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Judith Butler e Gayatri Chakravorty Spivak, Che fine ha fatto lo stato-nazione

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Academic year: 2021

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Judith Butler e Gayatri Chakravorty Spivak, Che fine ha fatto lo stato-nazione

recensione di Giorgia Ricciotti

In occasione di un seminario sul tema “Lo stato globale”, tenutosi presso l’Università della California nel 2007, le due studiose femministe più autorevoli nell’orizzonte post-moderno – Judith Butler e Gayatri Chakravorty Spivak – discussero il significato dei confini nazionali e dell’appartenenza nazionale nel mondo globalizzato, per riflettere sulla figura del senza stato. Che fine ha fatto lo stato- nazione? riporta gli interventi delle due autrici e le domande del pubblico.

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Pur essendo diverse per formazione e posizione, il loro comune punto di partenza è una riflessione sulle tendenze attuali del discorso politico a galvanizzare sentimenti di razzismo, di rigetto dello straniero, a consolidare il senso di comunità e appartenenza rifiutando la porosità dei confini nazionali. Simmetrica a questa riflessione sulla nazione è la questione dell’identità, e del suo rapporto con l’alterità, che attraversa il pensiero di entrambe.

Judith Butler, la cui voce è predominante nel testo, ha affrontato fin dall’inizio della sua produzione, il tema del rifiuto e della violenza sull’altro, la cui più drammatica conseguenza è la negazione dell’esistenza, la condanna ad una vita di spettro.

L’omosessuale, protagonista delle prime opere, il nero, la donna, e poi il migrante, lo straniero, il clandestino. In Scambi di genere, il gay, la lesbica, il transessuale, il travestito, costituivano il luogo dell’impossibilità, il vuoto di riconoscimento. In Vite precarie, le figure di questa mancanza di esistenza sono le vittime senza nome delle guerre americane condotte contro il male, e i prigionieri, vite senza identità, non-vite. Butler ha fortemente criticato la politica aggressiva degli Stati Uniti prima di Obama, e ha ampiamente mostrato l’apparato ideologico che la sostiene. Anche in questo volume la riflessione critica è legata ad un contesto americano, precisamente alla politica identitaria americana contro i diritti dei migranti, dei rifugiati, dei profughi. Sebbene la riflessione di Butler tocchi esplicitamente gli Stati Uniti prima di Obama, sembra nello stesso tempo toccare crucialmente l’Europa di oggi.

Le coordinate teoriche di questa riflessione sono coerenti con tutta la sua produzione precedente. Che si tratti delle donne, degli omosessuali, o degli illegali, il luogo di tali figure è sempre prodotto discorsivamente e crea, nello stesso tempo, una contraddizione performativa. Lo stato di essere senza stato fa sussistere le due condizioni di essere “contenuti e nello stesso tempo spossessati dallo stato”. Non si tratta della nuda vita, ma di una situazione densa di potere, satura giuridicamente, soddisfacente certe categorie normative.

Grazie a questo corto circuito, in cui la nazione per essere tale deve depurarsi da ciò che è estraneo e nello stesso tempo produrlo, si aprono le possibilità di crisi del sistema. Butler legge qui Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt, con il suo consueto metodo di analisi serrata.

E sempre ad Arendt fa riferimento quando narra l’evento dei latinos che cantano l’inno nazionale americano in spagnolo, esercitando il diritto alla libertà prima di ogni altro diritto.

La strada da intraprendere è quella di delineare “forme post-nazionali di opposizione politica”, sulla base di un disfacimento dello stato-nazione.

Il breve intervento di Spivak si ispira ad un diverso punto di vista: l’essere senza-stato è legato alle esigenze del capitale, e proprio contro questo potere – l’economia globalizzata gestita dagli Stati Uniti e dall’Europa – il regionalismo critico deve lottare.

Emerge dunque una duplice necessità. Per Spivak quella di ripensare la ridistribuzione economica, le leggi del welfare, gli obiettivi delle organizzazioni economiche mondiali, in altre parole, cambiare il punto di vista del capitale.

Per Butler la necessità di ripensare il senso dei confini nazionali da una parte, e dell’identità stessa dall’altra.

Necessità vera, urgente, disperata, se pensiamo alle leggi in Europa sulla criminalizzazione del clandestino, ai recentissimi eventi di violenza contro gli stranieri nel sud Italia, alla retorica politica italiana e non che alimenta il razzismo popolare, ai muri che si elevano in tutto il mondo per rafforzare i confini tra i popoli.

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Butler, Judith e Spivak, Gsyatri Chakravorty, Che fine ha fatto lo stato-nazione?, Meltemi, Roma 2009, pp. 96, € 13

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