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(delibera 22 dicembre 2021) «Il Consiglio, viste le domande di pronuncia pregiudiziale C -647/21 e C-648/21 proposte, ai sensi dell’art

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OGGETTO: Fasc. 55/VA/2021 - Corte di Giustizia Europea - Domanda di pronuncia pregiudiziale, cause riunite C647/21 e C-648/21, proposta ai sensi dell'articolo 267 TFUE Giurisdizione: Sad Okregowy w Slupsk - POLONIA, al fine di valutare l'opportunità di un intervento del Governo italiano.

(delibera 22 dicembre 2021)

«Il Consiglio,

viste le domande di pronuncia pregiudiziale C -647/21 e C-648/21 proposte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, da un’autorità giudiziaria polacca, notificata dalla Corte di Giustizia in data 1 dicembre 2021;

osserva

I. L’oggetto del rinvio pregiudiziale

Con nota pervenuta il 3.12.2021 l’Avvocatura Generale dello Stato ha trasmesso al Consiglio Superiore il testo delle richieste di rinvio pregiudiziale formulate da un’autorità giudiziaria polacca, in particolare da un giudice del Sąd Okrȩgowy w Slupsk (Tribunale distrettuale di Slupsk), richiedendo di valutare l’opportunità di un intervento del Governo italiano e, quindi, di trasmettere “un motivato parere circa l’opportunità di intervenire, ovvero di non intervenire anche con riferimento alla fase orale”.

Le predette richieste di rinvio pregiudiziale sono incentrate, come si vedrà nel prosieguo, sulla compatibilità con i principi del diritto eurounitario della procedura di nomina dei giudici polacchi ed in particolare dell’influenza su tale procedura svolta dal potere esecutivo e da quello legislativo.

Esse riguardano l’avvenuto trasferimento, senza il suo consenso, di un giudice ordinario ad altra sezione con conseguente riassegnazione ad altro giudice dei processi originariamente al medesimo assegnati.

La questione pregiudiziale di cui al procedimento C-647/21 (cui risulta riunito il procedimento C-648/21) è riassunta nella nota di sintesi trasmessa ai sensi dell’articolo 98, par.1 del regolamento di procedura dinanzi alla Corte di Giustizia.

A tale procedimento risulta riunito anche il procedimento C-648/21, nel quale, secondo quanto evidenziato dalla corrispondente nota di sintesi, sono state proposte “questioni identiche a quelle proposte con la domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C-647/21” e che, alla base, presenta una “motivazione simile a quella di cui alla menzionata domanda nella causa C- 647/21”.

Ciò premesso deve osservarsi come nell’ambito della domanda pregiudiziale proposta nella causa C-647/21, sono state proposte le seguenti questioni:

“1) Se l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, debba essere interpretato nel senso che esso osti a disposizioni nazionali, come l’articolo 47b, paragrafi 5 e 6, in combinato disposto con l’articolo 30, paragrafo 1, e l’articolo 24, paragrafo 1, della ustawa z dnia 27 lipca 2001 r. - Prawo o ustroju sądów powszechnych (legge del 27 luglio 2001, recante disciplina degli organi giurisdizionali ordinari, Polonia), ai sensi delle quali un organo di un tribunale nazionale,

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come il collegio del tribunale, ha il potere di esonerare un giudice di tale tribunale dall’obbligo di decidere una parte o tutte le cause assegnategli, quando:

a) il collegio è composto, per legge, dai presidenti di tribunali, nominati a tali funzioni da un organo del potere esecutivo, come il Minister Sprawiedliwości (Ministro della Giustizia, Polonia) che contemporaneamente è Prokurator Generalny (Procuratore generale, Polonia);

b) l’esonero del giudice dall'obbligo di decidere le cause che gli sono state assegnate avviene senza il suo consenso;

c) il diritto nazionale non prevede i criteri che il collegio del tribunale deve applicare per esonerare un giudice dall'obbligo di decidere le cause che gli sono state assegnate, né l'obbligo di motivazione, né un controllo giurisdizionale su tale decisione;

d) alcuni membri del collegio del tribunale sono stati nominati a tale funzione in circostanze analoghe a quelle di cui alla sentenza della Corte di giustizia del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia, C-791/19, EU:C:2021:596 (regime disciplinare dei giudici).

2) Se le disposizioni richiamate nella prima questione e il principio del primato debbano essere interpretati nel senso che essi autorizzano (o obbligano) un organo giurisdizionale nazionale, che decide una causa in un procedimento penale compreso nell’ambito di applicazione della direttiva 2016/343, il cui giudice è stato esonerato dall'obbligo di decidere la causa con le modalità descritte nella prima questione, così come ogni autorità statale, a non tener conto dell’atto del collegio del tribunale e degli altri atti adottati di conseguenza, quali le ordinanze di riassegnazione delle cause, compresa la causa trattata nel procedimento principale, con l'esclusione del giudice esonerato, in modo che esso possa continuare a far parte del collegio giudicante in tale causa.

3) Se le disposizioni richiamate nella prima questione e il principio del primato debbano essere interpretati nel senso che essi impongono che esistano nell’ordinamento giuridico nazionale, in relazione ai procedimenti penali rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva 2016/34, misure atte a garantire alle parti in causa, come gli imputati nel procedimento principale, la verifica e l’impugnazione delle decisioni di cui alla prima questione, volte a modificare la composizione dell'organo giurisdizionale giudicante e, di conseguenza, a esonerare un giudice, fino ad allora incaricato a decidere la causa, dal suo dovere di deciderla, nelle forme descritte nella prima questione.”.

II. I motivi del rinvio pregiudiziale

La questione pregiudiziale viene sollevata da un giudice del Sąd Okrȩgowy w Slupsk (Tribunale distrettuale di Slupsk) competente a decidere, in composizione monocratica, sull’appello avverso le sentenze emesse nell’ambito di procedimento penale svolto sotto forma di indagini di polizia giudiziaria.

Il giudice di rinvio premette di conoscere del processo di impugnazione de quo in quanto la Presidente del collegio originariamente assegnataria del processo di appello è stata trasferita, con provvedimento adottato dal Presidente del Tribunale, dalla Sezione di appello alla Sezione competente per le cause in primo grado. Il provvedimento di trasferimento è stato preceduto da altro provvedimento con il quale il medesimo magistrato è stato esonerato dalla trattazione di circa 70 processi di appello (compreso quello dal quale scaturisce la causa di rinvio).

Al fine di rappresentare i motivi del trasferimento e della riassegnazione dei processi, il giudice del rinvio rappresenta come, nel settembre del 2021, il magistrato trasferito avesse emesso una ordinanza con la quale aveva chiesto al Presidente della sezione la designazione di un nuovo membro del collegio, in sostituzione del Presidente del Tribunale che lo componeva, sostenendo che, essendo stato questi nominato su istanza della Krajowa Rada Sqdownictwa (Consiglio nazionale della magistratura, Polonia; in prosieguo il «CNM» polacco) nella composizione attuale, la sua partecipazione al collegio avrebbe costituito una violazione del diritto a un giudice precostituito per legge, ai sensi dell’articolo 6 CEDU, dell’articolo 47 della

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Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’articolo 45 della Costituzione della Repubblica di Polonia.

Tale ordinanza è stata annullata con provvedimento adottato dal Vicepresidente del Tribunale (che, secondo quanto rappresenta il giudice di rinvio, è stato nominato con modalità analoghe a quelle del Presidente del Tribunale) della cui legittimità il giudice di rinvio dubita non solo in virtù della legittima costituzione dello stesso quale Vicepresidente del Tribunale (essendo stato anch’egli nominato dal CNM polacco nella sua attuale composizione) ma altresì in virtù della natura, meramente amministrativa, del controllo affidato alla Presidenza del Tribunale e della conseguente impossibilità che tale controllo possa riguardare ambiti relativi alla corretta composizione del collegio giudicante.

Rappresenta altresì il giudice di rinvio come, all’inizio del mese di ottobre 2021, il magistrato trasferito, giudicando in composizione monocratica in altra causa, ha annullato una sentenza resa da un giudice del Tribunale di primo grado il quale era stato nominato alla funzione di giudice su proposta del CNM polacco nella sua composizione attuale.

Come motivo dell’annullamento della sentenza, il predetto magistrato, aveva ritenuto che la procedura di nomina del giudice di primo grado fosse stata adottata in contrasto con gli artt.19, paragrafo 1, secondo comma, del TUE, 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Si trattava dell’unico motivo di annullamento di tale sentenza.

L’11 ottobre 2021 il Collegio del Tribunale ha approvato la delibera con la quale, senza il consenso del predetto magistrato e in assenza di una sua istanza in tal senso, la Presidente del collegio è stata esonerata dall’obbligo di decidere circa 70 cause.

Il successivo 13 ottobre del 2021 il Presidente del Tribunale ha disposto il trasferimento della Presidente del collegio dalla sezione di appello alla sezione che si occupa di esaminare le cause in primo grado (così da precludergli, annota il giudice di rinvio, la verifica della legittima costituzione di altri giudici). Quest’ultimo provvedimento, entrato in vigore il 18 ottobre 2021, giorno in cui è stato comunicato al magistrato trasferito (senza tuttavia che gliene venisse fornita copia), non contiene alcuna informazione sia in ordine ai mezzi di eventuale impugnazione spettanti al magistrato trasferito sia in relazione alla sua motivazione.

Il giudice di rinvio, dopo aver evidenziato di aver sospeso l’applicazione della delibera adottata dal Collegio del Tribunale fino all’emissione della decisione che tenga conto della risposta al quesito pregiudiziale, evidenzia come sia “altamente probabile che fino all’emissione della decisione definitiva della causa le misure adottate dal giudice di rinvio possano non essere rispettate”.

Il medesimo richiama al riguardo le recenti modifiche intervenute nel sistema giudiziario polacco con particolare riferimento alla “fusione delle funzioni del Ministro della Giustizia e del Procuratore Generale, le modifiche alla disciplina della nomina dei presidenti dei tribunali e dei membri dei collegi dei tribunali, la partecipazione del CNM, nella composizione attuale, alla nomina dei giudici e l'impossibilità di una verifica, da parte degli organi giurisdizionali, del rispetto delle condizioni per una tutela giurisdizionale effettiva.”.

Osserva come il trasferimento della Presidente del collegio e il suo esonero dalla trattazione dei processi di appello (alla stessa originariamente assegnati) adottata con le modalità e con l’intervento degli organi sopra richiamati, violerebbero i requisiti di indipendenza e di inamovibilità in quanto disposti “in risposta ai tentativi [posti in essere dal magistrato trasferito]

di esaminare se il tribunale di grado inferiore rispettasse i requisiti di precostituzione per legge” e ciò nonostante l’obbligo imposto alla Repubblica polacca, con ordinanza della Vicepresidente della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 14 luglio 2021, di sospendere l’applicazione delle disposizioni in questione.

All’esito del disposto trasferimento il magistrato trasferito non potrà più porre in questione la corretta costituzione del giudice : “Nella sezione che giudica le cause in primo grado, tale giudice non potrà, infatti, verificare tali circostanze, dato che non esaminerà affatto le impugnazioni”. Osserva altresì come non vi sia alcuna circostanza che indichi “che il

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trasferimento dovesse avvenire immediatamente, senza il consenso richiesto per legge e inoltre senza preavvisare la presidente del collegio.”.

Il giudice di rinvio dubita infatti dello “status della stessa autorità che ha emesso l’ordine di trasferimento”; il Presidente del tribunale è stato infatti nominato dal CNM polacco nella sua composizione attuale ed il Ministro della Giustizia, che è contemporaneamente Procuratore Generale, lo ha nominato alla predetta funzione in base a disposizioni della cui conformità rispetto alle disposizioni eurounitarie in tema di stato di diritto, il giudice di rinvio dubita.

Osserva al riguardo come :

- il magistrato trasferito non è stato informato della facoltà di presentare un ricorso contro l’ordinanza; del resto, precisa, quand’anche lo stesso venisse presentato esso verrebbe esaminato dal CNM nella sua composizione attuale ovverosia in una composizione della cui legittimità giudice del rinvio dubita;

- le decisioni in tema di trasferimento di un magistrato ed il conseguente esonero dalla trattazione di ulteriori cause hanno rilievo di atto interno il quale potrebbe essere motivato unicamente dalla impossibilità, non ricorrente nel caso di specie, per il giudice assegnatario, di trattare la medesima causa;

- nei casi estremi in cui il trasferimento può essere disposto d’ufficio (come nel caso in cui un giudice non possa presentare l’istanza di esonero dal decidere le cause assegnate) ciò varrebbe “solo come prerogativa, il cui scopo sarebbe quello di evitare che un giudice debba trattare le cause assegnategli e non quello di rimuovere un giudice dalla loro trattazione”;

- quand’anche disposto legittimamente, il trasferimento di un giudice ad altra sezione non esonererebbe quest’ultimo (a norma dell’art.47 ter, paragrafo 2, della legge sull’ordinamento degli organi giurisdizionali ordinari) dall’obbligo di trattare le cause che gli sono assegnate in virtù del principio di “invariabilità del collegio giudicante”.

Tali circostanze, oltre a determinare l’illegittimità del disposto trasferimento, incidendo sulla valida costituzione del giudice destinato a trattare i processi, incidono anche sul diritto, delle parti in causa, ad avere un regime di impugnazione effettivo; la “modifica del collegio giudicante” così intervenuta, infatti, incide sul diritto della parte ad un processo equo ovvero di un processo effettivamente idoneo a salvaguardare la presunzione di innocenza. Ad avviso del giudice del rinvio, infatti, in tal modo, la composizione di un Tribunale potrebbe essere modificata su iniziativa di “organi del tribunale che sono direttamente collegati e dipendenti dal Ministro della Giustizia che li ha nominati” il quale, peraltro, in quanto Procuratore Generale è anche “parte in tale procedimento penale”.

Inoltre la parte risulterebbe priva di rimedi attivabili nei confronti “di una modifica arbitraria dell’organo giurisdizionale che giudica nella sua causa”, adottata in base a “criteri oscuri e privi di trasparenza”, con decisioni “che non sarebbero né adottate né controllate da un organo giurisdizionale”.

III. La giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di giudice indipendente ed imparziale ai sensi dell’art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Le questioni pregiudiziali illustrate sono incentrate sulla conformità, al diritto dell’Unione Europea ed ai principi dello stato di diritto da esso accolti, delle procedure di nomina dei giudici polacchi, anche con riferimento a quelli appartenenti alla giurisdizione ordinaria.

Al riguardo deve osservarsi che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito CGUE) ha ripetutamente esaminato numerose questioni pregiudiziali provenienti dall’autorità giudiziaria polacca e scaturite dalla profonda riforma del sistema giudiziario adottata dal predetto Stato Membro a partire dal 2017.

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Le questioni pregiudiziali hanno riguardato le numerose modifiche intervenute in tema di composizione del CNM polacco e della Camera disciplinare della Corte suprema polacca nonché della Camera per i ricorsi straordinari e affari pubblici della medesima Corte suprema;

esse hanno riguardato altresì i poteri del Ministro della Giustizia per quanto riguarda la nomina e la revoca dei Presidenti dei tribunali, i procedimenti disciplinari contro i giudici e l'organizzazione interna dei tribunali.

Le questioni oggetto del presente esame, come si è evidenziato, riguardano appunto, la legittimità delle disposizioni introdotte in tema di nomina dei giudici che compongono il Collegio di un Tribunale, attraverso la modifica in tal senso della legge polacca del 27 luglio 2001 recante disciplina degli organi giurisdizionali qualora, in particolare, la nomina di questi, provenga dal potere esecutivo (ossia dal Ministro della Giustizia che contemporaneamente è anche Procuratore Generale).

Nei procedimenti riuniti C-647/21 e 648/21 il giudice di rinvio, infatti, censura l’intervenuto trasferimento del magistrato in precedenza assegnatario del giudizio pendente dinanzi allo stesso, in quanto disposto da un organo, il Collegio del Tribunale, della cui legittima composizione lo stesso giudice del rinvio dubita in virtù non solo delle modalità, a suo avviso illegittime, con cui è stato disposto il trasferimento ma altresì in virtù della non conformità al diritto dell’Unione della procedura con cui sono stati nominati i componenti del predetto Collegio ed in particolare il Presidente del Tribunale.

Al riguardo appare opportuno notare come, secondo quanto riconosciuto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in numerose sentenze (v. da ultimo Sentenza Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione del 6 ottobre 2021 nella causa C-487/21) sebbene l’organizzazione della giustizia negli Stati Membri rientri nella competenza di questi, ciò non toglie che, nell’esercizio di tale competenza, i predetti Stati membri “sono tenuti a rispettare gli obblighi per essi derivanti dall’Unione e che così può essere, in particolare, per quanto riguarda le norme nazionali relative all’adozione delle decisioni di nomina dei giudici e, se del caso, le norme relative al controllo giurisdizionale applicabile nell’ambito di tali procedure di nomina” (v. in tal senso sentenza Grande Sezione del 6 ottobre 2021,cit. punto 75, nonché sentenze A.B. e a., punto 68 e giurisprudenza citata, e del 20 aprile 2021, Repubblika,C‑896/19, EU:C:2021:311, punto 48).

Sebbene spetti al giudice di rinvio di interpretare i fatti oggetto del procedimento e le norme nazionali applicabili, spetta dunque alla Corte di Giustizia fornire al giudice nazionale

“gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che possano rivelarsi necessari alla soluzione della controversia principale, tenendo conto nel contempo delle indicazioni contenute nella decisione di rinvio per quanto riguarda il diritto nazionale applicabile a detta controversia e ai fatti che la caratterizzano” (v. sent. CGUE cit. punto 78).

La Corte ha più volte precisato come in virtù dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, spetta agli Stati membri prevedere un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti che assicuri ai singoli il rispetto del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.

Il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, cui fa riferimento l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito agli articoli 6 e 13 della Convenzione EDU e che è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (v.

sentenza del 18 maggio 2021, Asociaţia «Forumul Judecătorilor din România» e a., C‑83/19, C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19, C‑355/19 e C‑397/19, punto 190 e giurisprudenza citata), disposizione che, ad avviso della CGUE deve essere debitamente presa in considerazione ai fini dell’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma (v., in tal senso, sentenza del 20 aprile 2021, C‑896/19, EU:C:2021:311, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

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Quanto all’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, tale disposizione riguarda i «settori disciplinati dal diritto dell’Unione», indipendentemente dalla situazione in cui gli Stati membri attuano tale diritto, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (v. sentenze del 24 giugno 2019, C‑619/18, punto 50 e giurisprudenza ivi citata, nonché sent. 18 maggio 2021 citata punto 192 e giurisprudenza citata).

A norma dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, ogni Stato membro deve quindi segnatamente garantire che gli organi che fanno parte, in quanto «organi giurisdizionali»

nel senso definito dal diritto dell’Unione, del suo sistema di rimedi giurisdizionali nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione e che, pertanto, possono trovarsi a dover statuire in tale qualità sull’applicazione o sull’interpretazione del diritto dell’Unione, soddisfino i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva.

A tale proposito, è pacifico che il giudice oggetto delle questioni pregiudiziali in esame, in quanto chiamato a verificare la legittimità dei provvedimenti con cui è stato disposto il trasferimento del magistrato originariamente assegnatario della causa di appello, è organo giurisdizionale ordinario del sistema giudiziario polacco e, in quanto tale, può essere chiamato a pronunciarsi su questioni legate all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione.

In quanto «organi giurisdizionali», nel senso definito da tale diritto, i giudici sono parte del sistema polacco di rimedi giurisdizionali nei «settori disciplinati dal diritto dell’Unione» ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

Al fine di garantire che un siffatto organo giurisdizionale sia in grado di garantire la tutela giurisdizionale effettiva così richiesta in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, la Corte di Giustizia ha dunque reiteratamente ritenuto che la “preservazione della sua indipendenza è fondamentale, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, che menziona l’accesso a un giudice «indipendente» tra i requisiti connessi al diritto fondamentale a un ricorso effettivo” (v. sent. cit. punto 107).

L’indipendenza dell’organo giurisdizionale, secondo la prospettiva accolta dalla Corte di Giustizia, è un requisito intrinsecamente connesso al compito di giudicare e costituisce un aspetto essenziale del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva e del diritto fondamentale a un equo processo; esso pertanto riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 TUE, segnatamente del valore dello Stato di diritto.

Le garanzie di indipendenza e di imparzialità così richieste ai sensi del diritto dell’Unione presuppongono, per il giudice comunitario, l’esistenza di regole, relative in particolare alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo nei confronti di elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti.

A tal fine è necessario, secondo la CGUE, che i giudici si trovino al riparo da interventi o da pressioni esterni che possano mettere a repentaglio la loro indipendenza.

Le regole applicabili allo statuto dei giudici e all’esercizio della loro funzione di giudice devono, in particolare, consentire di escludere non solo qualsiasi influenza diretta, sotto forma di istruzioni, ma anche le forme di influenza più indiretta che possano orientare le decisioni dei giudici interessati, e devono escludere così una mancanza di apparenza d’indipendenza o di imparzialità di questi ultimi tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare ai singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto (v. sentenza CGUE del 18 maggio 2021, citata, punto 197 e giurisprudenza ivi citata nonché sentenza 6 ottobre 2021 cit. punto 109 e 110).

L’indispensabile libertà dei giudici rispetto a qualsivoglia intervento o pressione esterna richiede inoltre, in particolare, talune garanzie idonee a tutelare le persone che svolgono la

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funzione giurisdizionale, tra le quali, certamente la loro inamovibilità (v. sent. CGUE 5 novembre 2019, , C‑192/18, punto 112 e giurisprudenza ivi citata).

Attesa l’importanza “cardinale del principio di inamovibilità”, la CGUE ha evidenziato la necessità di limitare eventuali deroghe al detto principio alle sole ipotesi in cui le stesse siano giustificate “da un obiettivo legittimo” e “proporzionate” rispetto a quest’ultimo e sempre che, tali eccezioni, non siano atte “a suscitare legittimi dubbi nei singoli quanto all’impermeabilità degli organi giurisdizionali interessati rispetto a elementi esterni e alla loro neutralità rispetto agli interessi contrapposti”.

La Corte di Giustizia ha richiamato, quale esempio di legittima revoca dell’assegnazione del processo, quella scaturente dall’impossibilità per il giudice di continuare a svolgere le proprie funzioni a causa di un’incapacità o di un inadempimento grave, nel rispetto di adeguate procedure (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2019, C‑192/18, citata, punti 113 e 115 nonché giurisprudenza ivi citata).

Secondo la Corte “i trasferimenti di un giudice, senza il suo consenso, ad un altro organo giurisdizionale o, come si è verificato nel procedimento principale, il trasferimento di un giudice, senza il suo consenso, da una sezione all’altra di uno stesso organo giurisdizionale sono, anch’essi, potenzialmente atti a pregiudicare i principi di inamovibilità e di indipendenza dei giudici.”; essi infatti “possono costituire un mezzo per esercitare un controllo sul contenuto delle decisioni giudiziarie, dal momento che essi possono non soltanto incidere sulla portata delle attribuzioni dei magistrati interessati e sulla trattazione dei fascicoli loro affidati, ma anche avere conseguenze notevoli sulla loro vita e sulla loro carriera e, quindi, comportare effetti analoghi a quelli di una sanzione disciplinare.” (v. sentenza Grande Sezione 6 ottobre 2021 cit. punti 114 e 115).

Anche la Corte Europea dei Diritto dell’Uomo (Corte EDU), nell’affrontare la tematica dei trasferimenti giudiziari, ha avuto modo di ribadire che siffatti strumenti tendono a confermare l’esistenza di un diritto dei membri del potere giudiziario ad una tutela contro i trasferimenti arbitrari, in quanto corollario dell’indipendenza giudiziaria.

La predetta Corte se ha sottolineato, in generale, l’importanza della previsione di salvaguardie procedurali e di rimedi giurisdizionali per quanto riguarda le decisioni che incidono sulla carriera dei giudici, compreso il loro status, al fine di garantire che la loro indipendenza non sia compromessa da indebite influenze esterne, ha evidenziato come ciò valga in maniera particolare per le decisioni mediante le quali sia disposto il trasferimento di un giudice senza il suo consenso (v., in tal senso, Corte EDU, 9 marzo 2021, Bilgen c. Turchia, §§

63 e 96).

Il requisito dell’indipendenza dei giudici derivante dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea, impone pertanto che il regime applicabile ai trasferimenti dei giudici senza il loro consenso presenti, al pari delle norme in materia disciplinare, segnatamente le garanzie necessarie ad evitare qualsiasi rischio che tale indipendenza sia messa a repentaglio da interventi esterni diretti o indiretti.

Ne deriva che, secondo quanto espressamente chiarito dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza del 6 ottobre 2021, “anche qualora tali misure di trasferimento in assenza di consenso siano, come nel contesto del procedimento principale, adottate dal presidente dell’organo giurisdizionale cui appartiene il giudice da esse interessato al di fuori dell’ambito del regime disciplinare applicabile ai giudici, dette misure possano essere decise solo per motivi legittimi attinenti, in particolare, a una ripartizione delle risorse disponibili che consenta di assicurare una buona amministrazione della giustizia, e che tali decisioni possano essere impugnate in sede giurisdizionale, seguendo una procedura che garantisca pienamente i diritti sanciti agli articoli 47 e 48 della Carta, in particolare i diritti della difesa” (punto 118).

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La Corte, nella già citata sentenza, ha sottolineato, anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, come l’indipendenza ed imparzialità del giudice deve “segnatamente essere garantita nei confronti dei poteri legislativo ed esecutivo” e pertanto presuppone l’esistenza di norme che “permettano di eliminare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli potrebbero nutrire in ordine alla permeabilità di detto organo rispetto a fattori esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti” (punto 128).

Tale affermazione assume, in relazione alla vicenda oggetto delle questioni pregiudiziali C-647 e C-648/21, un duplice rilievo, avendo il giudice del rinvio dubitato da un lato circa la legittimità della procedura di nomina dei componenti del Collegio del Tribunale che ha provveduto a disporre il trasferimento del magistrato senza il suo consenso e dall’altro della legittimità della procedura che ha condotto alla riassegnazione dei processi del magistrato trasferito senza consenso.

In relazione al predetto tema deve osservarsi come la giurisprudenza della CGUE abbia evidenziato che la nozione di “giudice indipendente e imparziale precostituito per legge”

menzionata nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è da leggersi in conformità con quanto corrispondentemente previsto dall’art.6, paragrafo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito CEDU).

Rifacendosi anche alla giurisprudenza della Corte EDU ha chiarito che le garanzie specifiche di un equo processo tendono al rispetto dei principi fondamentali che sono la preminenza del diritto e la separazione dei poteri, precisando altresì come, alla base di ciascuna di tali previsioni si trova l’esigenza di preservare la fiducia che il potere giudiziario deve ispirare al singolo e l’indipendenza di tale potere nei confronti degli altri poteri (v. Corte EDU, 1 dicembre 2020 Astraosson c.Islanda §§231 e 233).

La medesima Corte EDU ha più volte chiarito come il processo di nomina dei giudici, per le conseguenze che esso comporta per il buon funzionamento e la legittimità del potere giudiziario in uno Stato democratico fondato sulla preminenza del diritto, “costituisce necessariamente un elemento inerente alla nozione di «tribunale costituito per legge» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo1, della CEDU” precisando altresì come “l’indipendenza di un tribunale, ai sensi di tali disposizione, è commisurata in particolare al modo in cui i suoi membri sono stati nominati” (v. Corte EDU sent. cit. §§227 e 232).

Le garanzie di accesso ad un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, e in particolare quelle che ne stabiliscono la nozione e la composizione, rappresentano per la Corte EDU la pietra angolare del diritto all’equo processo cosicché la verifica che la costituzione di un giudice rispetti tale nozione “qualora sorga in proposito un dubbio serio, è necessaria nell’interesse della fiducia che in una società democratica il giudice deve ispirare al singolo” (v. sentenza CGUE 26 marzo 2020 C-542/18 punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

Secondo la CGUE pertanto, un’irregolarità commessa in occasione della nomina dei giudici in seno al sistema giudiziario di cui trattasi comporta una violazione del requisito secondo il quale un tribunale dev’essere costituito per legge.

Ciò avviene, in particolare, quando tale irregolarità sia di natura e gravità tali da generare un rischio reale che altri rami del potere, in particolare l’esecutivo, possano esercitare un potere discrezionale indebito tale da mettere a repentaglio l’integrità del risultato al quale conduce il processo di nomina, così suscitando un dubbio legittimo nei singoli quanto all’indipendenza e all’imparzialità dei giudici interessati, il che avviene qualora vengano in rilievo norme fondamentali che costituiscono parte integrante dell’istituzione e del funzionamento di detto sistema giudiziario (v., in tal senso, sentenza CGUE 26 marzo 2020, cit. punto 75).

IV. Considerazioni sui motivi di rinvio pregiudiziale

Ciò premesso deve osservarsi come la costruzione di uno spazio giuridico europeo nel quale siano garantiti sistemi di rimedi giurisdizionali e procedimenti tali da assicurare il rispetto

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del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli, presuppone l’adozione, da parte di tutti gli Stati membri, di previsioni legislative in grado di garantire l’accesso ad un giudice indipendente ed imparziale.

Sotto questo profilo le circostanze evidenziate dai giudici di rinvio nell’ambito delle questioni pregiudiziali in esame sembrano porsi in stridente contrasto con il sistema di principi e norme sottese alla nozione di giudice indipendente ed imparziale come emergente alla stregua della giurisprudenza già richiamata.

Il giudice di rinvio, in relazione alle questioni pregiudiziali oggetto di esame, dubita della legittimità delle procedure di nomina di un giudice appartenente alla giurisdizione ordinaria polacca.

Nel caso sotteso alle questioni pregiudiziali C-647/21 e 648/21 il giudice di rinvio pone l’attenzione del giudice comunitario sulla procedura di nomina, da parte del Ministro della Giustizia (che è contemporaneamente Procuratore Generale) del Presidente del Tribunale il quale, in qualità di componente del Collegio del Tribunale, ha disposto il trasferimento del precedente magistrato assegnatario esonerandolo dalla trattazione della cause precedentemente rientranti nel suo ruolo.

Il giudice di rinvio, si duole, altresì, delle modalità mediante le quali un giudice sia esonerato dalla trattazione dei processi allo stesso assegnati e trasferito ad altra funzione: il magistrato trasferito non sarebbe stato informato della facoltà di presentare un ricorso contro l’ordinanza (e del resto, osserva ancora il giudice di rinvio, quand’anche presentato, il ricorso sarebbe stato esaminato dal CNM polacco nella sua composizione attuale, della cui legittima composizione tuttavia il giudice del rinvio dubita); il trasferimento intervenuto risulterebbe in contrasto con la normativa vigente a tenore della quale le decisioni in tema di trasferimento di un magistrato ed il conseguente esonero dalla trattazione di ulteriori cause hanno rilievo di atto interno e non assumono il carattere di decisioni giudiziarie; il trasferimento potrebbe essere motivato unicamente sul presupposto della impossibilità, per il giudice, di trattare la medesima causa; quand’anche legittimamente trasferito il giudice avrebbe comunque dovuto continuare a trattare le cause originariamente assegnate in virtù del principio di “invariabilità del collegio giudicante” a norma dell’art. 47 ter, paragrafo 2, della legge polacca sull’ordinamento degli organi giurisdizionali ordinari.

Orbene, ciò premesso, deve rilevarsi come significative siano le differenze tra l’ordinamento polacco e le norme di quest’ultimo in virtù del quale sono stati adottati i provvedimenti della cui legittimità si dubita nell’ambito delle questioni pregiudiziali, e le norme del nostro ordinamento che sovraintendono sia alle modalità di nomina di un magistrato sia alle modalità di assegnazione al medesimo degli affari giudiziari (e di conseguente trasferimento o riassegnazione dello stesso).

Sotto il primo profilo, in estrema sintesi, deve osservarsi che l’ordinamento italiano riconduce alla competenza esclusiva del Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (art.105 Cost.), articolando un impianto normativo il quale esclude qualsivoglia incidenza in tali materie del potere esecutivo e legislativo.

Sotto il secondo profilo deve osservarsi come lo strumento con cui, all’interno della magistratura ordinaria, si è data concreta attuazione al principio del giudice naturale, tentando di conciliare tale garanzia costituzionale con l’esigenza di continuità e prontezza delle funzioni giurisdizionali è rappresentato dal “sistema tabellare”.

Introdotte inizialmente dal C.S.M. con circolare, poi recepite dal legislatore, le tabelle costituiscono l’insieme delle regole con cui viene organizzato ciascun ufficio giudiziario.

Tramite tale sistema l’ufficio viene ripartito in sezioni, si destinano i magistrati a ciascuna sezione e si stabiliscono i criteri, oggettivi e predeterminati, con cui il dirigente dell’ufficio, il Presidente della sezione o il magistrato che la dirige assegnano gli affari alle

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singole sezioni, ai collegi e ai giudici; sono stabilite, inoltre, le regole che presiedono alla sostituzione del giudice astenuto o ricusato.

Per far fronte a possibili difficoltà organizzative degli uffici, dovute a vuoti d’organico, impedimenti dei magistrati o altre cause, sono poi previsti specifici istituti, quali l’assegnazione interna, la supplenza, le tabelle infradistrettuali, i magistrati distrettuali, l’applicazione endodistrettuale ed extradistrettuale.

Il sistema tabellare svolge, pertanto, un ruolo cruciale, rappresentando “il nucleo essenziale, il tessuto connettivo o se si vuole l’ordito dell’amministrazione della giustizia”, tanto che anche la Corte costituzionale ha sottolineato l’importanza di tali regole organizzative quali strumenti di garanzia del principio in esame.

Nell’ambito dell’attuale sistema tabellare l’eventuale trasferimento di un magistrato e la rassegnazione delle cause senza il suo consenso è possibile solo in virtù di specifiche ipotesi alla stregua di un provvedimento adottato dalla Dirigenza dell’ufficio giudiziario, congruamente motivato e trasmesso per la sua valutazione al Consiglio Superiore. Avverso il predetto provvedimento il magistrato può proporre le proprie osservazioni. L’eventuale mancata approvazione del predetto provvedimento da parte del CSM può infine assumere rilievo ai fini dell’eventuale conferma del medesimo Dirigente nelle sue funzioni direttive al termine del primo quadriennio.

Nonostante la sostanziale differenza tra la normativa ordinamentale italiana e quella polacca in relazione ai diversi istituti coinvolti dalle questioni pregiudiziali oggetto di esame con riferimento, in particolare, alla procedura di selezione e nomina di un magistrato, all’assegnazione allo stesso dei processi rientranti nella sua competenza ed al suo eventuale trasferimento ad altra funzione, deve tuttavia riconoscersi un interesse dello Stato italiano rispetto agli esiti delle predette questioni pregiudiziali.

Al riguardo possono, innanzi tutto, richiamarsi le delibere consiliari del 15 gennaio 2020 e del 21 ottobre 2021 nelle quali, esaminando i recenti interventi normativi che hanno ridefinito i connotati dell’Organo di governo autonomo della magistratura polacca e complessivamente dell’ordinamento giudiziario polacco, il Consiglio Superiore ha reiteratamente manifestato la preoccupazioni già in precedenza manifestate sulla possibile compromissione dei requisiti di indipendenza e autonomia della magistratura polacca, condividendo i principi espressi dal Comitato Esecutivo della Rete europea dei Consigli di Giustizia da ultimo anche in relazione alla proposta di espulsione dalla predetta rete del CNM polacco.

In tali delibere il Consiglio ha evidenziato non solo le problematiche legate all’autonomia ed indipendenza del CNM polacco ma altresì ha dato rilievo all’entrata in vigore, il 14.2.2.2020 della previsione legislativa più volte richiamata anche nelle questioni pregiudiziali in esame, i magistrati polacchi potrebbero essere chiamati a rispondere del loro operato ed eventualmente sanzionati a livello disciplinare in ragione del merito delle loro decisioni, nei casi di avvenuta applicazione, nei loro provvedimenti, del diritto dell’Unione Europea ovvero nei casi di trasmissione di una domanda di pronuncia pregiudiziale alla CGUE.

A tale aspetto si aggiunge anche l’ulteriore aspetto concernente la circostanza che, una volta resa dal giudice di uno Stato membro, una sentenza, essa è destinata a circolare all’interno dello spazio giuridico europeo, con la conseguente possibilità che gli effetti di tale provvedimento siano destinati ad operare anche all’interno del nostro ordinamento.

Illuminanti al riguardo sono i considerando della Direttiva UE n.343 del 9 marzo 2016 in tema di rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

Secondo il considerando n.1 di tale Direttiva non solo la presunzione di innocenza ma anche “il diritto a un equo processo sono sanciti negli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea («Carta»), nell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («CEDU»), nell'articolo 14 del

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Patto internazionale sui diritti civili e politici («ICCPR») e nell'articolo 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.”.

Il successivo considerando chiarisce come l’Unione si sia prefissata l'obiettivo di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

Secondo le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 (in particolare il punto 33), un riconoscimento reciproco rafforzato delle sentenze e di altre decisioni giudiziarie e il necessario ravvicinamento delle legislazioni faciliterebbero infatti la cooperazione tra le autorità competenti e la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli. Il principio del reciproco riconoscimento dovrebbe quindi diventare “il fondamento della cooperazione giudiziaria in materia civile e penale nell'Unione.” (considerando n.2).

Conformemente al trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la cooperazione giudiziaria in materia penale nell'Unione deve dunque fondarsi “sul principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e di altre decisioni giudiziarie.” (considerando n.3).

Tra gli strumenti eurounitari finalizzati a dare luogo a tare spazio giuridico comune può certamente richiamarsi, stante la materia penale del processo da cui scaturisce, ad esempio, la questione pregiudiziale C-647/21, la Decisione quadro 208/909 del 27 novembre 2008 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione.

Nell’ambito del considerando n.5) della predetta decisione quadro si chiarisce come “I diritti processuali nei procedimenti penali sono un elemento cruciale per assicurare la fiducia reciproca tra gli Stati membri nell’ambito della cooperazione giudiziaria” essendosi altresì ivi chiarito come “I rapporti tra gli Stati membri, fondati su una particolare fiducia reciproca nei rispettivi ordinamenti giuridici, consentono allo Stato di esecuzione di riconoscere le decisioni delle autorità dello Stati di emissione”.

Al riguardo appare utile richiamare alcune pronunce della CGUE le quali, sebbene rese in tema di mandato di arresto europeo affermano principi di significativo rilievo per la tematica in oggetto.

La CGUE nella decisione relativa alle cause riunite C-508/18 e C-82/19 in tema di mandati di arresto europeo emessi da autorità giudiziarie tedesca (Procura di Lubecca e Procura di Zwickau), ha riaffermato il principio secondo il quale pur nell’autonomia processuale degli Stati membri i quali, in base al loro diritto nazionale, possono designare l’autorità giudiziaria competente ad emettere un m.a.e., tuttavia “il senso e la portata di tale nozione non possono essere lasciati alla discrezionalità dei singoli Stati membri” atteso che tale “nozione richiede, in tutta l’Unione, un’interpretazione autonoma e uniforme che conformemente a giurisprudenza costante della Corte, dev’essere ricercata tenendo conto, al contempo, dei termini dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2003/584, del contesto in cui esso si inserisce e della finalità perseguita da tale decisione” (punto 33).

La Corte, nell’affermare siffatti principi è partita dalla constatazione secondo la quale

“tanto il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto il principio del mutuo riconoscimento, che si fonda a sua volta sulla fiducia reciproca tra quest’ultimi, rivestono importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, dato che consentono la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne” (punto 43).

Più specificamente, precisa la Corte, “il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo”.

Ebbene tali principi appaiono estendibili oltre il ristretto ambito del mandato di arresto europeo in quanto espressione di principi generali riferibili a tutti gli strumenti di cooperazione

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giudiziaria fra i quali, certamente, un posto di rilievo assume proprio il riconoscimento della validità delle decisioni giudiziarie anche nel settore penale.

Tale circostanza appare espressa in maniera chiara nell’ambito dei ‘considerando’

richiamati nella parte introduttiva della Direttiva disciplinante l’ordine di indagine europeo, la quale, fin dai primi passaggi, chiarisce come:

“1) L'Unione europea si è data l'obiettivo di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

2) A norma dell'articolo 82, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la cooperazione giudiziaria in materia penale nell'Unione deve fondarsi sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, il quale, a partire dal Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, è comunemente considerato una pietra angolare della cooperazione giudiziaria in materia penale nell'Unione”.

Siffatto paradigma, nel riaffermare il principio secondo cui, anche in tema di sentenze emesse da un giudice europeo, assume rilievo centrale l’esigenza di salvaguardare i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo, con particolare riferimento al diritto ad essere sottoposto a processo da parte di un giudice effettivamente indipendente ed imparziale, riconferma una volta di più l’attualità e la delicatezza delle questioni proposte nelle cause pregiudiziali oggetto del presente parere.

Infatti, l’eventuale possibilità che una sentenza possa essere emessa da un giudice che, in quanto condizionato nella procedura volta alla sua nomina ovvero all’assegnazione della sua causa, possa essere conseguentemente condizionato, nello svolgimento della propria attività, dall’indirizzo politico del potere esecutivo, potrebbe da un lato entrare in contrasto con le disposizioni che, nel nostro sistema, anche a livello costituzionale, garantiscono il controllo e la competenza dei soli organi giurisdizionali in relazione alla penale responsabilità di un imputato e sul compimento di atti invasivi per le libertà dell’individuo e dall’altro potrebbero determinare, per tale via, una violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato e dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Le questioni pregiudiziali in esame pongono infine l’ulteriore problematica relativa al primato del diritto dell’Unione e l’efficacia delle sentenze emesse dalla Corte di Giustizia in punto di salvaguardia dei principi di tutela giurisdizionale effettiva e di indipendenza dei giudici.

Vanno al riguardo richiamate nuovamente le già citate pronunce della Corte Costituzionale polacca del 2 giugno 2020 e del 14 luglio 2021. Con tali pronunce, la Corte Costituzionale polacca ha, come si è visto, precluso la possibilità di sollevare, nell’ambito di una istanza di ricusazione, questioni relative alla eventuale irregolarità nella procedura di nomina del giudice (sentenza del 2 giugno 2020), dall’altro ha ritenuto sottratto al principio del primato e dell’applicazione diretta del diritto dell’Unione i provvedimenti provvisori adottati dalla Corte di Giustizia in tema di organizzazione e competenza degli organi giurisdizionali in quanto adottati ultra vires (sentenza 14 luglio 2021). Il giudice di rinvio dubita della validità delle predette pronunce atteso che, l’efficacia del diritto dell’Unione e dell’articolo 267 TFUE, rischierebbe di essere compromessa se, in conseguenza di una decisione della Corte costituzionale nazionale, venisse esclusa la possibilità di sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia e di applicare direttamente il diritto dell’Unione in modo conforme ad una pronuncia o alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Gli strumenti di cui dispone l’organo giurisdizionale nazionale per garantire l’effettiva applicazione del diritto dell’Unione, infatti, dovrebbero essere “efficaci di per sé”. Tale efficacia rischierebbe di essere compromessa se, “a causa di una decisione della Corte costituzionale nazionale, venisse esclusa la possibilità di sottoporre una questione pregiudiziale della Corte di giustizia e di applicare direttamente il diritto dell’Unione in modo conforme ad una pronuncia o alla giurisprudenza della Corte [..]

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La possibilità di sottoporre una questione pregiudiziale non può essere limitata nemmeno nel caso in cui la Corte costituzionale nazionale dichiari che il provvedimento provvisorio relativo ad un procedimento pendente dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali costituisca un atto ultra vires”.

In relazione alle cause riunite C-647 e C-648, proprio attraverso il richiamo al principio del primato del diritto dell’Unione Europea, il giudice del rinvio si chiede se sia imposto al giudice di ritenere esistenti nell’ordinamento interno misure atte a garantire alle parti in causa, come gli imputati nel procedimento penale, “la verifica e l’impugnazione delle decisioni di cui alla prima questione, volte a modificare la composizione dell’organo giurisdizionale giudicante e, di conseguenza, a esonerare un giudice, fino ad allora incaricato di deciderla causa, dal suo dovere di deciderla, nelle forme descritte dalla prima questione”.

Al riguardo può osservarsi che, secondo la consolidata giurisprudenza della CGUE, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme del diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., segnatamente, sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal, 106/77, Racc. pag. 629, punto 24, e Kutz-Bauer, cit., punto 73).

Nel caso Costa contro Enel la CGUE ha avuto modo di confermare come: “Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie, e più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l'impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all'ordine comune. Se l'efficacia del diritto comunitario variasse da uno stato all'altro in funzione delle leggi interne posteriori, ciò metterebbe in pericolo l'attuazione degli scopi del Trattato contemplata nell'art. 5, secondo comma, e causerebbe una discriminazione vietata dall'art. 7.”.

Anche recentemente (v. sentenza Grande Sezione del 6 ottobre 2021 nella causa C- 487/19) la CGUE proprio nell’ambito di una questione pregiudiziale proposta da un’autorità giudiziarie polacca, ha riaffermato come, in forza di una giurisprudenza costante, “il principio del primato del diritto dell’Unione sancisce la preminenza di tale diritto sul diritto degli Stati membri”.

Tale principio impone, a tutti gli organi degli Stati membri di dare la loro piena efficacia alle varie norme dell’Unione, dato che il diritto degli Stati membri non può incidere sull’effetto riconosciuto a tali norme nel territorio di detti Stati (v.sentenza 6 ottobre 2021, punto 156 e ss.

nonché 18 maggio 2021, citata punto 244 e giurisprudenza ivi citata).

Pertanto, siccome evidenziato dalla giurisprudenza della CGUE in forza del principio del primato del diritto dell’Unione, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non potrebbe pregiudicare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione.

Gli effetti derivanti dal principio del primato del diritto dell’Unione, ad avviso della Corte, si impongono a tutti gli organi di uno Stato membro, senza che, in particolare, le disposizioni interne, ivi comprese quelle di rango costituzionale, possano opporvisi (v. sentenza del 18 maggio 2021, citata punto 245 e giurisprudenza ivi citata).

Ogni giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi nell’ambito delle proprie competenze, in quanto organo di uno Stato membro, avrebbe più precisamente l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione che abbia effetto diretto nella controversia di cui è investito.

La Corte costituzionale italiana ha reiteratamente affermato il primato del diritto dell’Unione europea pur evidenziando la sussistenza di contro

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limiti alle limitazioni della sovranità nazionale discendenti dalla ratifica dei Trattati (cd.

teoria dei controlimiti).

Invero, il Giudice delle leggi dopo aver qualificato, in un primo momento, come appartenenti al rango primario le fonti del diritto dell’Unione, in risposta alla presa di posizione della Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso Costa c. Enel, è giunta a riconoscere la prevalenza dell’ordinamento europeo nelle specifiche materie previste dai Trattati, a condizione, però, che non venissero mai violati né i principi fondamentali né i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dalla Carta costituzionale. Secondo la Corte, dunque, la primauté doveva intendersi non come priva di limitazioni, ma, al contrario, come destinata a cedere innanzi ai principi fondamentali e ai diritti inalienabili della persona.

Il passo successivo è stato quello di riconoscere al giudice nazionale il potere di disapplicare direttamente le norme interne contrastanti con il diritto dell’Unione europea direttamente applicabile.

La Corte Costituzionale ha ulteriormente ribadito e confermato il primato del diritto dell’Unione europea in numerose sentenze successive richiamando alla teoria dei controlimiti (menzionata espressamente solamente nella sentenza del 22.10.2014, n. 238,) i principi fondamentali, i valori fondanti dell’ordinamento, i diritti inalienabili della persona umana, i principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Nella citata pronuncia la Corte costituzionale ha in particolare messo in evidenza che “Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un ‘limite all’ingresso … delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione’ (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali ‘controlimiti’ all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n.

18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)”.

Sul punto deve osservarsi come evidentemente le questioni pregiudiziali in esame non pongano, sotto tale aspetto, alcun profilo di criticità rispetto all’eventuale compatibilità con i principi fondamentali della Costituzione rispetto ai quali, anzi, esse intendono riaffermare la preminenza del diritto dell’Unione europea quale veicolo per riaffermate, all’interno dell’ordinamento giudiziario polacco valori, quali l’indipendenza e l’inamovibilità dei giudici e l’effettività della tutela giurisdizionale, che rappresentano principi fondamentali anche del nostro ordinamento costituzionale e giudiziario, appartenendo, peraltro, al novero dei principi che fondano lo Stato di diritto.

Ciò premesso deve altresì osservarsi come, attraverso le questioni pregiudiziali illustrate venga riproposta, alla Corte di giustizia, la possibilità di chiarire l’operatività del principio del primato del diritto euro unitario anche in relazione agli effetti delle pronunce rese dai giudici costituzionali ‘interni’ di uno Stato membro, così consentendo alla medesima di parametrare anche rispetto ad esse, il primato del diritto di matrice euro unitaria e nell’ambito di questo la salvaguardia dei principi di tutela giurisdizionale effettiva e di indipendenza dei giudici sanciti negli artt.19 del TFUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Anche sotto questo profilo, appare evidente, l’interesse del Consiglio Superiore a che lo Stato italiano svolga un intervento nelle dedotte questioni pregiudiziali al fine di riaffermare, mediante lo stesso, la centralità, rispetto alla creazione di uno spazio giuridico comune, del principio del primato del diritto euro unitario e, nell’ambito di questo, della salvaguardia dei principi di tutela giurisdizionale effettiva e di indipendenza dei giudici sanciti negli artt.19 del TFUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

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15 V. Conclusioni

Sulla base di quanto sopra premesso, tenuto conto delle considerazioni giuridiche esposte, si ritiene che in relazione alla questione pregiudiziale sollevata dall’autorità giudiziaria polacca sussista l’interesse dello Stato italiano di intervenire, anche nella fase orale.

Tutto ciò premesso, il Consiglio

delibera

di esprimere parere favorevole all’opportunità dell’intervento del Governo italiano nelle cause pregiudiziali C-647/21 e C-648/21 e di trasmettere all’Avvocatura Generale dello Stato il presente parere.»

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