• Non ci sono risultati.

Nelvalorediavviamento rilevano anche in concreto le componenti negative

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Nelvalorediavviamento rilevano anche in concreto le componenti negative"

Copied!
9
0
0

Testo completo

(1)

Imposta di registro

Nel valore di avviamento rilevano anche in concreto le componenti negative

Commissione tributaria regionale Lombardia, Sez. XXI, Sent. 6 febbraio 2020 (27 gennaio 2020), n. 343 - Pres. e Rel. Barbaini

Imposta di registro - Base imponibile - Cessione d’azienda - Avviamento - Specificità dei beni ceduti e circostanze di carattere negativo - Rilevanza

Per la determinazione dell’avviamento, l’Agenzia delle entrate non può fare riferimento esclusiva- mente ai redditi realizzati, ma deve tenere conto anche delle specificità dei beni ceduti e delle circostanze di carattere negativo, evidenziate dalla parte contribuente. Infatti, l’art. 51 del D.P.R. n.

131/1986 definisce quale sia la base imponibile per i compendi aziendali, stabilendo che la stessa è rappresentata dal valore venale in comune commercio.

Svolgimento del processo

L’agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Milano propone appello nei confronti della sentenza n. 4022/5/2018 della Commissione Tributaria Provin- ciale di Milano in data 29.5.2018, con la quale viene respinto il ricorso proposto dalle società B. A. e dalla Società D. spa, che impugnano l’avviso di rettifica e liquidazione emesso dall’Ufficio, con il quale in rela- zione ad un contratto di compravendita di rami di azienda stipulato tra le parti ricorrenti il 30.1.2015 e registrato il 12.2.2015, era stato rettificato il valore complessivo dichiarato dei beni aziendali ceduti pari ad Euro 1.164.205, ritenendo congruo il valore attri- buito alle attrezzature e merci pari a Euro 1.006.205, e rettificando il valore di avviamento, che la parte deter- minava in Euro 158.000 e che l’Ufficio rettificava in Euro 2.052.097.

Quindi, oggetto del contendere è la quantificazione del valore di avviamento ceduto con la suddetta compravendita.

L’Ufficio rettifica il valore di avviamento dei 4 negozi oggetto della compravendita, utilizzando il cd metodo patrimoniale complesso ed applicando una percentuale del 20% sul fatturato medio conseguito dai negozi in esame, tenendo conto della media dei ricavi conseguiti dai punti vendita negli ultimi tre anni antecedenti la cessione, e del noto brand associato agli ipermercati della grande distribuzione.

Con l’avviso viene accertata la maggiore imposta di registro pari ad Euro 56.823, oltre interessi e sanzioni.

La sentenza, premesso che secondo la più recente giuri- sprudenza di legittimità, l’art. 51 comma 4 D.P.R. n. 131 del 1986 dà rilevanza anche all’avviamento di segno negativo, afferma che la base imponibile dell’imposta di registro deve essere il più possibile conforme al valore dell’azienda in condizioni di libero mercato, ed eviden- zia quanto segue:

- la parte ha dato rilievo e provato una serie di fattori contingenti che hanno inciso di fatto nella determina- zione del valore di avviamento da riconoscere ai beni ceduti ed in particolare che la vendita dei 4 negozi (ubicati in zona commercialmente non favorevole, con redditività inferiore alla media nazionale, con oneri fissi superiori alla media nazionale, e in perdita gestionale perdurante anche dopo la cessione, con licenziamento del personale) si inseriva in una più ampia operazione di dismissione da parte del gruppo di appartenenza R., con la vendita di 150 punti vendita in Italia.

L’Ufficio non ha contestato i fattori negativi invocati dalla parte e non ha giustificato il perché, nonostante la loro presenza, li abbia ritenuti irrilevanti e ha applicato un coefficiente pari al 20% del fatturato, vicino al 25%, che l’Ufficio individua come la punta massima del range utilizzabile per i punti vendita alimentari. Ha utilizzato un criterio astratto, senza dimostrare perché il valore rettificato fosse comunque adeguato alla realtà

(2)

aziendale concreta nella quale operavano le attività oggetto di cessione.

- Secondo la sentenza, l’avvenuta cessione dei 4 punti vendita avviene senza trasferire all’acquirente il mar- chio B., che rappresentata parte determinante del valore di avviamento.

L’Ufficio presenta appello e chiede la riforma della sentenza impugnata.

Dopo avere premesso di aver utilizzato il metodo dei multipli, stimando il valore dell’azienda in funzione dei prezzi correnti assegnati dal mercato ad attività similari, valorizzando le opportunità future di creazione del valore, ribadisce di avere assolto all’obbligo di motiva- zione, enunciando il petitum e le relative ragioni in termini sufficienti a definire la materia del contendere, essendo sufficiente che la motivazione enunci i criteri astratti adottati nella determinazione del maggior valore, riguardando il tema della prova ogni questione sulla idoneità in concreto del criterio applicato.

L’Ufficio ribadisce di non avere tenuto conto del mar- chio ai fini del calcolo dell’avviamento, in quanto è stato utilizzato il metodo della percentuale su fatturato, valorizzando gli intangibili generici (quali fiducia della clientela, buona collocazione logistica, rete di vendita ecc.),utilizzando la media dei ricavi conseguiti dai punti vendita negli ultimi tre anni antecedenti la cessione anche in relazione i fattori segnalati dalla parte (mag- giori oneri fissi, minore redditività ecc.).

In particolare, l’Ufficio deduce che anche per le aziende in perdita si può calcolare il valore della prospettiva aziendale, diventando cruciale il potenziale soggetto acquirente, cosiddetto acquirente specifico, potendo incidere sulla valutazione del valore di avviamento non solo le cause della crisi, bensì anche le azioni future, essendo determinanti non solo i profitti che l’azienda ceduta è in grado di generare, bensì anche i profitti che potranno essere prodotti attraverso l’apporto di nuove risorse e competenze da parte del cessionario.

Si costituiscono in giudizio le società appellate e chie- dono il rigetto dell’appello dell’Ufficio e la conferma della sentenza impugnata.

Le Società appellate controdeducono che è corretta la sentenza nelle pagine nella quale afferma il vizio di motivazione e la illegittimità dell’atto impugnato di rettifica in quanto l’Ufficio” non ha sufficientemente dimostrato che il valore di avviamento rideterminato sulla base di un criterio astratto fosse da ritenersi in concreto adeguato alla realtà aziendale”, nella quale è stata posta in essere l’attività ceduta.

Con riguardo al motivo di appello relativo all’esistenza di avviamento anche in caso di perdita, le Società appellate controdeducono che tale argomento è

inconferente, essendo oggetto del presente giudizio l’incidenza effettiva delle perdite di esercizio e delle altre circostanze di carattere negativo, non smentite dall’Ufficio, sulla determinazione del valore di avviamento.

Infine, controdeducono che l’Ufficio appellante nulla rileva a proposito dell’inserimento della compravendita oggetto di causa in una ben più ampia operazione di dismissione del business in Italia dell’attività del gruppo di appartenenza R., affermato in sentenza e non conte- stato dall’Ufficio.

Le appellate citano da ultimo giurisprudenza di merito favorevole alla Società con riguardo alla cessione di altri punti vendita sempre relativi alla stessa operazione relativa al gruppo R.

La Commissione dopo la discussione decide come da dispositivo.

Motivi della decisione

L’appello dell’Ufficio appare infondato e deve essere respinto.

È condivisibile l’impostazione della sentenza impu- gnata, che, in sintesi, evidenzia la approssimazione e la arbitrarietà della percentuale di fatturato del 20%, applicata alla media dei ricavi registrati da ciascun punto vendita nel triennio ante cessione, senza la valo- rizzazione delle specificità dei punti vendita in esame e delle circostanze di carattere negativo, evidenziate dalle Società contribuenti e non contestate dall’Ufficio.

Appare opportuno, al riguardo, premettere che, la Suprema Corte di legittimità con numerose pronunce, recentemente riconfermate con sentenza Cassazione n.7750 del 20.3.2019, ha ritenuto“ancora adoperabile il criterio di calcolo del valore di avviamento che il legislatore aveva previsto per /’accertamento con ade- sione con il D.P.R. n. 460 del 1992, art. 2 comma 4”

(Cassazione n. 613 del 2006 e Cassazione n.1170 del 2008) ed ha statuito che“ai fini del calcolo del valore di avviamento commerciale quale parte del corrispettivo di cessione di azienda, per la determinazione della base imponibile del/‘imposta di registro secondo il disposto del D.P.R. n. 131 del 1986 art. 51e D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2 comma 4, disposizione quest’ultima avente la funzione di fungere da parametro minimo per il relativo calcolo, dovrà applicarsi la percentuale di red- dittività, nella misura ritenuta congrua dal giudice di merito parametrata alla media de ricavi, e non degli utili operativi, accertati, o in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte su redditi negli ultimi tre periodo di imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il tra- sferimento, applicando di seguito il moltiplicatore pre- visto dall’art. 2 comma 4 D.P.R. n. 4601 del 9 6” (cfr.

(3)

Cassazione n. 7324 del 2014 e Cassazione n.

18941del2018)”.

Ne deriva che, secondo la Suprema Corte, il D.Lgs. n.

218 del 1997, che ridisciplina l’accertamento con ade- sione, ha soppresso il D.P.R. n. 460 del 1996, non indicando però una metodologia di determinazione del valore di avviamento dell’azienda, ma l’orienta- mento espresso dal vecchio D.P.R. n. 460 del 1996 rimane, ad avviso della Corte di Cassazione, valido sul piano indicativo per quanto riguarda i parametri di riferimento, lasciando al contribuente l’onere di dimostrare, ove lo ritenga, applicando parametri diversi da quelli indicati dal D.P.R. n. 460 del 1996, un valore di avviamento inferiore a quello indicato (cfr. ancora Cassazione n. 7750 del 20.3.2019).

Peraltro, conformemente al richiamato orientamento della Cassazione, sebbene il disposto del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2 comma 4 riguardi in prima battura il calcolo operato dall’Ufficio, l’AF con la comunicazione n. 52 del 25.7.2003 ha ritenuto che anche il contri- buente possa determinare il valore di avviamento secondo il metodo di calcolo previsto dal richiamato D.P.R. n. 460 del 1996.

In conclusione, può affermarsi, sulla base dei principi statuiti dalla Cassazione, che i criteri di cui al D.P.R. n.

460 del 1996 determinano valori minimali di avvia- mento, in funzione dell’accertamento con adesione, sicché la loro applicazione integra un sicuro indizio a favore dell’Amministrazione, ma l’AF può impiegare un criterio diverso, dando conto della maggiore affidabilità specifica (Cassazione n. 4931 del 2012), e il contri- buente, si ripete, ha l’onere di dimostrare, ove lo ritenga, applicando parametri diversi da quelli indicati dal D.P.R. n. 460 del 1996, un valore di avviamento inferiore a quello indicato (cfr. ancora Cassazione n.

7750 del 20.3.2019).

Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio osserva che il motivo dell’Ufficio appellante, secondo il quale i fatti presupposti, dedotti dalla parte, sono stati valorizzati nel calcolo del valore di avviamento, non appare fondato, in quanto dall’atto di rettifica non risulta come gli elementi fattuali negativi, invocati dalla parte e non contestati dall’Ufficio, siano stati effettivamente considerati in relazione alla concreta incidenza sul valore di avviamento.

In realtà, il metodo, per come applicato, risulta oggetti- vamente avulso e disancorato dalle effettive circostanze fattuali, presupposto della fattispecie concreta, come dedotte dalle parti, limitandosi l’Ufficio ad affermare di averle considerate, affermazione priva della concreta dimostrazione e comunque smentita dalla lettura del contenuto dell’atto di rettifica e liquidazione.

In altri termini, è corretto affermare, come rileva la sentenza impugnata, che l’Ufficio ha erroneamente impiegato una metodologia basata sul solo fatturato, applicando ad esso una percentuale astratta ed uniforme del 20%, che trascura gli elementi differenziali dei 4 punti vendita in esame, senza tenere in considerazione la incidenza dei costi e quindi la situazione reddituale, che caratterizza l’azienda oggetto di valutazione.

Si intende dire che il metodo patrimoniale necessita di essere corroborato da un’analisi reddituale perché la valutazione possa essere considerata veritiera, completa ed attendibile, con verifica in concreto della reale situazione dello specifico punto vendita al momento della cessione, giustificando sotto il profilo gestionale- reddituale l’ipotesi formulata, verifica che nella sostanza non risulta effettuata nel caso di specie.

Venendo all’analisi degli specifici motivi di impugna- zione, si osserva:

1) In ordine al punto della sentenza, per il quale l’avvenuta cessione dei 4 punti vendita avviene senza trasferire all’acquirente il marchio B., che rappresenta parte determinante del valore di avvia- mento, l’Ufficio ribadisce di non avere tenuto conto del marchio ai fini del calcolo dell’avviamento, in quanto è stato utilizzato il metodo della percentuale su fatturato, valorizzando gli intangibili generici (quali fiducia della clientela, buona collocazione logistica, rete di vendita ecc.),utilizzando la media dei ricavi conseguiti dai punti vendita negli ultimi tre anni antecedenti l cessione anche in relazione ai fattori negativi segnalati dalla parte.

Il rilievo non è fondato in quanto è vero che oggetto della compravendita non è stato il marchio tuttavia è, altresì, vero che l’Ufficio, come ha ribadito anche durante la discussione orale in pubblica udienza, ha scelto di tenere comunque conto del peso che, secondo l’Ufficio, aveva il marchio di originaria appartenenza sulla complessiva operazione di cessione.

A pag. 13 dell’avvisodiliquidazione, l’Ufficio affermadi applicare nel caso di specie la percentuale di fatturato del 20%“tenendo in considerazione che si tratta di un noto brand associato agli ipermercati della grande distribuzione”.

Ma in tal modo l’Ufficio, da un lato, valorizza un dato che è estraneo all’ambito della compravendita, e, dal- l’altro lato, sottovaluta i fattori negativi segnalati dalla parte e non contestati dall’Ufficio (in particolare mag- giori oneri fissi e minore redditività), non spiegando la incidenza in concreto di tali fattori, ai fini del calcolo del valore di avviamento, limitandosi in modo formale ad asserire di averne tenuto conto, senza specifica dimostrazione.

(4)

- In ordine al punto della sentenza che richiama i fattori negativi, che in concreto hanno inciso sul valore di avviamento, l’Ufficio deduce che, anche per le aziende in perdita, si può calcolare il valore della prospettiva aziendale, diventando cruciale il potenziale soggetto acquirente, cosiddetto acquirente specifico, potendo incidere sulla valutazione del valore di avviamento non solo le cause della crisi, bensì anche le azioni future, essendo determinanti non solo i profitti che l’azienda ceduta è in grado di generare, bensì anche i profitti che potranno essere prodotti attraverso l’apporto di nuove risorse e competenze da parte del cessionario.

Tale rilievo dell’Ufficio appare infondato e smentito nel caso di specie dalle modalità concrete con le quali è avvenuta la cessione in esame (ricerca non agevole dell’acquirente delle 4 attività in esame, le cui criticità di fatto hanno ritardato la cessione nell’ambito della più ampia operazione posta in essere dal Gruppo di appartenenza).

- Sul punto della sentenza, per il quale la parte ha indicato e provato una serie di fattori contingenti, che hanno inciso di fatto sulla determinazione del valore di avviamento da riconoscere ai beni ceduti (ubicati in zona commercialmente non favorevole, con redditività inferiore alla media nazionale, con oneri fissi superiori alla media nazionale, e in per- dita gestionale perdurante anche dopo la cessione, con licenziamento del personale), dimostrando che il prezzo della cessione indicata nel rogito corri- sponde al contingente valore di mercato dei negozi oggetto della compravendita, l’Ufficio appellante deduce di avere utilizzato quale grandezza fonda- mentale la media dei ricavi degli ultimi tre esercizi, criterio che tiene conto, secondo l’appellante, delle particolarità, che incidono sulla determinazione del prezzo di cessione.

Peraltro, l’appellante sottolinea di averne tenuto conto in modo uniforme per tutti e 4 i punti vendita, utiliz- zando un moltiplicatore omogeneo in funzione della collocazione di tutti e quattro i punti vendita nella stessa regione veneta, mentre le parti adottano un avviamento non omogeneo.

Anche tale rilievo dell’Ufficio non appare fondato, posto che, se è vero che i 4 punti vendita si trovano tutti nel territorio della florida Regione del Veneto, tuttavia tale elemento non è sufficiente a superarne le obbiettive differenze sul piano della redditività e dei costi sostenuti.

Può affermarsi che è lo stesso Ufficio ad ammettere di non avere valorizzato le peculiarità in concreto dei singoli punti vendita, laddove sceglie ed applica una percentuale omogenea del 20% senza distinguere il

diverso tessuto imprenditoriale tra la provincia di Padova e quella di Rovigo.

Tanto è vero che il punto vendita di S., subito dopo la cessione, cessa l’attività con licenziamento di tutti i dipendenti.

- Sul punto della sentenza per la quale l’Ufficio non avrebbe preso in considerazione pagamenti non conta- bilizzati dell’asserito maggior valore, l’appellante deduce che nel calcolo del valore di avviamento, secondo il tenore testuale degli art. 51 e 52 D.P.R. n.

131 del 1986, l’Ufficio deve prescindere dalle indagini in ordine ad un“corrispettivo occultato”.

Le Società appellate controdeducono che non è rin- tracciabile in sentenza l’affermazione per la quale l’Uf- ficio non avrebbe preso in considerazione pagamenti non contabilizzati dell’asserito maggior valore. Tale osservazione merita di essere condivisa.

Né risulta fondato il motivo di appello, per il quale l’Agenzia afferma che la pretesa impositiva deriverebbe dall’analisi di altre aziende operanti nello stesso settore, sulla base delle valutazioni assegnate ad aziende con- frontabili ed omogenee, determinando il valore delle aziende cedute sulla base dei prezzi correnti assegnati dal mercato ad attività similari. Non c’è traccia nell’atto di rettifica di alcuna analisi condotta sulla base di soggetti comparabili, come correttamente osservano le Società appellate. Manca qualsiasi istruttoria, manca l’indica- zione dei soggetti comparabili esaminati e del percorso seguito dall’Agenzia.

Da ultimo, come correttamente affermato in sentenza e non contestato dall’appellante con la formulazione di specifico motivo di impugnazione, l’Ufficio non tiene conto dell’inserimento della compravendita oggetto di causa in una ben più ampia operazione di dismissione del business in Italia dell’attività del gruppo di appartenenza R, affermato in sentenza e non contestato dall’Ufficio, a causa della situazione di avanzata crisi, coinvolgente ben 150 punti vendita in Italia, operazione avvenuta con la collaborazione di soggetto terzo ed indipendente (P C A spa), non interessato, secondo la sentenza, a determinare il prezzo di cessione dei quattro supermercati in misura inferiore di ben due milioni di Euro rispetto alle condi- zioni suggerire dal libero mercato.

Pertanto, in assenza di ogni deduzione specifica sul punto da parte dell’appellante, può affermarsi che il prezzo della cessione indicata nel rogito corrisponde al contingente valore di mercato dei negozi oggetto di compravendita.

In conclusione, secondo il collegio, l’Ufficio si è limi- tato ad individuare astrattamente il metodo patrimo- niale complesso (patrimonio netto + valore della licenza), senza una adeguata valorizzazione delle

(5)

caratteristiche proprie e delle specificità dei singoli punti vendita ceduti e dell’inserimento della circo- scritta operazione nella concreta più ampia operazione di dismissione del business in Italia dell’attività del gruppo di appartenenza R.

In altri termini, è vero che il metodo patrimoniale utilizzato dall’Ufficio appartiene al novero di quelli accreditati dalla dottrina aziendalistica, metodo peraltro ritenuto corretto per aziende della grande distribuzione, ma non si contesta in sè la validità del metodo, ma se ne contesta la applicazione priva di qualsivoglia riscontro concreto e di metodologia di controllo in relazione alla specificità della fattispecie oggetto di causa.

Tale conclusione, già condivisa dal primo giudice, pare al Collegio del tutto condivisibile per le ragioni espli- citate in motivazione.

La sentenza impugnata deve pertanto essere confer- mata, con rigetto dell’appello dell’Ufficio.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Commissione rigetta l’appello dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Milano, che condanna al pagamento delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 1500, oltre accessori di legge.

Per la determinazione del valore di un ’azienda

e del relativo avviamento non è possibile fare esclusivamente uso di formule matematiche

di Fabio Gallio (*)

Nell’ambito di un’operazione di cessione di ramo d’azienda, con la sentenza n. 343/2020, la Com- missione tributaria regionale della Lombardia, correttamente, ha sostenuto che l’Agenzia delle entrate, per determinare la congruità del valore dichiarato dell’avviamento, che a sua volta incide sul valore del ramo aziendale oggetto di cessione, non può limitarsi ad effettuare dei calcoli senza tenere conto della peculiarità dell’azienda. Il metodo patrimoniale utilizzato dall’Ufficio deve essere supportato da un’analisi dei flussi reddituali, al fine di ottenere una valutazione veritiera, completa e attendibile. In sede di determinazione del valore dell’avviamento, l’Agenzia delle Entrate non deve sottovalutare i fattori negativi segnalati dal contribuente come gli oneri fissi superiori alla media nazionale, la redditività inferiore alla media nazionale, l’ubicazione in zona commercialmente non favorevole dei beni oggetto di cessione, la perdita gestionale perdurante anche successivamente alla cessione. L’Ufficio deve pertanto procedere con un’analisi approfondita della specifica fattispecie.

Con sentenza del 6 febbraio 2020, n. 343, in esame, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l ’appello dell’A- genzia delle entrate che aveva notificato un avviso di liquidazione ai fini dell ’imposta di registro.

Con tale atto, l ’Agenzia delle entrate ha provve- duto a determinare un maggiore valore dell ’avvia- mento, ai fini dell ’imposta di registro, a seguito di un atto di compravendita di ramo d ’azienda.

In particolare, l ’Ufficio ha rettificato il valore di avviamento di quattro negozi oggetto della com- pravendita, utilizzando il c.d. metodo

patrimoniale complesso ed applicando una per- centuale del 20% sul fatturato medio conseguito dai negozi in esame, tenendo conto della media dei ricavi conseguiti dai punti vendita negli ultimi tre anni antecedenti la cessione, e di un noto marchio associato agli ipermercati della grande distribuzione.

La normativa di riferimento

Ai fini dell ’imposta di registro, l’art. 51 del D.P.R. n. 131/1986 definisce quale sia la base imponibile per gli immobili e i compendi

(*) Cultore di diritto tributario presso l’Università di Trieste, pubblicista, avvocato tributarista, dottore commercialista, revi-

(6)

aziendali, stabilendo che la stessa è rappresentata dal valore venale in comune commercio.

Detto valore può essere calcolato, per gli immo- bili, con applicazione del metodo comparativo (ovvero, facendo riferimento al valore dei trasfe- rimenti di immobili similari avvenuti nei tre anni precedenti), oppure capitalizzando i redditi netti prodotti dagli immobili; per le aziende, invece, il calcolo del valore venale deve comprendere anche l ’avviamento e deve essere effettuato al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili.

Infatti, il comma 4, dell ’art. 51, così recita:

“4. Per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma 1 è controllato dall ’Ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l ’azienda, compreso l’avviamento ed esclusi i beni indicati nell ’art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11-bis della tabella, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del Codice civile, tranne quelle che l ’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere e quelle relative ai beni di cui al citato art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11-bis della tabella [trattasi di unità da diporto, natanti, imbarcazioni, navi, veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico, ...]. L ’Ufficio può tenere conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all ’imposta sul valore aggiunto ”.

Ai sensi dell ’art. 52, l’Ufficio, se ritiene che i beni o i diritti di cui ai commi 3 e 4 dell ’art. 51 hanno un valore venale superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito, provvede con lo stesso atto alla rettifica e alla liquidazione della mag- giore imposta, con gli interessi e le sanzioni.

Pertanto, per il calcolo della base imponibile, è determinante capire cosa si intende per valore normale.

Secondo la Corte di cassazione, il “valore venale in comune commercio ” è null’altro che quanto si può ricavare dalla vendita di un determinato bene in condizioni di normalità (1).

Parte della dottrina, invece, definisce tale valore come il prezzo che, in normali condizioni di mercato, il cessionario sarebbe disposto a pagare per l ’acquisto dell’azienda (2).

Inoltre, ai fini del calcolo dell ’imposta è neces- sario individuare le passività che si riferiscono all ’azienda trasferita, in quanto queste la possono ridurre (3).

Le stesse non devono configurarsi, però, come meri accolli di debito. In questo caso, come sostenuto dalla Corte di cassazione, si tratterebbe di una modalità di pagamento del prezzo e non di una passività inerente al ramo trasferito (4).

Tale interpretazione sarebbe coerente con altre della stessa Suprema Corte, secondo cui, per la determinazione della base imponibile, nessuna rilevanza può attribuirsi alle modalità convenute dai contraenti per il pagamento del corrispettivo, anche qualora tali modalità si risolvano nell ’ac- collo di debiti da parte del cessionario (5).

Tuttavia, sia in dottrina (6), sia in diverse altre pronunce della stessa Corte di cassazione (7), è riscontrabile un orientamento interpretativo secondo cui, ai sensi dell ’art. 51, commi 1, 2 e 4, del D.P.R. n. 131/1986, nel caso di cessione di ramo d ’azienda la base imponibile dell’imposta di registro è data dal valore complessivo dei beni che la compongono, incrementato del valore dell ’avviamento, al netto delle passività risul- tanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa, purché inerenti al ramo d ’azienda ceduto.

Dette pronunce, quindi, pur disconoscendo in taluni casi la sussistenza del requisito dell ’ine- renza, non mettono in dubbio che la base impo- nibile debba essere determinata considerando le passività inerenti il ramo d ’azienda ceduto risul- tanti dai libri contabili obbligatori (comprovate, ad esempio, da un estratto notarile di detti libri).

(1) Cfr. Cass. 9 settembre 2004, n. 18150.

(2) Norma di comportamento ADC 1° ottobre 2008, n. 171.

(3) Cfr. Cass. 27 gennaio 2017, n. 2048.

(4) Così Cass., ord. 31 ottobre 2016, n. 22099.

(5) Cfr., ad esempio, Cass. 15 maggio 2008, n. 12225.

(6) Cfr. M. Confalonieri, “Trasformazione, fusione, conferi- mento, scissione e liquidazione delle società”, in Il Sole - 24 Ore, 2012, pagg. 561-562.

(7) Cfr., ad esempio, Cass. 10 maggio 2013, n. 11167; Id. 20 ottobre 2010, n. 21507, nonché Id. 18 maggio 2016, n. 10218.

(7)

Pertanto, nel caso in cui sia evidente che le passività siano relative al ramo d ’azienda trasfe- rito e nel contratto venga ben evidenziata tale circostanza, è possibile tenerne conto (in negativo).

Relativamente al concetto di inerenza, si ricorda che la Corte di cassazione si è espressa più volte in merito.

Con riferimento alle operazioni di conferimento, i cui principi potrebbero essere mutuati anche per le cessioni di azienda (8), i giudici del Palaz- zaccio hanno sostenuto che la normativa del- l ’imposta di registro impone la deduzione delle passività ed oneri dai beni e diritti conferiti, a condizione tuttavia che tali passività ed oneri siano inerenti all ’oggetto del trasferimento stesso, con esclusione, quindi di passività od oneri che, anche se gravanti sul conferente ed assunti dalla società cessionaria, non possono dirsi collegati all ’oggetto del trasferimento (9).

Pertanto, la verifica dell ’inerenza della passività non deve basarsi esclusivamente sull ’iscrizione o meno nell ’attivo di un determinato elemento (nel caso in esame, cessione di futuri crediti), ma sulla diretta connessione del debito con l ’esercizio dell’attività di impresa (nel caso in esame, finanziamento per l ’acquisto delle auto- vetture necessarie per l ’esercizio dell’attività di noleggio).

È evidente che non è sufficiente l ’iscrizione dei debiti nei libri contabili obbligatori, ma deve essere dimostrato il loro collegamento con l ’azienda trasferita (10).

La determinazione dell’avviamento

Da una semplice lettura delle disposizioni appena citate, si evince che la normativa non prevede espressamente dei criteri o regole per la determi- nazione del valore dell ’avviamento.

Come sancito dalla prevalente giurisprudenza, proprio in relazione ad impugnazioni di avvisi di

rettifica e liquidazione emessi ai fini dell ’imposta di registro con rettifica del valore dell ’avviamento dichiarato in atti di cessione di azienda o di ramo d ’azienda, per la determinazione del valore di un ’azienda e del relativo avviamento, non è pos- sibile fare esclusivamente uso di formule mate- matiche (11), ma si deve tenere conto anche delle caratteristiche della singola azienda ceduta (12).

Pertanto, la contestazione in esame non può prescindere dal reale contesto in cui la ces- sione è stata realizzata, vale a dire dall ’anda- mento (nel caso in oggetto, negativo) del ramo aziendale negli anni immediatamente precedenti, né dalle clausole contrattuali che hanno pesantemente inciso sulla deter- minazione del prezzo, come, ad esempio, quelle che prevedono in capo al cessionario l ’accollo di potenziali rischi compresi i conse- guenti oneri da ciò derivanti (c.d. badwill o avviamento negativo).

Principi, questi, tutti riscontrati dalla prevalente giurisprudenza e ai quali ha evidentemente fatto riferimento anche la Commissione tributaria regionale della Lombardia nella sentenza in esame, atteso che, nel caso analizzato, secondo il Collegio, il metodo patrimoniale utilizzato dal- l ’Ufficio deve essere supportato da un’analisi dei flussi reddituali del ramo aziendale oggetto di cessione, al fine di ottenere una valutazione veri- tiera, completa e attendibile. In sede di determi- nazione del valore dell ’avviamento, cioè, l ’Agenzia delle Entrate non deve sottovalutare i fattori negativi segnalati dal contribuente come gli oneri fissi superiori alla media nazionale, la redditività inferiore alla media nazionale, l ’ubica- zione in zona commercialmente non favorevole dei beni oggetto di cessione, la perdita gestionale perdurante anche successivamente alla cessione.

L ’Ufficio deve pertanto procedere con un’analisi approfondita della specifica fattispecie.

E a tal proposito, in merito alle metodologie di calcolo avulse dalla realtà aziendale, non va

(8) Cass. 18 maggio 2016, n. 10218.

(9) Cass. 14 febbraio 2014, n. 3444.

(10) Cass. n. 10218/2016, cit.

(11) Si ricorda che l’Amministrazione finanziaria è solita appli- care, come criterio di determinazione dell’avviamento, quello

superato, dal punto di vista normativo, dal D.Lgs. n. 218/1997, che ha ridisciplinato l’accertamento con adesione, senza indicare un metodo per la determinazione del valore delle aziende.

(12) Si citano, ad esempio, Comm. trib. prov. di Milano 19 ottobre 2015, n. 8187; Comm. trib. reg. Sardegna 14 gennaio

(8)

sottaciuto il fatto che i giudici (13), relativamente ad un caso in cui l ’Amministrazione finanziaria, per la rideterminazione del valore dell ’avvia- mento di un ramo d ’azienda ceduto, aveva utiliz- zato il metodo di calcolo c.d. locativo, hanno ritenuto che l ’operato dell’Ufficio non fosse con- divisibile, non tanto nel metodo, quanto nei modi del suo utilizzo e nei risultati. Infatti, è stato sancito che: “Il ricorso al metodo locativo [...]

può essere ritenuto legittimo in quanto, al pari di altri sistemi, è idoneo a fornire utili indicazioni per la determinazione del valore dell ’avviamento di una azienda, se adoperato [...] semplicemente quale parametro di riferimento per definire il valore dell ’avviamento. Il risultato offerto dall’ap- plicazione del metodo locativo d ’altronde, al pari degli altri sistemi di riferimento citati dalle parti, costituisce un ’indicazione di quello che può essere il valore dell ’avviamento di un’azienda, non certo una prova a sostegno di detto valore. Utile indi- cazione che però deve essere confrontata con la concreta realtà economica oggetto di cessione ”.

Si rinvia anche ad altra sentenza (14), con la quale l ’operato di un ufficio, che aveva rideter- minato il valore dell ’avviamento di alcuni alber- ghi ceduti sulla base di un metodo matematico, non è stato ritenuto legittimo, oltre che per i valori utilizzati al fine del calcolo, anche per il fatto che l ’Ufficio non aveva tenuto conto della stabilità economica di tali alberghi.

Relativamente all ’influenza dell’avviamento nega- tivo sul valore di un ’azienda ceduta, invece, occorre considerare quanto statuito dalla Corte di cassa- zione (15), che si è espressa sulla legittimità di un diniego opposto dall ’Agenzia delle entrate ad un’i- stanza di rimborso di maggiore imposta di registro asseritamente versata su un atto con il quale una società aveva acquistato un ramo d ’azienda termale tenendo conto nella determinazione del prezzo complessivo dichiarato di un avviamento negativo.

La Corte di cassazione, relativamente ad un caso che aveva ad oggetto la cessione di un ramo d ’azienda inattivo da anni e suscettibile di perdite

future, pur ribadendo, con richiamo ad altra sen- tenza della stessa Corte (16), che, nella determina- zione della base imponibile, l ’esistenza di un avviamento incrementativo del valore dell ’azienda trasferita ben può coesistere con la presenza di perdite di esercizio negli anni immediatamente precedenti o successivi al trasferimento stesso, ha ritenuto che l ’esistenza di un avviamento negativo incide sulla determinazione del valore del ramo aziendale ai fini dell ’imposizione di registro.

Come principio generale, secondo la Corte di cas- sazione, non potendosi trarre dall ’art. 51, comma 4, del D.P.R. n. 131/1986 nessun elemento decisivo in tal senso, non si può affermare che l ’avviamento incida sul valore dell ’azienda trasferita solo se, ed in quanto, di segno positivo. Al contrario, proprio perché la norma è finalizzata ad applicare l ’imposta di registro su una base imponibile conforme al valore reale dell ’azienda in condizioni di libero mercato, essa deve tenere conto anche di quell ’av- viamento che, avendo segno negativo, sia compu- tato dalle parti a riduzione del prezzo di cessione.

Ciò, anche se l ’art. 51, comma 4, del D.P.R. n. 131/

1986 prevede, ai fini della determinazione del valore dell ’azienda, la decurtazione delle sole passi- vità già formatesi, e come tali risultanti dalle scrit- ture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa. Al riguardo, la Corte di cassazione ha affer- mato che: “una cosa sono le passività già prodottesi, rilevanti quali componenti patrimoniali negative incluse nella sommatoria di valore delle singole poste, ed altra le perdite future; invece rilevanti, sul piano tipicamente proiettivo dell ’avviamento, per giustificare la pattuizione di un prezzo di cessione collimante con il valore venale, ancorché inferiore alla somma algebrica delle singole componenti aziendali, comprese le passività già conclamate ”.

Le motivazioni alla base della decisione della Corte di cassazione sono così esposte nella stessa sentenza: “Il valore attribuibile all’azienda può risultare [...] condizionato dall ’aspettativa di risultati negativi negli esercizi immediatamente successivi al trasferimento (prima che la nuova

(13) Con la sentenza della Comm. trib. reg. Lombardia 12 dicembre 2017, n. 5194.

(14) Quella della Comm. trib. reg. Lombardia 28 febbraio 2018, n. 852.

(15) Cfr. Cass. 17 gennaio 2018, n. 979.

(16) Cfr. Cass. 4 novembre 2015, n. 22506.

(9)

gestione sia in grado di riportare in utile l ’attività economica); e ciò in forza di una prognosi che assume dimensione economica nella negoziazione tra le parti di uno ‘sconto-prezzo’ di misura tale da far apparire comunque conveniente l ’acquisizione dell ’azienda (transitoriamente) produttiva di per- dite stimate. Sicché, la considerazione dell ’avvia- mento negativo nella fissazione del prezzo di cessione può rendere appetibili sul mercato - specie in contesti congiunturali - anche complessi azien- dali prospettivamente improduttivi, nel breve periodo, di profitti; così da consentirne, con la cessione stessa, la sopravvivenza ed il recupero ”.

Inoltre, secondo alcuni giudici di merito, non è corretto fare riferimento esclusivamente al reddito realizzato da parte acquirente successivamente al trasferimento del ramo d ’azienda, senza tenere conto dei risultati precedenti, maturati in capo al venditore che, al contrario, erano in perdita.

Infatti, per determinare l ’attitudine del complesso dei beni costituenti l ’azienda a produrre reddito nel futuro, si devono considerare anche i redditi o le perdite precedenti la cessione. In caso contrario, si darebbe rilevanza ad un risultato realizzato da un diverso imprenditore e relativo ad un arco tempo- rale differente a quello in cui è maturata la cessione, aspetti tutti estranei a quanto previsto dagli artt. 51 e 52 del Testo Unico Imposta Registro (17).

Infine, come sancito da altri giudici di merito, il prezzo di cessione di un ramo d ’azienda, così come definito dalle parti a seguito di un ’attività di due diligence connessa ad una procedura di gara competitiva gestita da un intermediario terzo professionale, deve ritenersi coerente con il valore venale in comune (18).

Alcune considerazioni

I giudici di secondo grado di Milano, con la sen- tenza in esame, hanno accertato che l ’Ufficio ha fatto riferimento, per il calcolo dell ’avviamento, a quella norma che prevede che va applicata, ai

ricavi degli ultimi tre periodi d ’imposta anteriori a quello in cui il trasferimento è avvenuto, una percentuale di redditività determinata quale rap- porto tra reddito d ’impresa e ricavi e moltiplicando tale risultato per tre.

Infatti, come sancito dalla Corte di cassazione, l ’Ufficio ha ancora la possibilità di fare riferi- mento, sebbene abrogato, al criterio forfetario dettato, a suo tempo, in materia di accertamento per adesione, dall ’art. 2, comma 4, del D.P.R. 31 luglio 1996, n. 460 (19).

Il suddetto calcolo, però, ha solo valore indiziario (20).

Pertanto, l ’avviso di liquidazione non risulte- rebbe sufficientemente motivato, se l ’Ufficio non precisa le ragioni per cui non ritiene atten- dibili le stime delle parti (21).

Nel caso, i giudici di Milano hanno evidenziato l ’approssimazione e l’arbitrarietà della percentuale di fatturato del 20%, applicata alla media dei ricavi registrati da ciascun punto vendita nel triennio ante cessione, senza la valorizzazione delle specifi- cità dei punti vendita in esame e delle circostanze di carattere negativo, evidenziate dalle Società contribuenti e non contestate dall ’Ufficio.

Infatti, parte contribuente ha fatto presente che la determinazione del valore dell ’avviamento avrebbe dovuto essere influenzata dal fatto che i quattro supermercati sono ubicati in zona com- mercialmente non favorevole, con redditività inferiore alla media nazionale, con oneri fissi superiori alla media nazionale, e in perdita gestio- nale perdurante anche dopo la cessione, con licenziamento del personale.

Pertanto, secondo i giudici, l ’Ufficio non ha tenuto conto, non solo dei costi sostenuti da ciascuna unità di vendita che avrebbero ridotto il valore rideterminato, ma anche del fatto che per ogni supermercato, considerata la peculiarità di ciascuno di essi, si sarebbe dovuto determinare un avviamento autonomo.

(17) Cfr. Comm. trib. prov. di Latina, Sez. II, 24 settembre 2018, n. 1021.

(18) Cfr. Comm. trib. reg. Lombardia, Sez. XVIII, 27 febbraio

(19) Cfr. Cass. 20 marzo 2019, n. 7750.

(20) Cfr. Cass. 21 marzo 2019, n. 7941.

(21) Cfr. Cass., ord. 3 ottobre 2018, n. 24064.

Riferimenti

Documenti correlati

In particolare, ritiene che la trasformazione, manipolazione, valorizzazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci, effettuata da

Il testo del compito deve essere consegnato insieme alla bella, mentre i fogli di brutta non devono essere consegnati.. Durante la prova non ` e consentito l’uso di libri,

Il testo del compito deve essere consegnato insieme alla bella, mentre i fogli di brutta non devono essere consegnati. Durante la prova non ` e consentito l’uso di libri,

Per Giulio Magagni, nella du- plice veste di presidente Emil- banca e Gruppo Bancario Iccrea Holding, «Banca di Parma rap- presenta un grande valore per il territorio, sotto tutti

Riguardo alla convenienza degli acquisti sul mercato cinese, ambito nel quale Alea opera da svariati an- ni, Accolli spiega che «negli anni e dall'inizio del 2015 in particolare,

Dimostrare che fra esse vi è una similitudine, di cui si chiedono

Per i calcoli assumere la portata volumetria pari al proprio numero di matricola mentre la costante cinetica deve essere assunta pari ad 1/5 del proprio numero di matricola. Su

Il caso generale segue argomentando per induzione (per la dimostrazione si veda Abate - de Fabritiis, Geometria analitica con elementi di algebra lineare pgg. Si osservi che