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Brani di Kierkegaard La filosofia dell’esistenza contro la filosofia-sistema

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Academic year: 2021

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Brani di Kierkegaard

La filosofia dell’esistenza contro la filosofia-sistema

[a] Che il linguaggio dell'astrazione non lasci veramente apparire la difficoltà dell'esistente e dell'esistenza, cercherò di spiegarlo a proposito di una questione decisiva, di cui si è molto parlato e scritto. Com'è noto, la filosofia hegeliana ha tolto il principio di contraddizione e più d'una volta Hegel stesso ha citato al suo severo tribunale quei pensatori che rimanevano nella sfera dell'intelletto e della riflessione e che di conseguenza affermavano che c'è un aut-aut. Da allora è diventato un gioco molto apprezzato che appena qualcuno fa allusione a un aut-aut, ecco arrivare trotterellando a cavallo un hegeliano [ ... ], che ottiene la vittoria e se ne ritorna di corsa a casa. [ ... ]

[b] Eppure sembra che alla base di questa battaglia e di questa vittoria ci sia un equivoco.

Hegel ha perfettamente e assolutamente ragione: dal punto di vista dell'eternità, sub specie aeterni, nel linguaggio dell'astrazione, nel puro pensiero e nel puro essere, non c'è alcun aut- aut. Come diavolo potrebbe esserci, se per l'appunto l'astrazione rimuove la contraddizione?

Hegel e gli hegeliani dovrebbero piuttosto prendersi l'incomodo di spiegare cosa significa questa commedia, l'introdurre nella logica la contraddizione, il movimento, il passaggio ecc. I difensori dell'aut-aut hanno torto quando invadono il campo del pensiero puro e vogliono difendere in esso la propria causa. Come il gigante Anteo, con cui lottò Ercole, perdeva tutta la sua forza appe~~\re...niva sollevato da terra, così l'aut-aut della contraddizione si trova eo ipso elìminatoappena è elevato al di sopra dell'esistenza e portato nell'eternità dell'astrazione. D'altra parte Hegel ha anche completamente torto quando, dimenticando l'astrazione, la pianta in asso e si precipita nell'esistenza per eliminarvi di prepotenza il doppio auto Infatti è impossibile far questo nell'esistenza, perché allora io sopprimo nello stesso tempo l'esistenza. Quando elimino (astraggo) l'esistenza, non c'è più nessun aut-aut; quando lo elimino nell'esistenza, questo significa che elimino anche l'esistenza, ma allora non è ch'io lo elimini nell'esistenza. Se è inesatto dire che qualcosa ch'è vero in teologia non lo è in filosofia, è invece del tutto esatto dire che c'è qualcosa di vero per un esistente che non lo è nell'astrazione, e parimenti ch'è eticamente vero che l'essere puro è una fantasticheria e ch'è proibito a un esistente voler dimenticare ch'egli è esistente. [ ... ]

[c] Stiamo quindi in guardia contro i pensatori astratti che vogliono confinarsi unicamente nell'essere puro dell'astrazione, ma che pretendono che ciò costituisca la cosa più alta per l'uomo e che un pensiero siffatto, che porta all'ignoranza dell'etica e al fraintendimento della religione, sia il pensiero umano più alto. E non ci si venga a dire che sub specie aeterni, là dove

«tutto è e niente diviene» (dottrina degli Eleati) , ci dev'essere un aut-aut. Invece là dove tutto è in divenire, là dove c'è solo quel tanto di eternità che basta a conservare la decisione appassionata, là dove l'eternità si comporta come il futuro rispetto al singolo che diviene, là veramente la disgiunzione assoluta è al suo posto. Quando infatti io unisco l'eternità e il divenire, non ottengo la quiete, ma il futuro. Questa è probabilmente la ragione per cui il cristianesimo ha predicato l'eternità come il futuro, perché esso è stato predicato ad esistenti e perciò esso ammette anche un assoluto aut-aut. Ogni pensiero logico è nella lingua dell'astrazione e sub specie aeterni. Pensare l'esistenza a questo modo, significa prescindere dalla difficoltà che c'è nel pensare l'eterno nel divenire, cosa del resto inevitabile dal momento che colui che pensa è per suo conto nel divenire. Da ciò deriva che pensare astrattamente è molto più facile che non esistere, quando questo non sia ridotto a ciò che si chiama o si dice esistere, come ciò che si dice essere-soggetto. Qui ritorna la constatazione che il compito più facile è il più difficile.

Esistere, si pensa di solito, non è una cosa speciale, né tanto meno un'arte: esistere è di tutti, non è vero?, mentre pensare astrattamente è privilegio raro! Ma esistere in verità, quindi penetrare con la coscienza la propria esistenza, cioè oltrepassarla quasi nell'eternità, eppure al tempo stesso esser presente in essa e mantenersi in divenire: questa sì ch'è una cosa veramente ardua. Se il pensare non fosse diventato ai nostri giorni una cosa così stravagante e così trita, i pensatori farebbero sugli uomini una ben altra impressione, com'era in Grecia, ove un pensatore era nello stesso tempo un esistente entusiasta, appassionato del suo pensiero; e com'era in altri tempi nella cristianità, ove un pensatore era un credente che cercava appassionatamente di comprendersi per suo conto nell'esistenza della fede.

(Postilla conclusiva non scientifica, II, pp. 112-18)

Il singolo come categoria

«Il Singolo» è la categoria attraverso la quale devono passare dal punto di vista religioso il tempo, la storia, l'umanità. E colui che non cedette e cadde alle Termopili, non era così assicurato come lo sono io in questo passo: «Il Singolo». Egli doveva infatti impedire alle orde di attraversare quel passo: se fossero penetrati, avrebbe perduto. Il mio compito è, almeno a prima vista, molto più facile; mi espone molto meno al pericolo di essere calpestato, poiché è

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quello di umile servitore che cerca, se possibile, di aiutare le folle ad attraversare questo passo del «Singolo», attraverso il quale però, si badi bene, nessuno in eterno penetra senza diventare

«il Singolo-". Eppure se io dovessi domandare un epitaffio per la mia tomba, non chiederei che

«Quel Singolo» anche se ora questa categoria non è capìta. Lo sarà in seguito. Con questa categoria «il Singolo», quando qui tutto era sistema su sistema, io presi polemicamente di mira il sistema, ed ora di sistema non si parla più. A questa categoria è legata assolutamente la mia possibile importanza storica. I miei scritti saranno forse presto dimenticati, come quelli di molti altri. Ma se questa categoria era giusta, se questa categoria era al suo posto, se io qui ho colpito nel segno, se ho capito bene che questo era il mio compito, tutt'altro che allegro e comodo e incoraggiante: se mi sarà concesso questo, anche a prezzo di inenarrabili sofferenze interiori, anche a prezzo di indicibili sacrifici esteriori: allora io rimango, e i miei scritti con me.

(Diario, pp. 243-44)

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