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LA CRITICA SUL Sentiero dei nidi di ragno

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Il mio lavoro di tesi è strutturato in due parti distinte: l’analisi del romanzo Il sentiero dei nidi di ragno e il lavoro sperimentale svolto nelle Scuole Secondarie di primo e secondo grado in Calabria e in Toscana riguardante i programmi scolastici su Italo Calvino.

Il nesso che unisce le due parti è proprio il Sentiero, primo romanzo dell’autore.

La particolarità del romanzo sta nella grande capacità di Calvino di trasformare in gioco fantastico un’intera realtà; la sua invenzione stupisce il lettore; il suo stile e linguaggio attira la lettura. L’occhio del romanzo è Pin, un bambino che vive la guerra come un gioco: quindi la violenza, la sofferenza, la distruzione del conflitto appaiono ai suoi occhi come uno spettacolo.

Nel Sentiero i punti di vista sono differenti come diversi sono gli sviluppi interpretativi; proprio per questi motivi è un romanzo proposto molte volte come lettura estiva agli studenti della Scuola Secondaria di primo grado, ma soprattutto è testo preso in esame dal docente nelle Scuole Secondarie di secondo grado, in quanto è un’opera che può essere inserita in un percorso d’autore o tranquillamente nella storia della letteratura italiana come esempio di romanzo neorealista.

Oltre al Sentiero sono altre le opere prese in esame dal docente per spiegare al meglio la poetica di Italo Calvino. Certamente la creatività fantastica dell’autore si riscontra soprattutto nelle opere Fiabe italiane e Marcovaldo, testi affrontati nella Scuola Secondaria di primo grado per far comprendere meglio

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temi complessi della nostra realtà; il fantastico raggiunge alti livelli con il ciclo I nostri antenati; il fantascientifico con Le Cosmicomiche.

Si può dire che Italo Calvino è uno scrittore che affronta diversi generi letterari e il suo stile semplice e la sua mente creativa attira qualsiasi tipo di lettore.

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ITALO CALVINO: IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO

La grande importanza di Calvino scrittore è da ricercarsi non solo nell’ingegno della sua visione intellettuale, nella capacità inventiva e nella tensione morale della sua narrativa, ma anche nel senso della ricerca con cui egli traduce in scrittura la riflessione sul rapporto tra l’individuo e la contemporaneità, nelle relazioni gnoseologiche ed etiche che determinano il suo continuo interrogarsi sulla natura, nei limiti e nelle possibilità del fare letterario per comprendere e rappresentare la realtà.

Italo Calvino è forse il narratore italiano più importante del secondo Novecento. Nato a Santiago de Las Vegas (Cuba) il 15 ottobre 1923; da padre agronomo e madre botanica riceve un’educazione laica aperta e civile. Calvino si iscrive inizialmente alla Facoltà di Agraria a Torino per poi abbandonarla e frequentare la Facoltà di Lettere, laureandosi con una tesi su Joseph Conrad nel 1947.

Calvino vive le esperienze essenziali della storia intellettuale del dopoguerra, segue le trasformazioni della cultura italiana e internazionale, mantenendo sempre una certa razionalità e una volontà di capire i diversi aspetti della realtà. Percorre un lungo cammino, dall’impegno giovanile degli anni della Resistenza al mondo frantumato degli anni Ottanta, aderisce a molte delle principali tendenze letterarie a lui coeve, dal Neorealismo al Postmodernismo, ma mantenendo sempre una certa distanza da esse e sviluppando un proprio percorso di ricerca. 1

1 Per le notizie biografiche cfr. Italo Calvino, Romanzi e Racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, vol. I, Cronologia, 1991, pp. LXIV- LXXXVI; Silvio Perrella, Calvino, Roma, Laterza, 1999, pp. 3-26; Luca Baranelli e Ernesto Ferreri, Album Calvino, Milano,

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Le sue opere approfondiscono aspetti diversi e contrastanti in quanto Calvino è sempre alla ricerca di forme di conoscenza più adatte ai complicati aspetti della realtà. Oltre alle opere compiute elabora una serie vastissima di progetti e abbozzi, di interventi giornalistici, di riflessioni, giudizi critici, prefazioni a testi della più varia letteratura. Il quarantennio della sua attività si può suddividere in due periodi di quasi identica lunghezza: quello fra 1945 e il 1964, e il successivo dal 1964 al 1985. Noi ci soffermeremo essenzialmente sul primo periodo che, a sua volta, si può suddividere in due momenti: la fase neorealistica e la fase fantastica - allegorica.

Come detto, a Torino Calvino frequenta la Facoltà di Lettere ed entra subito in contatto con gli intellettuali legati alla casa editrice Einaudi, e in primo luogo con Vittorini e Pavese. Quest’ultimo, considerato dal nostro romanziere maestro di vita e di formazione culturale, lo educa ai severi principi dell’impiego editoriale e lo spinge a pubblicare il primo racconto importante e poi a scrivere un romanzo. Però dopo il suicidio di Pavese il 27 agosto del 1950, il giovane Calvino, in quel momento avventizio presso Einaudi, rimane stupito, in quanto vede decadere la figura di questo grande maestro.

Nonostante ciò Calvino rimane a Torino per quasi un ventennio, impiegato nella casa editrice Einaudi, dove comincia a lavorare nel 1947 per l’ufficio stampa e la pubblicità, divenendo successivamente un importante dirigente. L’ambiente einaudiano è anche luogo di formazione, di amicizie, di incontri intellettuali.

Inoltre, sempre in questi anni, inizia a collaborare con l’Unità e con diverse

Mondadori, 1995; Francesca Serra, Vita di Italo Calvino in Calvino, Roma, Salerno Editrice, 2006, pp. 18- 32.

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riviste, divenendo scrittore sui giornali di quell’immediato dopoguerra. Sempre a Torino inizia la militanza politica nelle file del Partito comunista italiano.

Un altro luogo importante nella vita di Calvino è la Liguria; oltre all’articolo che inaugura la sua produzione saggistica (Liguria magra e ossuta, edito nel ’45 sul

«Politecnico»), in Liguria sono ambientati gli esordi narrativi (il romanzo resistenziale Il sentiero dei nidi di ragno e i racconti di Ultimo viene il corvo).2

Dunque la prima metà del Novecento è per Calvino un periodo in cui l’attività di scrittore, saggista e militante politico procedono di pari passo: da un lato la collaborazione con la stampa comunista («l’Unità», «Rinascita», «Il Contemporaneo»), dall’altra il lavoro nella redazione della casa Einaudi e, subito dopo la morte di Pavese, la vena fantastica ed estrosa.

2 Mario Barenghi, Introduzione Un po’ di storia (e di geografia) in Italo Calvino, le linee e i margini, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 15-31.

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CALVINO E I MOVIMENTI POLITICI E CULTURALI DI QUEGLI ANNI

La guerra mondiale sconvolge la vita di provincia di Calvino proprio nel pieno della ricchezza cosmopolita e culturale che si addensa nel circondario di Sanremo, destinandolo così a una serie di vicissitudini. In Europa migliaia di civili si impegnano contro l’avanzata tedesca; in Italia prendono parte alla lotta partigiana uomini e donne di tutte le condizioni sociali che non solo rifiutano l’ordine nuovo, ma lottano con tutto quello che si cela dietro il fascismo.

In seguito alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943, Calvino fonda il Movimento universitario liberale (MUL), e dopo l'8 settembre si orienta verso i comunisti. Nel giugno del ’44 si arruola nel XVI distaccamento della IX brigata garibaldina (comunista) Felice Cascione. Il distaccamento di Calvino si scioglie a fine giugno dopo una sconfitta a Sella Carpe. Tra l’ottobre e il novembre 1944 Calvino partecipa con il fratello Floriano alla brigata garibaldina sanremese Giacomo Matteotti, viene catturato durante un rastrellamento, poi arruolato d’ufficio nella Repubblica Sociale e relegato nel Deposito Provinciale di Imperia, da cui riesce a fuggire. Inoltre nell’autunno dello stesso anno la madre viene presa in ostaggio dai tedeschi per un mese, e il padre per altri due.

Tra il febbraio e l’aprile 1945 Calvino milita con suo fratello nella II divisione d’assalto garibaldina Felice Cascione; partecipa a più battaglie, tra cui quella vittoriosa di Bregalla e quella infruttuosa di Baiardo, che nel 1974 rievocherà nel racconto Ricordo di una battaglia. Tra i suoi compagni, alcuni futuri personaggi del Sentiero dei nidi di ragno: Giuseppe Vittorio Guglielmo e Ivar Oddone (rispettivamente, nel romanzo, il comandante Ferriera e Kim).

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L’esperienza della guerra è per Calvino fondamentale sia come uomo sia come scrittore. Sino allora Calvino era chiuso in una realtà protettiva e ordinata, così scopre improvvisamente la violenza, la morte, il sangue, il disordine della vita, possiamo definirla la fine dell’illusione infantile della felicità.

La situazione politica italiana prodotta dalla Resistenza, dalla scelta istituzionale della Repubblica, dal ripristino dei diritti democratici sollecita il dibattito in sede culturale e letteraria. Gli anni del dopoguerra dal 1945 al 1948 sono anni di incredibile attività intellettuale; discussioni e polemiche per l’esigenza di una cultura nuova si intrecciano sulle numerose riviste che stanno nascendo. Tra queste di grande spicco è «Il Politecnico», diretto da Elio Vittorini e pubblicato a Milano tra il 1945 e il 1947, che si fa promotore di un modello di cultura liberatrice e operativa, coinvolta nella società. Importante è anche la posizione di Cesare Pavese, estraneo all’esperienza del Politecnico, che elabora una posizione personale sempre diffidente verso una letteratura sociale.3

In questo clima di acceso dibattito politico e culturale si sviluppa la stagione più ricca di quel movimento letterario che siamo soliti definire

«Neorealismo». Ciò che fin dall’inizio caratterizza l’impegno dei neorealisti fu la scelta di un nuovo comportamento intellettuale che li rende protagonisti del momento storico che l’Italia sta vivendo. I temi fanno parte della realtà: la guerra, la lotta partigiana, le fatiche di tutti i giorni. Per rappresentare la realtà il più fedelmente possibile, gli autori neorealisti utilizzano uno stile antiletterario e antiformalistico che si avvicina al parlato. Però la letteratura neorealistica si basa su presupposti ideologici fragili e non del tutto chiari, non riuscendo a volte a

3 Cfr. Gian Carlo Ferretti, Calvino giornalista e saggista 1945-1985, Roma, editori Riuniti, 1989.

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cogliere la complessità della realtà circostante. Il Neorealismo rappresenta comunque nella nostra storia letteraria un grande tentativo di saldare insieme livelli differenti della coscienza nazionale e civile italiana da un punto di vista sia tematico sia linguistico.

L’insieme della produzione letteraria che si estende in questi anni (tra il 1944 e il 1947) può essere definita «letteratura resistenziale». Tra gli intellettuali è forte e vivo il bisogno di raccontare l’esperienza tragica della guerra che loro stessi hanno vissuto. La letteratura diventa, così, uno strumento con il quale questi giovani scrittori manifestano il proprio impegno. Un primo modo attraverso cui si esprime tale desiderio di testimonianza e di narratività è rappresentato dai diari, dai quaderni o dalle annotazioni personali dei partigiani, che in alcuni casi sfociano in pubblicazioni di tipo memorialistico.

Calvino considera il Neorealismo, più che una corrente unitaria, un incontro di alcune individualità che hanno vissuto la stessa esperienza storica.

Così scrive:

Il Neorealismo non fu una scuola […] Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche, o specialmente, delle Italie fino ad allora più inedite per la letteratura.4

Dunque il Neorealismo si nutre soprattutto di un nuovo modo di guardare il mondo, di una morale e di un’ideologia nuova, tipica della rivoluzione antifascista e partigiana. Vi è la necessità di manifestare la miseria dell’Italia e questo bisogno

4 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Prefazione dell’autore, Torino, Einaudi, 1972, p. 9.

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di impegno concreto nel reale si traduce in racconti e romanzi ispirati alla Resistenza e alla vivace rappresentazione della realtà.

Coniugare dunque Resistenza e letteratura vuol dire portare in primo piano un filone tematico con limiti precisi; in pratica si tratta di vedere come viene presentato un argomento storico, analizzando i contenuti e delineando le diverse rappresentazioni.

Vale la pena di riportare le parole di Calvino della prefazione del 1964:

L’esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo […] Questo ci tocca oggi, soprattutto: la voce anonima dell’epoca più forte delle nostre inflessioni individuali ancora incerte. L’essere usciti da un’esperienza- guerra, guerra civile- che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari, drammatiche avventurose, ci si strappava la parola di bocca. La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d’olio, ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorsi […] ci muovevamo in un multicolore universo di storie.5

Quindi tutti raccontano un’esperienza, di cui sono stati protagonisti, anche se non tutti la scrivono. Alle storie vissute personalmente o di cui si è spettatori, ciascuno

5 Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Prefazione dell’autore, pp. 7-8.

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aggiunge quelle che arrivano già come racconti. Dunque durante la guerra partigiana le storie appena vissute si trasformano in storie raccontate, sono i fatti a parlare e l’unica preoccupazione è trasmettere la verità.

C’è da dire che chi parla di dopoguerra sa che il clima sta cambiando, sa che i valori della Resistenza trovano sempre meno posto nella nuova Italia repubblicana, così vuole comunicare la propria esperienza affidandosi alla forza dei fatti. Ecco così il genere diaristico: i fatti sono narrati singolarmente, non importa quello che pensa l’autore, l’oggetto non sono le sue riflessioni, ma il combattimento, le ferite, i morti. Per tali motivi si spiega il successo del racconto in questo periodo; anzi i racconti precedono i romanzi, in quanto il racconto per la sua brevità è più idoneo a trasferire nella letteratura d’invenzione l’andamento cronachistico per episodi staccati. Nel momento invece in cui si passa al romanzo, vi è il problema della voce dell’autore e della veridicità dei fatti. Il romanzo presenta fatti di invenzione, anche se su base fattuale: ricatturare quella atmosfera di verità dei racconti memorialistici diventa difficile, in quanto il romanzo implica la costruzione di una trama, l’allestimento di una serie di personaggi e delle loro storie interconnesse.

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VERSO IL ROMANZO

Quando Calvino inizia a scrivere il suo primo romanzo (Il sentiero dei nidi di ragno) ha già scritto alcuni racconti. Il materiale cui attinge è il medesimo (la propria esperienza di partigiano e la vasta letteratura memorialistica), ma il passaggio alla forma più ampia del romanzo impone allo scrittore una serie di problemi riguardanti le scelte poetiche.

Precedentemente gli scrittori partigiani avevano scritto diari, memorie o racconti e gli esempi letterari a cui Calvino può ispirarsi rispecchiano scelte culturali ed esperienze biografiche molto lontane dalle sue. Da una parte c’è Elio Vittorini con Uomini e no, in cui l’autore annulla la propria biografia e diventa l’anonimo gappista lanciabombe Enne 2; dall’altra invece Cesare Pavese che stava lavorando a La casa in collina.

Di questi scrittori partigiani Calvino accetta il punto di vista iniziale, il loro dare un valore assoluto alle cose viste e fatte, rifiuta la polemica contro il romanzo, contro l’invenzione e contro la sovrapposizione soggettiva ai fatti. Gli scrittori partigiani, come detto, non hanno mai scritto romanzi, solo diari e memorie: Calvino non può seguirli scrivendo un’autobiografia perché non accetta la parzialità della propria visione, in quanto la vede come una riduzione della propria esperienza.

Proprio Calvino così scrive: «Già negli anni Cinquanta il quadro era cambiato, a cominciare dai maestri: Pavese morto, Vittorini chiuso in un silenzio d’opposizione…»6.

6 Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Prefazione dell’autore, pp. 23-24.

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Calvino quindi, avendo egli stesso combattuto da partigiano, il romanzo sulla Resistenza non può che inventarselo e costruirselo da solo, mettendo alla prova sia la propria capacità di scrittore sia quella di intellettuale.

Nell’intento di partecipare a un concorso per la narrativa indetto dall’editore Mondadori, il nostro scrittore scrive il breve romanzo Il sentiero dei nidi di ragno, che non vince il concorsoma piace a Pavese, che lo fa pubblicare da Einaudi nel 1947. Con questo breve romanzo, con numerosi brevi racconti scritti nell’immediato dopoguerra, con la sua prima attività giornalistica e pubblicistica, Calvino offre l’immagine più fresca, giovanile e vitale del neorealismo e della stagione dell’impegno politico.

Si riscontra soprattutto in questo romanzo e anche nelle sue prime opere una rappresentazione nitida e immediata, che tocca la realtà con spontanea leggerezza. I ricordi dell’adolescenza e le vicende della lotta partigiana appaiono qui come occasione di conoscenza del mondo; in ogni gesto, paesaggio, avventura, Calvino cerca di trovare il significato dell’esistenza. Attraverso il racconto l’autore cerca di conoscere la vita. La libertà conquistata con la Resistenza si manifesta anche in questa nuova possibilità di raccontare, nell’aprirsi a una comunicazione immediata, vitale.7

Cesare Pavese nella sua recensione al Sentiero afferma che per raccontare non è necessario «creare i personaggi, bensì trasformare dei fatti in parole.

Trasformare dei fatti in parole, non vuol dire creare una pagina che sia un

7Annalisa Ponti, Come leggere il sentiero dei nidi ragno di Italo Calvino, Milano, Mursia, 1991, pp.

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doppione della vita, ma sviluppare un fatto tra i fatti, una creatura in mezzo alle altre»8 e Calvino ci riesce.

Diremo allora che l’astuzia di Calvino è stata quella di «arrampicarsi sulle piante, più per gioco che per paura, e osservare la vita partigiana come una favola nel bosco, clamorosa, variopinta».9

Calvino, quindi, prende le distanze dalla memorialistica partigiana e crea il romanzo, prende la distanza dall’autobiografia come visione parziale e crea un personaggio: Pin, per il quale la vita è un irrisolvibile dramma di contatto con gli altri, sicché si sente costretto ad eliminare il dolore proiettando le cose a distanza, come ricordo o come speranza.

Temi fondamentali del Sentiero dei nidi di ragno sono il gioco, il mondo dei grandi, il loro linguaggio, la natura, la storia. La prima fondamentale invenzione del libro è Pin; è Pin che dà alla penna di Calvino «l’agilità dello scoiattolo».10 Attraverso il suo sguardo l’orrore della guerra si trasforma in qualcosa di avventuroso:

Questi sono posti magici, dove ogni volta si compie un incantesimo. E anche la pistola è magica, è come una bacchetta fatata. E anche il Cugino è un grande mago, con il mitra e il berrettino di lana, che ora gli mette una mano sui capelli e chiede: - Che fai da queste parti, Pin?11

8 Cesare Pavese, «l’Unità» 26 Ottobre 1947.

9 Ivi

10 Ivi

11 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1947, p. 195.

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Come si può notare la pistola rubata al tedesco non è per Pin uno strumento di morte, ma un oggetto magico tanto da trovargli un nascondiglio che solo lui conosce: il nido dei ragni. È un luogo segreto tra l’erba; i ragni fanno delle tane tappezzate di erba secca e i loro nidi sono un’invenzione tutta calviniana. I ragni, si sa, non fanno i nidi, ma se Calvino immagina che li facciano, è perché gli piace che animali come i ragni abbiano un luogo buio dove rifugiarsi e dove poter tessere i loro fili. Come si può notare anche Calvino ha la necessità di costruirsi un luogo separato per essere in grado di scrivere, ossia un luogo che filtra e allontana la presenza diretta del mondo.

Il Sentiero narra la Resistenza attraverso il punto di vista straniato di Pin, questo bambino che continuamente spia i grandi, osserva i loro movimenti cercando di capire le ragioni della vita adulta. Pin è un ragazzino di 11 anni, che guarda la guerra con lo stesso disincanto con cui guarda al mondo degli adulti;

non è un piccolo eroe e nemmeno un bambino ideale, ma è petulante e malizioso, pur se mantiene un fondo di candore e di ingenuità.

Il raccontare l’esperienza della Resistenza attraverso il punto di vista di un bambino è una scelta di mediazione, ossia una strada per mettere a distanza vicende davvero vissute. La figura di Pin da un lato esprime il senso d’inferiorità, di difficile integrazione con il mondo partigiano con cui Calvino visse l’esperienza della Resistenza; dall’altro lato, il tema del bambino rimanda invece a una particolare idea di mondo che il testo letterario vuol costruire. Attraverso il bambino è come se il reale fosse allontanato, per essere visto e scoperto per la prima volta, in modo diverso.

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La prima edizione del Sentiero dei nidi di ragno appare nell’ottobre del 1947 nella collana «I coralli» dell’editore Einaudi. Il romanzo è portato a termine tutto di un fiato nel dicembre del 1946, in venti giorni, dopo aver scritto lentamente il primo capitolo con un’interruzione di qualche mese. Sempre nello stesso anno, nel gennaio del 1946 Calvino pubblica sul Politecnico di Vittorini e sull’Unità una buona parte di quei racconti che poi sarebbero divenuti la prima raccolta di racconti, Ultimo viene il corvo del 1949.

Dunque si può capire come il romanzo non nasce prima dei racconti, anzi, casomai il contrario: sono i racconti che aprono la via al romanzo, spesso anticipandone alcuni brani alla lettera. Successivamente grazie all’incitamento di Pavese, Calvino si dedica al romanzo, queste le parole di Italo Calvino:

Io speravo di fare un librettino di raccontini, tutto bello pulito e stringato, ma Pavese ha detto no, i racconti non si vendono, bisogna che fai il romanzo. Ora io la necessità di fare un romanzo non la sento: io scriverei racconti tutta la vita.12

Intorno a lui tutti scrivevano romanzi: «Nicosia sta scrivendo un bel romanzo… anche Natalia scrive un romanzo. Anche Pavese scrive un romanzo… Anch’io ho cominciato un romanzo, ne ho scritto 4 pagine in una settimana. Passano delle giornata che non riesco a aggiungerci una virgola, delle giornata in cui penso se in quella frase ci sta meglio salito o montato».13

12 Lettera a Silvio Micheli dell’8 novembre 1946(L, p. 167)

13 Ivi, pp. 167-68.

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Il romanzo è diviso in dodici capitoli. Il primo inizia con la luminosità dei raggi del sole nei vicoli stretti di una città, per andare incontro allo scoppio acustico delle voci di strada: grida, accidenti, bestemmie.

Scendono diritti, i raggi del sole, giù per le finestre messe qua e là in disordine sui muri, e cespi di basilico e di origano piantati dentro pentole ai davanzali, e sottovesti stese appese a corde; fin giù al selciato, fatto a gradini e a ciottoli, con una cunetta in mezzo per l’orina. Basta un grido di Pin, un grido per incominciare una canzone, a naso all’aria sulla soglia della bottega, o un grido cacciato prima che la mano di Pietromagno il ciabattino gli sia scesa tra capo e collo per picchiarlo, perché dai davanzali nasca un eco di richiami e insulti.14

È un incipit orale ed esclamativo, che fa emergere il protagonista Pin da un luogo di miseria. Lo scempio del sesso e l’ostilità per il femminile alimentano la bestialità del bambino che frequenta l’osteria per cercare di avere un contatto con il mondo adulto, incontrando solo strafottenza e canzonature. Alla fine gli uomini lo sfidano a rubare la pistola al marinaio tedesco, che va con la sorella. È il rito di iniziazione per dare l’avvio all’avventura e mette in moto la trama del romanzo.

D’altronde bisogna dire che il Sentiero dei nidi di ragno è un’opera aperta, un’opera che non impone al lettore un unico senso, un unico sviluppo interpretativo, ma è concepita e costruita dall’autore in modo da stabilire con lui un rapporto di collaborazione attiva. Per raggiungere questo risultato Calvino opera su tutti i livelli dell’organizzazione del discorso, dando vita a un romanzo che, nel panorama della letteratura dell’epoca, risulta effettivamente nuovo.

14 Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, p.31.

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Sappiamo bene che il clima dell’immediato dopoguerra e la forte concretezza dell’esperienza partigiana hanno restituito alla cultura letteraria italiana l’illusione di poter tornare a stabilire una solidarietà tra la scrittura romanzesca e l’oggetto esterno. Per un periodo si crede di rappresentare la realtà oggettivamente, ma nel momento in cui Calvino si mette a raccontare scopre che in tal modo non è possibile cogliere la complessità e la contraddittorietà della realtà: quindi per restituire un senso alle cose e alla storia è necessario compiere un aggiramento intellettuale, mediato e astrattivo.

Il «romanzo sulla Resistenza», come qualsiasi scritto narrativo realmente adeguato alla novità del presente, deve ricomporre entro una struttura romanzesca, che non annulli le diverse voci e prospettive della realtà, materiale eterogeneo rielaborato, capace di riciclare situazioni e personaggi già presenti nei racconti della gente, nelle canzoni e canzonacce popolari, negli scritti e nelle riflessioni di origine colta e letteraria. Anche dai racconti delle avventure di guerra vissute in prima persona da Calvino o di cui egli era stato testimone, da quelli ascoltati o inventati, ma anche dalle letture e dalle discussioni colte, nasce il Sentiero dei nidi di ragno.

D’altronde questo primo romanzo è avvertito dall’ autore come qualcosa di

«molto scabroso e difficile»,15 un testo che racconta senza troppi filtri

«un’esperienza di malvagità e schifo»,16 presentandosi come «un boccone un po’

amaro da ingoiare per palati conservatori e benpensanti»17. Il tutto sensibilizzato,

15 Lettera a Marcello Venturi del 5 gennaio 1947 (L, p. 176)

16 Lettera a Eugenio Scalfari del 3 gennaio 1947 (L, p. 172)

17 Lettera a Marcello Venturi del 19 gennaio 1947 (L, p. 177)

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forse, dall’educazione famigliare, che porta i genitori a giudicare il libro «un insieme di sconcezze che non capiscono come il figlio abbia potuto scrivere».18 Così Calvino scrive, dopo vent’anni:

Quando ho scritto il libro, pensavo che questo avrebbe avuto un pubblico di poche centinaia di persone come succedeva allora per i libri di letteratura italiana, invece vedendo che tanta gente lo leggeva, il libro è anche cambiato di fronte ai miei occhi, al punto di pensare, ma come ho fatto a scrivere queste cose? e quindi mettersi a correggerlo.19

Il grande problema di Calvino è di rimanere catturato e imbalsamato dentro una definizione di scrittore da cui non riuscire più a liberarsi, ossia di prendere con il primo libro una forma definitiva, che non fosse la più appropriata a lasciare un segno vero e proprio e soddisfacente di sé.

Il Sentiero è un romanzo ambientato in un contesto storico e sociale estremamente concreto ma in cui a tratti l’andamento favoloso sembra prevalere su quello realistico, ciò di cui veramente si parla è il senso della storia. Il giovane scrittore non utilizza soluzioni narrative tradizionali: la storia del bambino Pin non si sviluppa coerentemente in rapporto alle sue avventure, la sua personalità non muta man mano che la narrazione si arricchisce di sempre più complessi temi ideologici, così come nessuno dei personaggi minori si modifica in rapporto alle azioni e nessuna delle loro visioni risulta dominante o vincente.

Come abbiamo ripetuto più volte il Sentiero mette in scena il giocare sullo straniamento, adottando il punto di vista di un bambino. Una regola base del

18 Lettera a Silvio Micheli del 20 giugno 1947 (L, p. 194)

19 RR I, 1247.

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romanzo riguarda il personaggio Pin che rimane dall’inizio alla fine, più che un personaggio, un tipo; o meglio una calamita di miseria, abbandono che regola la materia prima del racconto.

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PREFAZIONE DEL 1964

La Prefazione del 1964 al Sentiero dei nidi di ragno è uno dei testi di autocommento più famosi di Calvino. Lo scrittore illustra attraverso il libro tutta la Resistenza, e attraverso la Resistenza tutta un’epoca, nella quale si sente messo in discussione il rapporto stesso tra letteratura e vita. È soprattutto l’impostazione della prefazione ad essere sorprendente. Si tratta di un testo fatto di tanti inizi che sembra ricomincia nevroticamente sempre da capo.

Tra la scrittura del romanzo e quella della prefazione sono intercorsi quasi vent’anni, vent’anni di dibattiti cruciali per la nostra letteratura: le discussioni degli anni Cinquanta, la polemica sul realismo, l’avanguardia e i successivi libri dello scrittore, con le soluzioni così particolari e controcorrente. La rilettura calviniana a posteriori del suo romanzo di esordio non può quindi che essere mediata da quanto è successo nel frattempo. Ma il fascino profondo di questa riflessione è che, introducendo a tanti anni di distanza un’interpretazione così forte e stimolante, invece di fissare un significato definitivo, complica le prospettive in gioco e apre il romanzo a molteplici piani di lettura. Infatti il rapporto di Calvino con il protagonista del romanzo è molto più complesso di quanto lui stesso ci ha detto e coinvolge problematiche che vanno al di là dell’immediata tematica resistenziale.

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La prefazione del 1964, come detto, non è altro che un unico commento interrotto e ripreso da Calvino diverse volte per creare suspense e attirare l’attenzione del lettore. Dietro l’interruzione e la successiva ripresa del commento Calvino nasconde il desiderio di aggiungere sempre nuove cose, lascia i concetti in sospeso per poi riprenderli, cambiarli o aggiungerne dei nuovi.

Calvino inizia la prefazione delineando il contesto storico da lui vissuto e narrato, ossia il secondo conflitto mondiale, e oltre a sottolineare il disastro materiale e umano evidenzia l’esplosione letteraria successiva definita come un fatto

«fisiologico, esistenziale, collettivo»20. Inoltre Calvino mette in luce il periodo del suo primo romanzo con queste parole: «Molte cose nacquero da quel clima, e anche il piglio dei miei primi racconti e del primo romanzo»21.

Dunque la guerra mondiale, oltre a essere un’esperienza, è anche un modo per stabilire una comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico. La voglia di raccontare è tanta, perché ognuno ha vissuto momenti drammatici e vuole dare parola alla propria esperienza. Si racconta sui treni, nei negozi, nelle mense, ovunque è un proliferare di storie. In questo clima lo scrittore deve riportare non solo la propria esperienza o quella che ha visto, ma anche le storie arrivategli come racconti.

Quindi durante la guerra partigiana «le storie appena vissute si trasformano in storie raccontate la notte attorno al fuoco»22. Scopo dello scrittore non è quello di documentare o informare tramite questi racconti, ma quello di “esprimere”.

«Esprimere che cosa?»23si chiede Calvino.

20 Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Prefazione dell’autore, Torino, Einaudi, 1972, p. 7.

21 Ivi

22 Ibidem p. 8.

23 Ivi p. 8.

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Bisogna esprimere se stessi, il dolore, la violenza che si è appena vissuto. Con una similitudine artistica Calvino paragona il dolore della guerra alla musica: così come nella musica importante è la melodia e non lo spartito, così allo stesso modo nella guerra gli spari, i personaggi, i paesaggi, le didascalie politiche sono soltanto

«colore della tavolozza»24, ossia note del pentagramma, importante è esprimere il sapore aspro della vita.

Calvino conclude con queste parole: «il mio paesaggio era qualcosa di gelosamente mio, un paesaggio che nessuno aveva mai scritto davvero»25.

Il luogo cui fa riferimento è la Riviera Ligure e soprattutto la città di Sanremo.

Dunque il paesaggio è un modo per raccontare e spiegare cosa realmente si è vissuto; non sono i personaggi o le rovine a divenire oggetto di narrazione, ma la fusione degli occhi dello scrittore con il paesaggio esterno: così le ville di una volta divengono ora prigioni, i campi di garofani divengono terreni allo scoperto difficili da attraversare.

Calvino sospende, una prima volta, la prefazione affermando che la Resistenza rappresenta la fusione tra il paesaggio e la persona, ossia poter inserire storie umane nei paesaggi e poter raccontare campi, paesaggi, boschi ormai trasformati in terreni pericolosi con l’inseguirsi di uomini armati.

Calvino riprende la prefazione concentrandosi, ora, sull’ingenuità degli occhi del lettore. Nel Sentiero, afferma Calvino, i motivi della violenza e del sesso appaiono ingenui agli occhi del lettore, abituato a cose più bollenti, ma appaiono anche volutamente esterni e provvisori. Perché Calvino nota e scrive ciò? La

24Ivi p. 8.

25Ibidem p. 9.

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risposta si può ritrovare nel suo nuovo modo di osservare il mondo. Come ben sappiamo la prefazione è stata scritta venti anni dopo il romanzo, perciò Calvino ha già vissuto l’esperienza della guerra mondiale quindi ora osserva e vive il mondo con occhi diversi.

Altrettanto ingenua e voluta può apparire, secondo Calvino, la smania di innestare la discussione ideologica del racconto. Il romanzo ha una rappresentazione «immediata, oggettiva in immagini e linguaggio».

Calvino inserisce la discussione ideologica nel IX capitolo, nelle riflessioni del commissario Kim. Capitolo molto discusso dalla critica, tanto da consigliargli di ometterlo poiché difforme dal resto del romanzo. Nonostante tutto Calvino tiene duro, mantiene il capitolo così come era già stato stilato, perché era nato così, quindi bisogna accettare quel tanto di «composito e spurio»26.

Anche il tema lingua-dialetto è presentato da Calvino nella sua fase ingenua. Il Sentiero usa un linguaggio semplice, immediato, con modi di dire popolari e termini dialettali; Calvino cerca di far assorbire il dialetto e i modi di dire nella lingua.

Infatti Italo Calvino così scrive un «dialetto aggrumato in macchie di colore;

scrittura ineguale che ora quasi s’impreziosisce ora corre giù come vien viene badando solo alla resa immediata; un repertorio documentaristico che arriva quasi al folklore…»27.

Il nostro scrittore critica, ora, i personaggi da lui creati. Calvino si rende conto dell’eccessiva drammaticità dei personaggi del Sentiero, con troppi tratti esasperati e grotteschi, tanto da definire il secondo dopoguerra non più neorealista

26 Prefazione 1964, p.11

27 Ivi.

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ma «neo-espressionista». I volti dei personaggi del romanzo, compagni di Calvino, sono espressi in maniera «contraffatta, irriconoscibili, negativi»28

Dunque Calvino descrive i suoi compagni nel modo più negativo possibile perché la realtà è negativa, buia, oscura e soltanto nel negativo trova un senso poetico.

Però prova «anche rimorso verso una realtà variegata, calda e indefinibile, un rimorso verso le persone vere, un rimorso che mi sarei portato dietro per anni»29.

Un’ulteriore interruzione e un ulteriore inizio. Questa volta l’incipit è schietto e deciso: «Questo romanzo è il primo che ho scritto»30.

È come se Calvino con questa affermazione volesse giustificarsi o cercare comprensione nel lettore, sia per la materia trattata sia per lo stile utilizzato nel Sentiero. Il nostro autore prosegue descrivendo il suo disagio nello scrivere il romanzo; egli afferma, infatti, di essersi rapportato con «qualcosa di tanto più grande»31 di lui, ponendo il romanzo addirittura come un «imperativo»32. Ma dato che in quegli anni a Milano era stato pubblicato Uomini e no di Vittorini, Calvino ora afferma «bisogna avere il nostro di romanzo, con il nostro diverso ritmo, il nostro diverso andirivieni…»33.

Interessante è il commento sulla storia che Calvino elabora per confermare la scelta di scrivere un romanzo. La storia, secondo Calvino, influenza la letteratura indirettamente, in maniera lenta e tranquilla; non tutti i momenti storici

28Ibidem p. 12

29Ivi

30Ivi

31 Ivi

32Ivi

33Ivi

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hanno un loro romanzo, «ma una volta che si è direttamente testimoni di un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale»34.

È la responsabilità a spaventare Calvino che si sente troppo «piccolo» per affrontare temi impegnativi; così attiva la sua creatività, affrontando tutto non di petto ma di scorcio. Calvino crea Pin, o meglio crea gli occhi di Pin, occhi che guardano, osservano, vivono la guerra partigiana con l’ingenuità e la semplicità di bambino, senza però cancellare la violenza e il disastro bellico. «Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo…»35

Ancora una nuova ripresa della prefazione. Ora Calvino si pone subito una domanda: «Questo romanzo è il primo che ho scritto. Come posso definirlo, ora, a riesaminarlo tanti anni dopo?»36

Il nostro scrittore definisce, ora, il romanzo un esempio di «letteratura impegnata».37 Mentre oggi con questa definizione si intende una letteratura con una tesi già definita a priori e il compito è di illustrarla, l’impegno di cui parla Calvino può essere a tutti i livelli; per fare un esempio all’interno del romanzo, l’impegno può essere parola, stile, sfida.

L’autore spiega ora le motivazioni della scelta del tema della Resistenza, ossia afferma di voler combattere contro i detrattori della Resistenza e nello stesso tempo lancia una sfida ai sacerdoti di una Resistenza agiografica ed edulcorata.

Dopo questa spiegazione si sofferma sui partigiani: non però sui migliori, ma sui

34Ivi

35Ibidem p. 13.

36Ivi

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peggiori, ossia i «tipi un po’ storti»,38 poiché «anche semplicemente coloro che hanno partecipato alla lotta partigiana senza un chiaro perché, hanno sicuramente agito un’elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!»39.

Oltre alla letteratura d’impegno, in questo periodo Calvino nota il tentativo di «direzione politica»40 dell’attività letteraria. Scopo dello scrittore è creare l’eroe positivo, ossia delineare immagini normative e pedagogiche, quindi la funzione della letteratura è prettamente celebrativa e didascalica.

La risposta di Calvino a questo tipo di letteratura che la società acclama è opposta, ossia nessun tipo di eroe e nessuna coscienza di classe. Non importa chi è già un eroe e chi ha già coscienza, interessante è il processo per divenire eroe e successivamente il modo per rappresentarlo. Come detto già prima i suoi personaggi sono tipi, o meglio sono suoi compagni di viaggio, quali lui scrive dei quali scompone i tratti del viso e del carattere per poi provarne rimorso.

Dopo l’ennesima interruzione, Calvino nega la possibilità di aver scritto il Sentiero avendo tutto «ben chiaro in testa»41 e conferma il suo stato di confusione.

Inoltre Calvino sottolinea la casualità del romanzo: egli non ha in mente una trama precisa ma parte dal bambino monello (un elemento di osservazione diretta della realtà) e dal suo muoversi nel mondo dei grandi, per inventare tutto il resto (la sorella, la pistola rubata al tedesco); importante è l’arrivo tra i partigiani, un

38Ivi

39Ibidem p. 14

40Ivi

41Ibidem p. 15.

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trapasso difficile che minaccia di mandare tutto all’aria, così Calvino inventa il distaccamento del Dritto. Italo Calvino semplicemente racconta la propria esperienza ancora fresca e viva, stravolgendo e deformando i volti e le persone.

Subito dopo, Calvino apre un quadro sulla lettura e sull’esperienza di vita, non delineate come due entità separate, ma come una sola. Calvino elenca così una serie di romanzi sulla guerra già pubblicati, ossia:

 Per chi suona la campana Ernest di Hemingway sulla guerra di Spagna.

L’armata a cavallo di Isaak Babel nato dal rapporto tra l’intellettuale e la violenza rivoluzionaria.

 La disfatta di Aleksandr Fadeev.

Quindi dietro al Sentiero c’è questa letteratura; tuttavia solo Pavese capisce subito le intenzioni letterarie del giovane Calvino nel suo romanzo e nota l’elemento fiabesco.

La prefazione si conclude con un ragionamento sulle radici dello scrivere e sull’ipotetica fama che uno scrittore può avere: «Il primo libro è il solo che conta, forse bisognerebbe scrivere quello e basta, il grande strappo lo dal solo in quel momento»42. Con queste parole Calvino vuole sottolineare la paura di iniziare il romanzo, perché la prima opera inquadra e delinea l’immagine dello scrittore che egli si porterà dietro tutta la vita. Dunque bisogna sfruttare al meglio e non sprecare la prima e unica occasione di esprimersi: «l’occasione di esprimerti si presenta una volta sola e coincide di solito con il periodo della giovinezza, passato

42 Prefazione 1964 p. 17.

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questo momento, solo dopo diversi anni saprai i giudizi, quando ormai i giochi sono fatti»43.

«Per fortuna scrivere non è solo un fatto letterario, ma anche altro».

Questo altro è il giudizio sulla guerra partigiana. Calvino discute l’esperienza partigiana con un amico, ora medico; per entrambi la Resistenza è stata un’esperienza fondamentale, per l’amico maggiormente perché si è trovato ad assumere responsabilità serie (assume la carica di commissario di una divisione partigiana). I dialoghi tra Calvino e questo suo amico li ritroviamo in parte nelle parole del personaggio intellettuale del romanzo, il commissario Kim, che non è altro che il ritratto del nostro medico. La parte centrale del libro si sofferma su questa discussione, ma anche sulle riflessioni di violenza, di giudizio morale e di senso storico delle azioni.

Calvino conclude affermando come la casualità ha deciso per molti suoi coetanei da che parte dovevano combattere durante la guerra partigiana, e per molti le parti si invertono (da repubblicani diventano partigiani e viceversa). Solo la morte dà alle loro scelte un segno irrevocabile.

In questa nuova interruzione e ripresa della prefazione Calvino dà maggiore importanza al modo di raccontare l’esperienza partigiana. Inizialmente egli narra la guerra in prima persona ma nota subito un disagio nel non riuscire a esprimere i sentimenti, viene fuori sempre qualche stonatura.

Visti questi risultati Calvino inizia a scrivere racconti in cui non entra in prima persona, ma dove tutto viene narrato in maniera oggettiva, la pagina inizia a

43 Ivi

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prendere colore e l’esperienza dell’autore si moltiplica per le esperienze degli altri: «un racconto quanto era più oggettivo e anonimo, tanto più era mio».44 Calvino inizia a inserire nel suo racconto le storie di un ragazzetto partigiano che lui stesso ha conosciuto nelle bande, senza però rendersi conto che le storie di un personaggio gli avrebbero preso più spazio degli altri, e così nasce il romanzo.

«Perché si trasformò in un romanzo?»45 si chiede Calvino, perché c’è una forte identificazione tra lui e il protagonista e soprattutto forte è il rapporto tra il giovane Pin e la guerra partigiana, così come lo era per Calvino. Calvino oltre a questi due parallelismi delinea altre analogie tra lui e Pin: l’inferiorità di Pin nel mondo degli adulti corrisponde a quella che vive lui come borghese, la provenienza di Pin dal mondo della malavita, che lo fa sentire complice e superiore verso ogni «fuori legge», corrisponde al modo «intellettuale» d’essere all’altezza della situazione.46

La storia di cui parla Calvino è quella dell’adolescente che ha preso la guerra come un alibi, ma per il quale nel giro di pochi anni d’improvviso «l’alibi era diventato un qui e ora»47.

Calvino delinea un paragone tra il mondo oscuro e l’essere eroi nel periodo della guerra e la pace e il fervore delle nuove energie che ora animano tutte le relazioni. Di fronte a questo mondo che si apre Calvino è un innamorato incerto:

la strada della letteratura non gli si apre come un magistero disinvolto e distaccato, ma come una strada in cui non sa da che parte cominciare; anche se

44Ibidem p. 19.

45Ivi

46Ibidem p. 20

47Ivi

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carico di volontà gli è negata la spontanea grazia della giovinezza, il maturare impetuoso dei tempi ha soltanto accentuato la sua immaturità.

Dopo questo preambolo Calvino ripresenta Pin, il protagonista del romanzo, ossia un bambino per il quale le armi e le donne sono lontane e incomprensibili, continua confermando l’utilizzo di uno stile di lingua bassa:

l’italiano amato dal nostro scrittore è quello di chi «non parla l’italiano in casa».48 Conclude dicendo che «il Sentiero è nato da questo senso di nullatenenza assoluta»49 e subito riconosce il valore del romanzo, ossia il saldare due tipi di immagini, quella del «troppo giovane» (Pin e il mondo degli adulti) e l’indigenza degli esclusi e degli emarginati.

Nell’ultima ripresa della prefazione Calvino concentra tutta la sua attenzione sul romanzo definendolo un «prodotto», con un «mercato» e una sua

«domanda» e una sua «offerta».50 Inoltre Calvino esalta il romanzo di Beppe Fenoglio Una questione privata, il primo vero romanzo della Resistenza, anche se rimasto incompleto.

Il nostro scrittore riprende la prefazione con un’affermazione: «Il primo libro sarebbe meglio non averlo mai scritto».51

Calvino spiega così che la libertà di cominciare a scrivere si può usare una volta sola nella vita, quindi questa prima volta bisogna saperla sfruttare al meglio perché delinea l’autore e ne crea l’immagine che si porterà dietro per tutta la vita:

48 Ibidem p. 21.

49 Ivi

50 Ivi

51 Ibidem p. 22.

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«Il primo libro già ti definisce mentre tu in realtà sei ancora lontano dall’essere definito».52

In un secondo tempo Calvino prende di mira i giovani che cominciano a scrivere subito dopo un’esperienza vissuta e critica questo tipo di narrativa perché

«taglia i fili che legano il giovane ai fatti, brucia il tesoro di memoria»53. Questo scrivere subito, ossia sprecare nella prima volta la novità, viene definita da Calvino come una “violenza”; «le immagini privilegiate resteranno bruciate dalla precoce promozione a motivi letterari, mentre le immagini che hai voluto tenere in serbo, magari con la segreta intenzione di servirtene in opere future, deperiranno, perché tagliate fuori dall’integrità naturale della memoria fluida e vivente».54 Così l’esperienza, ricchezza vera dello scrittore, appena dà forma a un’opera letteraria insecchisce, si distrugge e «lo scrittore si trova ad essere il più povero degli uomini».55

Calvino conclude con un concetto alquanto pessimista, ossia guarda indietro a quella stagione piena di immagini e significati (la guerra partigiana), mesi che hanno contato per anni e da cui per tutta la vita si dovrebbe poter tirar fuori volti, paesaggi, pensieri, episodi, parole, e constata che ora tutto ciò risulta «lontano e nebbioso»56.

52Ivi p. 22.

53Ibidem p. 23.

54Ivi

55Ivi

56Ivi

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In conclusione possiamo dire che la prefazione che precede l’edizione Einaudi del 1964 del Sentiero dei nidi di ragno è una lettura piacevole quasi quanto il romanzo.

Come detto prima, Calvino abbandona il filo del discorso, lo riprende, lo riabbandona. Con questo suo stile Calvino delinea un bilancio della stagione del Neorealismo, in cui importante è raccontare la propria esperienza della guerra con uno stile chiaro e semplice.

Inoltre grande importanza viene concessa nella prefazione alla nascita del romanzo. Calvino, infatti, fa alcune considerazioni generali sulla letteratura, prendendo inizialmente come esempio i romanzi già pubblicati in quegli anni:

Paesi tuoi di Pavese e Conversazione in Sicilia di Vittorini; poi il romanzo di Pavese La casa in collina e quello di Vittorini Uomini e no pubblicati più o meno negli stessi anni del Sentiero.

Ma il nostro scrittore pone anche lo sguardo su alcuni romanzi stranieri: Per chi suona la campana di Hemingway, L’armata a cavallo di Babel e La disfatta di Fadeev.

D’altronde Calvino nel suo abbandonare il filo del discorso e riprenderlo inserisce alcuni ragionamenti sulle radici dello stesso scrivere. Egli sottolinea l’importanza della prima opera; individua l’errore dei giovani, i quali cominciano a scrivere subito dopo un’esperienza trasformando il libro nel mero resoconto di quell’esperienza; inoltre esorta a lasciar sedimentare nella memoria i propri ricordi: «quell’esperienza che custodita per gli anni della vita mi sarebbe forse servita a scrivere l’ultimo libro, […] non mi è bastata che a scrivere il primo».57.

57Ibidem p. 24.

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I PERSONAGGI DEL ROMANZO

I personaggi che Pin incontra nel corso della vicenda fanno parte di un insieme di tipi. I tratti caratteriali degli uomini e delle donne che popolano lo scenario del romanzo sono marcati e deformati dalle influenze dell’espressionismo che dominano la cultura letteraria del secondo dopoguerra.58 Le informazioni che vengono date sui personaggi del romanzo sono quasi sempre di tipo esteriore e tendenti alla caricatura. Quasi nessuno di loro raggiunge infatti la verosimiglianza dei personaggi tradizionali, imponendosi al lettore come una sorta di “maschera”: lo si vede soprattutto nelle scene collettive nelle quali i dialoghi non danno vita a scambi di opinioni ma sono come raggelati in uno sviluppo rigido e preordinato.

Si pensi ai volti trasformati in espressioni caricaturali: Pietromagro ha

«pupille incorniciate di giallo»59 e una «faccia gialla, pelosa come quella di un cane»60; il marinaio tedesco una «faccia quagliata, senza contorno, rasa fino alle tempie»61; la sentinella gabbata da Lupo Rosso spalanca «due occhi da animale cavernicolo»62; il Dritto è «un giovane magro, con uno strano movimento delle narici e lo sguardo incorniciato da ciglia nere»63; Cugino ha una «dolce faccia da mascherone di fontana»64.

58 Ponti, Come leggere il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, p. 55.

59 Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, p. 69.

60 Ibidem p. 71.

61 Ibidem pp. 30-31.

62 Ibidem p. 75.

63 Ibidem p. 99.

64 Ibidem p. 127.

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Da notare anche l’abbigliamento dei personaggi cui è affidato un ruolo importante per la loro caratterizzazione:

Nella mano sinistra hanno il berretto tenuto sul petto all’altezza del cuore:

Duca il berretto tondo di pelo, Conte un passamontagna di lana, Barone il grande cappello contadino nero; nella mano destra hanno ognuno una pistola puntata.65

Elemento non secondario nella caratterizzazione dei personaggi è l’attribuzione del nome, che richiama contemporaneamente la realtà partigiana e l’andamento fiabesco e simbolico della narrazione.

Qualche esempio: Pietromagro, il ciabattino presso cui lavora il protagonista, si chiama così per la sua magrezza; la sorella prostituta Nera di Carrugio Lungo richiama nel nome i «capelli da negra»; il nome del partigiano genovese che passa il tempo a leggere senza mai uscire dal casone, Zena il Lungo, riflette la pigrizia eccessiva del personaggio; l’appellativo Mancino fa invece probabilmente riferimento all’estremismo del personaggio, infine è lo stesso Lupo Rosso a raccontare la ragione del suo nome:

Quando il commissario mi ha detto che Ghepeù non andava bene, io gli ho chiesto come mi potevo chiamare, e lui mi ha detto: chiamati Lupo. Allora io gli ho detto che volevo un nome con qualcosa di rosso perché il lupo è un animale fascista. E lui mi ha detto: allora chiamati Lupo Rosso.66

65 Ibidem p. 117.

66 Ibidem p. 166.

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