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Congresso S.I.S.M Ottobre 2005 Psichiatria e storia della Medicina

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Congresso S.I.S.M. 20-23 Ottobre 2005 Psichiatria e storia della Medicina

Il fenomeno del Tarantismo

Il Tarantismo affonda le proprie radici nel Medioevo, come fenomeno storico-religioso che, prolungatosi al Settecento ed oltre, giunge fino ad alcuni “relitti” riscontrati nella penisola salentina ancora pochi decenni or sono.

Il De Martino, etno-antropologo napoletano, nell’opera “La terra del rimorso”, definisce il Tarantismo come “una formazione religiosa minore, prevalentemente contadina… caratterizzata dal simbolismo della taranta che morde ed avvelena, e della danza e dei colori che liberano da questo morso avvelenato”.

La insorgenza del Tarantismo, tra il IX ed il XIV secolo, si verifica fra il massimo espansionismo musulmano e l’offensiva di ritorno dell’Occidente. “Le esperienze di avvelenamento collettivo che gli eserciti occidentali ebbero a patire per i morsi di animali velenosi – dice ancora il De Martino – fornirono lo stimolo iniziale alla plasmazione culturale del fenomeno”. Il Tarantismo pugliese, che trasse stimoli da reali episodi regionali di aracnidismo, “elaborò il suo simbolo con relativa autonomia culturale, stringendo in una nuova unità funzionale elementi, provenienti dalla Magna Grecia, quali il simbolismo dell’oistros1, della aioresis2, dell’albero e delle acque, dello specchio e della spada, e soprattutto la tradizione della catartica musicale (De Martino, 1961). Le origini del Tarantismo, sostiene il De Martino, sono da inquadrare nella “vigorosa polemica cristiana contro i culti orgiastici pagani”, escludendo di fatto una continuità con tali culti.

Altri Autori avanzano una ipotesi alternativa, cioè quella di una continuità storico-religiosa con gli antecedenti culti pagani, “nella quale, ad un certo punto, il Tarantismo prende forma sotto la pressione di una forte e variegata dinamica sincretistica” (Salvatore, 1998). La ricerca, perciò, andrebbe indirizzata su vari culti del passato, quali quelli della civiltà messapica, confrontando il simbolismo messapico con quello immaginario del Tarantismo; ed ancora con quello del Dionisismo, del Coribantismo o dell’Orfismo, di cui il Tarantismo è una trasfigurazione, e da cui trae il bestiario fantastico di serpenti, scorpioni, tarantole e dragoni.

Il tema principale del Tarantismo è il simbolismo del morso; già Nicandro riporta il quadro sintomatologico del morso del falangio con “tremori, convulsioni e delirio”, sintomi riproducenti la

1 ofistro˚: tafano, assillo; passione violenta, accesso di furore.

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crisi di aracnidismo, con l’aggiunta del “rischio di contagio”, per la vicinanza con la vittima del falangio (“imitazione del comportamento dell’avvelenato”) e del “simbolismo cromatico”, che correla il colore dell’animale con le conseguenze derivanti dal suo morso. Secondo Plinio, tali conseguenze variano da persona a persona, e sono peggiori nelle donne, specie quando queste vengono colpite nella “età puberale, quando appunto - secondo De Martino - si apprestano a liquidare l’eredità dell’infanzia per dischiudersi al loro destino di donna”.

Già Epifanio Ferdinando, medico mesagnese vissuto tra il XVI e il XVII secolo, nelle sue

“Centum Historiae”, alla Storia LXXXI, De Morsu Tarantulae, tratta dei molteplici sintomi che affliggono coloro che vengono morsi dalla taranta e ne descrive cento; noi, per brevità, trascriviamo quelli che il Baglivi, medico ed estimatore del Nostro, riporta nella sua “Opera Omnia” – De morsu Tarantulae, Capitolo VI – Descrizione delle malattie e dei sintomi conseguenti al morso.

Coloro che sono morsi da svegli, sentono il morso come inflitto da una formica o da un’ape. La parte morsa viene talvolta presa da dolore, talaltra da insensibilità, e subito dopo si colora di un alone livido, scuro e giallastro; poco dopo si forma un rigonfiamento dolente che, in seguito alla terapia musicale e all’uso dei rimedi, regredisce spontaneamente insieme con gli altri sintomi.

Poche ore dopo il morso i pazienti sono colpiti da forte angoscia cardiaca, da profonda malinconia, ma in primo luogo da gravi difficoltà nel respirare; si lagnano con voce mesta, si guardano attorno con occhi sbigottiti e, se gli astanti domandano in qual punto sentano dolore, o non rispondono affatto oppure, con la mano poggiata sul petto, indicano sofferenza nella regione del cuore, quasi che il cuore sia colpito più di tutto il resto…

Il veleno della taranta, dopo l’esacerbazione dei sintomi violenti, che si manifestano nei primi giorni, si esaurisce infine in una forma particolare di melanconia, che opprime gli ammalati, finché con il ballo, o con la musica, o con il cambiamento dell’età, i caratteri virulenti non vengano del tutto eliminati dal sangue e dal fluido dei nervi…

I numerosi sintomi… riflettono il carattere di una immaginazione distorta: molti tarantati, infatti, cercano i sepolcri e i luoghi solitari, altri, come se fossero morti, si stendono nel feretro dei defunti, altri come disperati si precipitano nel pozzo. Le vergini, le donne sposate, e le altre donne onorate, sciolte dai vincoli del pudore, sospirano ardentemente, si lamentano, si muovono senza ritegno, mostrano le parti oscene, amano il movimento dondolante, eccetera; alcuni si rotolano nel fango, come maiali, e in tale rotolamento provano piacere… altri traggono grande vantaggio dal correre.

Anche riguardo al colore si osservano cose curiose: i tarantati, infatti, sono attratti da alcuni colori, mentre sono gravemente rattristati da altri ed, in rapporto alla diversa intensità del disturbo mentale, ora sì ora no, sono rallegrati o afflitti dai diversi colori delle cose.

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Posteriormente al Baglivi, un altro medico, Richard Mead, anch’egli sostenitore della meccanica solidistica, autore dell’Opera Medica, nel Tentamen II, De Tarantula, cerca di spiegare il perché di alcuni sintomi anomali nei tarantati, descrivendo dapprima la corretta economia animale (fisiologia), secondo la quale la trasmissione al cervello degli stimoli sensoriali, provenienti dall’esterno, produce i movimenti conseguenti, esprimendo la seguente teoria:

La costanza di questa sequenza ed infine quella seconda natura che è la consuetudine fanno in modo che, anche senza l’intervento della ragione, le immagini formatesi nella mente producano istantaneamente e necessariamente corrispondenti movimenti degli organi fisici. Pertanto, quando queste immagini vengono turbate, si determinano di conseguenza movimenti del corpo similmente turbati. Ciò premesso, sembra logico affermare che il delirio è una rappresentazione, trasmessa alla mente, di immagini disordinate e variamente composte in modo confuso, unitamente a movimenti corporei certo per lo più irregolari e quasi involontari: cioè i fluidi nervosi producono incontrollati e irregolari movimenti, sicché molti oggetti sono presentati all’anima e, se ciò avviene, il corpo fa molte cose, senza tuttavia che quegli oggetti abbiano colpito i sensi in modo da consentire all’anima di determinare regolarmente i movimenti corporei.

Il Mead, come il Baglivi, il Willis ed altri, spiegava in questo modo la propagazione dello stimolo sensitivo e motorio. Si era molto lontani, comunque, dallo spiegare il fenomeno “tarantismo”, così come avviene oggi, da una visuale più allargata, comprendente simbolismo, etno-sociologia e psichiatria, e non solo la medicina o il rituale religioso con la relativa iatromusica. Il Serao, esponente dell’Illuminismo napoletano, ritenendo di screditarlo, relegò sbrigativamente tale fenomeno fra le malattie mentali.

La maggiore incidenza di tale patologia nelle donne è riconducibile, secondo Jeanmarie (1951),

“all’aspra pressione sociale esercitata sul mondo femminile in una società di tipo androcratico, che comporta il ritorno del represso sotto forma di sintomi nevrotici cifrati, incompatibili con qualsiasi ordine culturale; perciò richiedono un adeguato trattamento preventivo e risolutivo”.

Anche nel Menadismo, ed in altri culti orgiastici femminili, si ritrovano i tentativi di “risoluzione della crisi” con la corsa, gli inseguimenti, le immersioni rituali e le danze tripudianti, che si svolgono in scenari acquatici ed arborei, cosa che avviene anche nel Tarantismo. La presenza nel rituale del Tarantismo della aioresis, fune o altalena, è un simbolo, le cui origini sono da ricercare nel mito di Erigone, figlia di Icaro che, dopo aver ucciso il padre, per la disperazione si impiccò ad un albero; quest’esempio venne imitato dalle vergini attiche, provocando la diffusione di una mania suicida. Per far cessare questi suicidi, in osservanza del responso dell’oracolo di Apollo, venne istituita la festa della aiÒra, cioè l’altalena delle vergini, e durante questa particolare festa, si

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distacco, che avviene nella vita puberale femminile, dall’immagine paterna e la sua sostituzione con quella dello sposo che, il più delle volte, non coincide con la persona desiderata dalla loro passione.

Pertanto l’oistros e l’aioresis rappresenterebbero valvole di deflusso di conflitti interni in adolescenti, ancora legate all’infanzia ed incapaci di sostituire con un “estraneo” sposo l’immagine paterna, cosicché le loro passioni restano inappagate e represse.

Il dramma rituale del Tarantismo si svolge, non a caso, nella stagione estiva, sotto due costellazioni, cioè quella del Cancro, ovvero del Granchio, animale che “pizzica”, e quella del Cane, la “canicola pungente”, che può provocare, con il colpo di sole, uno stato confusionale. Nella stagione estiva, però, si realizzava anche il destino di tutto l’anno e “sul piano economico, significava la possibilità di ripianare i debiti, mentre sul piano simbolico era il periodo in cui potevano essere pagati anche i debiti esistenziali” (De Martino, 1961). In tali frangenti diveniva più facile l’esplosione dei conflitti irrisolti, specialmente se a tutto ciò si aggiunge “l’incontro”, durante i lavori nei campi, di un ragno; si spiegherebbe in questo modo l’origine del simbolo della Taranta.

“Così in luogo delle crisi individuali senza orizzonte… il simbolismo stagionale del Tarantismo proiettava in primo luogo l’ancoraggio di tali crisi nei limiti temporali di un’epoca determinata, modellava la crisi secondo il comportamento dell’avvelenato, offriva un piano mitico-rituale di evocazione e di deflusso dei conflitti, mediante il simbolismo della musica, della danza e dei colori in un adeguato scenario cerimoniale” (De Martino, 1961).

Esorcismo coreutico, cromatico e musicale

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In verità, invece di esorcismo, sarebbe meglio parlare di adorcismo, in quanto nella pratica esorcistica si cerca di scacciare il demone o il dio che possiede, invece nell’adorcismo, come appunto nel Tarantismo, si cerca di ingraziarselo. Questa pratica poteva aver luogo all’aperto, in un contorno naturale arboreo ed acquatico, che richiama l’oribasis (richiamo delle Menadi, donne pazze che si buttavano in mare), ma poteva anche svolgersi nell’abitazione della tarantata, approntata a spazio sacro. Così la stanza da letto veniva adornata con pampini di vite, da cui pendevano drappi, nastri (zagarelle) e fazzoletti dai colori vivaci. Al centro era posta una tinozza ripiena di acqua, anch’essa simbolo mitico-rituale e devozionale, come nel Menadismo. La danza si svolgeva di fronte ad uno specchio, nel quale i tarantati “si contemplano, traendo dal petto profondi sospiri” (De Martino).

Secondo Plinio, il basilisco, rettile dallo sguardo letale, poteva essere sconfitto facendone riflettere lo sguardo in uno specchio; e Galeno scrive nella sua “De Theriaca ad Pisonem” che

“alcuni animali solo a guardarli mostrano la loro forza, come la tarantola che uccide gli scorpioni che la guardano”. La valenza simbolica dello specchio consiste nel produrre, o meglio indurre,

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attirando su di sé l’attenzione, una regressione narcisistica, necessaria al deflusso dei conflitti inconsci.

Le affinità tra i rituali greci e quelli del Tarantismo sono molteplici: in entrambi le danze tripudianti e frenetiche fino al parossismo costituiscono la parte essenziale del rituale; in entrambi la musica dei flauti e degli strumenti a corda deve essere suonata, procedendo prima ad una identificazione musicale del paziente, perché egli raggiunga il culmine; in entrambi è evidente lo scatenamento degli impulsi sessuali ed aggressivi, specialmente in donne poco acculturate e inibite nelle emozioni e nei sentimenti da una società ignorante e maschilista. Ma le affinità continuano anche con la storia e la geografia: di fatti, l’antica Tarentum, situata nella penisola salentina, ed al centro della Magna Grecia, era commercialmente e culturalmente influenzata dalla Grecia. Ed ancora gli abitanti erano particolarmente portati verso la musica, e non a caso Aristosseno, grande teorico della musica greca antica, proveniva da Taranto.

Le basi del Tarantismo, come quelle delle frenesie coreutiche medioevali, hanno in comune elementi psicologici, consistenti in termini di “privazioni emozionali e sociali, di esplosione inconscia di desideri sessuali inibiti e di gratificazione esibizionistica”.

Nelle spiegazioni psico-analitiche (Abraham) il ragno da una parte rappresenterebbe i peli pubici femminili, dall’altro l’organo sessuale maschile, cosicché il ragno incarnerebbe la madre mascolina che dapprima abbraccia e poi uccide il maschio.

Per cercare poi un significato psico-analitico globale, secondo Gloyne, bisogna puntualizzare tre aspetti fondamentali: 1). la paura vera e propria della tarantola; 2). i meccanismi individuali di difesa; 3). la psicologia di gruppo.

Si permetterebbe in questo modo alle paure istintive interne di proiettarsi su un pericolo esterno, il Ragno, il tutto collegato con inconsci ed insoddisfatti desideri sessuali.

Attraverso il rituale del Tarantismo si dava l’opportunità di far emergere i conflitti emozionali più profondi e di reintegrarli nella propria personalità; così, non trovando giustificazioni nel contesto culturale locale, essendo le donne del Mezzogiorno soggetto-oggetto di qualsiasi tabù, le istintualità venivano drammaticamente esteriorizzate, mediante la “abreazione”, rendendo così possibile la conseguente catarsi. Il Tarantismo, pertanto, è da definire non come una malattia, ma come un rituale terapeutico operante su basi inconsce, a differenza delle moderne forme di psicoterapia, in cui “i soggetti sono in qualche misura consci di questi fenomeni psicologici (G. Mora).

L’azione della musica

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La musica esercita sull’individuo una duplice azione: una psichica e l’altra somatica.

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La prima azione, quella psichica, è legata alla stimolazione non solo delle cellule acustiche, previa penetrazione nel cervello, ma anche di altri centri, come il plesso celiaco (cervello neurovegetativo) che vengono risvegliati (non a caso Epifanio Ferdinando si poneva il dubbio nella Storia 81 delle sue Centum Historiae “se i sordi temporanei e i sordastri sentono la musica”).

La seconda azione, quella somatica, produce modificazioni del tono e della attività muscolare ed anche modificazioni vasomotorie; queste ultime - secondo il Ferrari - avverrebbero in circostanze particolari, cioè “quando il soggetto è in stato di inferiorità psicologica, quando le funzioni psichiche vengono meno, oppure quando le emozioni non sono più inibite dalla coordinazione”.

Il Baglivi sosteneva che “l’azione della musica si esplica in due tempi e in due modi: come puro impatto fisico sulle fibre sensibili e come attività culturale, che rielabora stimoli immediati sulla base della memoria di esperienze del passato” ed ancora: “il corpo è una macchina costituita da fibre elementari [teoria solidistica], in perpetua oscillazione”, come le onde del mare e la malattia è

“una variante patologica delle normali vibrazioni del corpo” e pertanto il medico ha il compito di ripristinare “il moto continuo ed armonioso”.

“Fondamentale è – secondo il Rouget – il ruolo dei musicanti che non sono degli iniziati, infatti essi non partecipano allo stato di trance, ma ne sono le guide, i regolatori e gli stimolatori.

Il ciclo coreutico nel Tarantismo è bipartito, cioè formato da due fasi: la prima al suolo, che mima lo stato di “morte apparente”, la seconda, in piedi, realizza la risoluzione della crisi e l’avviamento verso la guarigione, attraverso la danza sfrenata, condotta, per alcune ore, in ampi cerchi che tendono via via a richiudersi verso il centro. Entrambi le fasi possono essere reiterate fino al momento della guarigione. Secondo Staiti la pluralità delle musiche sembrerebbe necessaria affinché il posseduto, nelle pratiche coreutiche formalizzate, possa rappresentarsi individualmente col proprio vissuto personale.

L’iterazione delle strutture isometriche del ritmo ostinato, e più precisamente di un nucleo periodico duale, secondo il Carpitella ed altri, provoca un effetto ipnotico che favorisce l’induzione dello stato di trance rituale. Lo stile arcaico originale nella pizzica-pizzica, era in quattro quarti, mentre la forma più dolce di questa musica, meno ricca di contrasti, ma altrettanto valida, è la tarantella in sei ottavi e in dodici ottavi. Questa transizione si è verificata già nel Seicento di pari passo con la sparizione del Tarantismo napoletano (De Simone). Questo autore ha preso in considerazione le tarantelle liturgiche seicentesche pugliesi del Kircher in quattro quarti e un documento in tre mezzi (convertito per comodità in sei ottavi) ugualmente seicentesco, trasmesso dallo stesso Kircher come vera tarantella, e riportato dal Carpitella con la denominazione di Tono hypodorico. Secondo Epifanio Ferdinando ed altri esistevano più tipi di musiche che il Nostro elenca sotto i nomi di Cinque tempi, Moresca, Catena, Spaddata, Panno rosso e Panno verde,

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eccetera, che corrisponderebbero ad altre sequele analogiche, per la valenza cromatica (rosso = temperamento sanguigno = modo frigio o mesolidio; fulvo = temperamento bilioso = modo frigio;

nero = temperamento malinconico = modo ipodorio), o secondo la valenza astrologica: Marte regolava il modo frigio; Saturno quello mesolidio; la Luna quello ipodorio, eccetera. Il Ferdinando, quindi, così come il Ficino, sottolinea la necessità di utilizzare, cioè di esplorare, la chiave giusta, cioè il motivo confacente al riequilibrio degli umori corrotti. Il Ferdinando, inoltre, sosteneva l’efficacia della nostalgia per un’aria già nota, come verrà dichiarato in seguito dal Rousseau,

“ognuno viene toccato solamente dagli accenti che gli sono familiari”. L’azione della musica, secondo il Rouget, si esplica soprattutto sul piano psicologico, perché essa modifica la percezione spazio-temporale del proprio essere; mentre il silenzio segna uno “spazio vuoto ed immobile”, la musica, invece, caratterizza “uno spazio pieno ed in moto”, spazio in cui si colloca l’ascoltatore.

Nella dimensione temporale la musica “modifica ancor di più – sempre secondo il Rouget – la coscienza del proprio essere. In quanto architettura del tempo gli conferisce una densità diversa da quella quotidiana; indica che qualcosa sta succedendo e che il tempo è occupato da un’azione in svolgimento”. Sempre secondo lo stesso autore la musica, sia vocale che strumentale, sia ritmica che melodica, costituisce lo stimolo principale nell’indurre la “trance di possessione”, caratteristica delle crisi del Tarantismo, così come anche in altre forme di possessioni rituali. Secondo gli anglosassoni la trance indica uno “stato alterato di coscienza”, cioè un cambiamento qualitativo della coscienza ordinaria, della percezione dello spazio e del tempo, dell’immagine del corpo, dell’identità personale. Molteplici sono i fattori nella evocazione dello stato alterato di coscienza: lo stress fisico eccessivo, la prolungata privazione del sonno, la fame, la sete, la deprivazione sensoriale (come negli stati di meditazione), oppure la iperstimolazione sensoriale con la ripetizione ossessiva di parole o frasi, o con intensi stimoli sonori, o anche visivi. La prima tappa per la induzione della trance è data dal distacco del soggetto dalla realtà interna ed esterna, interferendo con i processi sensoriali e motori di adattamento all’ambiente solito. Infatti il suono forte, ripetitivo ed ossessivo del tamburello sfonda la coscienza ordinaria e, con l’accelerando e il crescendo, induce la trance.

Oggigiorno assistiamo al fenomeno della “techno-trance”; con la musica da ballo, detta “techno”, perché prodotta tecnologicamente, si è sviluppato il movimento dei “rave-party”, che si caratterizza con la ricerca sistematica di fuoriuscire dalla quotidianità attraverso la trance. “Alcune nuove droghe sintetiche, come M.D.M.A., o ecstasy, contribuiscono - secondo Lapassade – a tale modificazione socializzata dello stato ordinario di coscienza”. La scenografia del rave è costituita da un insieme di effetti visivi, proiezioni di video, diapositive, effetti stroboscopici di luce laser,

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riferimenti spazio-temporali. Anche la struttura della musica funge da stimolo; cioè, mentre nella musica tradizionale la “figura” è la melodia, e lo “sfondo” è costituito invece dal ritmo e dagli arrangiamenti armonici, nella musica techno la “figura” è assente, c’è solo lo “sfondo”. Tale modificazione riflette bene la condizione psicologica di coloro che frequentano i “rave-party”, i quali - sempre secondo Lapassade – “formano uno sfondo senza figure”. Dal 1945 ad oggi sono molto numerosi i contributi pubblicati, oltre ottocentoquarantasei, inerenti il fenomeno del Tarantismo, anzi, ancor oggi, proprio sotto l’aspetto psichiatrico, si ritorna ad indagare più profondamente su quanto nel Tarantismo è rappresentato dai simboli, mediatori junghiani tra coscienza ed inconscio, ma anche tra inconscio collettivo ed individuale. Questo contributo, lungi dal voler rappresentare un’indebita intromissione nel mondo della psicanalisi e della psichiatria, tende solamente a fare soffermare gli studiosi, ma anche il popolo dei turisti e dei curiosi, su un fenomeno multidisciplinare, che va ben oltre i confini della Puglia ed il folclore di festa paesana. Vi ringrazio per l’ascolto.

Autori: Maria Luisa Portulano-Scoditti e Amedeo Elio Distante.

Relatore: A. Elio Distante.

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