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IL RUOLO DELLE MAJOR NEL MERCATO

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INTRODUZIONE

Nel diritto dell’Unione europea, il principio della libera concorrenza e l’obiettivo di realizzare un regime atto a garantire che questa non venga falsata nel mercato interno, costituiscono priorità fondamentali da perseguire costantemente. Tra le varie previsioni in materia volte ad assicurare e garantire la tutela della realizzazione di una competitività effettiva nel mercato, è fondamentale il riferimento all’abuso di posizione dominante.

Tale fenomeno ha assunto una notevole rilevanza negli ultimi decenni e ha visto impegnata la giurisprudenza della Corte di Giustizia in valutazioni molto complesse riguardanti, in primo luogo, l’accertamento di una situazione di “dominanza” riferita ad imprese operanti sul mercato, ma soprattutto questioni problematiche connesse ad eventuali abusi della stessa. Infatti a livello europeo risulta essere vietata, non la semplice esistenza di posizione dominante, ma, appunto, l’abuso. Tuttavia l’analisi da compiere per accertare la sussistenza di detta condizione è molto articolata:

necessita di prendere in considerazione in maniera congiunta diversi elementi eterogenei, e soprattutto dev’essere parametrata e rapportata ad un contesto merceologico e geografico ben definito e particolare.

Il presente lavoro nasce con l’obiettivo di intraprendere un percorso di indagine sul fenomeno della posizione dominante applicata al settore particolare dell’industria musicale e del mercato discografico.

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Le dinamiche concorrenziali nel settore discografico, ed in particolare le concentrazioni tra imprese operanti all’interno dello stesso, richiedono spesso un esame della competitività particolarmente approfondito, in ragione sia dell’assetto di mercato molto concentrato, caratterizzato dalla presenza di poche grandi major discografiche e da numerosi concorrenti con dimensione e una forza di mercato molto inferiori, sia della rapida evoluzione delle dinamiche e delle caratteristiche del mercato stesso (basti pensare al ruolo che hanno assunto la vendita di musica online o i dispositivi elettronici sui quali è possibile ascoltare e gestire la musica). Tale settore, inoltre, si caratterizza per alcune peculiarità fondamentali, prima fra tutte il fatto che i principali asset delle imprese sono costituiti da diritti immateriali su brani registrati e commercializzati nonché dai contratti stipulati con gli artisti per lo sfruttamento commerciale in esclusiva dei loro brani e composizioni attraverso la cessione dei diritti dall’artista alla casa discografica a fronte del riconoscimento delle royalties. Da ciò deriva l’importanza per una casa discografica di avere a disposizione un ampio catalogo di brani e numero di artisti sotto contratto, così da essere in grado di distribuire sul mercato un numero elevato di prodotti e quindi assicurarsi elevati ricavi.

Alla luce delle basilari e connotanti caratteristiche possiamo osservare la sussistenza, nel settore discografico, di una situazione di oligopolio e, di conseguenza, l’attenzione si sposta su come eventuali concentrazioni che coinvolgono le major discografiche possano

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essere in grado di determinare un’ulteriore riduzione della concorrenza nel mercato. Proprio questa è stata la motivazione che mi ha spinto ad analizzare il caso Sony/BMG e gli effetti antitrust derivanti dalla costituzione nel 2004 di detta impresa comune, in cui le due parti, Sony e Bertelsmann Music Group, hanno conferito le proprie divisioni discografiche e musicali. La scelta di analizzare tale vicenda, molto singolare e complessa sia dal punto di vista fattuale che giurisprudenziale, nasce proprio dall’interesse di studiare e applicare i tratti teorici ad un caso di concentrazione di grande importanza nel settore musicale.

La tesi si articola in tre capitoli, a partire dal quadro generale e dalla descrizione del panorama di mercato analizzato, per poi passare all’analisi fattual-giurisprudenziale del caso Sony/BMG, fino poi ad arrivare a definire i criteri di valutazione e di accertamento di una posizione dominante, soprattutto in un contesto oligopolistico.

In particolare, nel primo capitolo si esaminerà la nascita, l’evoluzione e la struttura attuale dell’industria musicale, con particolare riferimento alla distinzione tra majors e indies, il ruolo che esse rivestono e la loro struttura aziendale. Non mancherà il riferimento alla risposta delle case discografiche rispetto allo sviluppo dei nuovi modelli di business, al passo con il progresso tecnologico. A chiusura del primo capitolo si concentrerà l’attenzione in particolare sulla major Sony, facendo qualche accenno al suo percorso evolutivo e denominativo e ai contatti stabiliti con la BMG.

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Una volta poste le premesse di base, indispensabili per comprendere il contesto di mercato di riferimento, il secondo capitolo analizzerà l’articolata vicenda di valutazione della concentrazione Sony/BMG che ha visto coinvolti gli organi comunitari della Commissione, del Tribunale e della Corte di Giustizia. In questo capitolo, approfondiremo tutti gli aspetti fondamentali delle decisioni e delle sentenze riferite al caso, con particolare attenzione ai motivi di ricorso, alle previsioni riguardanti i criteri e le modalità di accertamento di una posizione dominante collettiva in concreto, e ai motivi che hanno indotto gli organi suddetti a prendere determinate decisioni.

Nel terzo capitolo infine, si farà riferimento in modo dettagliato alle nozioni teoriche sulla posizione dominante, in particolare quella collettiva, al divieto di abuso, e ai legami e relazioni interconnesse che vengono a stabilirsi con il controllo sulle concentrazioni, soprattutto in un contesto oligopolistico. Molto importante è il cenno al precedente caso Airtours nel quale sono stati ribaditi in modo piuttosto preciso gli elementi e i criteri indispensabili e strumentali all’accertamento, vicenda questa richiamata anche dagli stessi atti giudiziari del caso Sony/BMG. Non di minore importanza il richiamo all’ultimo regolamento in materia di concentrazioni, il Regolamento n. 139/2004, che con il suo differente approccio rispetto a quello antecedente (Regolamento n.4064/89) risulta essere idoneo a porre definitivamente nel nulla ogni precedente dubbio interpretativo in

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merito alla applicabilità della normativa sul controllo delle operazioni di concentrazione in riferimento alle operazioni di dominanza collettiva scaturenti dall’operazione medesima. In chiusura, il riferimento sommario all’acquisizione di EMI Music Publishing da parte di Sony: l’ultima vicenda che ha portato all’esame dell’assetto concorrenziale del settore discografico alla luce delle nuove indicazioni.

E’ possibile anticipare che la valutazione dell’opportunità di realizzare un’operazione rivoluzionaria per il mercato discografico, quale l’unione Sony/BMG, abbia generato numerose difficoltà nonché, addirittura, opinioni discordanti tra gli organi comunitari, soprattutto per quanto riguarda le modalità concrete di accertamento della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante collettiva e i dubbi interpretativi che derivavano dall’applicazione della normativa antitrust. Si tratta di una vicenda delicata, che ha fornito numerosi spunti di riflessione, in particolar modo per il fatto di essere collocata su “terreno governato da giganti” dove ogni scelta, se colta in un’ottica evoluzionistica, comporta conseguenze non di poco conto.

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CAPITOLO I

IL RUOLO DELLE MAJOR NEL MERCATO

DISCOGRAFICO.

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7 1.1. La discografia

La discografia, unita ai promoter di musica live, è il cuore dell’industria culturale della musica.

La musica infatti, sia in termini di creatività, sia in termini di diffusione industriale, è contemporaneamente una recording art, di cui vediamo solo il prodotto finale ma non il processo produttivo (come la pittura o il cinema) e una performing art, che possiamo apprezzare dal vivo mentre viene messa in scena (come il teatro). 1 Musica registrata e dal vivo sono due fasi del processo di produzione e utilizzazione della musica che si rafforzano a vicenda: ascoltare dischi spinge ad andare ai concerti, e viceversa. In particolare, della recording art si occupa appunto la discografia; della performing art i promoter di musica live.2

L’etichetta discografica (o casa discografica) è responsabile della produzione e della diffusione del disco, nelle sue varie forme tecnologiche (vinile, musicassetta, CD). Il suo nome deriva dall’etichetta stampata che veniva posta al centro dei dischi in vinile3. Sostanzialmente si occupa di inserire in un contesto di lavorazione industriale un prodotto culturale come la musica e realizza serialmente un oggetto frutto del talento di un musicista: il suo lavoro creativo tradotto e sviluppato in una merce che ne conservi intatte le

1 G. SIBILLA, L’industria musicale, Ed. Carocci , Roma, 2006 , p. 31

2 Ibidem.

3 http://it.wikipedia.org/wiki/etichetta_discografica

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caratteristiche artistiche, ma che contemporaneamente sia anche

“vendibile” sul mercato.4

La discografia esercita il ruolo di “mediatrice”, interagendo in questo processo con diversi attori: il musicista e le persone che fanno parte della sua equipe, a monte della creazione del prodotto; i media e il pubblico, a valle nella diffusione. 5

Il disco, in generale, va considerato come la parte visibile di un

“iceberg”: la parte sommersa invece riguarda la parte produttiva, distributiva e comunicativa svolta da musicisti, discografia e media.

L’idea stessa di una moderna industria musicale nasce proprio con l’emersione di questo iceberg: la fissazione dei suoni su un supporto, venduto per essere successivamente riprodotto su uno strumento precedentemente acquistato (un grammofono, un giradischi, un mangianastri); per questo motivo, storicamente la discografia è considerata il centro della comunicazione musicale. 6

Dal lato opposto, questo modello è in forte crisi negli ultimi anni minato sotto più punti di vista: la smaterializzazione della musica in file digitali e la conseguente facilità di scambio legale e illegale attraverso le reti telematiche stanno facendo invecchiare rapidamente il supporto fisico.

Inoltre il “valore” culturale del disco sta crollando , anche per il suo prezzo ritenuto troppo alto.

4 G. SIBILLA, Op. Cit. p.30

5 G. SIBILLA, Ibidem

6 G. SIBILLA, Ibidem

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John B. Thompson7 identifica tra le caratteristiche fondanti della moderna industria culturale l’archiviazione e l’accesso alla riproduzione dei contenuti. In questo processo risiede la base del loro sfruttamento, da cui nasce anche l’esigenza di tutelarne la proprietà (il copyright e il diritto d’autore).8

Possiamo quindi in generale affermare che:

“La discografia è l’industria culturale della musica che si occupa di sviluppare i mezzi tecnici per fissare, archiviare, distribuire e riprodurre i suoni. Investe sulla produzione della musica, quindi ne rivendica la proprietà; gli ascoltatori possono accedere a queste registrazioni solo attraverso la mediazione dell’industria, pagando un disco da essa prodotto.” 9

1.2. Le invenzioni del XIX secolo e la nascita dell’industria discografica.

La moderna industria discografica sorge tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, quando entra in scena la nuova tecnologia di fissazione del suono su particolati dispositivi : il fonografo di Edison (1877) e il grammofono di Berliner (1887).10

7 Sociologo britannico (Minneapolis, 20 luglio 1951), professore di Sociologia nella facoltà di Scienze Sociali e Politiche all’Università di Cambridge.

THOMPSON J.B. (1995), The Media and Modernity. A social Theory of The Media, Polity Press, Cambridge. Trad. it.”Mezzi di comunicazione e modernità.

Una teoria sociale dei media”, il Mulino, Bologna, 1998.

8 G. SIBILLA, Op. Cit., p.31

9 Ibidem

10 Ibidem.

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Il periodo antecedente a tali invenzioni fu caratterizzato dalla musica su spartito come principale veicolo di diffusione delle opere.

Il ruolo di protagoniste per tale attività economica venne infatti attribuito alle case editrici musicali impegnate nella stampa di partiture e nella gestione dei relativi diritti d’autore; la carta stampata rimase il principale prodotto della musica popolare fino ai primi anni del Novecento.

La storia attribuisce al genio dell’inventore americano Thomas Edison11 (1847- 1931) la progettazione nel 1877 del primo fonografo, un apparecchio che, per la prima volta, permetteva di incidere la voce umana su un particolare supporto apposito. Tale strumento era costituito essenzialmente da “un imbuto, al fondo del quale era disposta una membrana che azionava direttamente una punta di registrazione la quale, strisciando sopra una cilindro di carta stagnola, registrava le vibrazioni sonore incidendo, in senso normale all’asse del cilindro, un solco più o meno profondo sulla stagnola. Finita la registrazione, il cilindro veniva riportato nella posizione primitiva e la punta, ripercorrendo il solco, riproduceva il suono originale”12. L’incisione così prodotta, anche se di scarsa qualità, dimostrava l’avvenuta registrazione e consentì così il rilascio del brevetto per la nuova invenzione.

11 CLARK R.W. , Edison. L’uomo che ha fatto il futuro , Ed. Sperling & Kupfer , Milano, 1979.

12 ENCICLOPEDIA ITALIANA TRECCANI, http://www.treccani.it/enciclopedia/fonografo/

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Nel 1878 Edison fondò la “Edison Speaking Phonograph Company”

la quale si pose come obiettivo, tuttavia, solo quello di esporre al pubblico di tutto il mondo la nuova invenzione verso il pagamento di una tariffa.

Successivamente nel 1887 Emile Berliner13 (1851-1929), originario della Germania, sviluppò nuovi studi nel campo della registrazione sonora, apportando un’importante modifica al fonografo già esistente:

l’utilizzazione dei dischi piatti al posto dei cilindri.

L’incisione veniva realizzata su un disco di zinco ricoperto da una sostanza a base di cera. Il supporto veniva poi immerso nell’acido per far si che sullo stesso si formassero i solchi corrispondenti a quelli creati sul materiale ceroso.

L’intuizione fondamentale dell’inventore tedesco fu quella di aver compreso la possibilità di utilizzare il disco di zinco come matrice per produrre copie dell’originale che egli decise di realizzare in un composto di gommalacca particolarmente resistente. 14

Il limite del grammofono, rappresentato da una meccanizzazione a manovella che produceva una registrazione e riproduzione imprecise, risultò poi di fatto un vantaggio poiché il prezzo poco elevato al quale venne offerto al pubblico ne decretò il successo su grande scala.

13 CALZINI M., Storia tecnica del film e del disco: due invenzioni, una sola avventura., Ed. Cappelli, Bologna, 1991.

14 CALZINI M., Op. Cit.

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Emile Berliner fin dal 1897 iniziò ad interessarsi al mercato europeo per creare un’alternativa alle possibilità di gestire un’attività di produzione del grammofono in America. 15

Inviò quindi i suoi diritti di brevetto a Londra e nel 1898 conferì alla nuova “Gramophone Company” (filiale per la fabbricazione dei supporti) la licenza esclusiva di produrre grammofoni e dischi in Europa.16

L’organizzazione dell’attività discografica era molto primitiva e spesso una sola figura all’interno di un’azienda curava operativamente la produzione e la registrazione di un’opera.

Tuttavia nella fase successiva, la fabbricazione delle copie dei dischi, grazie ai nuovi sistemi di duplicazione, poté rapidamente avviare una crescita esponenziale della produzione che risultò inarrestabile fino agli anni ’30.

Possiamo quindi affermare che l’invenzione della registrazione e della riproduzione sonora della fine del XIX secolo crearono i presupposti per la nascita di un’industria discografica che ebbe come pionieri le prime case produttrici di fonografi e grammofoni.

Se inizialmente, specialmente negli Stati Uniti, i brevetti registrati attribuivano un diritto esclusivo per la fabbricazione dei riproduttori sonori e dei supporti musicali, in breve tempo la produzione dei secondi si distaccò da quella dei primi e si avviò così la diffusione di

15 CALZINI M., Op. Cit.

16 CALZINI M., Op. Cit.

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etichette impegnate solo nell’ambito discografico, e più in generale venne a formarsi un panorama competitivo più variegato.

La musica viene sostanzialmente trasformata in un oggetto, e attraverso la fissazione e archiviazione su un supporto essa diventa quindi ri-producibile e ri-vendibile.17

“Nella prima metà del XX secolo quindi, l’industria discografica cambia il suo core business dalla gestione dei diritti d’autore (i proventi derivanti dalle esecuzioni di brani noti e dalla vendita di spartiti) , alla produzione e vendita di dischi per la riproduzione casalinga.” 18

Negli anni a venire decresce sempre più l’importanza del diffuso modello di Tin Pan Alley 19 basato sullo sfruttamento delle edizioni.

“La discografia moderna nasce quindi con la riproducibilità seriale della musica, ottenuta tramite le tecnologie di registrazione di uno studio: una canzone viene incisa per essere stampata in migliaia/milioni di copie, virtualmente identiche l’una all’altra.” 20

17 G.SIBILLA Op. cit. p.32

18 G.SIBILLA Op. cit.

19 Tin Pan Alley (“Vicolo della padella stagnata”) è il nome dato all’industria musicale newyorkese che dominò il mercato della musica popolare nordamericana tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo. In seguito il termine fu usato per designare l’intera industria musicale. L’origine del nome pare derivare dal suono cacofonico dei pianoforti, proveniente dalle finestre delle sale di prova, che ricordava quello ottenuto percuotendo padelle di stagnate.

http://it.m.wikipedia.org/wiki/Tin_Pan_Alley

20 G.SIBILLA Op. cit.

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1.3. L’evoluzione della discografia moderna: i quattro periodi principali.

Si possono distinguere sostanzialmente quattro periodi principali nella storia della discografia:

 La nascita (fine Ottocento – anni cinquanta del Novecento) : il passaggio dal modello di Tin Pan Alley, basato sullo sfruttamento delle edizioni, alla fonografia;

 Il boom (anni cinquanta-settanta): l’avvento del rock’n roll e l’uso dei media come vetrina per i prodotti discografici;

 Il digitale (anni ottanta): l’avvento del CD e la riconversione del catalogo nel nuovo formato;

 La crisi (dagli anni novanta ad oggi): il declino del supporto fisico e la musica digitale smaterializzata.21

Il boom della discografia coincide con l’avvento del rock’n roll , quindi con l’espansione economica del secondo dopoguerra: la musica popolare trova nuove forme (ad esempio il modo di comunicare trasgressivo di Elvis Presley, che si ribella alla musica popolare precedente), nuovi canali (il simultaneo uso di stampa, radio e TV come vetrine per i nuovi artisti) e un nuovo pubblico, i giovani che usano il consumo musicale come stile identitario e di vita.22

21 G.SIBILLA Op. cit. p.32

22 Ibidem

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La fioritura artistica della musica e il suo impatto sociale e culturale vivono alti e bassi: si pensi alla stagnazione dei primi anni settanta del Novecento e al riflusso di trasgressione del punk di fine decennio. 23 Per l’industria della musica la nuova stagione arriva a partire dagli anni Ottanta, con la prima introduzione del digitale e del CD, che supera tutti i limiti del supporto precedente, il vinile: qualità dell’ascolto, durata, tecnologia facilità d’uso. 24

Il CD, permette all’industria di rivendere tutto il catalogo, con bassi costi di produzione.

Da allora, praticamente ogni disco è stato rimasterizzato, ristampato e rimesso sul mercato, spesso anche più volte (e sempre con qualche novità per stuzzicare i collezionisti): si pensi, per fare un esempio, a dischi “storici” come “Abbey Road” dei The Beatles o “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd, ristampati almeno tre – quattro volte a partire dagli anni ottanta.

In sostanza, l’industria ha vissuto una florida stagione rivendendo ai consumatori non solo nuovi prodotti, ma anche ciò che già avevano.

Questa stagione si è ormai esaurita: il quarto periodo, quello attuale, vede la crisi. “I dati del mercato italiano 2005 elaborati da Price – WaterhouseCoopers per la FIMI (Federazione delle industrie musicali italiane) dicono che in cinque anni l’industria ha perso il 25% del suo fatturato.” 25

23 G.SIBILLA Op. cit. p.33

24 Ibidem

25 Ibidem

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L’avvento di internet e delle innovazioni tecnologiche in generale, ha inciso fortemente in senso negativo nel settore.

Si ritiene che la causa principale di tale tracollo sia la “pirateria musicale” ; una piaga sempre presente ma esplosa con il digitale: dai masterizzatori al file sharing (lo scambio illegale della musica nel formato digitale, attraverso le reti telematiche), è sempre più facile procurarsi musica illecitamente e senza pagare.26

Infatti, oggi è possibile per chiunque in tempo reale, accedere, tramite computer collegato alla rete, ad opere musicali protette dal diritto d’autore per poi ascoltarle, condividerle con altri utenti, o scaricarle in modo completamente gratuito, attraverso siti web che non prevedono alcuna forma di tutela verso gli autori, gli interpreti e i produttori discografici.

Negli ultimi anni si è assistito ad un tentativo, effettuato direttamente dalle case discografiche, di vendere tramite la rete i prodotti musicali a prezzi contenuti per il pubblico, nella speranza di poter affermare un

“downloading legale” in contrapposizione alla ormai diffusa procedura illegale. Ma tale tentativo è fallito miseramente.

Nell’era della musica smaterializzata in file come l’MP3 inoltre, è in atto un chiaro processo di disaffezione verso la musica come oggetto originale, che comprende anche il suo packaging: copertina, libretto

26 G.SIBILLA Op. Cit. p.33 ; ASSANTE E., BALLANTI F. La musica registrata.

Audino, Roma, 2004.

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ecc. , ed anno dopo anno si è assistito ad un inesorabile declino delle vendite dei CD musicali sia in Italia che nel mondo.

Le dannose conseguenze sono state immediate: un numero sempre minore di copie originali di musica distribuite nei punti vendita ha generato una minore propensione ad investire in nuovi artisti, ha determinato una perdita di posti di lavoro nel settore discografico ed ha fatto si che i costi della lotta a tali fenomeni tendano a ripercuotersi sui consumatori finali.27

Come conseguenza l’industria musicale ha cercato di dare nuove risposte:

“Il compito della discografia è quello di rielaborare i significati della musica adattandoli al contesto del consumo: rendere cioè la musica consumabile dal pubblico e trasmissibile sui media.”28

Talvolta i discografici riescono a scoprire e lanciare sul mercato artisti e tendenze che non solo generano introiti, ma incidono effettivamente sulla cultura e sul costume del tempo.

“E’ il talent scouting che ha reso famosi non solo i nomi dei grandi artisti, ma anche quelli dei discografici che li hanno scoperti: da Chris Blackwell (fondatore della Island e scopritore di Bob Marley e U2) a Clive Davis (Santana), a John Hammond Jr (Bob Dylan, Bruce Springsteen).” 29

27 D. DOGLIO, “Internet e industria discografica: fra minacce e opportunità”, in Economia della Cultura, 2/2003, Il Mulino, Bologna, p.180

28 G.SIBILLA Op. Cit. p.34

29 Ibidem

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Talvolta, specie negli ultimi anni, questo si trasforma invece in un demerito: la discografia appiattisce i propri prodotti su tendenze ormai consolidate, orientando la funzione di scouting verso fattori non musicali come ad esempio l’immagine, e adeguandosi ad un minimo comun denominatore sempre più superficiale ; semplicemente si vuole rispondere a standard imposti dall’esterno (quelli radiofonici e quelli delle emittenti videomusicali come MTV):

si pensi, per esempio, al fenomeno delle boy band degli anni novanta, che sembravano studiate a tavolino come pura applicazione del marketing a prodotti in cui il talento musicale era di fatto completamente assente.30

Il lavoro dell’industria discografica è di quelli definibili “ad alto rischio d’impresa”: “necessita di grandi investimenti in nuovi artisti e repertorio” , come spiega il sito della FIMI. 31

Possiamo affermare che per dieci dischi diversi pubblicati, uno solo copre le spese sostenute ed il suo successo ripaga molti altri dischi pubblicati con scarso esisto (commerciale, s’intende; la valutazione del talento artistico va tenuta distinta: un disco reputato ottimo dalla critica può vendere poche migliaia di copie ed essere in perdita).32 In sostanza, solo una minima percentuale genera introiti che servono a coprire i costi degli altri prodotti e a far guadagnare l’impresa. Ad

30 G.SIBILLA Op. Cit. p.34 ; SILVA F., RAMELLO G. Dal vinile ad Internet.

Economia della musica tra tecnologia e diritti, Fondazione Agnelli, Torino, 1998.

31 G.SIBILLA Op. Cit. p.35

32 Ibidem.

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esempio, un disco degli U2 paga il lavoro svolto per pubblicare una miriade di altri artisti i cui dischi vendono poche migliaia di copie.

La conseguenza di questo processo è che più spesso l’industria lavora sulla ricerca di personaggi che rispondano a certi canoni predeterminati e che possano produrre un successo immediato, piuttosto che sullo sviluppo a lungo termine di artisti in grado di produrre musica di alta qualità.

E’ lecito quindi affermare che, in tempi di vendite costanti, la discografia si bilanciava tra ricerca, vendite e sviluppo di artisti; in tempi di crisi come questi è fortemente sbilanciato verso la ricerca di successi immediati, anche se momentanei ed effimeri.33

Questo processo porta la discografia a giustificare l’alto prezzo del disco: secondo i discografici, 20 euro sono un prezzo equo per un CD.

“Come spiega il sito della FIMI, su questo prezzo incide fino al 40%

il margine di ricavo di commercianti e distributori; un circa 20% è derivato dall’ IVA (il disco è incluso nella fascia più alta di tassazioni ed è considerato un bene di lusso). Rimangono circa 10 euro, che servono alla discografia per gestire i costi diretti e quelli indiretti.” 34

33 G.SIBILLA Op. Cit. p.35

34 Ibidem

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Tra i costi diretti sostenuti dalle case discografiche rientrano ricerca e sviluppo artistico (il cosidetto A&R), registrazione, fabbricazione, percentuale dell’artista, S.I.A.E. 35.

Nei costi indiretti rientrano invece distribuzione, marketing e promozione, amministrazione.36

Probabilmente l’esistenza di una domanda di prodotti musicali insoddisfatta a causa dei prezzi di vendita al pubblico ritenuti

“eccessivi” e spesso fuori dalla portata dei potenziali fruitori, ha determinato e alimentato il successo del fenomeno della pirateria.

Sia il legislatore che lo stesso settore discografico, di fronte a queste problematiche, non hanno saputo offrire i rimedi necessari: non si è saputo tenere il passo della frenetica e costante evoluzione tecnologica, tardando ad approntare una specifica disciplina per i nuovi diritti digitali e rispondendo alla pirateria con norme spesso inefficaci.

35 Società che tutela e/o gestisce i diritti degli autori.

36 G.SIBILLA Op. Cit. p.35

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1.4. La struttura odierna del mercato discografico.

La struttura attuale del mercato discografico prevede essenzialmente tre categorie di etichette:

 Le Major – etichette legate a multinazionali che detengono gran parte del mercato musicale mondiale.

 Le Indipendenti – o Indies etichette che autoproducono e promuovono i propri prodotti indipendentemente dal circuito delle multinazionali (ma spesso legate ad esse con accordi distributivi o di cooperazione)

 Le Vanity label – etichette fondate e gestite da un artista, in genere per avere un certo grado di libertà da una o più etichette principali che ne distribuiscono la produzione.37

Il consolidamento dell’industria musicale avvenuta negli anni ottanta, portò poche compagnie multinazionali ad avere il controllo della maggior parte delle più grandi etichette.

Oggi infatti possiamo definire tale mercato come un oligopolio governato da un gruppo ristretto di major . Quest’ultime controllano quasi il 75% del mercato musicale e costituiscono di fatto un

“cartello” in grado di deciderne l’andamento, influenzandone tendenze economiche e acquisizioni.38

37 http://it.wikipedia.org/wiki/Etichetta_discografica

38 G.SIBILLA Op. Cit. p.37

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Tutte le major sono il risultato di fusioni e concentrazioni tra imprese, ed infatti, nel tempo, il loro numero si è modificato: dalle “Big Five”

siamo arrivati nel 2012 alle “Big Three”.

Tali multinazionali operano su territori globali e fanno parte di vaste aziende dell’intrattenimento: ciò significa che il loro processo di produzione è vincolato da diversi fattori tra cui la localizzazione.39 L’industria discografica è infatti sì “globale”, ma anche fortemente centralizzata nei Paesi anglosassoni dove le sedi nazionali rispondono a quelle centrali mondiali, situate per lo più negli Stati Uniti. 40

Questo, sia in termini economici e di bilancio, sia in termini di scelte produttive, ha una notevole importanza in quanto le cosiddette

“priorità” (gli artisti su cui investire economicamente) sono imposti dall’esterno del singolo contesto culturale ed economico.

Possiamo quindi affermare che le major operano come “mediatrici culturali” : controllano il mercato, decidendo quali tendenze e generi spingere e quali frenare, spesso secondo i canoni “anglofili” appena descritti.41

La restante quota di mercato mondiale della musica, che si aggira intorno al 25%, è detenuta dalle etichette indipendenti; questa percentuale in realtà è molto frastagliata in quanto si vede la presenza sia di micro indies che pubblicano 1-2 dischi all’anno, sia di etichette che per struttura e dimensione sono simili a piccole major.

39 G.SIBILLA Op. Cit. p.36

40 Ibidem

41 Ibidem

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Le case discografiche minori, numerosissime, hanno un ambito di operatività ristretto dovuto anche alle scarse risorse finanziarie a disposizione, ma la loro presenza è fondamentale perché, oltre a garantire la salvaguardia dello sviluppo creativo con la produzione di nuovi talenti,42 consentono il mantenimento di una elevata competitività sul mercato globale.43

Il rapporto tra indies e major si può definire contemporaneamente di conflitto e collaborazione.

Se leggiamo la distinzione in termini manichei possiamo chiamare le prime “il bene” e le seconde “il male” in perenne conflitto tra di loro, con le major pronte a sfruttare le indies come testa di ponte in nuovi segmenti di mercato e a far valere i loro soldi al momento giusto per appropriarsi degli artisti più promettenti e dei cataloghi più ricchi.44 Per certi versi possiamo affermare che sia così.

E’ altrettanto vero però, che alcune indies sono solo parzialmente indipendenti: si occupano di produrre musica tutt’altro che “di nicchia” , ed hanno una struttura complessa ed articolata.

Il maggior punto di collaborazione tra indipendenti e major sta proprio nella delega di alcune funzioni che riguardano la distribuzione del prodotto.

42 Si può infatti registrare la tendenza delle multinazionali a stipulare contratti soprattutto con artisti già affermati, riducendo il rischio di perdite; tocca quindi alle case discografiche minori o “indipendenti” cercare nuovi talenti da presentare sul mercato con tutti i relativi rischi di insuccesso.

43 D. DOGLIO, “Industria e mercato del disco”, in Economia della cultura, 1/2001, pag. 56

44 G.SIBILLA Op. Cit. p. 53

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Capita spesso infatti che un’etichetta indipendente si appoggi ad una major, cedendo una percentuale dei ricavi del prodotto e tale

“licenza” può agire su tutto il catalogo o sul singolo disco.45

“Nel tempo si è assistito spesso al caso di artisti di calibro che, una volta esaurito il proprio contratto con una major, si sono messi in proprio pubblicando da soli i propri dischi e cedendoli, di volta in volta, al miglior offerente.” 46

E’ successo con i Pearl Jam che per alcuni dei loro dischi pubblicati hanno stretto un accordo con la J Records di Clive Davis (parte della BMG, successivamente inglobata dalla Sony; quest’ultima, ironia della sorte, era l’etichetta precedente del gruppo).

Il vantaggio è duplice per entrambi: l’artista o l’etichetta indipendente controlla direttamente i propri guadagni, senza dover spendere soldi e tempo per allestire una struttura di lavoro destinata a durare il tempo di un solo prodotto. La major, d’altra parte, non ha costi di produzione, ma lavora a percentuale, prestando la propria forza lavoro già operativa su altri prodotti. Le reti distributive costano, dunque affittare quella di una major per le etichette indipendenti è la soluzione più semplice.47

Possiamo quindi affermare che la distinzione manichea suddetta sia uno dei tanti miti romantici che ormai circondano l’industria musicale.

45 G.SIBILLA Op. Cit. p. 53

46 G.SIBILLA Op. Cit. p. 54

47 G.SIBILLA, Ibidem

(25)

25

1.4.1. Le major discografiche: dalle “Big Five” alle “Big Three”, ruolo e struttura aziendale.

Abbiamo constatato come il controllo del mercato musicale sia essenzialmente in mano alle major e come ognuna di queste risulti essere il risultato di fusioni e acquisizioni che hanno modificato nel tempo la discografia moderna.

Inizialmente potevamo individuare cinque major, un tempo note come “Big Five”:

 Universal Music Group

 Warner Music Group

 Emi Group

 Sony Music Entertainment

 Bertelsmann Music Group

A seguito della fusione tra Sony Music e Bertelsmann Music Group, nel 2004 è nata la Sony/BMG e le major sono diventate “Big Four”, e poi dal novembre 2012 , a seguito dell’assorbimento di Emi da parte di Sony e Universal, “Big Three”.48

Queste “grandi sorelle” incorporano ognuna al loro interno marchi storici della discografia e i rispettivi “repertori”, ovvero il catalogo di artisti sotto contratto o di cui se ne detengono i diritti di pubblicazione.49

48 http://it.wikipedia.org./wiki/Etichetta_discografica

49 G.SIBILLA, Ibidem

(26)

26

La Universal Music è parte della multinazionale dell’entertainment e al suo interno sono riunite la Mercury/Island, la PolyGram (con tutto il suo storico repertorio degli anni ottanta; per un breve periodo è stata la maggiore compagnia al mondo) ed altre;

La Sony/BMG ( oggi Sony Music, in seguito all’acquisto del controllo esclusivo su di essa da parte di Sony avvenuto nel 2008) che grazie alla fusione tra le due compagnie ha fornito, in termini di repertorio, un catalogo impressionante (Dylan, Springsteen, Michael Jackson e molti altri) che si è aggiunto ai vantaggi derivanti dalla precedente acquisizione della Columbia (produzione discografica, cinematografica e televisiva).

Le EMI ha un catalogo ancora più importante, anche se la quota di mercato è sensibilmente più bassa: Pink Floyd, The Beatles, Vasco Rossi. Incorpora al suo interno etichette come Blu Note, Capitol e Virgin.

Infine la Warner che include etichette come Atlantic, Elektra ed altre, e vede sotto contratto artisti come Madonna, Alanis Morissette e Laura Pausini. 50

L’attuale crisi nel settore ha ridimensionato notevolmente la possibilità di lavoro nella grande industria discografica :

l’organico è stato ridotto in modo decisamente apprezzabile, riducendo di conseguenza le possibilità di accesso tramite i tradizionali canali di collocamento.

50 G.SIBILLA, Ibidem

(27)

27

“Dal punto di vista delle professioni, le major sono sicuramente l’anello più debole della catena della produzione e della comunicazione musicale.”51

La struttura aziendale prevede innanzi tutto una prima macrodivisione interna per “aree di repertorio”, ognuna delle quali è dotata di quattro livelli di lavoro sul prodotto (a cui si aggiungono le tradizionali strutture amministrative/gestionali di una grande azienda):

1. Reparto Artistico – che cura lo sviluppo del prodotto musicale 2. Marketing e Promozione – che studia le strategie e le tattiche

di immissione e lancio sul mercato

3. Edizioni – cura la gestione dei diritti d’autore

4. Distribuzione – gestisce la commercializzazione sul territorio.

Ad esempio, la Sony Music italiana ha almeno quattro aree di repertorio: una classica/jazz (con tutte le relative sottoetichette) e tre divisioni pop (il repertorio Columbia, il repertorio Epic, ed il repertorio BMG). Ognuno di questi reparti ha un proprio ufficio marketing e promozione, mentre (a differenza della Universal o della Warner) per quanto riguarda il profilo “artistico” , esso è trasversale ai tre dipartimenti senza distinzione tra prodotti italiani e

51 G.SIBILLA, Ibidem

(28)

28

internazionali. E’ presente poi una struttura comune di distribuzione commerciale, mentre le edizioni fanno vita a parte. 52

Va notato che la suddivisione in aree di repertorio delle major è spesso una risultanza delle fusioni da cui le stesse major sono originate: le industrie vengono accorpate fisicamente (trasferendo le aziende nella stessa sede) e simbolicamente (l’immagine verso l’esterno), ma mantengono una propria identità originaria al loro interno. Ognuno dei reparti ha un direttore, che risponde al direttore italiano della casa discografica, che a sua volte risponde ad un capo europeo.

“Come avviene in tutte le fusioni, uno dei due gruppi dirigenziali

“vince”: le cariche vengono affidate al management di una o dell’altra casa discografica preesistente, mentre le cariche intermedie e più basse di livello vengono accorpate e ridotte di numero.”53

Nella fusione Sony/BMG a vincere è stato il management della Sony, infatti la sede comune e le cariche dirigenziali più alte sono rimaste di quest’ultima; a differenza di altre fusioni però, la nuova struttura ha mantenuto ben distinguibili le entità originarie, conservando anche diverse cariche intermedie: per questo è stata definita una fusione

“morbida”.54

Analizziamo ora i vari livelli di lavoro sul prodotto.

52 G.SIBILLA, Ibidem

53 G.SIBILLA, Ibidem

54 G.SIBILLA, Ibidem

(29)

29

1. L’ A&R , la sigla sta per “ Artist & Repertoire ”, indica quello che in Italia viene chiamato “reparto artistico”. E’

sostanzialmente due cose: un talent scout ed un manager interno alla casa discografica, ed il suo compito è quello di fare da interfaccia tra il musicista con il suo entourage e l’apparato produttivo della discografia.

Innanzi tutto il reparto artistico deve scoprire, contattare, e mettere sotto contratto artisti che arricchiscano il repertorio della casa discografica. I criteri utilizzati per la scelta sono diversi e vanno dal talento dell’artista (la sua capacità di scrivere e/o interpretare canzoni in modo originale), alla sua capacità di esibirsi su un palco, alle sue caratteristiche d’immagine. Chiaramente il tutto deve rispondere a criteri economici e/o d’immagine.55

L’A&R può rivolgersi sia ad artisti nuovi ed emergenti, sia ad artisti già conosciuti in cerca di un rilancio discografico o insoddisfatti dei rapporti con la precedente casa discografica, e tale distinzione non è irrilevante: i primi, infatti, hanno una forza contrattuale ridotta e devono subire i condizionamenti e gli obiettivi di mercato dettati dalla casa discografica, mentre i secondi sono sicuramente più in grado di far valere le proprie scelte.56

55 G.SIBILLA, Ibidem

56 G.SIBILLA, Ibidem

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30

In secondo luogo il reparto artistico deve curare lo sviluppo del talento, essere un buon diplomatico facendo capire all’artista le ragioni dell’industria ma senza sconfinare quelle del talento: “il musicista viene indirizzato verso ambiti che possano avere riscontri commerciali e mediali”.57

Uno degli effetti della crisi discografica è che le major si aspettano risultati pressoché immediati da parte degli artisti, a cui non viene dato il tempo di crescere artisticamente e senza troppe pressioni: se un nuovo artista messo sotto contratto non ottiene risultati al primo album, difficilmente gli viene concessa un’altra possibilità. Periodicamente infatti il reparto artistico esamina il catalogo e decide su quali prodotti continuare ad investire e quali invece eliminare con la rescissione del contratto.58

In terzo luogo, una delle competenze principali dell’ A&R è la sensibilità artistica che però deve essere unita anche ad una solida base economica, infatti ad esso spetta tutta la gestione della produzione esecutiva e del budget per realizzazione di un disco.

2. Il reparto Marketing e Promozione è composto da quell’insieme di persone che pianificano e attuano le strategie comunicative di un disco e di un artista.

57 G.SIBILLA, Op. Cit. p.41

58 G.SIBILLA, Ibidem, p.42

(31)

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Questo settore, nell’epoca dei media, è diventato il più importante ed anche quello in cui si fanno maggiori investimenti perché vendere ai media un prodotto discografico è fondamentale per riuscire a sedurre il pubblico verso l’acquisto.

I “marketing manager” e i “product manager” delle case discografiche sono responsabili rispettivamente delle strategie e delle tattiche operative: sotto la supervisione di un responsabile di promozione/marketing (che coordina tutti gli uffici) decidono su quali media investire, su quali forme pubblicitarie, e presiedono la realizzazione di spot per radio e tv. Solitamente le campagne marketing vengono svolte sul singolo disco e mai sul marchio.59

Il rapporto con i media assume per lo più la forma della promozione, in una sorta di do ut des: la concessione gratuita di contenuti (dischi, videoclip, brani per le radio) in cambio di visibilità (recensioni, interviste, inserimento nella programmazione broadcasting). 60

Il piano di promozione che viene studiato per ogni singolo disco in uscita, prevede una lista di media sui quali insistere e singole emittenti o testate alle quali rivolgersi, ritenute “le più adatte” per ogni singolo prodotto.

59 G.SIBILLA, Ibidem

60 G.SIBILLA, Ibidem, p.47

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E’ difficile che un’emittente video musicale o una hit radio possano programmare il nuovo singolo di un artista rock tradizionale come ad esempio Bruce Springsteen.

Quest’ultimo al contrario potrà concedere un’intervista esclusiva ad una rete televisiva o radiofonica, un’anteprima esclusiva del disco ad una radio “adulta” ricevendo in cambio un lancio pubblicitario sull’emittente stessa o su testate parenti.61

Una parte di questo reparto si occupa specificatamente delle radio, che sono ritenute il medium più importante per lanciare un disco: il compito è tenere i contatti con i programmatori convincendoli a mettere in rotazione le canzoni, organizzare i

“radio tour” nei quali accompagnare gli artisti.

Un compito analogo ha il reparto televisivo, che si occupa della distribuzione dei videoclip e di far pressione perché entrino in rotazione sulle reti televisive, di pianificare e accompagnare gli artisti ospiti in tv.

Il ruolo della stampa è discusso: ormai è una dato accertato che giornali e riviste musicali non sono in grado di aumentare significativamente le vendite di un disco, tuttavia ottenere buone interviste e recensioni porta vantaggi all’immagine, sia della casa discografica che per gli artisti. Gli uffici stampa delle etichette hanno il compito di tenere i rapporti con le

61 G.SIBILLA, Ibidem, p.48

(33)

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testate e giornalisti, di fornire loro le copie promozionali dei dischi in modo da far uscire le recensioni in contemporanea, organizzare le interviste ecc.62

3. Le Edizioni “si occupano di gestire i diritti d’autore connessi alle opere musicali”.63 Il principio di base è avere sotto contratto autori prolifici e stimati, le cui canzoni vengano eseguite il più possibile, in modo da incassare sui diritti connessi e gestire lo sfruttamento economico.

Come abbiamo già visto questo meccanismo ricalca il modello di sfruttamento della musica preesistente a quello attuale, quello di Tin Pan Alley basato sulle edizioni.

Da allora però sono cambiate diverse cose:

in primis, nella musica odierna, l’autore coincide spesso con l’interprete; inoltre oggi la musica viene incisa, e non solo eseguita in pubblico.

Conseguentemente i profitti vengono generati sia dai diritti derivanti dalle interpretazioni dal vivo, sia da quelli derivanti dalle riproduzioni in pubblico delle registrazioni (radio, tv ecc… ).

Oggi infatti, questo settore, nella gestione dei diritti d’autore si occupa sia dei diritti di esecuzione musicale (DEM) sia dei diritti di riproduzione meccanica (DRM). I primi riguardano il

62 G.SIBILLA, Ibidem

63 G.SIBILLA, Ibidem, p.42

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“performing”, cioè tutto ciò che ha a che fare con la riproduzione in pubblico, radio o televisione dell'opera, i secondi, sono i “mechanicals” e sono percepiti sulla base delle vendite generate dalla fissazione dell'opera su supporto meccanico, attraverso il pagamento del bollino SIAE da parte della casa discografica.64

Il diritto d’autore, disciplinato dalla legge speciale n.633 del 1941, ha lo scopo di tutelare i frutti derivanti dall'attività intellettuale attraverso il riconoscimento di una serie di diritti morali e patrimoniali. L'esercizio in forma esclusiva di questi diritti da parte dell'autore, permette a lui e ai suoi aventi causa di remunerarsi per un periodo limitato nel tempo attraverso lo sfruttamento commerciale dell'opera65, ricevendo ogni anno delle royalties.

Su questi diritti si può vivere di rendita: scrivere una canzone di grande successo può assicurare un’entrata costante fino alla scadenza dello stesso diritto d’autore, che decade dopo 70 anni dalla morte dell’autore.

I diritti fonomeccanici sono solitamente detenuti da chi paga materialmente la registrazione di un brano, quindi chi ne possiede fisicamente anche i masters, ovvero le registrazioni originarie. Tale proprietà determina la possibilità di decidere

64http://it.musicbusiness.wikia.com/wiki/Amministrazione_e_tutela_del_diritto_d'a utore

65http://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_d'autore

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come e quando ristampare un’opera e come sfruttarla economicamente.66 La legge però stabilisce che la durata dei diritti fonomeccanici è di 50 anni: ciò significa che decorso tale termine dalla registrazione di una traccia, chiunque può legittimamente usare la stessa pagando i diritti al solo autore del pezzo. “Nel 2006 infatti sono scaduti i diritti che garantivano l’esclusività del possesso di alcune incisioni storiche del rock’n roll; ora sono di dominio pubblico e chiunque le può stampare e immettere sul mercato.”67

Un’altra peculiarità delle edizioni è che spesso hanno una contrattualizzazione distinta dalla registrazione: un artista può avere un contratto con una casa discografica per i suoi dischi, e con un’altra per la promozione.

Il collante di tutto è la compilazione di moduli da girare alla SIAE, un ente economico di diritto pubblico che svolge dei compiti per conto dello Stato; ad essa sono iscritti tutti gli autori di opere dell’ingegno (musica, libri, spettacoli vari) e la stessa percepisce soldi da chi realizza o pubblica musica (la discografia) o la diffonde in pubblico (radio e tv, locali, discoteche ecc..) e poi gestisce materialmente i resoconti in

66 G.SIBILLA, Ibidem, p.44

67 G.SIBILLA, Ibidem

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base ai quali vengono pagati annualmente i diritti dovuti ai legittimi proprietari.68

4. L’ultimo reparto, la Distribuzione, ha il compito di garantire il soddisfacimento della domanda innescata dal marketing, rendendo fisicamente disponibile il prodotto nei negozi e garantendogli una visibilità adeguata.

Questo reparto si occupa di organizzare e gestire una rete di agenti che venda ai negozianti i prodotti, spingendoli a ordinare più copie possibili al fine di lanciare il prodotto (visibilità in vetrine, scaffali ecc..). 69

Un disco di Adriano Celentano, Zucchero , U2 ha vita facile:

la richiesta sarà comunque alta da parte dei negozianti. Più difficile è convincere una radio o un negoziante a scommettere su un artista nuovo, sul quale l’industria sta investendo. Il lavoro della distribuzione è quindi molto complesso e approndito, e deve raggiungere tutti gli angoli del territorio.

Non è un caso che le reti più sviluppate siano quelle delle major, che possono lavorare su un grande numero di prodotti, e che le etichette indipendenti si appoggino spesso su queste reti, perché non sono in grado (o non hanno prodotti a sufficienza) per crearne di autonome.

68 G.SIBILLA, Ibidem, p.45

69 G.SIBILLA, Ibidem

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Storicamente, la vendita della musica è al dettaglio: il negozio di fiducia che vende solo musica e poco altro; ma negli ultimi anni la musica ha visto un progressivo aumento della grande distribuzione: i megastore gestiti da catene (Feltrinelli, Mondadori ecc.) in grado di vendere diversi prodotti (libri, dvd, cd, elettronica) e di adottare prezzi più bassi lavorando su grandi quantità.70 Questa concorrenza sta progressivamente mettendo in difficoltà i piccoli negozi, ed è fondamentale per la discografia stare al passo con tutti i nuovi canali di distribuzione che nel tempo si aggiungono progressivamente (la distribuzione digitale, e-commerce ecc.).

1.4.2. Le etichette indipendenti, le “Vanity label” e le “Netlabel”.

Il concetto di etichetta indipendente nasce inevitabilmente col concetto di musica indipendente, ovvero musica che segue schemi non condivisi dalla politica delle majors, e musicisti che non vedono di buon occhio quest’ultime in quanto accusate di non vedere la musica come opera d'arte o messaggio all'ascoltatore, ma semplicemente come prodotto da mettere in commercio per trarne il massimo profitto.71 Viene considerato quindi un grande vanto la reputazione di non aver mai stretto accordi né aver mai cooperato con alcuna major.

70 G.SIBILLA, Ibidem

71 http://it.wikipedia.org/wiki/Etichetta_discografica_indipendente

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Nei primi anni ottanta, nella scena del punk nasce l’etica del DIY (Do it Yourserlf), che incoraggia le band all’autoproduzione e auto distribuzione dei propri dischi, una sorta di fai dai te.72

Nascono così le etichette indipendenti (o Indies), slegate alle multinazionali e che, come abbiamo visto, attualmente detengono circa il 25% della quota di mercato a livello mondiale.

Verso la fine degli anni novanta esse iniziarono infatti ad assumere un ruolo maggiormente rilevante grazie all’utilizzo di studi di registrazione privati, di masterizzatori CD, e grazie alla diffusione di Internet ed alla generale diminuzione delle spese di produzione.

“Il metodo di produzione è quindi spesso artigianale e basato sulla passione: hanno strutture produttive ridotte basate su un entourage di persone ristretto, si occupano di produrre dischi in cui credono innanzitutto artisticamente, il più delle volte rientrando a malapena nelle spese sostenute.”73

Le etichette indipendenti possono permettersi una diffusione radiofonica e televisiva decisamente limitata ed hanno minori vendite rispetto agli artisti sotto contratto con una major; anche se il loro prodotto è più basato sulla “qualità” piuttosto che sulla quantità, il prezzo del prodotto è di fatto fisso: comprare un CD prodotto da un’indipendente di quell’artista di culto costa sempre lo stesso di quello di un artista diffuso.

72 http://it.wikipedia.org/wiki/Etichetta_discografica

73 G.SIBILLA, Ibidem, p.52

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Per questo, tuttavia, spesso succede che per quanto riguarda la distribuzione fisica del prodotto, vengano stretti accordi con le major o con etichette specializzate in distribuzione.

Le etichette indipendenti spesso individuano tendenze di consumo che poi esplodono sul mercato di massa: uno dei generi di maggior successo degli anni novanta, il “grunge” di Seattle, è partito da una piccola casa discografica locale, la Sub Pop, che pubblicava dischi di band come i Nirvana o Soundgarden. I Nirvana sono esplosi firmando poi con una major. La stessa Sub Pop, come molte altre etichette di successo , è stata poi assorbita da una multinazionale. 74

Una delle funzioni principali delle etichette indipendenti è quella di

“sviluppare” gli artisti, cioè consentire loro di crescere senza le pressioni dei risultati immediati richiesti da una major, e possiamo tranquillamente affermare che in tempi di crisi discografica la produzione di dischi e artisti “di nicchia” (che diversamente non troverebbero spazio sul mercato) è sempre più delegata alle Indies perché le major ormai cercano di investire solo su artisti più o meno di successo “sicuro”. Per questo motivo esse garantiscono una certa competitività sul mercato globale.

Occasionalmente succede anche che alcuni artisti già affermati, dopo aver terminato il contratto con una major firmino per un’etichetta indipendente. Questo gli permette di sfruttare la propria notorietà già

74 G.SIBILLA, Ibidem, p.52

(40)

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acquisita per disporre di una maggiore libertà nella produzione dei propri album.75

Alcune etichette addirittura sono fondate e gestite dall’artista stesso: è il caso delle c.d. “Vanity label” (letteralmente “etichette di vanità”).

Lo scopo in genere di tali strutture è quello di avere un certo grado di libertà da una o più etichette principali.

Il fenomeno potrebbe rientrare nella categoria “Editoria a pagamento”

(autori a proprie spese) anche se generalmente le Vanity label sono finanziate dalle relative etichette principali (più che dallo stesso artista) che ne distribuiscono la produzione.76

Esempi di Vanity label rilevanti sono:

la Apple Records, fondata dai The Beatles nel 1968, che ha promosso artisti come appunto i The Beatles, John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr, Yoko Ono, James Taylor ecc.., e che risulta essere legata alla major Emi;

la Rolling Stones Records, fondata dai Rolling Stones nel 1971 che ha promosso lo stesso gruppo e che risulta essere legata alla Warner Music Group;

Ancora la Maverick Records, fondata da Madonna nel 1992, che promosso artisti come la stessa Madonna, Alanis Morissette, Michelle Branch, etichetta ormai gestita da Warner Bros Records.

75 http://it.wikipedia.org/wiki/Etichetta_discografica

76 http://it.wikipedia.org/wiki/Vanity_label

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In generale, possiamo affermare che le label indipendenti si riconoscono per le seguenti caratteristiche:

Il proprietario è un artista (cantante /musicista /dj ) il cui fine è autoprodursi e/o produrre amici e/o produrre artisti esterni;

l'organigramma è spesso composto dal solo manager, e qualche A&R che scopre e promuove nuovi artisti.

Le sedi sono spesso le case dei manager o piccoli uffici.

Niente a che vedere con le major che hanno intere strutture sparse per il mondo.

Presenta un’alta specializzazione in un genere musicale. Se non la presenta palesemente comunque si mantiene entro un certo campo d'azione (musica leggera, musica elettronica, musica rock).

Non sempre l'etichetta dispone di studi di registrazione, che spesso vengono noleggiati.

Il rapporto artista-etichetta è molto libero, non vincolante, ed è più basato sulla promozione della musica che sulla

promozione dell'immagine. Questo fattore rende preferibile per molti artisti l'etichetta indipendente.

Il contratto proposto all'artista non è di tipo esclusivo. Spesso un gruppo, un cantante o un musicista che si occupa di più

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generi, presenta le proprie opere all'etichetta che tratta quel particolare genere.

Spesso le etichette creano delle "sotto-labels" per specializzare le proprie produzioni attraverso un marchio. Un'etichetta che produce musica house può avere una sublabel per la musica house più elettronica e un'altra per quella più "soft". In ogni caso il rapporto tra la label e la sub label indipendente non è mai di forte egemonia come nel caso delle majors.

L'etichetta indipendente ha difficoltà nella diffusione capillare del prodotto, soprattutto al di fuori dei propri confini

nazionali. Si appoggia così ai cosiddetti "distributori" e concede "licenze".77

Dagli inizi degli anni novanta, il fenomeno del business degli spazi online, il boom del file sharing rafforzato dalle connessioni internet più veloci e dai costi frazionati dei dischi, ha generato la nascita di etichette discografiche on line (le c.d. netlabel) che si occupano di avviare la distribuzione attraverso il download a pagamento di musica.

Così nel ventunesimo secolo nasce il fenomeno delle “netlabel”, etichette indipendenti che si appoggiano esclusivamente al download digitale, permettendo di scaricare brani dai propri siti ma soprattutto

77 http://it.wikipedia.org/wiki/Vanity_label

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dai grandi portali di vendita di mp3 come iTunes, Yahoo Music e da quelli piccoli e specializzati, come ad esempio Beatport che tratta esclusivamente musica elettronica.78

Si tratta quindi di nuove Indipendenti che annualmente muovono un capitale altissimo: se negli anni passati per aprire fisicamente una propria etichetta discografica serviva un capitale considerevole, ad oggi i costi si sono drasticamente ridotti ed aprire un proprio spazio che possa già dall’inizio operare nel settore (compreso ufficio di comunicazione e marketing) necessita di un capitale iniziale sicuramente più accessibile. 79

Il risultato di tutto ciò è l’impossibilità di fare un elenco o un censimento di tutte le etichette indipendenti presenti sulla Terra, perché, proprio per la loro natura indipendente, questo mercato si mostra come estremamente frammentato e fatto di miriadi di piccoli operatori che producono i propri artisti su piccola scala e con piccoli volumi di vendite.

1.5. Il contratto discografico.

Il contratto discografico riveste un ruolo fondamentale nell’ambito del settore musicale in quanto la sua stipulazione fa nascere una serie di impegni da parte dei contraenti, un’artista nel campo musicale ed

78 http://it.wikipedia.org/wiki/Etichetta_discografica_indipendente

79 http://it.wikipedia.org/wiki/Etichetta_discografica

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