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D COLLABORAZIONI A PROGETTO, PARTITE IVA, ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE, LAVORO ACCESSORIO S

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(1)

S

EZIONE

D

COLLABORAZIONI A PROGETTO, PARTITE IVA,

ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE,

LAVORO ACCESSORIO

9.

IL LAVORO A PROGETTO

GABRIELE BUBOLA, FLAVIA PASQUINI, DAVIDE VENTURI

SOMMARIO: 1. La nuova definizione di progetto. – 1.1. L’interpretazione fornita sulle col-laborazioni coordinate e continuative professionali. – 2. La durata del contratto e la re-cedibilità ante tempus. – 3. Il corrispettivo del lavoratore a progetto. – 4. La presun-zione assoluta di subordinapresun-zione per mancanza di progetto. – 5. La presunpresun-zione relati-va di subordinazione per attività analoghe a quelle svolte da dipendenti. – 6. Il binario parallelo delle collaborazioni in corso. – 7. Aspetti contributivi ed indennità una

tan-tum: cenni. – 8. Nota bibliografica.

1. La nuova definizione di progetto.

Uno dei punti nodali della riforma del lavoro in commento è costituito

dal-la revisione delle coldal-laborazioni coordinate e continuative già regodal-late dagli

articoli 61 ss. del decreto legislativo n. 276 del 2003, con l’espresso proposito

di «evitarne un utilizzo distorto da parte del datore di lavoro, che celi un vero e

proprio rapporto di lavoro di natura subordinata» (

1

).

Alcuni interventi riguardano il cuore stesso dell’istituto, posto che ne

vie-ne rivisitata la stessa definiziovie-ne contenuta all’interno dell’articolo 61 (

2

).

Innanzitutto scompaiono (qui come in altre parti del capo I, titolo VII del

decreto legislativo n. 276 del 2003) i riferimenti al programma di lavoro o fase

di esso; conseguentemente, le collaborazioni coordinate e continuative

do-vranno essere riconducibili esclusivamente ad uno o più progetti specifici (

3

).

(1) In questi termini, la relazione illustrativa al disegno di legge presentato dal Governo

(vedila in www.adapt.it, indice A-Z, voce Riforma Fornero).

(2) Cfr. il comma 23, lett. a) dell’art. 1 della riforma in commento, che sostituisce

integral-mente il comma 1 dell’art. 61 del d.lgs. n. 276/2003.

(3) Restano ferme le eccezioni già note, contenute all’interno dell’art. 61, d.lgs. n.

(2)

dilet-Tenuto conto della ratio della novella, sembra di potersi affermare che il

legislatore non abbia tanto inteso eliminare una endiadi, quanto, piuttosto,

re-stringere effettivamente l’ambito di riferimento dell’istituto. In altri termini,

appare difficile poter affermare che ciò che ieri era definito programma o fase

di esso, d’incanto e senza modifica alcuna, possa essere oggi riconvertito in

progetto.

Inoltre, la riforma prevede che il progetto dovrà essere funzionalmente

collegato ad un determinato risultato finale e non potrà consistere in una «mera

riproposizione dell’oggetto sociale» di parte committente. Tale “strettoia”

le-gislativa sembra dare adito a dubbi interpretativi che quasi certamente avranno

come conseguenza una vera e propria inflazione del contenzioso, piuttosto che

la realizzazione di una maggiore certezza del diritto. Come dovrà infatti essere

interpretato il nuovo parametro normativo?

Una prima opzione tra quelle possibili sembrerebbe essere quella della

ve-rifica dell’esistenza o meno di una correlazione tra oggetto del progetto e

og-getto sociale dell’impresa. Ordinariamente, come noto, gli oggetti sociali

com-prendono una pluralità di attività, talune delle quali, tra l’altro, non vengono,

in fatto, esercitate. Ne deve conseguire che nessuna attività di cui all’oggetto

sociale possa essere “riproposta” all’interno di un progetto? Questa

interpreta-zione molto restrittiva, però, deve fare i conti con il concetto normativo di

«mera riproposizione». Cosa accade, quindi, al progetto che, benché correlato

ad una attività di cui all’oggetto sociale, non ne costituisca una mera

ripropo-sizione quanto, piuttosto, una rielaborazione giustificata dal fatto che

l’operatore economico ha approntato un modello organizzativo che prevede

anche, ma non solo, la presenza di collaboratori a progetto?

Una interpretazione altrettanto estrema, ma di segno opposto, potrebbe

in-vece ritenere illegittimo soltanto il caso della «riproposizione» dell’oggetto

sociale nel progetto nella sua interezza. In tal caso, però, potrebbe risultare

a-strattamente legittimo un progetto ricollegato solamente ad una parte, anche

essenziale, dell’oggetto sociale medesimo. Una interpretazione così formalista,

di fatto, svilirebbe gli intenti della riforma, posto che l’impresa avrebbe buon

gioco ad ampliare l’oggetto sociale sì da far figurare che l’attività di cui al

progetto in realtà non ne rappresenta una «mera riproposizione», non

essendo-vi perfetta coincidenza tra progetto e oggetto sociale dell’impresa.

(3)

Ove si volesse cercare una interpretazione “intermedia” tra le prime due

citate, poi, la illegittimità potrebbe discendere dalla correlazione tra progetto e

oggetto sociale, limitando la previsione di illegittima sovrapposizione degli

stessi al solo core business aziendale (

4

).

In definitiva, le opzioni interpretative possibili conducono a risultati

note-volmente differenti, se non opposti, facendo così venire meno per le imprese la

certezza, almeno ex ante rispetto a successivi possibili contenziosi, in merito

alla legittimità o meno del modello organizzativo adottato.

Peraltro, tale ingerenza regolatoria rispetto al modello organizzativo

sem-brerebbe contrastare con la consolidata giurisprudenza di legittimità che

af-ferma il principio secondo il quale qualsiasi attività umana economicamente

rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di

rap-porto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento (

5

). In

questo senso, potrebbe quindi anche ritenersi che la limitazione proposta dalla

(4) Sul punto si consideri che, da una lettura della circ. Min. lav. n. 17/2006, emerge come

l’eventuale correlazione tra attività del collaboratore ed oggetto sociale non sia ostativa circa la possibilità di porre in essere un genuino contratto a progetto. Infatti, il Ministero, prima ancora di entrare nel merito circa la legittimità delle collaborazioni, chiarisce come intenda riferirsi al “mercato del lavoro nel settore call center”, ossia, in definitiva, a quel settore nel quale operano soggetti economici specializzati nello svolgimento di servizi telefonici per conto terzi. Seguendo il ragionamento della circolare, appare lampante come la questione in ordine allo svolgimento da parte del collaboratore di attività coincidente con il core business aziendale venga totalmente ignorato, posto che il Ministero concentra la propria attenzione unicamente sugli elementi che devono risultare presenti ai fini di un genuino progetto di lavoro per le attività poste in essere con le modalità c.d. outbound. In altri termini, in quella circolare sembrava leggersi, implicita-mente, il seguente principio: ove si voglia valutare la legittimità del ricorso al lavoro a proget-to/programma/fase, non rileva tanto la circostanza per la quale l’attività prestata dal collaborato-re risulta stcollaborato-rettamente corcollaborato-relata al cocollaborato-re business aziendale (profilo che infatti non viene mini-mamente richiamato), quanto, piuttosto, la corretta enucleazione di un progetto/programma/fase di lavoro idoneo a consentire al collaboratore, tra l’altro, la possibilità di autodeterminare i pro-pri ritmi di lavoro.

(5) Cfr., tra le tante, Cass. 11 febbraio 2004, n. 2622, in banca dati Leggi d’Italia Professio-nale. Deve peraltro notarsi come, anche successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n.

(4)

norma si trovi in conflitto con il principio di libera iniziativa economia ex

arti-colo 41 della Costituzione (

6

).

Ancora, la riforma ha specificato che il progetto non potrà comportare lo

svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. Tale restrizione,

seb-bene comprensibile e condivisibile, non pare soddisfacente in considerazione

del fatto che, se da un lato “sacrifica” il principio di cui sopra secondo il quale,

astrattamente, qualsiasi attività può essere svolta in forma autonoma,

dall’altro, però, non appare configurare una soluzione pragmatica ed efficace

al punto da elidere, o quantomeno ridurre significativamente, le possibili

di-vergenze di carattere interpretativo. Infatti, appare arduo definire con certezza

ex ante quali attività rientrino in tale definizione e dunque non possano essere

oggetto di contratto a progetto. È certamente vero che la norma rinvia ai

con-tratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più

rappresentative a livello nazionale. Occorre però considerare come tali

contrat-ti possano (e non già debbano) individuare i compicontrat-ti incompacontrat-tibili con il

con-tratto a progetto (

7

).

Infine, il testo di riforma prevede una riformulazione anche del comma 1

dell’articolo 62, lettera b, del decreto legislativo n. 276 del 2003 (

8

). Per tale

via, la committente, alla quale spetta il compito di definire il progetto, non

po-trà più limitarsi a individuare il progetto, ma dovrà anche circostanziarne il

contenuto e il risultato finale che con esso si intende conseguire.

(6) Qualunque sia l’interpretazione corretta (e tale aspetto, come accennato, pare tutt’altro

che di secondaria importanza, posto che sposta il baricentro dell’istituto), deve ulteriormente osservarsi come la riforma sembrerebbe porre in discussione alcuni fenomeni di outsourcing. Poniamo il caso di una grande compagnia telefonica o finanziaria che si trovi ad avere un nume-ro rilevante di mancati pagamenti. Sarebbe ammissibile allora la creazione di un pnume-rogetto speci-fico volto al contatto ed al sollecito per via telefonica dei clienti o utenti morosi entro un tempo determinato, posto che tale attività, di tutta evidenza, non compare nell’oggetto sociale né, tan-tomeno, risulta essere il core business aziendale (essendo questi verosimilmente relativi all’offerta di servizi di telefonia o all’anticipo di pagamenti per conto terzi)? Se la risposta è po-sitiva, allora l’azienda potrebbe anche decidere di replicare il progetto (avendo abrogato il con-cetto di programma) in favore di una pluralità di collaboratori. D’altra parte, la società, proprio in considerazione del fatto che tale attività si pone come ulteriore ed accessoria, potrebbe deci-dere di esternalizzare il medesimo servizio a società che fanno di questo il proprio core

busi-ness. Tali società, però, potrebbero utilizzare il contratto a progetto? Il dubbio (se così vogliamo

definirlo), in definitiva, fa emergere una possibile diversa valutazione del medesimo contratto a progetto e, a monte, di un identico modello organizzativo, sulla base della coincidenza o meno di questo con l’oggetto sociale o con l’attività principale o, ancora, prevalente. L’eventuale di-sparità di trattamento, nel caso ipotizzato così come in altri, porterebbe, per l’appunto, a ritenere che il contratto a progetto possa essere utilizzato per una determinata attività solamente da parte di un tipo di azienda rispetto ad un altro.

(7) Posto che in altre parti della riforma il legislatore ha specificato il livello della

contratta-zione, nel caso di specie, invece, non appare chiaro se il rinvio sia alla contrattazione intercon-federale, a quella di settore o anche a quella territoriale.

(5)

1.1. L’interpretazione fornita sulle collaborazioni coordinate e

conti-nuative professionali.

La riforma, sebbene all’interno delle norme dedicate alla disciplina delle

altre prestazioni rese in regime di lavoro autonomo, fornisce una

interpretazio-ne della prima parte del primo periodo del comma 3 dell’articolo 61 del

decre-to legislativo n. 276 del 2003: l’esclusione dal campo di applicazione della

di-sciplina in tema di lavoro a progetto concernerà «le sole collaborazioni

coor-dinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività

professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in

appositi albi professionali» (

9

). Pare quindi di comprendere che, ove un

colla-boratore iscritto all’albo, anche in accertata pluricommittenza, presti l’attività

in favore di un unico committente per attività ritenute non riconducibili

all’attività professionale, quel rapporto dovrebbe essere ricondotto nell’alveo

della collaborazione a progetto, con conseguente applicazione delle norme

re-lative. Laddove tale non riconducibilità dovesse essere accertata ex post in

se-de giudiziale, sembrerebbe doversi se-dedurre la conversione in rapporto di

lavo-ro subordinato, per effetto dell’applicazione dell’articolo 69 del decreto

legi-slativo n. 276 del 2003, in conseguenza della mancanza (formale e,

eventual-mente, anche sostanziale – sebbene il primo aspetto risulti di per sé

assorben-te) del progetto. Soluzione che, nel caso appena descritto, appare a dir poco

drastica (

10

).

2. La durata del contratto e la recedibilità ante tempus.

Il testo approvato dal Parlamento, ferma restando la disciplina sulla durata

(

11

), si concentra sulla riformulazione del recesso in corso di rapporto,

(9) In questo senso il comma 27 dell’art. 1.

(10) Deve peraltro essere sottolineato come, in generale, il prestatore di lavoro in

pluricom-mittenza, anche nelle collaborazioni continuative, potrebbe avere comunque l’interesse a ricon-durre, anche formalmente, il rapporto alla prestazione d’opera ex artt. 2222 c.c. Nel qual caso, la norma non potrebbe avere applicazione. Tuttavia, anche in questo caso, il prestatore d’opera ed il suo committente potrebbero comunque avere a che fare con la disciplina del lavoro a progetto, poste le restrizioni operate per le collaborazioni con partite iva con rimando, per l’appunto, alla disciplina delle collaborazioni a progetto (per un approfondimento sul punto, si rimanda a G. BUBOLA,F.PASQUINI,D.VENTURI, Le partite IVA, che segue in questa sezione).

(11) Il lavoro a progetto è, per definizione di legge, ai sensi dell’art. 62, lett. a, d.lgs. n.

(6)

so la sostituzione dell’articolo 67, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del

2003, con conseguente irrigidimento della disciplina (

12

).

Infatti, se da un lato resta ferma la possibilità di recedere prima del termine

per giusta causa, dall’altro lato non sarà invece più possibile prevedere

all’interno del contratto la facoltà per le parti di recedere in maniera acausale

(

13

).

Più in particolare, il legislatore ha approntato un regime differenziato tra le

parti: parte committente potrà recedere in corso di rapporto solamente nel caso

in cui siano emersi profili di oggettiva inidoneità professionale del

collaborato-re tali da collaborato-rendecollaborato-re impossibile la collaborato-realizzazione del progetto, mentcollaborato-re il

collabora-tore potrà recedere, previo preavviso, unicamente nel caso in cui tale facoltà

sia prevista all’interno del contratto.

Tale novella rende opportuni alcuni chiarimenti.

Sul versante del recesso di parte committente, sembra potersi affermare

che questi, salvo ipotesi macroscopiche di oggettiva inidoneità (

14

), avrà

(12) In questo senso la lett. e, comma 23, dell’art. 1 della riforma in commento. Il comma 1,

dell’art. 67, viene invece semplicemente ritoccato per effetto della eliminazione dei riferimenti al programma di lavoro o fase di esso.

(13) L’esclusione del recesso acausale appare maggiormente rispondente alla realizzazione

di un rapporto di collaborazione effettivamente orientato alla realizzazione del progetto, con ri-percussioni positive anche in termini di autonomia del collaboratore, in considerazione del fatto che viene meno la possibilità di situazioni di “abuso” di posizione contrattuale dominante da parte della committente. In realtà, la norma ora sostituita poteva comunque essere interpretata in senso restrittivo. In questo senso, ritenendo il contratto a progetto non una nuova tipologia con-trattuale, quanto, piuttosto, una species rientrante nell’alveo del lavoro autonomo, si sarebbero potuti applicare i limiti all’esercizio del recesso per parte committente contenuti all’art. 2227 c.c. (che disciplina il recesso unilaterale dal contratto), inteso nel senso della non derogabilità. In conseguenza di tale lettura, le parti avrebbero quindi potuto determinare un recesso acausale dovendo, del pari, disciplinarne anche le conseguenze economiche ed i costi, soprattutto a carico di parte committente. Tale interpretazione, però, deve essere rimasta a livello soltanto teorico, posto che, se fosse stata concretamente applicata, verosimilmente non si sarebbe avvertita ora la necessità di modificare la disciplina.

(14) In termini definitori, è inidoneo qualcuno non idoneo, ovverossia inadatto ad un

(7)

l’interesse a predeterminare il contenuto del concetto di inidoneità

professio-nale all’interno del documento contrattuale (

15

).

Va da sé, poi, che perché la clausola possa avere effetto, dovrà realizzarsi

la sussunzione dell’ipotesi concreta in quella astratta; il che significa, in prima

istanza, che parte committente dovrà accuratamente verificare di non aver

col-posamente (com)partecipato alla mancata realizzazione dell’obiettivo o che lo

stesso non sia divenuto impossibile per circostanze totalmente esterne al

rap-porto o comunque non ascrivibili alle capacità del collaboratore.

È di tutta evidenza la notevole limitazione del potere di recesso di parte

committente rispetto alla previgente disciplina, posto che rientra certamente tra

le ipotesi di esercizio illegittimo del recesso non solo quello non originato da

una situazione di obiettiva inidoneità del lavoratore, ma anche quello per

mo-tivi meramente economici o produtmo-tivi. Peraltro, le conseguenze connesse

all’illegittimo recesso paiono particolarmente onerose per parte committente,

che sarà eventualmente tenuta al risarcimento del danno (

16

).

collegamento o meno con quella di scarso rendimento formulata per i lavoratori subordinati (cfr. Cass. 1° dicembre 2010, n. 24361, in banca dati De Jure, la quale ritiene integrato lo scarso ren-dimento ove «sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente viola-zione della diligente collaboraviola-zione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguen-za dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavorato-re e quanto effettivamente lavorato-realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione». La correlazione deve comunque tenere conto che la definizione giurisprudenziale di scarso rendimento poggia su elementi di carattere soggettivo, oltre che oggettivo, mentre quella sull’inidoneità si basa, nel testo di legge, su una definizione di carattere oggettivo.

(15) Sul punto, peraltro, si evidenzia l’opportunità di sottoporre il contratto ad una

procedu-ra di certificazione ai sensi degli artt. 75 ss., d.lgs. n. 276/2003, sì da ottenere una validazione delle clausole volte a disciplinare il recesso della committente per inidoneità del collaboratore.

(16) Premesso che non appare ipotizzabile un diritto del collaboratore alla reintegrazione

(cfr. sul punto Trib. Avezzano ordinanza 31 gennaio 2006, in LG, 2006, n. 9, 898, con nota di V. FILÌ, che afferma che «non esiste, nel nostro ordinamento giuridico, il diritto soggettivo del

la-voratore parasubordinato alla c.d. tutela reale, costituita dalla reintegra nel posto di lavoro»), la nuova disciplina si palesa più incisiva rispetto a quella prevista dall’art. 2227 c.c. che, in tema di contratti d’opera, ammette la possibilità per il committente di recedere in ogni momento, tenen-do però indenne il prestatore d’opera «delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno». Deve ritenersi applicabile al contratto a progetto la disciplina di cui all’art. 2119 c.c., con la conseguenza che, in caso di recesso illegittimo, la committente recedente sarà tenuta al risarci-mento integrale del danno, da liquidarsi secondo le regole comuni di cui all’art. 1223 c.c. Per-tanto, se ne deve dedurre che il collaboratore avrà diritto al compenso pattuito fino alla scadenza del termine del contratto con detrazione (ove il committente ne fornisca la prova) dell’aliunde

perceptum (ossia dei guadagni eventualmente conseguiti per effetto di altre attività lavorative

svolte nell’ambito di rapporti successivamente instaurati) e, eventualmente, dell’aliunde

perci-piendum (ossia di quanto il collaboratore avrebbe potuto guadagnare, utilizzando l’ordinaria

(8)

situa-Quanto al collaboratore, questi potrà invece recedere solamente previo

preavviso, ove previsto nel contratto (

17

). Deve dunque ritenersi che, in

man-canza di giusta causa, o di una comune volontà delle parti espressa in una

spe-cifica disciplina contrattuale in tema di recesso oppure, infine, nel caso di

cesso con modalità o tempistiche diverse da quelle pattuite, il collaboratore

re-cedente risulterà esposto, al pari di parte committente, al rischio di dover

risar-cire il danno (

18

).

3. Il corrispettivo del lavoratore a progetto.

Il legislatore ha completamente riformulato la disciplina in tema di

corri-spettivo del lavoratore a progetto. L’unico aspetto non toccato concerne quello

formale di cui all’articolo 62, comma 1, lettera c, del decreto legislativo n. 276

del 2003, con la conseguenza che le parti dovranno seguitare ad indicare

all’interno del contratto, ai fini della prova, il corrispettivo ed i criteri per la

sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina

dei rimborsi spese.

zione di transeunte difficoltà economica del datore di lavoro) ha diritto [...] al risarcimento del danno, che può legittimamente quantificarsi, in via equitativa, sulla base delle retribuzioni che gli sarebbero spettate fino alla scadenza del termine». Nel caso in cui nel documento contrattua-le contrattua-le parti si siano limitate a specificare i criteri di determinazione del compenso (ad esempio in misura percentuale o comunque sulla base della quantità e qualità delle attività effettivamente svolte o portate a termine nel medio termine, ossia con riferimento a scadenze pendenti in corso di rapporto), il risarcimento potrebbe essere calcolato tenuto conto di quanto, presumibilmente, il collaboratore avrebbe guadagnato sino al termine della collaborazione. Esemplificando: ove il collaboratore nei 5 mesi su 12 di collaborazione abbia maturato 10.000 euro lordi, la base di ri-sarcimento potrebbe risultare pari a 14.000 euro (10.000/7*5).

(17) La norma non prevede una quantificazione minima del preavviso, talchè si potrebbe

ri-tenere che le parti debbano prevedere un congruo periodo di preavviso, tenuto conto del tipo di attività. La specifica della legge parrebbe non ammettere, quindi, la possibilità per le parti di prevedere una clausola contrattuale pro lavoratore e volta a concedere a questi la possibilità di recedere ad nutum. Ma tale norma è derogabile per volontà delle parti? La soluzione affermativa poggerebbe sul fatto che la non derogabilità nell’ambito del diritto del lavoro è prevista proprio al fine di tutelare il lavoratore.

(18) Anche in tale caso deve quindi ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 2119 c.c.,

con la conseguenza che, in caso di recesso illegittimo, il collaboratore sarà tenuto al risarcimen-to integrale del danno, da liquidarsi secondo le regole comuni di cui all’art. 1223 c.c. Di fatrisarcimen-to, poi, la quantificazione del risarcimento tiene conto della fungibilità o meno della figura profes-sionale e del contesto nel quale il recesso è maturato. Ne deriva che per le collaborazioni di li-vello non particolarmente elevato, il quantum del risarcimento potrebbe essere limitato, se non anche eliminato, con valutazione da effettuarsi nel merito e caso per caso, nell’ipotesi di recesso con congruo preavviso, pur in mancanza di specifica disciplina contrattuale sul punto. In tema di risarcimento danni per recesso da parte del lavoratore si veda la giurisprudenza in tema di con-tratti di lavoro subordinato a tempo determinato (secondo Cass. 23 aprile 2012, in banda dati De

Jure, nel rapporto di lavoro a tempo determinato, nel caso di dimissioni senza giusta causa, la

(9)

La “rivoluzione” opera, invece, con riferimento al quantum da erogare

concretamente al collaboratore, posta l’integrale sostituzione dell’articolo 63

del decreto legislativo n. 276 del 2003 (

19

). Infatti, il previgente quadro

norma-tivo (

20

), pur avendo il merito di aver fornito, per la prima volta, parametri

e-conomici per la determinazione del compenso nell’ambito delle collaborazioni

coordinate e continuative, era risultato, all’esito, inadeguato a tutelare

effica-cemente il collaboratore a progetto da tale punto di vista.

Il nuovo articolo 63, invece, accanto alla conferma della previsione

secon-do la quale il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere

proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro eseguito, specifica,

anzi-tutto, che tenuto conto della particolare natura della prestazione e del contratto,

il corrispettivo «non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico

per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili

pro-fessionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel

set-tore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai

contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei

datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a

livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli

decen-trati». Nel caso in cui non risulti presente una contrattazione collettiva

specifi-ca, il legislatore comunque individua un parametro (non potendo essere

infe-riore il compenso erogato, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto

della prestazione) nelle «retribuzioni minime previste dai contratti collettivi

nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure

professio-nali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del

colla-boratore a progetto».

Il riferimento, in particolare, alla contrattazione collettiva applicabile – in

quanto tale – ai lavoratori subordinati appare evidentemente finalizzato ad

im-porre un minimo retributivo al di sotto del quale non è possibile andare, al fine

di evitare che l’utilizzo del contratto a progetto sia effettuato (anche o solo)

allo scopo di sfuggire dall’applicazione dei minimi retributivi previsti per i

la-voratori subordinati (

21

).

(19) In questo senso la lett. c, comma 23, dell’art. 1 della riforma in esame.

(20) L’art. 63, ora sostituito, prevedeva che «Il compenso corrisposto ai collaboratori a

pro-getto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto». L’art. 1, comma 772, della l. n. 296/2006 ha stabilito che «In ogni ca-so, i compensi corrisposti ai lavoratori a progetto devono essere proporzionati alla quantità e qualità del lavoro eseguito e devono tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per pre-stazioni di analoga professionalità, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferi-mento».

(21) La novella evidenzia la diffidenza nei confronti dell’istituto. Infatti, la nuova previsione

(10)

Il nuovo testo non prevede formalmente alcuna “sanzione” a carico del

committente che non rispetti i parametri di legge. D’altra parte, se tale

elemen-to non può essere presuntivamente (quanelemen-tomeno a livello di presunzione

lega-le) considerato ai fini della riconduzione del rapporto nell’alveo del lavoro

su-bordinato, è pur vero che i minimi così stabiliti dalla legge risultano

inderoga-bili, con la conseguenza che il collaboratore potrà pretendere le eventuali

dif-ferenze “retributive” nel caso in cui il compenso concretamente percepito

ri-sulti inferiore ai parametri normativi (

22

).

In astratto, poi, le parti restano libere di stabilire i criteri di determinazione

del corrispettivo potendolo ricollegare, in tutto o in parte, ai risultati.

4. La presunzione assoluta di subordinazione per mancanza di progetto.

Il legislatore, con apposita norma, interpreta l’articolo 69, comma 1, del

decreto legislativo n. 276 del 2003 nel senso della presunzione assoluta di

su-bordinazione (

23

). Ne consegue che, ritenuta in giudizio la carenza formale o

sostanziale del progetto, il rapporto verrà ricondotto nell’alveo del lavoro

su-bordinato senza possibilità per parte committente di fornire la prova contraria.

In questa sede è utile anche collegare tale previsione con la riformulazione in

senso restrittivo della definizione di progetto e con la disposizione che nega la

sussistenza del progetto nel caso dello svolgimento di compiti meramente

ese-cutivi o ripetitivi, anche secondo le previsioni della contrattazione collettiva

nazionale.

La norma aderisce, in definitiva, ad uno dei due orientamenti che si sono

contrapposti, sin dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 276 del 2003,

in tema di interpretazione della summenzionata presunzione. Deve infatti

ri-cordarsi che, a fronte di un filone che affermava la sussistenza di una

la nuova norma sembrerebbe spostare l’asse della collaborazione dal risultato alla messa a di-sposizione delle energie lavorative, propria del rapporto di lavoro subordinato.

(22) Verosimilmente, il contenzioso sul punto aumenterà anche in considerazione del fatto

che non sempre apparirà agevole determinare il numero orientativo di ore lavorate dal collabora-tore per la determinazione della soglia minima “soggettivamente” considerabile e da comparare con quanto da questi effettivamente percepito.

(23) In questo senso deve intendersi la specifica di cui al comma 24, dell’art. 1, a mente

(11)

zione assoluta di subordinazione (

24

), ve n’era un altro che invece ne affermava

il carattere meramente relativo (

25

) e che appariva, comunque, maggiormente

coerente con il già richiamato insegnamento della Cassazione.

5. La presunzione relativa di subordinazione per attività analoghe a

quelle svolte da dipendenti.

La riforma (

26

) prevede l’aggiunta di un periodo al comma 2 dell’articolo

69 del decreto legislativo n. 276 del 2003, il quale originariamente prevedeva

che il rapporto di lavoro a progetto potesse essere trasformato in un rapporto di

lavoro subordinato laddove venisse accertato che, in concreto, si fosse in

con-creto venuta a configurare tale situazione.

(24) Cfr. App. Firenze 12 gennaio 2010, secondo cui «Al difetto dei presupposti descrittivi

di cui all’art. 61, d.lgs. n. 276/2003, consegue la trasformazione del contratto in quello subordi-nato a tempo indetermisubordi-nato ex art. 69 d.lgs. cit. che, configurando una presunzione legale, rende superfluo l’accertamento in concreto la sussistenza della subordinazione»; Trib. Milano 26 gen-naio 2010, secondo il quale «Il dettato letterale dell’art. 69 d.lgs. n. 276 del 2003, “sono consi-derati rapporti di lavoro subordinati” sembra dare corso ad una vera e propria norma precettiva e non ad una mera presunzione vincibile dalla prova contraria eventualmente destinata ad accerta-re la sussistenza di un sotteso progetto caratterizzato da specificità, caratterizzazione, collega-mento al risultato, durata limitata»; Trib. Novara 6 ottobre 2009, afferma che «In assenza di progetto si realizza l’ipotesi di cui all’art. 69 comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, con la conseguen-za che la sanzione prevista è che il rapporto tra le parti deve essere considerato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La conversione del rapporto opera immediatamente come sanzione ex art. 69 comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003. La pronuncia del giudice ha valore di accertamento della “conversione del contratto”, nessuna prova, dunque, deve fornire il lavorato-re». Infine, si riporta Trib. Modena 30 gennaio 2008, secondo il quale «l’interpretazione lettera-le, sistematica e logica depone nel senso di una presunzione assoluta di subordinazione».

(25) Siffatta interpretazione, fatta propria anche dal Ministero del Lavoro (cfr., in questo

senso, la circ. Min. lav. n. 1/2004), si basa sul fatto che l’art. 61 non sostituisce e/o modifica l’art. 409, n. 3, c.p.c., bensì individua le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro del collaboratore, utili ai fini della qualificazione della fattispecie nel senso della autonomia o della subordinazione (cfr. Trib. Ravenna 25 ottobre 2005; Trib. Genova 7 aprile 2006; Trib. Bergamo 22 febbraio 2007, ed Trib. Trieste 8 settembre 2006). In considerazione di ciò e coerentemente, tale filone ha poi ritenuto che la presunzione di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 am-metta la prova contraria di parte convenuta. In altri termini, in mancanza astratta o concreta di progetto, programma di lavoro o fase di esso il rapporto di lavoro si considera a tutti gli effetti subordinato a tempo indeterminato, salva comunque la possibilità per il committente di provare la sua natura autonoma, posto che una presunzione assoluta farebbe discendere un apparato san-zionatorio sproporzionato e in definitiva anche inadeguato (infatti, per tale via ben potrebbe es-sere qualificata come subordinata una prestazione di lavoro genuinamente autonoma), nonché di sospetta incostituzionalità con riferimento agli artt. 3, 41, 101 e 104 Cost. Cfr., in questo senso, Trib. Trapani 22 luglio 2010; Trib. Roma 11 febbraio 2009; Trib. Bologna 3 febbraio 2009; Trib. Pisa, 21 luglio 2008; Trib. Benevento 29 maggio 2008; Trib. Genova 6 aprile 2007; Trib. Torino 23 marzo 2007; Trib. Bologna 6 febbraio 2007; Trib. Ravenna 25 ottobre 2005; Trib. Torino 15 aprile 2005, tutte in banca dati Leggi d’Italia Professionale.

(12)

L’aggiunta introduce una presunzione relativa di subordinazione sin dalla

data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia

stata svolta con modalità analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti

dell’impresa committente. Laddove il collaboratore deduca tale aspetto, sarà

quindi onere di parte committente provare che invece il rapporto in questione

rientra effettivamente nell’ambito del lavoro a progetto.

La presunzione non opera per le prestazioni di elevata professionalità. Tale

specifica appare alquanto astratta e potrebbe, nei fatti, comportare un alto

li-vello di conflittualità proprio in ordine all’operatività o meno della

presunzio-ne di subordinaziopresunzio-ne rispetto ai singoli casi concreti. Vero è anche che tali

pre-stazioni possono (e, anche qui come per i compiti meramente esecutivi e

ripe-titivi, non debbono) essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle

or-ganizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano

nazio-nale, le quali, pertanto, potrebbero operare nel senso di dare contenuto e

cer-tezza all’operatività della presunzione.

6. Il binario parallelo delle collaborazioni in corso.

Le nuove disposizioni si applicano espressamente soltanto ai contratti

sti-pulati successivamente all’entrata in vigore della riforma (

27

).

Conseguente-mente, per le collaborazioni già in corso a tale data continueranno a trovare

applicazione le norme vigenti, almeno fino al termine finale già stabilito nel

contratto (

28

). Naturalmente, tali rapporti potranno temporaneamente

continua-re a concernecontinua-re anche programmi di lavoro o fasi di essi, e le parti (ove pcontinua-revi-

previ-sto nel contratto) potranno prevedere clausole di recesso acausale, mentre non

potranno trovare applicazione le nuove norme in tema di congruità del

corri-spettivo, nonché la disciplina sulle presunzioni legali.

La soluzione individuata appare problematica, non fosse altro perché crea

un regime parallelo per le collaborazioni senza prevedere un termine, per

quel-le sorte prima della entrata in vigore della riforma, entro il quaquel-le, ove

possibi-le, adeguarsi alla nuova disciplina normativa (

29

). Astrattamente, infatti, due

collaboratori che svolgono la stessa identica attività potrebbero avere un

asset-to contrattuale notevolmente diverso, con conseguente disparità di trattamenasset-to

tra i medesimi, a discapito, sotto alcuni profili, del collaboratore che ha

sotto-scritto il contratto prima dell’entrata in vigore della riforma (

30

).

(27) In questo senso l’art. 1, comma 25, della riforma in esame.

(28) Qualche dubbio concerne, invece, l’ipotesi in cui una collaborazione instaurata prima

dell’entrata in vigore della nuova disciplina venga ad essere prorogata successivamente a questa. (29) Non si è quindi seguita l’esperienza di cui all’art. 86, comma 1, d.lgs. n. 276/2003.

(30) Di seguito si propone una “suggestiva” interpretazione dell’art. 69, comma 1, d.lgs. n.

(13)

7. Aspetti contributivi ed indennità una tantum: cenni

Per completezza sistematica meritano in questa sede un breve cenno gli

in-terventi legislativi in tema di ammortizzatori sociali per i collaboratori a

pro-getto e in materia contributiva (

31

).

Quanto al primo aspetto, viene prevista la stabilizzazione, a decorrere dal

2013, del riconoscimento in favore dei collaboratori a progetto disoccupati ed

iscritti alla gestione separata Inps (salvo i soggetti titolari di redditi da lavoro

autonomo che hanno titolo ad addebitare ai committenti una percentuale nella

misura del 4% dei compensi lordi) di una indennità una tantum nel caso

sussi-stano alcune specifiche condizioni (tra le quali quella di aver operato in

mono-committenza).

In stretta correlazione con tale previsione, il legislatore ha previsto un

au-mento contributivo a carico di tutti i lavoratori iscritti alla gestione separata

Inps. Verosimilmente, tale aumento non è solo finalizzato al finanziamento

dell’una tantum, ma anche a scoraggiare l’utilizzo delle forme di lavoro non

standard attraverso un aumento del loro costo (

32

).

8. Nota

bibliografica.

Per una ricostruzione dell’istituto e delle divergenze dottrinali su vari aspetti della

di-sciplina (dalla riconducibilità del contratto a progetto nell’alveo del lavoro autonomo

alla sua considerazione come nuova tipologia contrattuale, oltre alla natura della

pre-sunzione prevista all’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo n. 276/2003) si

leg-gano, tra i tanti, M.

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, Riconduzione a progetto delle collaborazioni coordinate e continuative,

anch’essa di carattere interpretativo (si veda punto n. 1.1) non risulta inclusa nella previsione, quasi a voler confermare, in quel caso, che l’interpretazione fornita vale anche per le collabora-zioni in corso (a meno che non si tratti di un mero mancato coordinamento tra le norme, posto che l’interpretazione dell’art. 61, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003 trova spazio in altri commi dell’art. 1 rispetto a quelli che regolano il lavoro a progetto).

(31) Cfr. l’art. 2, commi da 51 a 57. Per un approfondimento su tali aspetti si rimanda aS.

SPATTINI,M.TIRABOSCHI,J.TSCHÖLL,Il nuovo sistema di ammortizzatori sociali, nella parte V,

sezione A, di questo volume.

(32) Nel 2013 si passerà, per coloro che non sono assicurati presso altre forme di previdenza

(14)

lavoro occasionale e divieto delle collaborazioni semplici: il cielo diviso per due, in

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