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Il lavoro a progetto: profili teorico-ricostruttivi

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Academic year: 2021

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Il lavoro a progetto:

profili teorico-ricostruttivi

di Michele Tiraboschi (*)

Impostazione del problema

E’ stato giustamente osservato – in quello che può essere considerato un classico tra gli studi sul «tipo contrattuale» – che mentalità conservatrice ed esigenze di certezza portano il giurista a qualificare i fenomeni sociali nuovi utilizzando schemi già noti e sperimentati 1. L’oggettiva difficoltà di impostare i problemi in termini radicalmente nuovi o anche solo l’incapacità culturale di formulare compiute alternative inducono l’interprete a ricorrere a categorie concettuali saldamente radicate nella tradizione, che vengono conseguentemente impiegate ben al di là della sfera di operatività originaria.

E’ alla luce di questa regola di conservazione – mai codificata, ma certo bene impressa nel codice genetico del giurista – che si possono probabilmente spiegare sia l’affanno interpretativo, che ha accompagnato le prime letture della nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative 2, sia anche, almeno in parte, talune delle principali notazioni critiche all’impianto complessivo del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 3.

Non sono invero neppure mancati dubbi interpretativi e soprattutto rilievi critici basati su una lettura della nuova disciplina che, a voler essere generosi, potremmo limitarci a definire frettolosa 4. Con specifico riferimento alla regolamentazione del lavoro c.d. a progetto particolarmente deleteria – e anche deviante – è stata l’opinione di chi, rivolgendosi a una platea di lettori che va decisamente ben oltre gli esperti della materia, ha rappresentato il nuovo regime delle collaborazioni coordinate e continuative alla stregua di una intollerabile forzatura e rigidità, rispetto alla evoluzione del quadro economico e normativo degli ultimi anni,

*

Professore Straordinario di Diritto del lavoro presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio

Emilia – Direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi (http://www.csmb.unimo.it/cv/Michele).

1

Così: G. De Nova, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova, 1974, p. 3. Nella medesima prospettiva, e con specifico riferimento alla tipicità del diritto applicato, cfr. anche R. Sacco, Autonomia

contrattuale e tipi, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1966, p. 790 e ss. e, proprio con specifico riferimento

all’area della c.d. «parasubordinazione» G. Santoro Passarelli, Il lavoro «parasubordinazione», Angeli, Milano, 1979, p. 13.

2

Parlano di «affanno interpretativo», con espressione che bene rende il disorientamento di larga parte degli operatori del diritto, M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, in Collana "Riforma del lavoro" - Vol. I, Ipsoa, Milano, in corso di pubblicazione, qui § 1.

3

Per un tentativo di fornire percorsi interpretativi e proposte di lettura dell’impianto complessivo del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e dei principali provvedimenti in esso contenuti rinvio ai contributi raccolti in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro – Prime

interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, Giuffrè, Milano, 2004. Il saggio di apertura del volume è pubblicato all’indirizzo

www.csmb.unimo.it 4

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destinata a entrare a regime in modo drastico e perentorio a partire dalla entrata in vigore del decreto 5. Opinione certo rispettabile, e anzi avanzata da un commentatore tra più autorevoli in materia, ma che purtuttavia ha trascurato di rilevare come, in realtà, le disposizioni finali del decreto prevedessero una disciplina transitoria di un anno per il definitivo passaggio dal vecchio al nuovo regime. Preoccupati di comprendere, alla luce di queste ed altre ancora notazioni allarmistiche, come gestire nell’arco di poche settimane il repentino passaggio di un numero considerevole di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa – di cui si annunciava, senza alcun solido argomento logico e normativo, la morte (v. infra) – a quell’oggetto sconosciuto rappresentato dal c.d. lavoro a progetto 6 molti operatori economici e molte aziende si sono così lasciati irrimediabilmente sfuggire, in attesa dei primi chiarimenti ministeriali 7, la comoda transizione prevista dalla prima parte del comma 1 dell’articolo 86 del decreto legislativo n. 276/2003 (v. infra).

E’ tuttavia proprio sul piano dell’atteggiamento culturale nei confronti del “nuovo” che sono emersi i principali problemi di comprensione e razionalizzazione della disciplina del lavoro a progetto. Una ostilità in buona parte pregiudiziale e talvolta ideologica nei confronti delle soluzioni tecniche adottate dal legislatore delegato ha in effetti dato luogo a una proliferazione incontrollata di letture radicali e spesso contrapposte della lettera della legge, tali da collocare prepotentemente il dibattito sulla sorte delle collaborazioni coordinate e continuative ben oltre l’orizzonte dei problemi tecnico-operativi concretamente – e oggettivamente – sollevati dalla messa a regime del nuovo assetto regolatorio 8.

Invece di tentare di affrontare e sciogliere i principali dubbi interpretativi in coerenza alla ratio dell’intervento legislativo e al quadro dei principi e valori costituzionali di riferimento, i primi commenti si sono il più delle volte diffusi, con piglio marcatamente polemico, in serrate e minuziose disquisizioni circa l’effettiva idoneità delle misure contenute nel decreto ad arginare l’utilizzo abusivo delle collaborazioni fittizie ipotizzando – né più né meno di quanto già registrato nel

5

Così: P. Ichino, Il vero strappo è un’altra rigidità, in Il Corriere della sera, domenica 8 giugno 2003.

6

Secondo R. Del Punta, La scomparsa dei co.co.co., in www.lavoce.info, «dei due milioni e mezzo di co.co.co. attuali, potrebbero salvarsene perché riconducibili a un progetto, non più di un quinto, tutti di alta qualifica (amministratori di società, temporary managers, etc.).I restanti due milioni si ritroverebbero attratti nell’alveo del diritto del lavoro subordinato, con un effetto dal sapore paradossalmente "bertinottiano"». Più recentemente, tuttavia, B. Anastasia e A. Accornero, Precari

veri e presunti, in www.lavoce.info, hanno sostenuto che il numero dei contratti di collaborazione

coordinata e continuativa fittizi, su cui si concentra (come vedremo) l’intervento del decreto legislativo n. 276/2003, sarebbero meno di 600 mila.

7

Puntualmente pervenuti in data 8 gennaio con la pubblicazione della circolare n. 1/2004 (vedila in www.csmb.unimo.it).

8 Basti considerare che alcuni primi commentatori (v. Ichino e Del Punta, citati rispettivamente alle note 5 e 6) hanno accusato il Legislatore delegato di aver congegnato una riforma delle collaborazioni coordinate e continuative ingiustamente rigida e penalizzante per l’autonomia contrattuale privata, e dunque perfettamente in linea con le radicali proposte della CGIL volte cioè a ricondurre drasticamente queste forme di lavoro nell’alveo della subordinazione, mentre la stessa CGIL denuncia ora la disciplina del lavoro a progetto come uno strumento finalizzato a svuotare surrettiziamente l’area presidiata dalla subordinazione. Cfr. A. Andreoni, Il Decreto Legislativo n. 276/2003. Brevi

osservazioni, in www.cgil.it/giuridico, che parla del «rischio di un effetto boomerang che realizza,

anziché un transito dagli attuali co.co.co. al lavoro subordinato, l’effetto contrario di uno sgonfiamento dell’area della subordinazione, in quanto preclusa alle fasce medio-alte di lavoratori (senza peraltro che siano introdotti vincoli per i lavoratori di routine)». Sostanzialmente nello stesso senso cfr. P. Alleva, Ricerca e analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003 sul mercato

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2001, a seguito della riforma del lavoro a tempo determinato 9 – scenari pessimistici che vedono alternarsi ora un imponente contenzioso giudiziario ora una altrettanto imponente fuga verso il lavoro nero o comunque verso schemi contrattuali ritenuti – ma erroneamente – più attrattivi come per esempio l’associazione in partecipazione 10. Disquisizioni, a ben vedere, non solo capziose, ma anche oziose in ragione del fatto che, a lume di buon senso, un giudizio attendibile – e sereno – sulla bontà o meno della riforma sarà possibile solo dopo aver avviato una prima fase di sperimentazione in piena aderenza con lo spirito della legge e, segnatamente, con quanto dispone l’articolo 86, comma 12, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in merito alla natura, appunto sperimentale, della disciplina sul lavoro a progetto. Una natura, va precisato, genuinamente sperimentale, come dimostra del resto la circostanza che, ai sensi dell’articolo 7 della legge 14 febbraio 2003, n. 30, la delega al Governo per introdurre eventuali modifiche e integrazioni al testo del decreto legislativo rimane aperta per un arco di tempo significativo: ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore 11.

Nel ricordare le caratteristiche di sperimentalità e gradualità della riforma delle collaborazioni coordinate e continuative non si vuole certo negare che, anche dopo i primi i chiarimenti ministeriali 12, la disciplina del lavoro a progetto presenti zone d’ombra e taluni rilevanti dubbi applicativi 13. Vero è tuttavia che – pur a fronte di un fenomeno come quello degli abusi delle collaborazioni coordinate e continuative, dai più giudicato negativamente per l’enorme impatto economico e sociale in termini di distorsione della concorrenza e precarizzazione del lavoro – è sino ad oggi mancato un atteggiamento culturale positivo nei confronti del cambiamento: quell’approccio costruttivo che pure non dovrebbe mancare in un settore dell’ordinamento giuridico che, da sempre 14, richiama «il giurista al

9

E’ a partire dalla riforma del contratti di lavoro a termine che, in effetti, si apre la polemica tra chi prospetta scenari pessimistici e chi invece sollecita un atteggiamento culturale positivo nei confronti del cambiamento. Cfr., sul punto, M. Biagi, La nuova disciplina del lavoro a termine: prima

(controversa) tappa del processo di modernizzazione del mercato del lavoro italiano, in Id. (a cura

di), Il nuovo lavoro a termine, Giuffrè, Milano, 2002, spec. p. 20 in risposta a P. Ichino, Contratti a

termine: un decreto trappola, in Il Corriere della Sera del 12 ottobre 2001. p. 1 e p. 15.

L’assestamento e i primi due anni di applicazione della disciplina sul contratto a termine di cui al decreto legislativo n. 368/2001 hanno peraltro dimostrato come i timori di un imponente contenzioso giudiziario fossero completamente infondati.

10

Così T. Treu, La riforma del mercato del lavoro: prime notazioni, in Collana "Riforma del lavoro" - Vol. I, Ipsoa. Milano, cit., nonché L. Tartaglione, Il contratto a progetto nella Riforma Biagi, in

Guida al Lavoro, n. 42/2003, Speciale, qui p. X, dimenticando tuttavia che anche in questo caso le

disposizioni transitorie e finali contengono una rigorosa disciplina sanzionatoria in merito all’utilizzo abusivo dei contratti di associazione in partecipazione. Cfr. infatti l’art. 86, comma 2, del decreto legislativo n. 276/2003.

11

Circostanza questa che spiega perché l’art. 86, comma 12, del decreto legislativo n. 276/2003 preveda un confronto con le parti sociali sulle misure sperimentali decorsi diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso. A ciò si aggiunga che, grazie alla disposizione di cui all’art. 17 del decreto, sono peraltro in corso di definizione misure volte a potenziare e rendere maggiormente efficace l’azione di monitoraggio e di valutazione delle politiche del lavoro.

12

Cfr. la circolare n. 1/2004 del Ministero del lavoro. Per un primo commento cfr. V. D’Oronzo,

Primi chiarimenti ministeriali sulla disciplina del lavoro a progetto, in Guida al Lavoro, 2003.

13

Per un primo tentativo di sistematizzazione del nuovo quadro legale delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità c.d. a progetto cfr. M. Biagi, Istituzioni di diritto del lavoro, continuato da M. Tiraboschi, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 199-208.

14

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difficile compito di qualificare realtà nuove se non, addirittura, realtà in movimento» 15.

Il principale rischio di questo clima culturale, va detto a chiare lettere a quanti stanno avviando una campagna di demolizione in via interpretativa del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è unicamente quello di mortificare l’obiettivo di politica del diritto sotteso agli articoli 61-69 del decreto stesso: l’obiettivo – che pure nessuno osa apertamente sconfessare o criticare 16 e che, non a caso, costituisce la pietra angolare su cui poggia l’intera riforma Biagi 17 – di reprimere gli abusi nell’area grigia del lavoro coordinato e continuativo e di definire, in coerenza con gli assetti della economia della informazione e della conoscenza, un quadro di corretta competizione tra le imprese mediante la fissazione di regole certe ed esigibili nella gestione del personale.

Probabilmente, come è stato giustamente rilevato 18, qualcuno pensava internamente che la generalizzazione dell’illecito attraverso le collaborazioni simulate potesse anche essere utile per il sistema delle imprese. Ma questa «è una opzione oziosa: era necessario cambiare e regolarizzare» 19.

Vero è dunque che, anche in considerazione di una sostanziale aderenza dell’intervento riformatore a una elaborazione giurisprudenziale più che decennale

20

, tanto l’approccio disincantato e riduttivo quanto quello fortemente critico e pessimistico non rendono merito alla aspirazione razionalizzatrice di questa porzione specifica del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 21. Il decreto non ambisce certo a introdurre nuove e ingiustificate rigidità e tantomeno ad alimentare l’economia sommersa. La questione, come evidenziato nella relazione di accompagnamento del decreto 22, è semmai che in una logica di medio-lungo periodo una concorrenza basata sulla mera riduzione del costo del lavoro, che è poi la vera ragione negli abusi delle collaborazioni coordinate e continuative, rischia di mettere completamente fuori mercato le imprese italiane rispetto alle logiche della nuova economia e nel confronto internazionale: «le organizzazioni di impresa fondate (solo) sulla precarietà del lavoro hanno bassi costi, ma finiscono per disincentivare la formazione e la crescita professionale, onde non riescono a garantirsi a lungo la competitività e alla fine anche la concorrenzialità sui mercati

di), La riforma Biagi del mercato del lavoro – Prime interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. 10

settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, cit., che propone un efficace

accostamento storico-critico con le resistenze operate da una parte della cultura giuridica alla regolamentazione del c.d. «libero contratto» di lavoro e, con essa, alla nascita del moderno diritto del lavoro.

15

Per questa definizione della scienza giuslavoristica cfr. G. Giugni, Introduzione allo studio

dell’autonomia collettiva, Giuffrè, Milano, 1977 (ma 1960), qui p. 20.

16

Sulla ratio dell’intervento legislativo in materia di collaborazioni coordinate e continuative, abbastanza pacifico e largamente condiviso in dottrina, cfr. V. D’Oronzo, Primi chiarimenti

ministeriali sulla disciplina del lavoro a progetto, cit.

17

Sulla regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative come pietra angolare della riforma rinvio a M. Tiraboschi, Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276: alcune premesse e un

percorso di lettura, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro ecc., cit.

Nello stesso senso cfr. R. Bonanni, Il giudizio della Cisl sulla riforma Biagi e le proposte per la sua

attuazione, ivi e C.L. Monticelli, Garanzie per i lavoratori e nuove forme di flessibilità aziendale, ivi.

18

M. Miscione, Il collaboratore a progetto, in Lav. Giur., n. 9/2003, 813. 19

Così, giustamente, M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit., 813. 20

Cfr. infra, nel testo. Per una efficace dimostrazione di questo assunto cfr., sin da ora, R. Continisio,

I contratti di collaborazione coordinata e continuativa fra riforme e giudici, in M. Tiraboschi (a cura

di), La riforma Biagi del mercato del lavoro ecc., cit., secondo cui «l’oggetto centrale dell’intervento riformatore (ossia quello di legare il contratto di collaborazione ad un progetto) appare il frutto “raffinato” di un excursus giurisprudenziale espresso dalla Suprema Corte di Cassazione».

21

In questo senso cfr. L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma

Biagi del mercato del lavoro ecc., cit.

22

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internazionali» 23. Nella variegata area delle collaborazioni, il passaggio da rapporti a minore o nessuna contribuzione ad altri a più alta aliquota dovrebbe costituire, per contro, un beneficio per l’intero sistema delle imprese. Eliminando forme di concorrenza sleale, basate su abusi ed elusioni palesi alla normativa di legge, sarà plausibilmente più facile programmare misure volte alla progressiva riduzione del costo del lavoro dipendente.

La filosofia dell’intervento sulle co.co.co.

Certo è che la rigorosa impostazione prospettata dal legislatore delegato, volta a restringere in modo significativo il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative, rappresenta una vera e, sicuramente per molti 24, inaspettata novità non solo rispetto agli assetti normativi reali del nostro diritto del lavoro – in relazione ai quali gli abusi nell’area grigia della parasubordinazione risultavano tollerati se non proprio accettati dall’ordinamento nel suo complesso –, ma anche agli attuali termini del dibattito sulla disciplina delle forme di lavoro atipico e dei c.d. nuovi lavori. Un dibattito polarizzato, come noto 25, attorno alla alternativa tra tipizzazione di un tertium genus e codificazione di uno «Statuto dei lavori».

Preso atto della notevole incertezza e opinabilità dei percorsi di riforma sin qui prospettati in ambito dottrinale 26, il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si propone di percorrere una sorta di terza via, limitandosi a introdurre una serie di robuste barriere – di tipo definitorio e sanzionatorio (v. infra) – per impedire l’utilizzo improprio delle collaborazioni coordinate e continuative 27. In conformità ai criteri della legge delega e agli impegni assunti nel Patto per l’Italia del 5 luglio 2002, le collaborazioni coordinate e continuative vengono con decisione ricollocate nell’area, loro propria, «del lavoro autonomo (incrementandone il prelievo contributivo), fermo restando l’impegno ad arginare con adeguata strumentazione (promozionale e non solo sanzionatoria) il fenomeno delle collaborazioni fittizie,

23

Così: L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, cit. 24

Cfr., tra i tanti, R. Del Punta, La scomparsa dei co.co.co, cit., che definisce la misura contraddittoria rispetto alle finalità dichiarate dal Governo. Una attenta lettura del Libro Bianco dell’ottobre 2001 mostra tuttavia come l’intento di restringere il campo di applicazione delle collaborazioni coordinate e continuative, mediante l’impiego del lavoro a progetto, in modo da limitarle alle sole forme di lavoro autonomo genuine, risponda a una precisa opzione di politica del diritto – peraltro confermata dal Patto per l’Italia del 5 luglio 2002 – volta alla regolamentazione complessiva delle tipologie di lavoro atipico e flessibile, riequilibrando i rapporti tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. L’introduzione di nuove flessibilità sul versante delle tipologie contrattuali di lavoro subordinato si giustifica, in questa prospettiva di politica legislativa, con un impegno a eliminare le forme di flessibilità impropria (il c.d. lavoro grigio), che spesso si nascondono dietro lo strumento delle collaborazioni coordinate e continuative. Cfr. C.L. Monticelli, Garanzie per i

lavoratori e nuove forme di flessibilità aziendale, ivi.

25 Cfr., per un riepilogo del dibattito, M. Biagi, M. Tiraboschi, Quale regolamentazione per le

collaborazioni coordinate e continuative, in GLav, 2001, n. 9 e già Id., Le proposte legislative in materia di lavoro parasubordinato: tipizzazione di un tertium genus o codificazione di uno Statuto dei lavori?, in LD, 1999, 571 ss.

26

Stante l’assenza di opinioni anche minimamente o parzialmente condivise circa i percorsi di riforma del nostro diritto del lavoro (cfr., per un quadro di sintesi delle diverse opinioni, M. Biagi,

Istituzioni di diritto del lavoro, cit., spec. pp. 117-130), rischia invero di risultare autoreferenziale e,

comunque, lontana dai processi normativi reali la domanda, posta da M. Magnani, S. Spataro, Il

lavoro a progetto, cit, § 7, se la disciplina del lavoro a progetto costituisca «un approdo coerente con

il dibattito in corso». 27

Tra i primi commenti a caldo, segnala lo sforzo di ridurre gli abusi legati alle collaborazioni coordinate e continuative R. De Luca Tamajo, Quei tre destini possibili per i 2 milioni di co.co.co, in

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che andranno invece ricondotte, anche in virtù del potenziamento dei servizi ispettivi, a fattispecie di lavoro subordinato sulla base di criteri oggettivi» 28.

Nonostante una diversa opinione 29, è stata dunque definitivamente abbandonata la strada della tipizzazione di un tertium genus contrattuale, collocato in una area intermedia tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato; ma viene al contempo rinviata – secondo la tempistica politica di attuazione degli impegni contenuti sempre nel Patto per l’Italia – anche la proposta di dare corpo a quella ipotesi di riforma complessiva del nostro diritto del lavoro che va sotto il nome di «Statuto dei lavori». Una proposta che, nel suo nucleo essenziale, contrappone al dualismo tradizionale tra lavoro autonomo e lavoro subordinato – ma a ben vedere anche alla proliferazione delle tipologie contrattuali – una serie di tutele per cerchi concentrici e geometrie variabili a seconda del tipo di istituto da applicare 30.

Resterebbe dunque deluso chi cercasse nel decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, una robusta normativa di tutela del collaboratore coordinato e continuativo costruita sulla falsariga del contratto di lavoro subordinato 31 o, comunque, una serie di rinvii alla contrattazione collettiva in funzione della specificazione e maggiore articolazione del dettato normativo 32. Così come resterebbe parimenti deluso chi cercasse una astratta e generica valorizzazione della autonomia contrattuale individuale a prescindere da una operazione di delimitazione del

28

Patto per l’Italia del 5 luglio 2002, punto 2.4 (vedilo in www.csmb.unimo.it). La finanziaria per il 2004 si occupa dell’innalzamento del prelievo contributivo sia per le collaborazioni coordinate e continuative sia per i contratti di associazione in partecipazione. Cfr., a questo proposito, T. Treu, La

riforma del mercato del lavoro: prime notazioni, cit., secondo cui «l’unico provvedimento strutturale

che può ridurre il rischio di un uso dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa è l’avvicinamento progressivo dei contributi sociali tra i vari tipi di lavoro (autonomo e subordinato)». Proprio in questa direzione si stanno orientando le più recenti proposte di riforma, anche in sede parlamentare.

29

Cfr. R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, in Itinerari d’impresa.

Management, diritto, formazione, n. 3/2003 e anche nei working papers del Centro Studi “Massimo

D’Antona”, n. 25/2003 (www.lex.unict.it), con opinione rimasta tuttavia, almeno al momento, isolata in dottrina. Contra, giustamente, L. Tartaglione, Il contratto a progetto nella riforma Biagi, cit., qui p. IV.

30

Cfr. amplius M. Biagi, Le ragioni in favore di uno Statuto dei lavori, in L. Montuschi, M. Tiraboschi, T. Treu (a cura di), op. cit.

31

In dottrina, proprio sul presupposto della assimilazione del lavoratore coordinato e continuativo al lavoratore dipendente, concettualmente bene identificata dalla nozione di «parasubordinazione» (su cui, tra i primi, cfr. G. Santoro Passarelli, Il lavoro «parasubordinato», Angeli, Milano, 1979), criticano l’esiguità delle tutele connesse al lavoro a progetto, R. De Luca Tamajo, Dal lavoro

parasubordinato al lavoro a progetto, p. 12, p. 22 e M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit.,

815. L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, cit., parla di un «modesto apparato garantistico, espressivo dell’intento di adeguare a principi minimi di civiltà giuridica il trattamento del collaboratore a progetto».

32

Cfr. R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, cit., che, ricordando il braccio di ferro tra Governo e Confindustria, nelle strette finali di approvazione del decreto, in merito alla rigorosa delimitazione del comma 1 dell’articolo 61, comma 1, indica come sarebbe stata sicuramente preferibile una soluzione volta a concedere maggiori spazi alla autonomia collettiva. Ma è stato proprio il rifiuto categorico di Confindustria a prevedere qualsivoglia rinvio alla contrattazione collettiva nell’area del lavoro coordinato e continuativo a rafforzare l’idea di delimitarne rigorosamente l’area di operatività al lavoro genuinamente autonomo. Ovviamente, a questa scelta ha concorso anche il rifiuto di tipizzare una area intermedia tra autonomia e subordinazione, propria della prospettiva del tertium genus prospettata da tempo da De Luca Tamajo (cfr. R. De Luca Tamajo,

Per una revisione delle categorie qualificatorie del diritto del lavoro: l’emersione del “lavoro coordinato”, in Arg. Dir. Lav., n. 5/1997, e anche R. De Luca Tamajo, R. Flammia, M. Persiani, La crisi della nozione di subordinazione e della sua idoneità selettiva nei trattamenti garantistici. Prime proposte per un nuovo approccio sistematico in una prospettiva di valorizzazione di un tertium genus: il lavoro coordinato, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1998, n. 21, p. 331 e ss.). Come evidenzia la

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campo di operatività delle collaborazioni coordinate e continuative in funzione anti-elusiva.

Invero, chi giudica ora l’intervento delineato nel decreto legislativo come una forte limitazione alle libere determinazioni della autonomia negoziale delle parti 33 dimentica probabilmente di rilevare come le collaborazioni coordinate e continuative siano una figura indicativa non tanto certo di una fattispecie negoziale tipica 34, ma piuttosto di un insieme indistinto di rapporti di lavoro accomunati genericamente dal vincolo della dipendenza economica e, dunque, dalla disparità contrattuale del collaboratore rispetto al committente 35. Un insieme di rapporti che nel corso dell’ultimo decennio, per la loro rapida e incontrollata espansione, hanno costituito una importante spia della crescita abnorme e irrazionale della norma inderogabile di legge nell’area presidiata dal diritto del lavoro.

L’abuso delle collaborazioni coordinate e continuative non si può in effetti spiegare solo in funzione di prassi fraudolente congegnate dal contraente più forte, ma anche in ragione di una vera e propria disfunzione nella evoluzione dei rapporti tra autonomia privata e ordinamento giuridico del lavoro a cui si è cercato di reagire da parte degli operatori del mercato con manipolazioni, spesso ben oltre il limite della legalità, dei tipi legali e a cui si è cercato di replicare da parte dell’ordinamento in via giudiziale, ma il più delle volte tuttavia senza risultati soddisfacenti, con qualificazione tipiche 36.

Considerato il rilevante numero di collaborazioni fittizie e irregolari non era certo possibile immaginare di governare le disfunzioni dell’ordinamento nell’area grigia tra autonomia e subordinazione mediante il solo controllo giurisdizionale. L’opzione concettuale di considerare il lavoro coordinato e continuativo come una forma di lavoro autonomo genuino 37, e dunque di prevenire un utilizzo improprio di tale figura, si è conseguentemente tradotta in una operazione di politica legislativa volta a far transitare quanti più rapporti possibili, e secondo una certa gradualità temporale, dall’incerta area del lavoro c.d. grigio o atipico agli schemi del lavoro dipendente, ora opportunamente ampliati e diversificati in funzione di questo obiettivo di sostanziale rimodulazione delle tutele verso forme di flessibilità regolata e – sindacalmente – controllata coerente con l’evoluzione dei rapporti economici e sociali 38. Operazione questa che, in chiave anticipatoria rispetto alla

33

Così: R. Del Punta, La scomparsa dei co.co.co, cit. 34

Cfr., tra i tanti, G. Ferraro, Tipologie flessibili, Giappichelli, Torino, 2002, 126; M. Napoli, I

rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in AA.VV., Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Giuffrè, Milano, 1993, 61 e, più recentemente, L. Tartaglione, Il contratto a progetto nella Riforma Biagi, cit., p. II. Contra, ma con posizione sostanzialmente isolata in dottrina, G: Gramiccia, Così parte la sfida del lavoro a progetto, in Guida al Diritto, n. 9/2003, Il nuovo mercato del lavoro,

p. 142. Sul punto cfr. altresì, per l’impostazione del problema, G. Santoro Passarelli, Diritto dei

lavori, Giappichelli, Torino, 2002.

35

Ancora G. Ferraro, Tipologie flessibili, cit.; G. Santoro Passarelli, opp. citt. 36

Cfr., sul punto, G. Santoro Passarelli, Il lavoro «parasubordinato», cit., qui spec. p. 13, secondo cui «la disciplina per tipi legali non sempre risulta idonea a seguire l’evoluzione del tipo sociale e a regolarne di nuovi ed asseconda la tendenza della giurisprudenza a ricondurre ogni fattispecie concreta in uno o più tipi legislativamente esistenti». Nelle stesso senso, ma con notazioni di carattere generale, cfr. U. Breccia, Le nozioni di «tipico» e «atipico»: spunti ricostruttivi, in AA.VV., Tipicità

e atipicità nei contratti, Giuffrè, Milano, 1983, p. 11, p. 12.

37

Cfr., sul punto, C.L. Monticelli, Garanzie per i lavoratori e nuove forme di flessibilità aziendale, cit.

38

In questo senso cfr. C.L. Monticelli, op. cit. Non coglie la prospettiva di rimodulazione delle tutele e delle flessibilità, proprie e improprie, nelle tecniche di utilizzo delle prestazioni di lavoro altrui P. Bellocchi, Art. 4, comma 1, lett. a), c), d), e), f) – Le nuove tipologie di lavoro: il lavoro a chiamata;

il lavoro coordinato e continuativo; il lavoro occasionale e accessorio; il lavoro ripartito, in M.T.

(8)

proposta di «Statuto dei lavori» 39, si auspica possa alimentare, in luogo della informe massa di singole prestazioni contrattuali oggi collocate nella c.d. area grigia, la creazione di un continuum di tipologie contrattuali situate tra i poli estremi del lavoro coordinato e continuativo e del lavoro subordinato a tempo indeterminato; un continuum che, in altri termini, con l’emersione di tipologie contrattuali irregolari o, comunque, di incerta definizione potrebbe poi contribuire a una rimodulazione complessiva delle tutele del lavoro ratione materiae e in funzione della posizione di effettiva debolezza del lavoratore 40. Nell’impostare la questione dei lavori “dalla parte delle tutele” piuttosto che dalla parte della qualificazione del rapporto 41, l’impianto di uno Statuto dei lavori non può infatti che collocarsi nella prospettiva della «dipendenza economica» del lavoratore. Procedere per contro alla codificazione di uno «Statuto dei lavori» senza prima avere aggregato e fatto emergere, attraverso le nuove tipologie contrattuali, quella miriade di prestazioni lavorative collocate nell’area del lavoro grigio e, sempre più spesso, del lavoro nero sarebbe probabilmente stata una operazione meritoria quanto priva di efficacia rispetto ai processi normativi reali. A chi parla di ben «44 forme di flessibilità (e ancora di più con la certificazione dei contratti) dopo questa riforma» 42 va dunque replicato che la moltiplicazione delle tipologie contrattuali è solo apparente. Il decreto mira infatti ad aggredire quell’immensa area del lavoro nero e irregolare, rispetto alla quale ogni singolo contratto di lavoro costituisce una forma sui generis di flessibilità contrattuale o tipologica 43, là dove la codificazione di uno «Statuto dei lavori» senza aver prima identificato, costruito e aggregato modalità di lavoro rese oggi in uno stato di totale anomia normativa e sindacale, avrebbe costituito una operazione avveniristica, senza una base concreta e destinata a rimanere sulla carta.

A chi ha rilevato una (presunta) contraddizione con il disegno riformatore delineato nel Libro Bianco sul mercato del lavoro 44, si può dunque rispondere che con il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è stata per il momento avviata unicamente la pars destruens 45, vista tuttavia come condizione necessaria per la messa a punto del più ampio e ambizioso progetto di «Statuto dei lavori», che è la pars costruens su cui è stato registrato un ampio consenso con la firma del Patto per l’Italia del 5 luglio 2002. E non poteva essere diversamente, in considerazione del fatto che il nostro mercato del lavoro necessita in primo luogo di un processo di emersione e di ristrutturazione, e in questo senso la diversificazione delle tipologie contrattuali può essere una prima fase volta alla regolarizzazione e strutturazione delle molteplici ipotesi di lavoro nero e grigio (l’art. 1 del d.lgs. n. 276/2003, parla

39

Contra: P. Bellocchi, op. loc. ult. cit. 40

Si veda il documento programmatico a cura di M. Biagi, Ipotesi per la predisposizione di uno

«Statuto dei lavori», in www.csmb.unimo.it.

41

Secondo l’intuizione originaria di T. Treu, Intervento, in AA.VV., Nuove forme di lavoro tra

subordinazione, coordinazione, autonomia, Cacucci, Bari, 1997, p. 225.

42

Così T. Boeri, Il co.co.co. dovrà cambiare pelle, in La Stampa, domenica 8 giugno 2003, in contrapposizione a quanti hanno invece rimarcato un aumento delle rigidità (v. per esempio P. Ichino cit. alla nota 5). Nello stesso senso di T. Boeri cfr. T. Treu, Statuto dei lavori: una riflessione sui

contenuti, in Ildiariodellavoro.it, 18 settembre 2003.

43

Cfr. G. Giugni, Fondata sul lavoro?, Ediesse, Roma, 1994, 69, che, con riferimento al «vero e proprio lavoro sommerso, a tempo pieno (...) e finalizzato solo all’evasione contributiva», parla di un complesso fenomeno sociale «regolato con norme direi quasi “contrattuali”» (corsivo mio) e anche Id., Il diritto del lavoro: ieri, oggi e domani, in Scritti in onore di G.F. Mancini, Giuffrè, Milano, 1998, I, 293 dove si accenna alla «formazione di veri e propri mercati alternativi o “sommersi”, muniti di regole anch’esse “sommerse” ed operanti in uno stato di totale anomia».

44

Cfr. R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, cit., p. 11; M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit., § 2 e § 7.

45

(9)

di occupazione regolare di qualità) che potrebbe poi forse consentire, più agevolmente, di delineare uno Statuto di tutti i lavori.

Con la regolazione delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto – che dovrà essere sostenuta sul piano della effettività dalla riforma, in via di definitiva approvazione, dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza di cui all’articolo 8 della legge n. 30/2003 46 – una variegata tipologia di rapporti di lavoro atipici e di difficile classificazione verrà dunque ricondotta lungo i binari della legalità. Obiettivo, questo, che non comporta affatto l’automatica conversione di un numero spropositato di collaborazioni coordinate e continuative in contratti di lavoro dipendente 47, ma solo e più semplicemente una rigorosa azione di contrasto delle forme abusive e irregolari di utilizzo di questo schema contrattuale.

La finalità della nuova disciplina non si ferma peraltro qui. Se, per un verso, si prospetta la riconduzione allo schema delle collaborazioni coordinate e continuative unicamente dei rapporti di lavoro indipendente genuino, e cioè di quei rapporti che si caratterizzano per le modalità proprie del lavoro c.d. a progetto reso in regime di autonomia rispetto al committente, per l’altro verso, si cerca di delineare una trama di tutele sostanziali di base per i collaboratori coordinati e continuativi genuini (v. infra), in ragione di un rapporto di lavoro che, ancorchè autonomo, può ingenerare situazioni di dipendenza socio-economica nei confronti del committente, soprattutto nei casi in cui la prestazione lavorativa oltre a essere coordinata e continuativa venga resa per una durata considerevole in regime di monocommittenza.

Nel suo complesso, dunque, l’intervento sulle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto è una operazione coerente con le prospettive evolutive della materia ipotizzate nel Libro Bianco, in quanto il nucleo di tutele assegnato al collaboratore a progetto prescinde, come vedremo, dalla individuazione di una specifica tipologia contrattuale, ma nondimeno consente di «adeguare a principi minimi di civiltà giuridica il trattamento del collaboratore a progetto, soprattutto con riguardo alle ipotesi in cui sia più intensa la sua posizione di dipendenza socio-economica in forza, ad esempio della pattuizione specifica di un rapporto in esclusiva o per altre circostanze di fatto che concretamente gli precludano, nella fase stipulativa del contratto di esercitare una efficace autonomia di determinazione dei suoi contenuti» 48.

Siamo in ogni caso ben lontani dal registrare un processo di progressivo avvicinamento – che secondo taluno sta invece procedendo a tappe forzate 49 – delle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro subordinato. L’esiguità della disciplina di tutela del collaboratore coordinato e continuativo, che è e resta sul piano giuridico un lavoratore autonomo, e la rigorosa azione di contrasto alle collaborazioni fittizie depongono semmai nel senso contrario.

Il progetto come mera modalità della prestazione di lavoro

Con la disciplina di cui agli articoli 61-69 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, resta in ogni caso confermato che le collaborazioni coordinate e continuative non sono indicative di una fattispecie contrattuale unitaria e tipica, ma

46

Cfr. P. Pennesi, La riforma dei servizi ispettivi, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del

mercato del lavoro – Prime interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, cit.

47

In dottrina v’è chi ha prospettato una «nuova costrizione alla subordinazione». In questo senso cfr. M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit., § 7.

48

Così: L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, cit. 49

(10)

unicamente di particolari modalità di svolgimento di una serie di rapporti di lavoro svolti senza vincolo di subordinazione. Contrariamente a quanto sostenuto dalla stragrande maggioranza dei primi commentatori 50, il legislatore delegato non ha infatti provveduto a tipizzare una nuova figura contrattuale (il contratto di lavoro a progetto) 51, ma, molto più semplicemente, a definire una modalità peculiare – quella appunto “a progetto” – di svolgimento di una serie di rapporti eterogenei aventi comunque ad oggetto prestazioni di lavoro, a carattere prevalentemente personale, rese in forma coordinata e continuativa, ancorché senza vincolo di subordinazione. Prestazioni di lavoro che, d’ora in poi, dovranno necessariamente caratterizzarsi, oltre che per i requisiti di cui all’articolo 409, n. 3, del Codice di Procedura Civile, anche per la particolare modalità di utilizzazione della prestazione di lavoro attraverso la realizzazione di un progetto, di un programma di lavoro o di una fase di esso.

Depone in questo senso il primo comma dell’articolo 61 del decreto legislativo n. 276/2003, secondo cui «i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione di cui all’articolo 409, n. 3, del Codice di Procedura Civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa».

Il progetto, il programma di lavoro o la fase di esso non sono, come pure è stato sostenuto 52, elementi caratterizzanti di una nuova fattispecie contrattuale, posto che, coerentemente a una elaborazione giurisprudenziale più che decennale, ogni attività umana suscettibile di valutazione economica può essere resa tanto in forma autonoma che in forma subordinata 53, di modo che l’unico elemento decisivo ai fini della qualificazione del contratto, come autonomo o subordinato, rimane la modalità di esecuzione del lavoro.

Si tratta, dunque, di una prestazione lavorativa a carattere prevalentemente personale, ma pur sempre coordinata e continuativa, che deve essere resa nella nuova modalità a progetto in regime di piena autonomia, e cioè senza vincolo di subordinazione, indipendentemente dal tempo impiegato per il conseguimento del risultato – finale (il progetto) o parziale (il programma di lavoro o la fase di esso) 54 – dedotto in contratto. Non a caso, la circolare ministeriale n. 1/2004 che contiene i

50

Si pronunciano, seppure in contesti teorico-ricostruttivi alquanto differenziati, nel senso della tipizzazione di un nuovo contratto di lavoro: M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit, § 2; G. Proia, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, in Arg. Dir. Lav., in corso di pubblicazione; L. de Angelis, La morte apparente delle collaborazioni coordinate e continuative, in http://www.unicz.it/lavoro/DEANGELIS.htm; M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit., 814. 51

Cfr. M. Biagi, Istituzioni di diritto del lavoro, cit., p. 205 cui adde E. De Fusco, L. Cacciapaglia, P. Pizzuti, Le collaborazioni dopo la riforma del mercato del lavoro, in Guidaal Lavoro, n. 42/2003,

Speciale, p. XII.

52

Cfr., nel contesto di un impianto teorico-ricostruttivo particolarmente efficace, L. Castelvetri, Il

lavoro a progetto, cit. Sul punto cfr. L. de Angelis, La morte apparente ecc., cit., secondo cui «se il

progetto fosse elemento costitutivo della fattispecie, la sua mancanza dovrebbe risolversi nell’inapplicabilità della relativa normativa; non, invece, nell’applicabilità di quella propria di un rapporto di natura diversa, il rapporto subordinato».

53

Così, tra le tante, Cass. 3 aprile 2000, n. 4036 e Cass. 21 novembre 2001, n. 14664. Per una efficace rassegna degli orientamenti giurisprudenziali cfr. P. Tesauro, I criteri distintivi nella giurisprudenza, in L. Gaeta, P. Tesauro, Il rapporto di lavoro subordinato: subordinazione e costituzione, tomo I, La

subordinazione, UTET, 1993, qui spec. 82.

54

(11)

primi chiarimenti interpretativi parla ancora – coerentemente alla delega di cui all’articolo 4, comma 1, lett. c), della legge 14 febbraio 2003, n. 30 – di collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto. Le collaborazioni coordinate e continuative, dunque, non muoiono affatto 55; più semplicemente, con l’entrata in vigore del decreto e secondo i tempi e le modalità di transizione al nuovo regime, le collaborazioni coordinate e continuative dovranno d’ora in avanti essere rese nella modalità c.d. a progetto e, precisamente, secondo progetti, programmi di lavoro o fasi di esso individuati sì dal committente ma gestiti in piena autonomia dal collaboratore.

Non solo le collaborazioni coordinate e continuative non scompaiono dal nostro ordinamento ma anzi, come giustamente rilevato nell’ambito di una efficace prospettiva di analisi di tipo interdisciplinare 56, vi restano ancora più saldamente ancorate, grazie alla nuova disciplina legale che, nella presenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso definito dalle parti contrattuali ai sensi dell’articolo 61, comma 1, individua una traccia presuntiva della reale autonomia dei rapporti de quibus. Attraverso la definizione del «progetto, programma di lavoro o fase di esso» si richiede infatti alle parti contrattuali di esplicitare nella fase di costruzione del programma negoziale le modalità con le quali il risultato dedotto in obbligazione deve essere autonomamente realizzato dal collaboratore e, in particolare, le forme di coordinamento, anche temporale, del lavoratore a progetto al committente nella fase di esecuzione del contratto (cfr. art. 62, lett. d), del d. lgs. n. 276 del 2003). In altri termini, l’oggetto del contratto, e in particolare la prestazione lavorativa eseguita in autonomia, deve essere sin dall’inizio precisata nelle sue caratteristiche specifiche e nelle concrete modalità esecutive in funzione del risultato e indipendentemente dal tempo necessario per il suo raggiungimento

57

. Si può dunque giustamente parlare di predeterminazione consensuale dell’oggetto e delle modalità di esecuzione della prestazione 58.

Nulla di nuovo, dunque; semmai una generalizzazione di quanto elaborato in sede giurisprudenziale. Nella soluzione dei casi specifici la Corte di Cassazione individua normalmente nel risultato – che di per sè non è elemento di fattispecie, ma un effetto della qualificazione del contratto 59 – il profilo indiziario prevalente di discrimine, nella esecuzione di un determinato programma negoziale, tra rapporto di collaborazione in regime di autonomia e rapporto di subordinazione. Come giustamente rilevato, appare pertanto possibile «tracciare una certa linea di continuità fra gli orientamenti giurisprudenziali e la riforma attuale nel segno di un concetto di risultato (o progetto) da realizzare che è stato via via posto a fondamento della filosofia stessa, oltre che della tipologia giuridica, del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa» 60.

55

L. Tartaglione, Il contratto a progetto ecc., cit, p. IV, richiamando la lettera della delega (art. 4, comma 1, lett. c), l. n. 30/2003) parla giustamente di semplice riformulazione della disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative. Esclude, seppur in diverso contesto argomentativo, che si possa parlare della fine delle collaborazioni coordinate e continuative, anche G. Proia, Lavoro a

progetto e modelli contrattuali di lavoro, cit., § 17. Per analoga impostazione cfr. la relazione tecnica

di accompagnamento dello schema di decreto legislativo (vedila in www.csmb.unimo.it). 56

E. De Fusco, L. Cacciapaglia, P. Pizzuti, Le collaborazioni dopo la riforma del mercato del lavoro, cit., p. XII.

57

E. De Fusco, L. Cacciapaglia, P. Pizzuti, op. ult. cit. 58

Così, in un contesto ricostruttivo tuttavia fortemente critico, U. Romagnoli, Una Repubblica non

più fondata sul lavoro, in La Repubblica, 25 giugno 2003.

59

Cfr. il classico contributo di L. Spagnuolo Vigorita, Riflessioni in tema di continuità, impresa,

rapporto di lavoro, in Studi in onore di F. Santoro Passarelli, Napoli, Jovene, 1972 ma 1969, p. 1025

e ss. 60

(12)

Coerentemente a questa impostazione, le collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto potranno avere ad oggetto la realizzazione di qualsivoglia opera o servizio vengano resi in forma autonoma, senza cioè vincolo di dipendenza

61

. Se, come precisato, elemento decisivo ai fini della qualificazione del contratto è la modalità di esecuzione della prestazione di lavoro, del tutto fuorviante è la disputa, che ha impegnato i primi commentatori, circa la maggiore o minore ampiezza della nozione di progetto, programma di lavoro o fase di esso. Nella nuova disciplina di cui agli articoli 61-69 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, non esiste alcun appiglio normativo per circoscriverne il campo di operatività del lavoro a progetto a prestazioni di lavoro «di alta qualifica o comunque di contenuto ben delimitato» 62; vero è, piuttosto, che ogni attività umana suscettibile di valutazione economica può essere ricondotta alla nozione di progetto, programma di lavoro o fase di esso 63, fermo restando che saranno le modalità di esecuzione della prestazione (programmate ex ante e poi confermate o meno nella fase attuativa del programma negoziale) a stabilire se la prestazione è autonoma o subordinata.

Questo profilo è chiarito dalla circolare ministeriale sul lavoro a progetto, là dove si afferma inequivocabilmente che «le collaborazioni coordinate e continuative secondo il modello approntato dal legislatore, oltre al requisito del progetto, programma di lavoro o fase di esso, che costituisce mera modalità organizzativa della prestazione lavorativa, restano caratterizzate dall’elemento qualificatorio essenziale, rappresentato dall’autonomia del collaboratore (nello svolgimento della attività lavorativa dedotta nel contratto e funzionalizzata alla realizzazione del progetto, programma di lavoro o fase di esso), dalla necessaria coordinazione con il committente, e dall’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione” 64.

Del pari fuorviante è l’assimilazione del lavoro a progetto con il contratto di lavoro a tempo determinato. Nel lavoro dipendente – precisa la circolare ministeriale – il termine delimita esclusivamente il periodo in cui il lavoratore è a disposizione del

“travaso“ tra giurisprudenza e norma, quasi un esperimento, se ci è consentito, di Common Law». Sostanzialmente nelle stesso senso cfr. L. Castelvestri, Il lavoro a progetto, cit., secondo cui il legislatore «utilizza la stessa terminologia degli orientamenti prevalenti della Cassazione» e anche M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit, § 2, secondo cui «il riferimento al risultato (col suo corollario: l'irrilevanza del tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa) è operato allo stesso modo con cui esso viene utilizzato dalla giurisprudenza: esso riflette non tanto il discutibile e discusso assunto dogmatico che riconduce la locatio operis all’obbligazione di risultato e la locatio

operum alla obbligazione di mezzi». Sul punto cfr. il classico contributo di L. Mengoni, Obbligationi «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. Dir. Comm., 1954, I, cui adde, più recentemente, A.

Perulli, Il lavoro autonomo, in Cicu, Messineo (a cura di), Trattato di diritto civile e commerciale, vol. XVII, t. 1, Milano, Giuffré, 1996.

61

In questo senso cfr. G. Proia, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, cit. 62

In questo senso cfr. M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit., p. 818, secondo cui il lavoro a progetto «non può essere la normalità, dev’essere una “ideazione” con un risultato specifico, diverso dalla routine già ripetuta senza novità e omai prevedibile». Contra: G. Proia, Lavoro a progetto e

modelli contrattuali di lavoro, cit., § 7; M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit, § 2 e, nella

sostanza, anche R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, cit., 63

Cfr., in proposito e con notazioni riprese nel Libro Bianco sul mercato del lavoro, M. Biagi,

Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione del lavoro, in L. Montuschi, M.

Tiraboschi, T. Treu (a cura di), Marco Biagi – Un giurista progettuale, Giuffrè, Milano 2003, qui p. 151, secondo cui «assai più che semplice titolare di un “rapporto di lavoro”, il prestatore di oggi e, soprattutto, di domani, diventa un collaboratore che opera all’interno di un “ciclo”. Si tratti di un progetto, di una missione, di un incarico, di una fase dell’attività produttivao della sua vita, sempre più il percorso lavorativo è segnato da cicli in cui si alternano fasi di lavoro dipendente ed autonomo, in ipotesi intervallati da forme intermedie e/o da periodi di formazione e riqualificazione professionale».

64

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datore di lavoro per lo svolgimento, secondo le direttive via via ricevute, delle mansioni contrattualmente individuate 65; nel lavoro a progetto, per contro, la durata del rapporto è funzionale alla realizzazione del risultato e, cioè, del progetto, programma di lavoro o fase di esso dedotto in contratto. Ai sensi dell’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo n. 276/2003, il collaboratore deve gestire il progetto in funzione del risultato, che assume rilevanza giuridica indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Del pari, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, il contratto si risolve al momento della realizzazione del progetto o del programma di lavoro o della fase di esso.

La durata del progetto, programma di lavoro o fase di esso è indubbiamente a termine, ma questo solo nel senso che il tempo necessario per la realizzazione del progetto, programma di lavoro o fase di esso, deve essere determinato o anche solo determinabile ex ante come parte integrante del programma negoziale in cui si esplicitano le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa. La determinabilità del termine, funzionale a un avvenimento futuro certo nell’an ma non nel quando, consente pertanto anche prestazioni a progetto denotate, come indica l’articolo 409, n. 3, del Codice di Procedura Civile, da una consistente continuità nel tempo in funzione del risultato – finale o parziale – dedotto in contratto. L’irrilevanza del tempo e, dunque, della temporaneità della prestazione rende in altri termini possibili contratti a termine di durata coerente con la complessità e natura del progetto, programma di lavoro o fase di esso.

Analogo progetto o programma di lavoro può peraltro essere oggetto di successivi contratti di lavoro con lo stesso collaboratore. Tuttavia, come chiarisce la circolare ministeriale, i rinnovi così come i nuovi progetti in cui sia impiegato lo stesso collaboratore, non devono costituire strumenti elusivi dell’attuale disciplina. Ovviamente, ciascun contratto di lavoro a progetto deve presentare, autonomamente considerato, i requisiti di legge.

Il regime delle deroghe

Il nuovo regime delle collaborazioni coordinate e continuative non trova applicazione, come oramai noto, con riferimento alle pubbliche amministrazioni, che sono escluse dal campo di applicazione del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 66, in attesa delle eventuali future determinazioni da adottarsi, ai sensi del comma 8 dell’articolo 86, da parte del Ministro per la Funzione pubblica e delle organizzazioni sindacali, in sede di armonizzazione dei profili conseguenti all’entrata in vigore del decreto legislativo in argomento. Sono altresì escluse le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, nonché i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall’art. 90 della l. 27 dicembre 2002, n. 289. Sono esclusi anche i componenti degli organi di

65

Cfr. Cass. 7 aprile 1992, n. 4220, Riv. it. dir. lav., 1993, II, p. 258 e ss. 66

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amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia 67.

Altra area di esclusione è poi quella dei rapporti “occasionali”, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo committente, sia superiore a 5 mila Euro. Si tratta, come precisa la circolare ministeriale, di collaborazioni coordinate e continuative per le quali, data la loro limitata “portata”, si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto e, dunque, di sottrarle dall’ambito di applicazione della nuova disciplina. Tali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si distinguono sia dalle prestazioni occasionali di tipo accessorio, rese ai sensi degli agli articoli 70 e seguenti del decreto legislativo 68, sia soprattutto dalle attività di lavoro autonomo occasionale vero e proprio, rispetto alle quali «non si riscontra un coordinamento ed una continuità nelle prestazioni e che proprio per questa loro natura non sono soggette agli obblighi contributivi previsti per le collaborazioni coordinate e continuative bensì a quelli di cui all’articolo 44, comma 2, del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326» 69.

Contrariamente a quanto si potrebbe essere indotti a pensare, il regime delle deroghe non dà in ogni caso luogo a una area franca impermeabile alle incursioni giudiziarie o degli organi ispettivi. Si ricade infatti nell’ambito del lavoro coordinato e continuativo sì senza “progetto”, ma pur sempre reso senza vincolo di subordinazione. Non troppo paradossalmente, mentre l’area presidiata dal “progetto” consente, ai sensi dell’articolo 69, comma 3, una certa tranquillità alle parti contrattuali in merito alla fedele esecuzione del programma negoziale concordato (v. infra sulla insindacabilità nel merito del progetto), i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa resi secondo le modalità tradizionali potranno sempre essere oggetto di ampie incursioni, mancando l’obbligo di definire ex ante le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro dedotta in contratto.

Forma del contratto e tutele del lavoratore a progetto

L’articolo 62, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, prevede la forma scritta del contratto. La forma è tuttavia richiesta ad probationem, con riferimento ai seguenti elementi:

a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro, da cui si desume l’impossibilità di stipulare collaborazioni a progetto a tempo indeterminato ma non certo l’obbligo di circoscrivere le collaborazioni coordinate e continuative a rapporti di durata breve; b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, che deve

essere individuato nel suo contenuto caratterizzante, da cui si desume

67

La circolare ministeriale precisa che nella esclusione dei percettori di pensione di anzianità devono essere compresi quei soggetti, titolari di pensione di anzianità o di invalidità che, ai sensi della normativa vigente, al raggiungimento del 65° anno di età, vedono automaticamente trasformato il loro trattamento in pensione di vecchiaia.

68

Sul lavoro occasionale di tipo accessorio cfr. G. Mautone, Lavoro accessorio e prestazioni che

esulano dal mercato del lavoro, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi. Commento allo schema di decreto attuativo della legge delega sul mercato del lavoro, in Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore, Milano, n. 4/2003, p. 112 e ss.

69

(15)

l’irrilevanza del progetto, programma di lavoro o fase di esso ai fini della validità sostanziale del contratto, di modo che ne risulta confermata la valenza sostanzialmente probatoria in merito alle modalità di esecuzione del programma negoziale (v. infra);

c) indicazione del corrispettivo e dei criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;

d) indicazione delle forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente in merito all’esecuzione della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa;

e) infine, indicazione delle eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto.

Fermo restando che la nuova disciplina non pregiudica l’applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto, i diritti di questo, definiti nell’ambito della riforma, si caratterizzano, in primo luogo, per una chiara determinazione del corrispettivo. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto dovrà infatti essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e dovrà tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. E’ evidente tuttavia che il parametro della qualità del lavoro consentirà trattamenti alquanto differenziati anche in relazione al medesimo progetto, programma di lavoro o fase di esso.

Il lavoratore a progetto ha peraltro diritto a essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto. Trovano in questo caso applicazione le leggi speciali vigenti in materia, compreso quanto previsto dall’art. 12 bis della legge 22 aprile 1941, n. 633 70.

Oltre alle disposizioni di cui alla legge n. 533/73 sul processo del lavoro e di cui all’articolo 64 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ai lavoratori a progetto si applicano le norme di cui all’articolo 51, primo comma, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e del Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale 12 gennaio 2001, nonchè le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al decreto legislativo n. 626/94 e successive modifiche e integrazioni, ma questo solo quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente, nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Riguardo a quest’ultimo profilo non poche prescrizioni del decreto legislativo n. 626/94 risultano di problematica applicazione nei confronti di figure, come quelle dei collaboratori, fortemente connotate da una componente di autonomia nello svolgimento della prestazione (in funzione del risultato, ancorchè nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente). Per questa ragione, la circolare ministeriale precisa che l’attuazione della delega di cui all’articolo 3 della legge di semplificazione 2001, n. 229/03 per il riassetto normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro costituirà l’occasione per un adattamento dei principi generali di tutela prevenzionistica alle oggettive peculiarità del lavoro coordinato e continuativo nella modalità a progetto. Fermo restando l’onere dell’invio, ai fini della prova 71, di idonea certificazione scritta, la gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore a progetto non comportano l’estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza

70

Qualche perplessità sulla applicabilità di norme pensate per il lavoro dipendente al collaboratore a progetto cfr. M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit.

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erogazione del corrispettivo. In caso di gravidanza, la durata del rapporto è prorogata per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale. Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta invece una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il contratto si intende comunque risolto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile.

Quanto ai doveri del collaboratore a progetto, l’articolo 64 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si limita invece a precisare, rispetto alla disciplina di diritto comune di cui al Libro IV del Codice Civile, che il collaboratore a progetto non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti né, in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, né compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività dei committenti medesimi. Il collaboratore a progetto mantiene la possibilità, in via generale, di svolgere la medesima attività a favore di più committenti. Accordi di esclusiva saranno sempre possibili, ma la loro validità è ovviamente subordinata alla presenza di un congruo corrispettivo da determinarsi in ragione del grado di limitazione della libertà contrattuale del collaboratore.

Rispetto alla cessazione del rapporto di collaborazione, i contratti a progetto si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto. In questi casi, ovviamente, il compenso al collaboratore sarà dovuto per l’intero. Il recesso prima della scadenza del termine è possibile solo in presenza di una giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale. In questo caso, logicamente, il compenso sarà dovuto per la quota parte di risultato – finale o parziale – realizzato, in applicazione del principio che prevede che il compenso del collaboratore sia determinato in ragione della qualità ma anche della quantità del lavoro eseguito (art. 63).

Di una certa difficoltà interpretativa è infine la disposizione, abbozzata nella legge delega e recepita all’articolo 68 del decreto, secondo cui «i diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente capo possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo V del presente decreto legislativo». Premesso che il riferimento al Titolo V del decreto è frutto di un errore materiale, che potrà essere sanato in sede di rettifica del decreto, posto che la certificazione dei contratti di lavoro è disciplinata nel Titolo VII, si deve ritenere che la disposizione in oggetto possa operare con riferimento non a diritti non ancora sorti 72, ma più correttamente – e opportunamente – a rapporti di lavoro già in essere, di cui si prospetta la riconduzione al progetto ovvero a uno degli schemi del lavoro dipendente. In queste ipotesi, l’articolo 68 consente di sanare, in sede di certificazione del contratto, eventuale situazioni grigie o di palese irregolarità che, in mancanza di questa possibilità, potrebbero altrimenti degradare nel lavoro nero vero e proprio per la diffidenza del committente a regolarizzare (con un atto percepito soggettivamente alla stregua di una sorta di autodenuncia) rapporti di lavoro dipendente mascherati dietro l’etichetta della collaborazione coordinata e continuativa. Se questa è la ratio dell’articolo 68 si spiega l’opportunità di includere la regola in questione anche nel titolo espressamente dedicato alla nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative e non solo, genericamente, nell’ambito delle procedure di certificazione e, segnatamente, all’articolo 82 del

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decreto. Che non esista piena sovrapposizione tra le due regole 73 lo dimostra del resto la circostanza che l’articolo 82 precisa, a completamento dell’articolo 68, che questo tipo di rinunzie e transazioni può essere effettuato solo presso gli enti bilaterali.

Il regime sanzionatorio

A garanzia della effettività della opzione concettuale che, salve le deroghe di cui all’articolo 61, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 276/2003, riconduce tutte le collaborazioni coordinate e continuative a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, l’articolo 69 del decreto prevede altresì alcune rigorose misure sanzionatorie. In primo luogo, si stabilisce che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3, del Codice di Procedura Civile, saranno considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto, là dove manchi uno specifico progetto ovvero non sia stato identificato o, comunque, non sia possibile identificare un programma di lavoro o una fase di esso (comma 1). In secondo luogo, qualora venga accertato dal giudice che, nella fase di esecuzione del programma negoziale concordato, il rapporto di lavoro a progetto configuri o sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si convertirà in un rapporto di lavoro subordinato. In questa ipotesi sarà il giudice a valutare, caso per caso, la riconducibilità del rapporto di lavoro a un contratto a tempo indeterminato, a termine o ad altro schema contrattuale di lavoro dipendente (comma 2). In relazione a questa ipotesi il decreto si premura tuttavia di precisare che, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento e segnatamente con l’articolo 41 della Costituzione 74, il controllo giudiziale deve limitarsi all’accertamento dell’esistenza del progetto o programma di lavoro o fase di esso, mentre non può estendersi fino al punto di sindacare le valutazioni e le scelte tecniche, organizzative o produttive del committente poste a base di esso (comma 3).

Baricentro della disciplina sanzionatoria è, senza dubbio, la disposizione di cui al primo comma dell’articolo 69, che non assume tuttavia il rilievo di una presunzione iuris et de iure 75 proprio perché il progetto non è elemento costitutivo di alcuna fattispecie negoziale, ma mera modalità di esecuzione del lavoro da cui si presume l’autonomia della prestazione dedotta in contratto. Depone in questo senso anche il disposto di cui all’articolo 62, comma 1, secondo cui la forma scritta è richiesta «ai fini della prova … del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto». In mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso il rapporto di lavoro si considera a tutti gli effetti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con l’onere

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In questo senso cfr., invece, L. de Angelis, op. ult. cit. Tuttavia, come rileva lo stesso de Angelis, se la disposizione di cui all’articolo 68 fosse intesa nel senso di assegnare, in deroga all’articolo 82, la competenza alla certificazione delle rinunzie e transazioni a tutte le sedi di certificazione, la norma sarebbe palesemente inconstituzionale, per il fatto che l’articolo 5 della legge n. 30/2003, limita tale possibilità ai soli enti bilaterali.

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Questa disposizione, contenuta anche nell’articolo 27, comma 3, in materia di somministrazione di lavoro, era già desumibile in via interpretativa con riferimento all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 368/2001, in materia di ipotesi che consentono la legittima apposizione del termine al contratto di lavoro. Sia consentito rinviare a M. Tiraboschi, Il Decreto Legislativo n. 368/2001:

commentario – Art. 1: Apposizione del termine, in Biagi M. (a cura di), Il nuovo lavoro a termine,

Giuffrè, Milano, spec. p.p. 99-106. 75

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