1,97.

Questo significa che l’ERR per lavoratore esposto a una dose di 19 mSv, la dose media osservata nello studio è di 0,02, con un Intervallo di confidenza del 95 %:

0,003 – 0,004), corrispondente ad un aumento medio del 2 % del rischio medio di questi lavoratori di morire per ogni tipo di tumore esclusa la leucemia.

Pertanto, per un lavoratore esposto ad una dose di 100 mSv, l’ERR è di 0,1 e l’aumento del rischio corrisponde al 10 % (30).

Per la leucemia al di fuori della Leucemia Linfatica Cronica, l’ERR era di 1,93 per Sv, con un intervallo di confidenza molto largo che comprendeva lo 0 (da 0 a 8,47).

Per comparazione i risultati dei sopravvissuti alle bombe atomiche indicano un ERR di 0,32 per sievert per i tumori esclusa la leucemia e un ER che va da 1,54 a 3,15 per Sv per la leucemia al di fuori della LLC, secondo il modello statistico utilizzato (31), (32).

Le analisi sui decessi legati o meno al tabagismo indicano che, benché il tabagismo possa giocare un ruolo nell’aumento del rischio in tutti i tipi di tumore esclusa la leucemia, è, tuttavia improbabile che esplichi la sua pericolosità per la totalità dell’accrescimento del rischio.

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Le stime del rischio di questo studio appaiono statisticamente simili a quelle dei dati forniti dai sopravvissuti ai bombardamenti atomici per la stessa dose di raggi, ma l’incertezza delle stime lascia pensare che il rischio di cancro possa essere più debole o maggiore fino a sei volte superiore per unità di dose di quanto non indichi lo studio sui sopravvissuti delle bombe atomiche.

Nello studio l’aggravio di rischio di leucemia appare nullo rispetto ai risultati dello studio condotto sui sopravvissuti alle bombe atomiche, in cui appare circa tre volte più elevato, per unità di dose.

Globalmente le stime di rischio emerse dallo studio lasciano pensare ad un incremento dei decessi nei lavoratori variabile dal 1 al 2 %, per l’esposizione prolungata a radiazioni ionizzanti, a basse dosi (31), (32).

In realtà il problema dell’esposizione alle deboli radiazioni ionizzanti, quale fonte di tumori radioindotti, appare, al momento piuttosto controverso (33), (34).

Ciò appare alquanto strano in rapporto ai numerosi dati epidemiologici raccolti in decine di anni sui sopravvissuti alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.

La valutazione dei dati successivi epidemiologici, deve quindi, essere effettuata in modo prudente. Il CIRC, Cento Internazionale sulle Ricerche sul Cancro e l’OMS hanno cercato di catalogare tale rischio, relativo all’esposizione alle radiazioni ionizzanti, sulla base ancora di dati epidemiologici (34), (35).

I vari sistemi di sicurezza sociale e nell’ambiente di lavoro hanno preso in considerazione le lesioni causate dalle radiazioni ionizzanti, non solo ai fini dell’indennizzo delle malattie professionali ma ponendo l’accento sulle misure radioprotezionistiche attuabili (36).

Gli ambienti in cui è possibile svolgere indagini statistiche riguardano, in special modo i lavoratori esposti alle radiazioni ionizzanti e l’ambiente medico che fa uso delle stesse a fini diagnostici o terapeutici.

Circa gli effetti biologici della radiazioni ionizzanti, non esiste alcun dubbio sugli effetti nocivi sulla salute da parte di forti dosi di radiazioni ionizzanti, per le quali si dispone di dati sufficienti per studiare la relazione dose – risposta, in modo chiaro (37), (38), (39), (40).

Nel caso di tali effetti detti deterministici, la gravità degli effetti è legata direttamente al numero delle cellule danneggiate.

Tali effetti, invero, si esplicano raramente ovvero in situazioni sporadiche, tali, ad es., le operazioni militari o l’uso di tipo radioterapico per eliminare o curare un tumore (41), (42).

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La tutela radioprotezionistica è rivolta a prevenire ogni tipo di esposizione dei lavoratori alle forti dosi.

Riguardo all’esposizione alle deboli radiazioni ionizzanti, il problema, come è noto, risiede nell’aumento del rischio di tumore in rapporto all’incremento della dose di radiazioni.

In questo caso l’effetto consiste in un incremento della probabilità del rischio medesimo legato all’insorgenza di un cancro (43).

Tali effetti tardivi della radiazioni ionizzanti sono, appunto, chiamati probabilistici o stocastici.

In effetti non si dispone di dati sufficienti in grado di provare una frequenza accresciuta del rischio di tumore, ovvero di effetti negativi sulla salute umana a dosi inferiori ai 20 mSv, valore che, quindi, corrisponde al limite annuale che è stato fissato sia per i lavoratori che per i soggetti che ricevono una dose di radiazioni per motivi diagnostici (43), (44).

Mentre per alcuni autori la dose soglia potrebbe essere elevata fino a 100 mSv, per altri già valori di 10 mSv vengono ritenuti significativi per una esposizione in utero.

Tutto ciò sembrerebbe dimostrare che per tali ordini di dose non esisterebbero effetti dannosi in caso di esposizione alle deboli dosi, ma anche apparirebbe come indicante che per accertare veri effetti sulla salute a tali dosi ci sono troppi pochi dati significativi sotto il profilo statistico (47), (48), (49).

In radiologia sono stati identificati dei limiti piuttosto precisi in relazione al concetto di potenziale dannosità delle radiazioni ionizzanti.

Sono stati sviluppati alcuni indicatori biologici, anche se gli effetti biologici non sono equiparabili a quelli sulla salute.

Di fatto una radiazione ionizzante emessa da una fonte di radioattività non è altro che un trasferimento sufficiente di energia ad un nucleo dell’atomo in grado di far spostare un elettrone dal proprio orbitale, creando, così, un evento ionizzante.

Gli atomi ionizzati sono quelli più presenti nei sistemi biologici, come l’idrogeno o l’ossigeno.

In base alla legge della probabilità la principale fonte è la molecola d’acqua che rappresenta circa l’80 % del corpo.

Quando l’acqua è irradiata essa è dissociata e convertita in radicali liberi.

Questo processo è chiamato la radiolisi dell’acqua.

I radicali sono altamente reattivi.

Essi trasmettono la loro energia al loro ambiente e danneggiano altre molecole tra cui eventualmente il DNA, la molecola contenente i dati genetici (42).

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Il DNA non rappresenta che l’1 % della massa cellulare totale ed è perciò poco suscettibile d’essere esposto ad una radiazione diretta.

Questa molecola è cruciale per la vita della cellula e ogni dato diretto o indiretto provocato, se non viene correttamente riparato, avrà delle conseguenze drammatiche.

Nonostante ciò è bene sottolineare che esistono dei meccanismi deboli e potenti di controllo biologico delle cellule e di riparazione del DNA esistente.

Una molecola di DNA mal o non riparata induce un processo genetico attivo che si sforza di proteggere l’organismo eliminando la cellula danneggiata con un suicidio programmato chiamato “apoptosi”.

In modo tale che solo le cellule che sfuggono ad un tale controllo biologico e all’apoptosi possono essere trasformate e diventare cancerose.

In oltre l’80 % dei casi l’effetto delle radiazioni ionizzanti comporta un danno per azione dei radicali liberi.

Ogni altra causa che produce dei radicali liberi, come gli UV e degli agenti chimici attivi come le diossine, provocherà, essenzialmente gli stessi effetti biologici rispetto a quelli provocati dalle radiazioni ionizzanti.

Il DNA contiene i dati genetici, in modo tale che i danni causati al DNA nelle cellule somatiche, se non vengono riparati, possono essere trasmessi alle cellule figlie (41), (42).

E’ stato provato che le risposte cellulari possono comportare dei cambiamenti genetici tali da poter continuare a prodursi nel tempo, ciò che si definisce instabilità genetica, per periodi relativamente lunghi e toccare, a seguito di ciò, numerose generazioni di cellule (53).

Se il danno colpisce le cellule germinali, ciò può comportate possibili effetti genetici in utero.

In base ai dati attuali disponibili il numero degli effetti genetici atteso dopo un’esposizione cronica a 1 Gray (Gy) varia tra 3.000 e 4.700 casi di alterazioni su un milione di nascite.

Questo numero varia, quindi, nell’ordine dello 0,4 – 0,6 % dell’incidenza naturale degli effetti genetici.

La Commissione internazionale per la protezione radiologica, ICPR, considera che esistano delle soglie per i rischi di malformazione indotti durante l’organogenesi e stima che non ci sia impatto significativo sull’insorgenza di alterazioni genetiche in caso di esposizione inferiore a qualche decina di mGy (54), (55).

Gli effetti in utero non vengono presi in conto durante la fase di pre – impianto dell’embrione, ossia tutta la prima fase, nel corso della gravidanza.

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Studi recenti dimostrano che in animali esposti ad agenti chimici o a radiazioni ionizzanti alterazioni del DNA si verificano, di fatto, in cellule in cui il DNA è stato danneggiato o mal riparato.

Queste cellule lese non provocano necessariamente aborti spontanei.

Un’incertezza considerevole continua a pesare sugli effetti fetali e la predisposizione a sviluppare un cancro ulteriore in rapporto ad una sensibilità genetica indotta dalle radiazioni.

Esiste un gran numero di malattie nelle quali i fattori genetici giocano un ruolo.

Numerosi studi indicano che la radiosensibilità è legata alla predisposizione a sviluppare un cancro in rapporto alla storia genetica degli individui (51), (53), (54).

Un’irradiazione può comportare una particolare sensibilità genetica.

La biologia molecolare permette di analizzare l’integrità del sistema di riparazione del DNA che include sia i geni che intervengono nel riconoscimento e la segnalazione della presenza di lesioni sia quelli relativi al processo di interruzione della divisione cellulare in caso di DNA danneggiato.

Questa disciplina dovrebbe, così, autorizzare la determinazione della radiosensibilità di determinati individui.

I geni riparatori giocano un ruolo importante nei processi di cancerogenesi.

La messa a punto di test capaci di valutare l’incapacità dei geni a prevenire i processi di cancerogenesi potrebbe permettere di identificare gli individui che presentano i rischi maggiori.

Per il momento la ICPR pone unicamente l’accento sulla protezione dell’uomo medio e ignora le precauzioni che si impongono per individui suscettibili di presentare una sensibilità genetica (49), (52).

In effetti la stima del rischio di cancro in caso di esposizione a deboli dosi di radiazioni ionizzanti, per le quali gli effetti non hanno potuto essere provati, continua a rimanere al centro dei dibattiti che dividono gli esperti e i gruppi di studio.

Alle deboli dosi il rischio indotto viene essenzialmente stimato per estrapolazione a partire dalla curva dose – effetto di forti dosi.

Il modello della relazione lineare senza soglia poggia sull’ipotesi che il rischio decresca con la dose, assumendo, di conseguenza, per precauzione che ogni tipo di esposizione possa generare un certo rischio (51), (52), (53), (54).

Tutto ciò ha condotto allo sviluppo di una filosofia di radioprotezione coerente:

le pratiche che implicano il ricorso al nucleare non sono autorizzate se non sono giustificate e, una volta che queste pratiche sono giustificate e autorizzate, la protezione deve essere ottimizzata nello stretto rispetto delle dosi limite ammesse.

Gli studi sul rischio indicano che le radiazioni non sono altamente cancerogene, comparate al tabacco e all’amianto.

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I risultati degli studi epidemiologici recenti confermano, a loro volta, l’ipotesi della relazione lineare senza soglia.

Grazie all’avanzamento delle conoscenze della biologia molecolare è già ora possibile dimostrare che esiste una sensibilità individuale genetica alle radiazioni ionizzanti, valutabile per gli ambienti di lavoro.

I biomarcatori rappresentano delle misure specifiche inerenti l’interazione tra un sistema biologico e un agente di esposizione ambientale per stabilire, in caso di esposizione, gli effetti prodotti, ovvero la sensibilità individuale.

L’esposizione dei lavoratori alle radiazioni ionizzanti pone un problema importante nell’ambito della medicina, del traffico aereo e degli ambienti relativi alle centrali nucleari.

In pratica la fissazione di una soglia potrebbe contribuire a minimizzare i costi e rivelarsi interessante per la messa in opera delle centrali nucleari civili, nell’avvenire (52).

Tutti gli studi specifici del settore sembrano confermare l’ipotesi della relazione lineare senza soglia rispetto all’esposizione alle deboli radiazioni ionizzanti.

La CIRC ha condotto uno studio su oltre 400.000 lavoratori nel settore nucleare che sono stati esposti a delle radiazioni ionizzanti nel passato, come anche riferito in precedenza.

In relazione al predetto studio è stato possibile accertare che i tumori della tiroide indotti dalle radiazioni ionizzanti provocano un incremento del rischio nelle donne, specialmente quelle esposte nel corso della loro infanzia a delle radiazioni ionizzanti (32).

Oltre il 90 % degli addetti era stata esposta ad una dose inferiore a quella soglia precedente, fissata in 50 mSv.

Tra gli altri effetti studiati c’è anche quello relativo all’associazione con l’esposizione al tabacco, ciò che ha condotto ad accertare l’esistenza di un valore molto più elevato per il rischio di cancro del polmone, pari a valori fra 0,3 – 4,0/Sv.

Per le leucemie l’ipotesi quadratica è stata sufficientemente stabilità.

Per le neoplasie solide la mortalità è stata stimata due o tre volte maggiore di quella ottenuta a partire dall’ipotesi lineare utilizzata per i sopravvissuti delle bombe atomiche in Giappone.

Delle considerazioni a parte merita l’esposizione al radon.

Esistono antichi dati epidemiologici relativi all’esposizione dei minatori e dati più recenti su casi di cancro dei polmoni indotti dal radon all’interno della abitazioni.

Dagli studi epidemiologici emerge che il rischio di cancro dei polmoni è aumentato del 8,4 %, con un intervallo di confidenza del 95 %, per valori compresi fra

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3,0 % e 15,8 %, per esposizioni pari a 100 Bq/metro cubo (bequerel per metro cubo) (53).

La relazione dose risposta è apparsa lineare senza soglia e si è dimostrata significativa nel quadro delle analisi su persone viventi nella abitazioni che presentavano un radon misurato < a 200 Bq/ metro cubo.

In assenza di altre cause di decesso, il rischio assoluto di formazione di un cancro dei polmoni all’età di 75 anni, sarebbe, in caso di concentrazioni usuali di radono da 0 a 100 fino a 400 Bq/ metro cubo, rispettivamente dell’ordine dello 0,4

%, 0,5 % e 0,7 %, per le persone che non avevano mai fumato in vita loro e di circa 25 volte superiore, con rischio nell’ordine del 10 %, 12 % e 16 %, per i fumatori di sigarette (51), (52), (53), (54).

Gli studi presi nel loro insieme fanno apparire come relativamente elevato il rischio di cancro in rapporto all’esposizione al radon domestico che si dimostra responsabile, specie nei fumatori o ex fumatori recenti, di circa il 2 % dell’insieme dei decessi per cancro in Europa.

Dai risultati di tali indagini condotte dall’UE in collaborazione con altro organismi di settore emerge che la stima del rischio da un’esposizione al radon domestico è di circa 20.000 cancri dei polmoni in Europa in un anno.

Ciò equivale a dire che il 2 % del numero totale dei cancri in Europa potrebbe essere legato all’esposizione al radon, cifra, comunque, in ogni caso, gravato da un grosso margine di incertezza.

Una volta in più i risultati indicano che degli effetti in tal senso si potrebbero registrare per esposizioni a concentrazioni relativamente deboli pari a 100 Bq/metro cubo, ciò che corrisponde a una dose di 2-3 mSv/anno.

Peraltro tali risultati attestano che il modello lineare dose risposta è da ritenersi il più plausibile, per livelli di esposizione inferiori a quelli supposti nel passato.

Appare altresì incontestabile il ruolo dell’esposizione multifattoriale nella genesi dei tumori.

Il tabagismo, l’esposizione simultanea a vari agenti sul luogo di lavoro o di origine ambientale, rappresentano una realtà quotidiana in grado di complicare l’analisi degli effetti specifici di tali agenti (51), (53).

Peraltro l’esistenza di effetti sinergici è già stata dimostrata nelle miniere di uranio in caso di esposizione alle radiazioni ultraviolette, raggi UV, per l’appunto.

In base a quanto ora riportato appare logico che la multicausalità appaia di notevole rilevanza nella gestione dei rischi.

Per poter meglio valutare l’impatto dell’esposizione alle radiazioni si potrebbe ricorrere a dei nuovi metodi tecnologici in grado di identificare l’interazione dei geni nel processo di sviluppo delle malattie.

L’insorgenza del cancro sembra rapportabile al risultato dell’azione congiunta di diversi fattori.

(27)

644 TAGETE 4-2012

Year XVIII ISSN 2035 – 1046

L’eliminazione di un fattore concausale o di un fattore interagente potrebbero essere di grande beneficio ai fini della prevenzione.

In un tale contesto forse converrebbe dare meno rilievo ai fattori di predisposizione individuale e spingere la maggior parte degli sforzi nello sviluppo di un approccio più prudente che prenda in considerazione le incertezze esistenti e la mancanza di conoscenze più specifiche.

I futuri sviluppi dell’epidemiologia, che finora, storicamente, ha giocato un ruolo decisivo nello svelare gli effetti dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti o ad altri agenti di rischio per l’insorgenza del cancro, permettendo di identificare i fattori di rischio e di quantificare i rischi relativi all’esposizione di tali fattori, possono consentire di attingere ad ulteriori conoscenza al riguardo, avvalendosi di metodiche di ricerca di avanguardia (53).

In tal modo, ad es., si potrebbero mettere in evidenza gli effetti dei livelli di esposizione nei lavoratori con l’utilizzo di tecniche che si avvalgono dell’uso di biomarcatori improntate sulla conoscenza della biologia molecolare.

Tali evoluzioni potrebbero offrire degli indicatori più diretti del rischio.

La questione della sensibilità alle deboli dosi resta, malgrado ciò, controversa.

In ultima analisi gli avanzamenti delle conoscenze relative agli effetti sulla salute dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti sembrano confermare l’utilizzo dell’ipotesi della relazione lineare senza soglia per stabilire la relazione dose effetto (51), (53).

Tutto ciò appare congruo con l’impostazione attuale delle misure di prevenzione attuate per la gamma delle dosi registrate nel quadro delle esposizioni professionali.

Un’attenzione particolare va dedicata però alla sensibilità genetica e ai relativi fattori etici di tipo genotipico.

Altri problemi derivano dall’esposizione in ambito medicale, come nel caso della radiologia interventistica e della diagnostica radiologica per immagini, la PET e i casi del personale coinvolto nell’utilizzo della TC, con un ulteriore particolare riguardo all’esposizione in ambito diagnostico e terapeutico dei bambini.

L’esposizione dei lavoratori che lavorano nei comparti nucleare o di altro genere insieme a quelli impiegati nei centri medici richiede, in definitiva, una gestione e un monitoraggio appropriati, in ragione del fatto che l’ottimizzazione sistematica della protezione può giocare un ruolo essenziale come ha dimostrato la pratica della prevenzione nell’ambito delle centrali nucleari (49).

CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI

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