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g g g e en e n no o o m mi m i ic c c i i i s s s o o o m me m e er r rs s s

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1. Introduzione

1.1 Classificazione

L’herpes simplex virus di tipo 1 (HSV-1) e di tipo 2 (HSV-2) sono due membri delle Herpesviridae, una famiglia composta da oltre 100 membri capaci di infettare altrettanti numerosi animali a sangue caldo e freddo. Si può infatti affermare che, nell'ambito dei vertebrati, per ogni specie animale per la quale siano state condotte ricerche accurate è stato riscontrato almeno un virus herpes che ha compiuto la sua evoluzione congiuntamente al proprio ospite;

alcuni animali, come l'uomo, sono colonizzati da diversi virus erpetici che occupano all’interno di uno stesso individuo compartimenti tissutali diversi. La famiglia Herpesviridae si suddivide in:

Alphaherpesvirinae, di cui fa parte, oltre ad HSV-1 e HSV-2, anche varicella zoster virus (VZV) agente eziologico della varicella e dell’herpes zoster. Questi instaurano la latenza nei gangli sensitivi, hanno il ciclo riproduttivo (in vitro) di 8-14 ore ed un ampio spettro d’ospite in vitro.

Betaherpesvirinae, a questa sottofamiglia fanno parte il citomegalovirus umano (HCMV) e gli herpes virus umani 6 e 7 (HHV-6 e HHV-7). Questi virus latentizzano negli endoteli, epiteli e negli organi linfoidi, ed hanno un ciclo riproduttivo più lento (48-96 ore).

Gammaherpesvirinae, è una sottofamiglia che comprende le specie Epstein- Barr virus (EBV), agente eziologico della mononucleosi infettiva, e l’herpes virus umano 8 (HHV-8). Questi virus instaurano latenza negli organi linfoidi e in vitro infettano i linfociti, il loro ciclo replicativo ha durata intermedia (36-60 ore).

1.2 Morfologia

Gli herpes virus sono tra i più grandi e complessi virus animali.

Il virione maturo degli HSV 1 e 2 (Fig 1.1) ha una dimensione che varia dai 150 nm ai 200 nm. Iniziando dalla regione più interna della particella virale

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troviamo, racchiuso dal nucleocapside, il genoma virale. Questo è costituito da una molecola lineare di DNA a doppio filamento di circa 150 Kbp, alla quale sono associate diverse nucleoproteine a formare il nucleoide. Il capside proteico è costituito da 162 capsomeri cavi che determinano una struttura icosaedrica dal diametro di circa 100 nm. All’esterno del nucleocapside si trova uno strato di materiale amorfo che prende il nome di tegumento. Infine, nella porzione più esterna, si trova l’involucro virale (envelope) costituito da lipidi, poliammine e da diverse proteine, di cui almeno 10 glicosilate.

Figura 1.1 Particella virionica matura di HSV (Da www.dna-technology.ru)

1.3 Organizzazione genomica

Il genoma virale ha dimensioni di circa 150 Kbp e codifica per almeno 84 proteine. C’è una certa variabilità nella lunghezza del genoma e questa è dovuta principalmente al diverso numero di ripetizioni di specifiche sequenze interne e terminali. Il genoma di HSV-1 ed HSV-2 (Fig 1.2) consiste in due

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sequenze unite covalentemente e chiamate L (long) e S (short). Ciascuna componente è costituita da sequenze uniche (UL e US, rispettivamente) fiancheggiate da ripetizioni invertite. Le ripetizioni invertite fiancheggianti UL

sono ab e b’a’, mentre quelle fiancheggianti US sono a’c’ e ca. Le due componenti UL e US possono cambiare orientamento e formare quattro popolazioni di molecole di DNA che differiscono unicamente nell’ordine relativo di queste sequenze (isomeri).

Figura 1.2 Organizzazione genomica HSV

1.4 Ciclo replicativo

L’infezione da HSV inizia con l’adsorbimento alla cellula ospite che avviene con due eventi distinti: in una prima fase le glicoproteine del pericapside virale, gB e gC, si legano ai glicosaminoglicani della cellula, in un secondo momento la glicoproteina D (gD) si lega a molecole superficiali cellulari, chiamate Hve. Si

3

3 4

UL US

2 1

ILS Inverted L & S

UL

2

1 4

4 3

US

P

Prototype

a b

UL US

UL US

2 1 3

IL

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IS

Inverted S

a’ c’ c a

L component S component

g g g e en e n no o o m mi m i ic c c i i i s s s o o o m me m e er r rs s s

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ha dunque la penetrazione del nucleocapside virale all’interno della cellula ospite mediante fusione dell’envelope con la membrana plasmatica.

Nel citoplasma, il nucleocapside, circondato dal tegumento, viene trasportato alla membrana nucleare alla quale si lega ed introduce il DNA virale nel nucleo.

Benché le particelle virali di HSV contengano un DNA lineare, questo viene rapidamente circolarizzato all’interno del nucleo della cellula infettata. È la forma circolare del genoma, infatti, quella competente per la replicazione (Fig 1.3). La replicazione del DNA erpetico avviene in due fasi distinte:

Fase iniziale, a partire da origini di replicazione specifiche;

Fase tardiva, che comprende la replicazione tardiva del DNA, avviene con un meccanismo che permette la sintesi completa del genoma virale.

In questa prima fase, dopo la circolarizzazione, la RNA polimerasi II cellulare trascrive un set di geni chiamati immediate early (IE) o á. La trascrizione dei geni IE è stimolata dalla proteina del tegumento VP16. Cinque delle sei proteine IE, una volta tradotte nel citoplasma sono ricondotte nel nucleo per regolare l’espressione dei geni virali early (E) o â mentre la sesta blocca la presentazione dei peptidi antigenici sulla superficie cellulare in modo da permettere l’evasione dalla risposta immune. Le proteine E, di cui fanno parte la timidina chinasi e la DNA polimerasi virale, sono coinvolte nella replicazione della molecola di DNA virale, che avviene inizialmente con un meccanismo theta per poi passare, grazie ad un processo ancora non noto, ad un meccanismo a circolo rotante. La sintesi del DNA virale stimola l’espressione dei geni late (L) o ã; le proteine L che si formano dalla traduzione dell’mRNA ã sono principalmente componenti strutturali del virione. Parte di queste proteine si assemblano a formare il capside e il tegumento, parte si incorporano nella zona di membrana nucleare dalla quale in capside acquisirà l’envelope. Il capside completo gemma infatti dalla membrana nucleare interna formando il virione provvisto di envelope, che poi può uscire dalla cellula ospite mediante due vie distinte:

La particella virale perde in un primo tempo l’envelope che si fonde con la membrana nucleare esterna, rilasciando in tal modo il solo capside nel citoplasma. L’involucro viene poi riacquisito all’ingresso nell’apparato di

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Golgi per endocitosi. La particella completa viene poi trasportata alla superficie cellulare mediante vescicole.

La particella virale completa fuoriesce dalla zona internucleare mediante formazione di una vescicola formata dalla membrana nucleare esterna che trasporta all’apparato di Golgi il virione, qui viene rilasciata per esocitosi e poi trasportata mediante vescicole al di fuori della membrana plasmatica.

Entrambi i processi richiedono approssimativamente 18 ore.

Fig 1.3 Replicazione HSV

(da http://pathmicro.med.sc.edu/virol/herpeslay.jpg)

La replicazione virale è altamente deleterea per la cellula ospite: la sintesi delle proteine cellulari è bloccata, i cromosomi vengono degradati, il nucleolo si disgrega, l’apparato del Golgi si frammenta e si disperde e i microtubuli subiscono un riarrangiamento. Tutti questi eventi, se pure nocivi per la cellula infetta, servono a creare un ambiente favorevole alla sintesi di DNA virale, ad aumentare la glicosilazione delle proteine e l’esocitosi dei virioni ed a prevenire la risposta dell’ospite all’infezione.

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1.5 Patologia e patogenesi

Le infezioni da HSV possono essere distinte in infezioni primarie e infezioni ricorrenti conseguenza della riattivazione del virus acquisito da una precedente infezione. L’infezione primaria, che avviene per contatto diretto, si verifica normalmente in bambini dai 6 ai 18 mesi e nella maggior parte dei casi è asintomatica. Tuttavia nel 10%-15% dei soggetti infetti si manifesta con un infezione all’orofaringe caratterizzata spesso da una gengivostomatite erpetica con vescicole multiple sulla mucosa orale e nella porzione interna del labbro, più raramente una cheratocongiuntivite. Lesioni analoghe sono più raramente osservabili in altre regioni, tra cui le narici, lesofago, i genitali esterni, l’uretra o sedi di traumi. Il fluido vescicolare contiene molte particelle virali, detriti cellulari, cellule infiammatorie e spesso anche cellule giganti mutinucleate. La risposta infiammatoria è estesa anche alle sottostrutture del derma, solitamente a livello del corion.

In molti pazienti, le vescicole persistono solo 48 ore, l’area coinvolta solitamente è localizzata e le lesioni che progrediscono oltre le 72-96 ore diventano pustole o ulcere. Il dolore è acuto solo agli esordi dell’infezione e diminuisce rapidamente in 96-120 ore. Allo stesso modo, la liberazione di virus dalle lesioni diminuisce progressivamente. La guarigione avviene in 2 o 3 giorni. La ristabilizzazione completa si ha generalmente in 8-10 giorni.

Nel caso di patologia genitale, la manifestazione clinica più grave si ha durante l’infezione primaria. HSV infetta attraverso lesioni nelle mucose genitali, in seguito nel sito d’infezione compaiono vescicole, pustole ed ulcere. La durata media delle lesioni è di 3 settimane.

L’infezione primaria è caratterizzata da una grande produzione di particelle virali e da un periodo di rilascio del virus che può perdurare anche per 3 settimane. In questa fase si può avere febbre, adenopatia inguinale, malessere, parestesia e disestesia delle estremità inferiori e del perineo. Sono comuni anche lesioni extra-genitali.

Clinicamente l’infezione primaria nella donna è in genere più grave e spesso associata a complicazioni diverse. Le cause di questa differenza tra sessi non sono ancora note.

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Nel caso in cui l'infezione primaria avvenga in gravidanza, l’infezione si può trasmettere al neonato durante il passaggio nel canale del parto. L’infezione neonatale può portare a setticemie gravi, talvolta mortali, e a meningoencefaliti erpetiche.

Nel corso dell’infezione primaria, il virus passa nelle terminazioni nervose adiacenti e migra rapidamente, lungo gli assoni, fino ai gangli. Quando la fase acuta dell’infezione si estingue, e nonostante una robusta risposta immune, il virus persiste nei gangli sensitivi adiacenti alla localizzazione principale della malattia primaria (ganglio trigemino per le infezioni orofacciali e ganglio sacrale nel caso di infezioni genitali). Nella maggior parte dei neuroni infettati, il genoma virale rimane in uno stato episomiale per l’intera durata della vita dell’individuo. In seguito ad una moltitudine di stimoli locali o sistemici come stress fisici ed emotivi, febbre, esposizione alla luce ultravioletta, mestruazioni, danni ai tessuti e depressione del sistema immunitario, il virus può andare incontro a riattivazione.

Maggiore è la gravità dell’infezione primaria, dimensione, numero ed estensione delle lesioni, maggiore è la probabilità di eventi ricorrenti. In condizioni normali, le forme ricorrenti di HSV rimangono solitamente localizzate per la presenza di anticorpi neutralizzanti e di immunità cellulare locale e si presentano con caratteristiche cliniche simili all’infezione primaria.

I cambiamenti patologici indotti nelle cellule infettate dalla replicazione degli HSV sono simili sia per l’infezione primaria che per quelle ricorrenti, tuttavia ciò che varia è il livello di citopatologia. Questi cambiamenti rappresentano una combinazione di morte cellulare mediata dal virus e risposta infiammatoria indotta.

1.6 Epidemiologia

Sebbene HSV-1 e HSV-2 siano trasmessi mediante vie diverse e coinvolgano diverse parti del corpo, esiste una cospicua sovrapposizione tra l’epidemiologia e le manifestazioni cliniche dell’infezione. HSV è distribuito in tutto il mondo coinvolgendo sia i paesi industrializzati (Suligoi et al., 2004) che quelli in via di sviluppo (Weiss, 2004). Non sono stati descritti vettori animali per le infezioni da HSV e l’uomo è l’unico reservoir naturale per la trasmissione del virus ad

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altri soggetti della stessa specie. La trasmissione del virus avviene da individui infetti ad individui suscettibili per contatto diretto. Non sono presenti variazioni stagionali nell’incidenza dell’infezione. Poiché l’infezione è raramente fatale e a causa della latenza che si viene a stabilire, oltre la metà della popolazione mondiale è soggetta infetta ed è quindi capace di trasmettere il virus (Aymard, 2002).

L’herpes genitale è una delle più frequenti malattie sessualmente trasmesse (STD) ed è in continuo aumento a causa della promiscuità sessuale, alla elevata frequenza di infezioni asintomatiche e ad uno scarso utilizzo di protezioni sessuali. Lagente principale dell’herpes genitale è l’HSV-2, ma il numero di casi di herpes genitale dovuto a HSV-1 è in continua ascesa (Wald, 2006). In Inghilterra, ad esempio, è stimato che il 50% dei casi di herpes genitale primario è da HSV-1 (Vyse et al., 2000). Le infezioni genitali da HSV-1 hanno meno ricorrenze di quelle da HSV-2. Infatti gli episodi ricorrenti di herpes genitale sono per il 95% causati da infezioni con HSV-2 (Benedetti et al., 1999).

L’herpes genitale è più frequente nelle donne rispetto agli uomini, infettando approssimativamente una donna su quattro contro un uomo su cinque. Questa differenza può essere dovuta sia al fatto che la trasmissione uomo-donna è più efficiente della trasmissione donna-uomo sia al fatto che negli uomini si verificano il 20% di episodi ricorrenti in più rispetto alle donne (Madkan et al., 2006)

Da una recente analisi dei pattern prodotti dai frammenti di DNA di HSV è stato dimostrato che un soggetto può essere infettato da più ceppi contemporaneamente (Roest et al., 2004).

Secondo una recente meta-analisi, l’infezione da HSV-2 è associata ad un rischio tre volte maggiore di acquisire il virus dell’immunodeficienza umana (HIV), la cui infezione è facilitata dalla rottura delle barriere epiteliali e dalle infiammazioni causate dall’infezione da HSV (Freeman, 2006); questo fatto è indipendente dal sesso dei soggetti. Questo dato suggerisce inoltre che, nelle aree di alta prevalenza di HSV-2, lelevata proporzione di casi di AIDS (oltre il 47%), può essere attribuita proprio ad una maggiore suscettibilità ad HIV in presenza di herpes genitale (Wald et al., 2002).

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Fig 1.4 Prevalenza di HSV-2 in donne sessualmente attive o incinte (Corey, 2007)

Numerosi studi, nell’intento di ricercare le interazioni tra HIV e HSV in vitro, hanno provato l’esistenza di una attivazione reciproca dei due virus o un effetto stimolante di HSV sulla replicazione di HIV attraverso vari meccanismi, non è noto però se questo fenomeno si verifica anche in vivo. In uno studio recente, è stato dimostrato che una terapia anti-HSV in persone con doppia infezione è efficace contemporaneamente contro HIV, nelle 136 donne incluse nell’analisi, 68 trattate con valacyclovir, un farmaco specifico contro HSV, e 68 con placebo, il trattamento con l’antivirale ha prodotto una significativa riduzione della frequenza del genoma di HIV-1 in sede genitale e della quantità media del virus nella stessa sede. Con l’antivirale sono diminuiti anche i livelli plasmatici dell’RNA di HIV-1 (Nagot et al., 2007). Questi risultati suggeriscono che terapie o vaccini contro HSV potrebbero ridurre anche la trasmissione di HIV-1, soprattutto nei gruppi più soggetti ad infezioni miste.

A conferma di questa ipotesi, in un altro studio, in cui sono stati determinati i fattori di rischio per la trasmissione di HIV in coppie sposate di quattro popolazioni urbane dell’Africa sub-sahariana, tra i vari fattori analizzati l’unico a

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rappresentare un rischio consistente è risultato proprio HSV-2 (Freeman et al., 2004).

1.7 Terapia e profilassi

La maggior parte delle infezioni da HSV sono auto-limitanti, tuttavia la terapia antivirale accorcia la durata dei sintomi e può prevenire la disseminazione e trasmissione del virus.

Per la terapia antivirale di HSV esistono una varietà di farmaci a base di analoghi dei nucleosidi, molti di questi sono ad alta specificità perché sfruttano l’attivazione del profarmaco da parte dellenzima virale timidina chinasi grazie al fatto che il farmaco è attivato, unicamente nelle cellule infettate, da un enzima chinasi specifico di HSV, gli effetti collaterali sono molto ridotti.

L’analogo dei nucleosidi più conosciuto è l’acicloguanosina (acyclovir) tuttavia esistono un’altra serie di farmaci approvati come il famciclovir e il valacyclovir che si basano sullo stesso meccanismo d’azione.

Fig 1.5 Meccanismo di azione dell’acyclovir (da www.HIVwebstudy.org)

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Tutti questi farmaci hanno l’inconveniente di sviluppare mutanti resistenti sebbene i ceppi resistenti siano solitamente meno virulenti di quelli wild type. È da sottolineare tuttavia che questi farmaci agiscono contro il virus in fase di replicazione mentre sono del tutto inefficaci contro il virus latente.

Dopo la somministrazione, la molecola penetra nella cellula infetta e viene attivata dall'enzima virale timidina chinasi che monofosforila il farmaco (Fig 1.5). Successivamente, l'aciclovir monofosfato viene fosforilato prima nella forma bifosfata e poi nella trifosfata dalle chinasi della cellula ospite. L’aciclovir trifosfato blocca in modo competitivo la polimerasi del DNA virale ed esplica la sua azione farmacologica attraverso l'inibizione della sintesi e della replicazione del virus. Infatti il farmaco attivato si sostituisce alla desossiguanosina trifosfato, che il virus utilizza normalmente per duplicare il DNA bloccando l'allungamento della catena.

Le ricerche attuali sono indirizzate allo sviluppo sia di un trattamento individuale per coloro che sono affetti, che di un vaccino per la prevenzione dell’infezione da HSV. Un vaccino preventivo contro HSV-1 e HSV-2 dovrebbe essere somministrato in uno stadio precoce della vita visto che l’infezione primaria da HSV-1 si presenta spesso in giovane età. Il vaccino ideale dovrebbe prevenire completamente l’infezione. Un vaccino che non prevenisse l’infezione, ma solo la malattia, lascerebbe aperta la possibilità che individui vaccinati ed inconsapevolmente infetti, possano diffondere il virus.

Sfortunatamente, dal momento che HSV si trasmette rapidamente e persiste in siti non agevolmente accessibili agli effettori della risposta immune, i vaccini ad ora sviluppati si sono dimostrati poco efficaci.

I vaccini contro HSV ad oggi sperimentati si distinguono in vivi o inattivati. I vaccini vivi contengono organismi che in vivo sono capaci di replicazioni limitate senza dare malattia, mentre i vaccini inattivati sono incapaci di replicarsi.

Sebbene i vaccini a virus vivo generalmente inducano una risposta immunitaria più ampia e duratura dei vaccini a virus inattivato, questa strategia vaccinale non ha trovato applicazione per HSV, infatti l’attenuazione risulta in un virus geneticamente non stabile (Burke et al., 1999). Vi è il pericolo inoltre che il vaccino a virus vivo possa stabilire latenza, riattivarsi e ricombinarsi con virus wild type virulenti. Una strategia alternativa è la produzione di virus

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geneticamente attenuati (Meignier et al., 1988); questi si sono dimostrati eccessivamente attenuati e minimamente immunogenici.

In alternativa sono stati sviluppati mutanti difettivi per la replicazione mediante la delezione di uno o più geni essenziali per la replicazione del virus. Il virus difettivo viene coltivato poi in una linea cellulare ingegnerizzata per esprimere il prodotto del gene virale mancante. Questi mutanti non causano alcuna patologia e sviluppano una immunità umorale ed una risposta cellulo-mediata che, nei modelli animali, proteggono da una infezioni sperimentali (Da Costa et al., 1997; Boursnell et al., 1997). Pur essendosi dimostrata efficace come strategia vaccinale, permangono seri dubbi riguardo la sicurezza e la potenziale oncogenicità di molti geni di HSV.

Vaccini derivati da preparazioni con virus ucciso sono molto più sicuri ma rimangono i problemi riguardanti la possibile oncogenicità derivante da contaminazione da DNA di HSV nella preparazione. Questo tipo di vaccini ha anche lo svantaggio di indurre una risposta immunitaria debole e transiente, quindi, per incrementare la risposta del sistema immunitario, sono stati introdotti nella formulazione degli adiuvanti.

Un approccio alternativo è rappresentato dai vaccini a subunità che si sono sviluppati grazie all’avvento della tecnologia del DNA ricombinante che ha permesso la produzione di grandi quantità di proteine senza dover lavorare con cellule infettate da virus. Questo approccio ha il vantaggio di evitare virus e DNA virale come contaminante. Per la produzione, una volta identificata la proteina di interesse immunologico di un determinato agente e la sua sequenza, è possibile isolare il frammento di DNA che codifica la suddetta proteina e inserirlo in un plasmide, il quale agisce da vettore di trasferimento e di espressione. Anche questa strategia vaccinale presenta alcuni aspetti negativi: innanzitutto, contenendo solo una frazione degli antigeni presenti in una particella virale completa, il vaccino a subunità può indurre una risposta immunitaria solo verso un numero limitato di epitopi, inoltre, come i vaccini a virus ucciso, può indurre una risposta immunitaria debole e meno duratura non attivando lo spettro completo di risposte dell’immunità cellulo-mediata. Anche in questo caso, per avere un incremento della risposta, si può utilizzare un adiuvante nella formulazione, questo tuttavia può aumentare la reattogenicità del vaccino. Lo sviluppo dei vaccini a subunità si è focalizzato soprattutto su

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due glicoproteine dell’envelope, gB e gD, capaci di indurre anticorpi neutralizzanti e risposta cellulo-mediata (Koelle e Corey, 2003). Ad oggi sono stati completati diversi trials clinici per vaccini a subunità, due di questi hanno dato risultati incoraggianti a brave termine, fallendo però nell’intento di proteggere per un tempo prolungato (Whitley, 2002).

Una recente strategia vaccinale che mantiene i vantaggi del vaccino a virus vivo, evitando però i problemi legati alla sicurezza, è l’utilizzo dei vettori. In questo approccio uno o più geni di HSV codificanti per proteine immunogeniche, sono inseriti in vettori replicazione-competenti virali o batterici.

L’ospite, quando viene immunizzato col vettore, sviluppa una risposta umorale e cellulo-mediata contro le proteine codificate dal vettore, comprese quindi quelle di HSV. Ad oggi sono stati proposti numerosi vettori, inclusi il virus vaccino e adenovirus (Jones e Cunningham, 2004), poliovirus, rhinovirus, Salmonella (Xu e Ulmer, 2003) e retrovirus. Diversi studi hanno dimostrato che questi vettori possono indurre una immunità specifica contro HSV e proteggere gli animali dalla malattia, questi vaccini sono tuttavia ancora in fase sperimentale.

1.8 Vettori virali

L'efficienza di veicolazione di un gene esogeno in una cellula bersaglio (trasduzione) dipende fortemente dal vettore scelto per veicolare il DNA all'interno della cellula. In questo senso è di primaria importanza lo studio e la ricerca di vettori utilizzabili in terapia genica con caratteristiche adatte al tipo di patologia su cui si vuole intervenire, alla lunghezza del gene che si vuole inserire, al tipo di tessuto bersaglio della terapia, alla quantità ed alla durata dell'espressione del prodotto genico. I vettori possono essere virali o non virali, anche se ad oggi questi ultimi hanno un impiego maggiore; i virus infatti si sono evoluti per milioni di anni diventando veicoli efficienti per infettare le cellule e introdurvi il loro materiale genetico, sono quindi veicoli naturali di acidi nucleici all'interno della cellula e una volta resi sicuri per l'uomo si presentano come strumenti ideali per il trasporto di geni esogeni (Fig 1.6). Tutti i vettori virali presentano vantaggi e svantaggi, per questo motivo non esiste un singolo vettore “universale” (Tabella 1) applicabile sia a scopo terapeutico che vaccinale. Per esempio, la terapia genica designata per interferire con processi

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di infettività virale o per inibire la crescita di cellule cancerose mediante la ricostruzione di un gene onco-soppressore inattivato, può richiedere il trasferimento genico in una ampia proporzione delle cellule bersaglio, mentre per altre malattie può essere sufficiente una espressione a lungo termine da parte di un numero limitato di cellule.

Tabella 1.1 Caratteristiche dei vettori per il trasferimento genico a confronto con la veicolazione con vaccini a DNA (acido nucleico nudo)

Le cinque classi principali di vettori virali possono essere suddivise in due gruppi a seconda se integrano il loro genoma nella cromatina della cellula ospite (oncoretrovirus e lentivirus) o se persistono nel nucleo della cellula prevalentemente in una forma episomiale (AAV, adenovirus ed herpes virus).

La scelta fra questi due gruppi è importante poiché i vettori che non si integrano possono, in certe condizioni, mediare l’espressione persistente di un transgene in cellule non proliferanti, mentre i vettori che si integrano sono

Adenovirus AAV HSV Retrovirus Lentivirus DNA

Nudo

Inserto massimo 30 Kb 3.5-4 Kb 35 Kb 7-7.5 Kb 7-7.5 Kb illimitato

Titolo (particelle

virali/ml) 1012 1012 108 108 108 illimitato

Infettività estesa estesa estesa cellule in

divisione estesa non

applicabile

Applicazioni sistema nervoso

ex/in vivo ex/in vivo ex/in vivo ex/in vivo ex/in vivo ex/in vivo

Integrazione no si/no no si si scarsa

Stabilità di

espressione breve lunga latenza? lunga

(silenziamento) lunga breve

Risposta immunitaria contro il vettore

estesa sconosciuta media bassa bassa no

Immunità preesistente

dell’ospite

si possibile si improbabile

improbabile (pazienti con

AIDS?)

no

Sicurezza infiammazione tossicità

infiammazion e tossicità

infiammazione tossicità

mutagenesi inserzionale

mutagenesi

inserzionale? no

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attualmente la prima scelta se deve essere mantenuta un’alterazione genetica stabile in cellule che si dividono.

Fig 1.6 Trasduzione della cellula target (DaKay et al., 2001. Modificata)

1.8.1 Vettori adenovirali

La fibrosi cistica è stata una delle malattie inizialmente trattata con vettori adenovirali (Flotte et al., 2007). Questi vettori si sono dimostrati un efficiente sistema di trasferimento genico in un’ampia varietà di tessuti (Benihoud et al., 1999). Esistono più di 50 sierotipi adenovirali umani diversi, tuttavia quelli utilizzati per la messa a punto di vettori sono principalmente i sierotipi 2 e 5, che sono quelli alla quale la maggior parte della popolazione adulta è stata esposta ed ha quindi sviluppato una risposta immune. Oggi si stanno valutando anche altri sierotipi, o adenovirus non-umani, per evitare i potenziali problemi correlati all’immunità preesistente che può precludere o ridurre l’efficacia dei vettori.

Gli adenovirus hanno un genoma costituito da una molecola di DNA a doppia catena di circa 36 Kbp contenente unità trascrizionali sovrapposte in entrambi i filamenti e codificanti per oltre 50 polipeptidi.

In una prima generazione di vettori, la regione precoce 1 (E1), necessaria come regolatore trascrizionale e per la replicazione del genoma virale, è stata rimossa per permettere l’inserimento della cassetta terapeutica e per evitare la

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trans-attivazione dei geni virali necessari per la replicazione. Per la produzione del vettore, la regione E1 è stata aggiunta come cassetta di espressione stabile in una linea cellulare (Graham and Prevec, 1995). Nonostante l’assenza dei prodotti del gene E1, è stato ugualmente riscontrato un basso livello di trascrizione dei restanti geni virali con conseguente stimolazione della risposta immunitaria che ha portato alla distruzione delle cellule trasdotte da parte dell’immunità cellulo-mediata. Studi successivi hanno portato alla produzione di vettori di seconda e terza generazione contenenti delezioni oltre che di E1, anche di E2 e/o di E4, anche questi necessari per la replicazione virale (Lusky et al., 1997), risultando comunque tossici per l’impiego in vivo. E’ stato quindi sviluppato un vettore dipendente da un virus helper che contiene tutti i geni virali necessari per la replicazione e possiede una mutazione nel dominio di packaging che riduce le probabilità che questo sia incapsidato al posto del vettore. Quest’ultimo contiene solo le ripetizioni terminali invertite (ITRs) virali, il gene di interesse (fino a 28-30 Kb) ed il segnale di packaging che permette al genoma di essere selettivamente incapsidato e rilasciato dalle cellule. Il vettore e il virus helper possono essere ulteriormente purificati mediante metodi fisici, tuttavia questi processi sono ancora troppo complessi e difficilmente applicabili ad un livello farmaceutico. Ad alte dosi presentano inoltre elevati livelli di tossicità.

1.8.2 Vettori AAV

I virus adeno-associati (AAVs) sono parvovirus umani che normalmente richiedono un virus helper, come un adenovirus, per replicare. Sono stati inizialmente scoperti come contaminanti in una preparazione adenovirale. Ad oggi sono conosciuti 6 sierotipi ai quali non è associata nessuna malattia nota, questo rende i virus adeno-associati candidati ideali per la terapia genica. Il genoma virale consiste in due geni, ciascuno dei quali produce un polipeptide:

rep, necessario per la replicazione virale, e cap, codificante per proteine strutturali. Ciascuna particella virale contiene una molecola di DNA singola catena a polarità positiva o negativa. I vettori AAV derivati vengono prodotti eliminando il gene rep, poiché in sua presenza il vettore tende ad integrarsi a livello di un sito specifico nel cromosoma 19. I vettori AAV hanno dimostrato trasdurre le cellule sia mediante l’espressione di un transgene episomiale sia

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mediante integrazione cromosomica random. Le particelle virali possono essere distribuite a diversi organi (sistema nervoso centrale [CNS], fegato, polmoni e muscoli) mediante somministrazione in vivo (Monahan e Samulski, 2000) inoltre i vettori AAV hanno dimostrato di trasdurre efficacemente le cellule quiescenti (Miao et al., 2000).

La limitazione maggiore di questo tipo di vettori è la loro ridotta capacità per quanto riguarda l’inserimento di geni esogeni, infatti questi possono accogliere inserti al massimo di 5 Kb.

1.8.3 Vettori HSV

Gli HSV sono potenziali vettori per la loro capacità di instaurare latenza. L’herpesvirus maggiormente studiato per la sua applicazione come vettore è HSV-1 che può accogliere un sito multiplo di inserzione di DNA esogeno, con una capacità di oltre 30 Kb permettendo l’inserimento di lunghi geni singoli (Wang et al., 1996) o di transgeni multipli (Shah et al., 2006) che possono essere espressi in maniera coordinata o simultaneamente.

I vettori basati su HSV possono essere preparati mediante due strategie: un primo modo si ottiene clonando il gene terapeutico in un plasmide contenente l’origine di HSV e il segnale di incapsidamento; questo viene trasfettato in una linea cellulare che viene infettata con un virus helper HSV; un secondo metodo prevede il clonaggio in un plasmide del gene affiancato da specifiche sequenze di HSV, questo plasmide è poi co-trasfettato nelle cellule insieme ad HSV. La ricombinazione omologa tra le sequenze del virus e quelle del plasmide porta, in entrambi i casi, all’introduzione del gene terapeutico all’interno di HSV.

I vettori HSV sono stati applicati con successo al trattamento dei modelli animali per il cancro, per il sistema nervoso periferico e per alcune malattie cerebrali; tuttavia la strada più promettente sembra essere il trasferimento ai neuroni sensitivi, infatti, avendo il virus wild-type lo stesso ospite cellulare, HSV è già altamente predisposto a questo proposito (Burton et al., 2001).

I limiti di questi vettori includono la difficoltà correlata all'espressione a lungo termine del transgene in certi distretti come il cervello, la possibile immunità pre-esistente nei confronti del virus e, visto il complesso meccanismo utilizzato

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dal virus per entrare nella cellula mediante l’utilizzo di più glicoproteine dell'envelope, le difficoltà correlate al rilascio del vettore nella cellula ospite.

1.8.4 Vettori retrovirali

I retrovirus sono virus muniti di envelope lipidico e capside al cui interno è presente una molecola singola catena di RNA a polarità positiva di 7-11 Kb. In seguito all’ingresso nelle cellule target, il genoma a RNA è retrotrascritto in una molecola lineare di DNA doppia catena ed integrato nel genoma della cellula.

Questa famiglia di virus include diverse specie utilizzate per la terapia genica:

oncoretrovirus (virus della leucemia murina [MLV]), lentivirus (come HIV) e spumavirus.

Tutti i genomi retrovirali hanno alle estremità due promotori virali noti come long terminal repeat (LTR) che agiscono in cis durante l’espressione genica virale, l’incapsidamento, la retro-trascrizione e l’integrazione del genoma. Le LTR sono collocate in tandem con le opern reading frame (ORF) gag, pol ed env che codificano rispettivamente per le proteine strutturali, enzimatiche e per le glicoproteine di superficie. Gli spumavirus contengono inoltre bel-1, un gene essenziale per la regolazione dell’espressione genica. La collocazione nelle regioni terminali della maggior parte delle sequenze agenti in cis, ha permesso un disegno dei retrovettori semplice ed efficace, consentendo inoltre un inserzione di DNA esogeno di oltre 8 Kb. Una proprietà importante dei vettori retrovirali è la loro abilità ad integrarsi efficientemente all’interno della cromatina delle cellule target. Sebbene l’integrazione non garantisca l’espressione stabile del gene trasdotto, tuttavia questa è una strategia efficace per mantenere l’informazione genetica in un tessuto che si auto-rinnova o in cellule tumorali. La disgregazione della membrana nucleare è necessaria affinché il complesso di pre-integrazione possa accedere alla cromatina, per questo motivo, la trasduzione da parte dei vettori retrovirali è strettamente dipendente dall’entrata della cellula in mitosi subito dopo l’ingresso del virus (Thomas et al., 2003). Poiché solo una piccola frazione delle cellule entra in mitosi in un dato momento, questo limita le applicazioni dei vettori retrovirali per la terapia genica a target selezionati ex vivo come linfociti e cellule progenitrici della linea ematopoietica.

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I vettori retrovirali, ad oggi, sono il sistema di vettori più usato nei trials clinici per la terapia genica (Fig 1.7) grazie alle loro caratteristiche peculiari che hanno permesso di ottenere molti risultati incoraggianti come nel caso della terapia genica per la cura della deficienza da adenosina deaminasi (ADA) che è stato il primo successo al mondo per la terapia genica applicata (Puck e Malech, 2006) anche se poi ha rivelato il suo lato negativo a causa dello sviluppo, in tre pazienti, dell’espansione leucemica delle cellule T in seguito all’integrazione del retrovirus.

Fig 1.7 Vettori utilizzati nei trials di trasferimento genico (DaThomas et al., 2003)

1.8.5 Vettori lentivirali

I lentivirus, pur facendo parte dei retrovirus, hanno evoluto un meccanismo di trasposto attivo al nucleo del complesso di pre-integrazione sfruttando il macchinario di importo al nucleo della cellula target. Questo permette l’infezione anche di cellule quiescenti e rappresenta una caratteristica attrattiva per l’impiego in terapia genica, poiché i lentivirus possono infettare cellule che si dividono raramente come staminali ematopoietiche, neuroni terminalmente differenziati e cellule del sistema immunitario. Un altro potenziale target per la

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terapia genica sono le cellule tumorali che non si dividono in modo sincrono (De Palma et al., 2003).

I primi vettori lentivirali erano derivati da HIV-1, resi replicazione-incompetenti ed utilizzati inizialmente per trasdurre linfociti (Naldini et al., 1996). La successiva pseudotipizzazione con la proteina G del virus della stomatite vescicolare (VSV-G), ha permesso di ampliare lo spettro d’ospite (Friedman and Yee, 1995) grazie al fatto che VSV-G utilizza come recettore un fosfolipide di membrana presente nella maggior parte degli istotipi cellulari.

I vettori lentivirali sono generalmente prodotti usando un sistema split- component (Fig 1.7) con la quale vengono forniti i geni necessari alla produzione del vettore in costrutti separati. Solitamente una linea cellulare viene co-trasfettata con tre costrutti a DNA (Connolly, 2002): il plasmide vettore, al cui interno è clonato il gene di interesse e alle cui estremità sono presenti le due LTR necessarie all’integrazione nel genoma della cellula ospite;

il costrutto di packaging, che fornisce in trans al vettore le funzioni di retro- trascrizione ed integrazione, e codificante per i geni virali strutturali gag e pol; ed il plasmide codificante per le proteine dell’envelope della particella virale terapeutica.

Fig 1.7 Strategia di produzione di un vettore lentivirale grazie al supporto di un virus helper

(DaKay et al., 2001. Modificata)

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Nessuno dei plasmidi di partenza è capace di generare, da solo, una particella virale e la maggior parte dei geni accessori sono rimossi durante il processo di produzione. Solo il vettore terapeutico, infine, contiene il segnale di incapsidamento e può essere inserito nella particella virale infettiva. Mediante questa strategia, i problemi riguardo ad una possibile ricombinazione tra le componenti a livello di DNA o RNA sono ridotti al minimo.

Pur essendo i vettori HIV-derivati tra i migliori ad oggi prodotti, la possibile patogenicità residua ha spinto verso l’utilizzo di vettori derivati da lentivirus dei primati, come il virus dell’immunodeficienza della scimmia (SIV) (Mangeot et al., 2002), o, per una ulteriore sicurezza, da quelli dei non-primati come il virus dell’immunodeficienza felina (FIV) o il virus dell’anemia infettiva equina (EIAV) (Siapati et al., 2005).

1.8.6 FIV e vettori derivati

FIV è un virus appartenente alla famiglia Retroviridae, sottofamiglia dei lentivirus alla quale appartengono virus che causano infezioni croniche con lungo periodo d’incubazione come per esempio HIV-1, HIV-2 e SIV.

Il virione maturo di FIV appare come una particella sferico-ellissoidale del diametro di 100-125 nm (Fig 1.8).

Fig 1.8 Morfologia del virione maturo di FIV (Da www.icb.ufmg.br/~lbcd/grupo3/hiv.html, modificata)

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Il virione è composto da un envelope fosfolipidico da cui si dipartono delle protrusioni costituite da due glicoproteine virali: la glicoproteina di superficie (SU o gp95), implicata nel riconoscimento del recettore presente sulla superficie della cellula target, e la glicoproteina transmembrana (TM o gp40) che media la fusione dell’envelope virale con la membrana plasmatica della cellula bersaglio favorendo così la penetrazione del virus all’interno della cellula ospite.

Al di sotto dell’envelope, e ad esso associato, si trova la matrice, costituita dalla proteina virale di matrice (MA o p15). Il core presenta una simmetria icosaedrica, è costituito dalle proteine del capside (CA o p25) e racchiude al suo interno il genoma virale (costituito da 2 filamenti identici di RNA monocatenario a polarità positiva), la proteina nucleocapsidica (NC o p10) associata al genoma e diversi enzimi quali la trascrittasi inversa (RT), l’integrasi (IN), la proteasi (PR) e la dUTPasi (DU) fondamentali per il ciclo vitale del virus.

L’organizzazione genomica di FIV (Fig. 1.9) non è diversa da quella degli altri lentivirus: il genoma è di 9,4 Kb e comprende 3 ORFs denominate, dal 5’ al 3’, gag (group specific antigen), pol (polimerasi) ed env (envelope) che codificano per le proteine strutturali ed enzimatiche sopra menzionate; sono inoltre presenti altre tre piccole ORF chiamate ORF-A, vif e rev che codificano per proteine regolatorie. Alle due estremità del genoma virale si trovano le LTR, sequenze ripetute e non codificanti di circa 0,6 Kb generate dalla duplicazione delle sequenze terminali dell’RNA genomico virale durante la retrotrascrizione e contenenti i siti necessari per l’integrazione del DNA provirale nel genoma dell’ospite, per l’incapsidamento del genoma nella particella virale e i promotori per il controllo dell’espressione genica.

I vettori FIV sono una valida alternativa ai vettori lentivirali primati ed offrono possibili soluzioni ai problemi sollevati dai vettori HIV. Inoltre risolvono uno dei maggiori problemi attribuibili ai vettori virali ovvero la possibile immunità preesistente verso il virus utilizzato come vettore. Non essendo l’uomo ospite naturale di FIV, non vi è una risposta immunitaria anti-FIV preesistente(Willett et al., 2003).

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Fig 1.9 Organizzazione del genoma provirale e mappa dei trascritti di FIV

Il primo studio in vitro su un vettore FIV è stato descritto nel 1998 (Poeschla et al, 1998) e a questo sono seguite varie fasi di ottimizzazione (Johnston et al., 1999; Curran et al.,2000).

Nei primi vettori, i geni virali erano ridotti al minimo e le sequenze cis-agenti non indispensabili erano delete. Questi vettori, una volta pseudotipizzati, erano usati per trasdurre diversi tipi cellulari, sia quelli che si dividono sia quelli la cui replicazione è arrestata. Grazie alla sostituzione del promotore U3, non attivo in cellule non feline, con il promotore ubiquitario e costitutivamente espresso del citomegalovirus (CMV), sono stati poi ottenuti titoli 50 volte maggiori. In seguito sono stati eliminati i geni accessori vif e ORF-A senza alterare sostanzialmente l’efficienza di trasduzione. È stato visto inoltre che il sistema rev-RRE era indispensabile per il corretto export dell’mRNA unspliced e single- spliced dal nucleo al citoplasma ma questo poteva essere sostituito con un elemento eterologo come ad esempio l’elemento di trasporto citoplasmatico (CTE) del virus di Mason Pfizer della scimmia o col sistema rev-RRE di HIV.

Come per gli altri vettori lentivirali, i vettori FIV sono prodotti con il sistema split component. Per questo motivo, oggi tutti i vettori FIV utilizzati consistono in tre o quattro componenti a seconda se la proteina Rev venga fatta esprimere da un plasmide diverso o meno.

I vettori possono essere ingegnerizzati per evitarne qualsiasi omologia di sequenza tra costrutti, ad un livello maggiore può essere ridisegnata la

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sequenza dei costrutti e per massimizzare il livello di espressione dei geni virali (Delenda, 2004).

Un’ulteriore precauzione applicabile è la produzione di vettori self-inactivating (SIN) (Miyoshi et al., 1998) che presentano una delezione nella regione U3 della 3’LTR che include la TATA box e i siti di legame per i fattori di trascrizione Sp1 e NF-kB. Dopo la trascrizione inversa e l’integrazione, la delezione è trasferita alla 5’LTR portando alla inattivazione delle LTR del provirus. Questo permette ai vettori lentivirali SIN di infettare produttivamente le cellule senza generare trascritti provirali.

Per incrementare la trascrizione del transgene possono essere clonati, a valle di questo, elementi addizionali cis-agenti come il regolatore post-trascrizionale derivato dal virus dell’epatite del castoro (WPRE) (Zufferey et al., 1999).

I vettori così ottimizzati sono in grado di infettare efficacemente numerosi istotipi cellulari con cellule arrestate in fase G0/G1, G1/S e G2/M oltre che a cellule umane primarie come cellule dendritiche, neuroni post-mitotici, epatociti, fibroblasti, cellule epiteliali del tratto respiratorio e cellule muscolari lisce dell’aorta (Sauter e Gasmi, 2001). Nei numerosi studi in vivo, i vettori FIV hanno dimostrato di trasdurre efficacemente cellule muscolari di criceto, cellule cerebrali di topo (Alisky et al., 2000) e di primate (Lotery et al., 2002) e cellule dell’epitelio respiratorio di coniglio (Wang et al., 1999). È stata dimostrata una notevole espressione del transgene in una varietà di tessuti e specie senza peraltro suscitare una risposta infiammatoria (Flotte et al., 2007). Una analisi dettagliata dei tipi cellulari trasdotti da un vettore FIV in seguito ad una iniezione nel cervello del topo ha rivelato infine che le cellule più efficacemente trasdotte sono quelle del Purkinje (Kyrkanides et al., 2003, Alisky et al., 2000).

Un altro studio è stato condotto su topi affetti da mucopolisaccaridosi VII per deficit dell’espressione di â-glucuronidasi. La trasduzione di questo enzima con vettore FIV ha eliminato i sintomi della malattia (Stein et al., 2001). Questi dati sono una conferma ulteriore della validità dei vettori FIV per terapia genica.

Per gli studi in vivo i vettori FIV vengono concentrati sfruttando diversi metodi come l’ultrafiltrazione, centrifugazione, cromatografia a scambio ionico e precipitazione con polietilenglicole (PEG) per raggiungere titoli che vanno da 107 a 109 cfu/ml.

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