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Academic year: 2021

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Dalla Letteratura

Da questo numero il Comitato di Redazione del Giornale Italiano di Diabetologia e Metabo- lismo offre ai suoi Lettori un aggiornamento su alcune significative pubblicazioni in campo diabetologico e metabolico comparse su autorevoli riviste internazionali.

G It Diabetol Metab 2006;26:91-93

Contesto. È opinione comune che gli inibitori della convertasi (ACE-inibitori) e i far- maci bloccanti il recettore per l’angiotensina-II (ARB) abbiano specifici effetti renopro- tettivi. Le linee guida specificano che questi sono i farmaci di scelta per il trattamento dell’ipertensione in pazienti con nefropatia. Abbiamo cercato di determinare in che misura questa opinione è sostenuta dall’evidenza disponibile.

Metodi. Sono stati consultati database elettronici fino a gennaio 2005 per cercare trial randomizzati che avessero valutato la relazione tra farmaci antipertensivi e pro- gressione della nefropatia. Gli effetti sugli obiettivi primari non continui (raddoppia- mento della creatinina e insufficienza terminale) e sui marcatori continui secondari di outcome renale (creatinina, albuminuria e filtrato glomerulare) sono stati calcolati con modelli a effetti casuali. Gli effetti degli ACE-inibitori o degli ARB in trial controllati con placebo sono stati confrontati con gli effetti osservati in trial che hanno usato un farmaco attivo paragonabile (trial comparativi).

Risultati. Il confronto tra ACE-inibitori o ARB e altri farmaci antipertensivi ha rivelato un rischio relativo (RR) di 0,71 (intervallo di confidenza, IC 95% 0,49-1,04) per rad- doppiamento della creatinina e un modesto beneficio sulla insufficienza renale termi- nale (RR 0,87; IC 95% 0,75-0,99). L’analisi dei risultati in base alle dimensioni dello studio ha mostrato benefici minori negli studi più estesi. Nei pazienti con nefropatia diabetica non è stato osservato beneficio nei trial di tipo comparativo con ACE-inibito- ri o con ARB sul raddoppiamento della creatinina (RR 1,09; IC 95% 0,55-2,15), sulla insufficienza terminale (RR 0,89; IC 95% 0,74-1,07), sul filtrato glomerulare o sulla creatinina. Nei trial controllati con placebo che hanno utilizzato ACE-inibitori o ARB sono stati dimostrati maggiori benefici rispetto ai trial comparativi per tutti gli outcome renali, ma questi benefici erano sempre associati a sostanziali riduzioni della pressione sanguigna a favore di ACE-inibitori o ARB.

Interpretazione. I benefici degli ACE-inibitori o degli ARB sugli outcome renali nei trial controllati con placebo probabilmente sono dovuti all’abbassamento della pres- sione arteriosa. Nei pazienti diabetici effetti renoprotettivi aggiuntivi di questi farmaci, al di là dell’abbassamento della pressione sanguigna, rimangono non provati e per- mane incertezza riguardo alla maggiore renoprotezione osservata nei pazienti con nefropatia non diabetica.

Effetto dei farmaci inibitori del sistema renina-

angiotensina e di altri farmaci antipertensivi sugli outcome renali: rassegna sistematica e metanalisi

Lancet 2005 Dec 10;

366(9502):2026-33

Casas JP, Chua W, Loukogeorgakis S, Vallance P, Smeeth L, Hingorani AD, MacAllister RJ Centre for Clinical Pharmacology, Department of Medicine, BHF laboratories at University College London, London, UK,

[email protected]

Contesto. Alcuni studi hanno mostrato che la vitamina E può avere effetti positivi sulla funzionalità piastrinica, ma diversi trial clinici hanno fallito nel dimostrare un mi- glior outcome cardiovascolare con l’aggiunta alla dieta di alfa-tocoferolo. Il gamma- tocoferolo, una delle maggiori fonti dietetiche di vitamina E, potrebbe avere proprietà protettive differenti da quelle dell’alfa-tocoferolo.

Scopo del lavoro. In soggetti con diabete tipo 2, sono stati confrontati gli effetti di un supplemento dietetico di alfa-tocoferolo (500 mg) e di un composto ricco in gamma- tocoferolo (500 mg contenenti 60% di gamma-tocoferolo) sulle concentrazioni sieriche e cellulari di tocoferolo, sulla escrezione urinaria di metaboliti del tocoferolo e sull’attiva- zione piastrinica in vivo.

Disegno dello studio. Cinquantotto soggetti sono stati assegnati casualmente a uno dei seguenti tre gruppi (gruppo 1 = 500 mg alfa-tocoferolo/die; gruppo 2 = 500 mg di tocoferoli misti/die; gruppo 3 = placebo). Sono stati misurati all’inizio e dopo 6 settimane le concentrazioni nel siero, negli eritrociti e nelle piastrine del tocoferolo, nonché le concentrazioni urinarie del suo metabolita. Come biomarcatori dell’attiva- Nei soggetti con diabete tipo

2 un supplemento dietetico di tocoferoli misti aumenta il gamma-tocoferolo nel siero e nelle cellule del sangue, ma non modifica

i biomarcatori di attivazione piastrinica

Am J Clin Nutr 2006 Jan;

83(1):95-102

Clarke MW, Ward NC, Wu JH, Hodgson JM, Puddey IB, Croft KD

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Dalla Letteratura 92

Trattamento insulinico intensivo nei pazienti in terapia intensiva medica N Engl J Med 2006 Feb 2;

354(5):449-61

Van den Berghe G, Wilmer A, Hermans G, Meersseman W, Wouters PJ, Milants I,

Van Wijngaerden E, Bobbaers H, Bouillon R

Department of Intensive Care Medicine, Catholic University of Leuven, Leuven, Belgium, greta.

[email protected]

Contesto. Il trattamento insulinico intensivo riduce la morbilità e la mortalità nei pa- zienti ricoverati in terapia intensiva postchirurgica (Tic), ma il suo ruolo nei pazienti in terapia intensiva medica (TIm) non è conosciuto.

Metodi. In uno studio prospettico, randomizzato e controllato di pazienti adulti ri- coverati presso la nostra TIm, abbiamo studiato i soggetti che hanno richiesto cure intensive per almeno 3 giorni. Al ricovero i pazienti sono stati assegnati con procedure di casualità al gruppo di stretta normalizzazione della glicemia (80-110 mg/dl-4,4-6,1 mmol/L) con infusione insulinica, oppure al gruppo di trattamento standard (sommi- nistrazione di insulina quando la glicemia superava il valore di 215 mg/dl-12 mmol/L e sospensione della somministrazione quando il livello della glicemia scendeva al di sotto del valore di 180 mg/dl-10 mmol/L). Il 16,9% dei pazienti era diabetico.

Risultati. Nell’analisi per trattamento assegnato (intention to treat analysis) di 1200 pazienti, il trattamento insulinico intensivo ha ridotto i livelli di glicemia, ma non ha ridotto significativamente la mortalità intra-ricovero (40% nel gruppo convenzionale vs 33,3% del gruppo intensivo, p = 0,33). Tuttavia, la morbilità è stata significativamente ridotta in conseguenza della prevenzione di nuovi danni renali, dell’accelerato svez- zamento dalla ventilazione meccanica e dell’accelerata dimissione del paziente, dalla TIm e dall’ospedale. Benché la durata del ricovero in TIm non fosse prevedibile al rico- vero, tra i 433 pazienti che sono stati ricoverati per meno di 3 giorni la mortalità è stata maggiore in coloro che hanno ricevuto trattamento insulinico intensivo. Al contrario, tra i 767 pazienti che sono stati ricoverati in TIm per 3 o più giorni, la mortalità intra- ricovero nei 386 soggetti che hanno ricevuto trattamento insulinico intensivo è stata ridotta dal 52,5% al 43% (p = 0,009), così come è stata ridotta anche la morbilità.

Conclusioni. Il trattamento insulinico intensivo ha ridotto significativamente la morbi- lità, ma non la mortalità in tutti i pazienti in TIm. Benché il rischio di morte e di malattia sia stato ridotto in pazienti trattati per 3 o più giorni, questi pazienti non hanno potuto essere identificati prima del trattamento. Ulteriori studi sono necessari per confermare questi dati preliminari.

È stata effettuata una metanalisi di trial clinici randomizzati per valutare l’effetto dei tiazolidinedioni sui livelli sierici di proteina C reattiva. Paragonati a placebo, i tratta- menti con tiazolidinedioni hanno ridotto significativamente i livelli sierici di proteina C reattiva (riduzione media di 0,82 mg/L, intervallo di confidenza 95% 1,15-0,49 mg/L, p < 0,0001). In un’analisi per sottogruppi, l’effetto dei tiazolidinedioni sui livelli sierici di proteina C reattiva è stato più pronunciato nei pazienti diabetici (riduzione media di 1,24 mg/L, intervallo di confidenza 95%, 2,15-0,32 mg/L, p = 0,008) ri- spetto ai pazienti non diabetici (riduzione media di 0,27 mg/L, intervallo di confiden- za 95%, 0,41-0,14 mg/L, p < 0,0001).

Metanalisi dell’effetto dei tiazolidinedioni sui livelli sierici di proteina C reattiva Am J Cardiol 2006 Mar 1;

97(5):655-8

Qayyum R, Adomaityte J

Prudich Medical Center, Montcalm, West Virginia, [email protected] Department of Core Clinical Pathology and Biochemistry, Royal Perth Hospital, University of Western Australia, Perth, Australia

zione piastrinica in vivo sono stati misurati il ligando solubile del CD40, l’11-deidro- trombossano B2, il trombossano B2 sierico, la P-selectina solubile e il fattore di von Willebrand.

Risultati. L’alfa-tocoferolo sierico è aumentato con entrambi i trattamenti a base di tocoferolo. Nel gruppo con tocoferoli misti il gamma-tocoferolo sierico e cellulare è au- mentato di 4 volte (p < 0,001), mentre il gamma-tocoferolo eritrocitario è ridotto signifi- cativamente con supplemento di alfa-tocoferolo. L’escrezione di alfa-carbossietil-idros- sicromano è aumentata significativamente dopo supplementazione con alfa-tocoferolo e con tocoferoli misti. L’escrezione di gamma-carbossetil-idrossicromano è aumentata significativamente dopo supplementazione con tocoferoli misti e con alfa-tocoferolo, il che può riflettere la sostituzione di gamma-tocoferolo con alfa-tocoferolo dovuto a incorporazione di quest’ultimo nelle lipoproteine a livello del fegato. Nessuno dei due trattamenti ha avuto alcun effetto significativo sui marcatori di attivazione piastrinica.

Conclusioni. L’aggiunta di alfa-tocoferolo ha ridotto il gamma-tocoferolo eritrocitario, mentre i tocoferoli misti hanno aumentato sia l’alfa-tocoferolo sierico, sia il gamma- tocoferolo sierico e cellulare. Le variazioni nel tocoferolo sierico riflettono da vicino le variazioni nelle concentrazioni cellulari di tocoferoli dopo supplementazione.

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93 Dalla Letteratura

Scopo del lavoro. Mentre il rischio di ictus cerebrale dopo infarto miocardico (IM) è aumentato in confronto al rischio dei soggetti senza IM, la stima di questo rischio rimane poco definita. Numerosi trial clinici hanno riportato l’incidenza di ictus dopo IM, ma questi studi sono stati condotti in popolazioni selezionate. Abbiamo passato in rassegna studi di coorte che riportano l’incidenza di ictus di tipo ischemico dopo IM per meglio stimare il rischio di ictus in una popolazione non selezionata.

Metodi. È stata effettuata una ricerca computerizzata della letteratura (MEDLINE e PubMed) e una ricerca manuale degli articoli citati nelle bibliografie dei lavori sele- zionati. Sono stati identificati studi di popolazione pubblicati tra il 1978 e il 2004 con almeno 100 soggetti e con riportato il numero o la percentuale di ictus verificatisi nei sopravviventi a IM. I dati sono stati estratti secondo una griglia standardizzata e la qualità degli studi è stata valutata da 2 revisori in modo indipendente. L’incidenza di ictus è stata riportata come numero di eventi per 1000 IM con intervallo di confidenza 95% (IC 95%) calcolato secondo una distribuzione di Poisson. Un tasso combinato di ictus è stato calcolato per pazienti durante il ricovero, dopo 30 giorni e dopo un anno da IM usando pesi pari all’inverso della varianza. È stato anche creato un modello a effetti casuali per stimare il tasso di ictus durante il ricovero. La variabilità nei disegni degli studi e nelle definizioni degli outcome ha limitato la sintesi dei dati disponibili.

Risultati. Durante il ricovero per IM si sono verificati ictus di tipo ischemico pari a 11,1 per 1000 IM in confronto a valori di 12,2 a 30 giorni e 21,4 a 1 anno. Usando un mo- dello a effetti casuali si ottiene un valore di 14,5 ictus per 1000 IM. Predittori positivi di ictus dopo IM sono risultati: età avanzata, diabete, ipertensione, storia di precedente ictus, IM in sede anteriore, precedente IM, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco e gruppo etnico non caucasico.

Conclusioni. Le implicazioni per la sanità pubblica dell’ictus ischemico tra i soprav- viventi a IM, così come il consistente numero di questi soggetti, sottolineano la ne- cessità di maggiore consapevolezza di questa grave complicanza. Ulteriori studi sono necessari per determinare le strategie ottimali di prevenzione dell’ictus per i soprav- viventi a IM.

Scopo del lavoro. Valutare i vantaggi, in termini di prevenzione primaria e secondaria, del trattamento con farmaci ipolipidemizzanti in pazienti con e senza diabete mellito.

Disegno dello studio. Esame sistematico della letteratura e metanalisi.

Origine dei dati. Cochrane, Medline, Embase ed elenchi bibliografici aggiornati ad aprile 2004.

Criteri di selezione. Trial clinici in doppio cieco, randomizzati, controllati con place- bo con un follow-up di almeno 3 anni che hanno valutato il trattamento farmacologico ipolipidemizzante in pazienti con/senza diabete mellito.

Estrazione dati. I dati sono stati estratti da due revisori in modo indipendente. Come outcome primario è stato fissato l’insieme delle coronaropatie gravi comprendendo i decessi da cardiopatia ischemica, gli infarti miocardici non mortali o gli interventi di rivascolarizzazione miocardica.

Risultati. Sono stati inclusi 12 studi. Il trattamento ipolipidemizzante è risultato effica- ce nei pazienti diabetici almeno quanto lo è stato nei pazienti non diabetici. Ai fini della prevenzione primaria, la riduzione del rischio per coronaropatia grave è stata del 21%

(intervallo di confidenza, IC 95% 11-30%; p < 0,0001) nei pazienti diabetici e del 23%

(IC 95% 12-33%; p = 0,0003) nei pazienti non diabetici. Ai fini della prevenzione se- condaria, le riduzioni di rischio sono state rispettivamente del 21% (IC 95% 10-31%;

p = 0,0005) e del 23% (IC 95% 19-26%; p ≤ 0,00001). Tuttavia, la differenza di rischio assoluto è stata 3 volte maggiore per la prevenzione secondaria. Quando i risultati sono stati aggiustati per il rischio prima dell’intervento farmacologico, i pazienti diabe- tici hanno avuto maggiore beneficio, sia per la prevenzione primaria che secondaria. I livelli di lipidi nel sangue si sono ridotti di una quantità simile in entrambi i gruppi.

Conclusioni. C’è una solida evidenza a favore dell’idea che il trattamento con far- maci ipolipidemizzanti (specialmente con statine) riduca significativamente il rischio cardiovascolare in pazienti diabetici e non diabetici; tale effetto risulta maggiore nei pazienti diabetici, sia in termini di prevenzione primaria che secondaria. Rimangono da definire la soglia per il trattamento di questi pazienti e gli obiettivi desiderabili di livelli di lipidi plasmatici, specialmente per la prevenzione primaria.

L’incidenza dell’ictus cerebrale dopo infarto miocardico: una metanalisi Am J Med 2006 Apr;

119(4):354.e1-9

Witt BJ, Ballman KV, Brown RD Jr, Meverden RA, Jacobsen SJ, Roger VL

Division of Cardiovascular Diseases, Mayo Clinic, Rochester, Minn 55905, USA

Efficacia del trattamento farmacologico

ipolipidemizzante

in pazienti diabetici e non diabetici: metanalisi di trial clinici randomizzati

BMJ 2006 May 13;

332(7550):1115-24

Costa J, Borges M, David C, Vaz Carneiro A

Center for Evidence-Based Medicine, University of Lisbon School of Medicine, Lisbon, Portugal

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