• Non ci sono risultati.

Il Piano Casa in Lombardia: un quadro prospettico

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il Piano Casa in Lombardia: un quadro prospettico"

Copied!
45
0
0

Testo completo

(1)

289

Rivista bimestrale Anno XXXXVII Gennaio-Febbraio 2020 ISSN n. 0392-5005 € 10,00

u r b a n i s t i c a

CITTÀ E COVID-19.

Riflessioni dal mondo.

Urbanisti e

ricercatori di diversi paesi descrivono le condizioni dell’abitare e l’impossibilità

di generalizzare soluzioni associabili ai nostri stili e luoghi di vita. Il decennio

lungo del

PIANO CASA.

A circa dieci anni dall’Intesa Stato-Regioni si

valutano le diverse

esperienze regionali,

attraverso un esame delle

potenzialità

messe in campo e analizzando gli

effetti

che hanno

sortito.

Il

VERDE

nella città:

la sfida della

rigenerazione

e del

cambiamento climatico.

Un tema, indiscutibilmente centrale, anche

per i decisivi effetti sulla salute pubblica, in Italia e nel mondo.

PORTO

E CITTÀ:

una riflessione sul

Documento di Pianificazione

Strategica di Sistema

e quindi sui temi delle aree di interazione

porto città, dei waterfront, dello spazio di pianificazione marittima, della

(2)

Rivista bimestrale urbanistica e ambientale dell’lstituto Nazionale Urbanistica Fondata da Edoardo Salzano Anno XXXXVII

Gennaio-Febbraio 2020 Euro 10,00 Editore: INU Edizioni

Iscr. Tribunale di Roma n. 3563/1995; Roc n. 3915/2001;

Iscr. Cciaa di Roma n. 814190. Direttore responsabile: Francesco Sbetti Direttore: Francesco Sbetti

Redazione centrale: Emanuela Coppola, Enrica Papa, Anna Laura Palazzo, Sandra Vecchietti

Servizio abbonamenti:

Monica Belli Email: inued@inuedizioni.it

Consiglio di amministrazione di INU Edizioni:

G. De Luca (presidente), G. Cristoforetti (consigliere), D. Di Ludovico (consigliere), C. Gasparrini (consigliere), L. Pogliani (consigliere), F. Sbetti (consigliere).

Redazione, amministrazione e pubblicità: Inu Edizioni srl

Via Castro Dei Volsci 14 - 00179 Roma Tel. 06 68134341 / 335-5487645 http://www.inuedizioni.com

Comitato scientifico e consiglio direttivo nazionale INU: Alberti Francesco, Arcidiacono Andrea, Barbieri Carlo Alberto, Bruni Alessandro, Cecchini Domenico, Centanni Claudio, Engel Marco, Fabbro Sandro, Fantin Marisa, Fasolino Isidoro, Fiora Gianfranco, Fregolent Laura, Galuzzi Paolo, Gasparrini Carlo, Giaimo Carolina, Giannino Carmen, Imberti Luca, Lombardini Giampiero, Mascarucci Roberto, Mastrovito Giancarlo, Moccia Francesco Domenico, Passarelli Domenico, Pingitore Luigi, Porcu Roberta, Properzi Pierluigi, Rotondo Francesco, Scorza Francesco, Sepe Marichela, Stramandinoli Michele, Talia Michele, Tomazzoni Maurizio, Tondelli Simona, Trombino Giuseppe, Vecchietti Sandra, Viviani Silvia.

Componenti regionali del comitato scientifico: Abruzzo e Molise: Di Ludovico Donato (coord.) donato. diludovico@gmail.com

Alto Adige: Pierguido Morello (coord.) Basilicata: Pontrandolfi Piergiuseppe (coord.)

piergiuseppe.pontrandolfi@gmail.com

Calabria: Caridi Giuseppe (coord.) giuseppe.caridi@ alice.it

Campania: Coppola Emanuela (coord.) ecoppola@ unina.it, Berruti G., Arena A., Nigro A., Vanella V., Vitale C., Izzo V., Gerundo C.

Emilia-Romagna: Tondelli Simona (coord.) simona. tondelli@unibo.it

Fiuli Venezia Giulia:

Lazio: Giannino Carmela. (coord.) carmela.giannino@ gmail.com

Liguria: Balletti Franca (coord.) francaballetti@libero.it Lombardia: Rossi Iginio (coord.) iginiorossi@teletu.it Marche: Angelini Roberta (coord.) robyarch@hotmail. com, Piazzini M., Vitali G.

Piemonte: La Riccia Luigi (coord.) luigi.lariccia@gmail. com, Martino G.

Puglia: Milano Giuseppe (coord.), Petralla C., Maiorano F., Mancarella G.

Sardegna: Barracu Roberto (coord.) Sicilia:

Toscana: Rignanese Leonardo (coord.) leonardo. rignanese@poliba.it, Alberti F, Nespolo L. Trentino:

Umbria: Murgante Beniamino (coord.) murgante@ gmail.com

Veneto: Basso Matteo (coord.) mbasso@iuav.it

Foto in IV di copertina:

Maria Chiara Pozzana, Parco di Villa Vogel, Firenze. L’originale è a colori.

Progetto grafico: Hstudio Impaginazione: Ilaria Giatti

Associato all’unione stampa periodica italiana Registrazione presso il Tribunale della stampa di Roma, n.122/1997

Abbonamento annuale Euro 30,00

Versamento sul c/c postale .16286007, intestato a INU Edizioni srl: Via Ravenna 9/b, 00161 Roma, o con carte di credito: CartaSi - Visa - MasterCard.

(3)

Città e Covid-19. Riflessioni dal mondo

a cura di Romeo Farinella

Un progetto cieco e complice: decolonizzare per respirare

Camillo Boano

Meno progetti, più dilemmi. San Paolo: sfide e fallimenti

Valter Caldana

La pandemia in America Latina: il caso di Guayaquil

Julio Echeverria

Le città senegalesi e il Covid-19: risultati e lezioni apprese

Mouhamadou Mawloud Diakhate

Francia : tra pandemia e decentralizzazione

Marco Cremaschi, Amélie Calafat

Muovendoci verso un altro modello urbano

Mar Santamaria, Pablo Martinez

Piano Casa

a cura di Roberto Gerundo, Carlo Gerundo

Il decennio lungo del Piano Casa. L’edilizia in deroga fra bolla speculativa (2008) e Covid-19 (2020)

Roberto Gerundo, Carlo Gerundo

Il Piano Casa in Piemonte

Silvia Saccomani

Il Piano Casa in Liguria

Giampiero Lombardini

Il Piano Casa in Lombardia: un quadro prospettico

Giovanna Fossa

Alcune considerazioni sui Piani Casa in Veneto

Claudio Perin, Monica Tomaello

Il Piano Casa in Friuli Venezia Giulia

Paolo De Clara

Il Piano Casa da provvedimento emergenziale a misura strutturale della pianificazione urbanistica dell’Emilia-Romagna

Simona Tondelli

Considerazioni sulla Legge Regionale Toscana 8 maggio 2009 n. 24, “Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente”

Adolfo Moni, Mauro Grassi

Aperture

Soldi e Piani Francesco Sbetti

il punto

Il miraggio della semplificazione Michele Talia

Il Piano Casa in Umbria e la continuità delle politiche sul governo del territorio

Alessandro Bruni

Il Piano Casa nelle Marche

Vittorio Salmoni

Il Piano Casa nel Lazio: edilizia contro governo del territorio

Simone Ombuen

Il Piano Casa della Regione Abruzzo

Donato Di Ludovico, Armando Rampini

Dal Piano Casa della Regione Campania al Ddl Governo del Territorio

Francesco Domenico Moccia

Il Piano Casa in Puglia

Federica Greco, Francesco Rotondo

Il Piano Casa in Basilicata: attuazione e criticità

Piergiuseppe Pontrandolfi

Il Piano Casa in Calabria. Un’opportunità (mancata?) per la rigenerazione urbana

Domenico Passarelli

Il Piano Casa in Sicilia a dieci anni dalla sua approvazione

Annalisa Giampino, Vincenzo Todaro

Il Piano Casa della Regione Sardegna

Anna Maria Colavitti, Sergio Serra, Corrado Zoppi

Il verde nella città: la sfida della

rigenerazione e del cambiamento

climatico

a cura di Ennio Nonni

Il mondo post-coronavirus: la sfida delle città flessibili

Lorenza Baroncelli

Il verde nella città moderna e contemporanea

Marco Ferrari

Al verde il primato della partecipazione: "Luoghicomuni" come motore per ricucire le fratture delle comunità

Paolo Siccardi

Verde di prossimità come spazio sociale partecipato

Luca Scarpitti

06

09 11 13 16 19 20

23

23 26 28 34 37 39 40 41 43 44 46 48 50 52 54 56 57 60

64

65 66 69 71

indice

(4)

Pensare localmente: il territorio alla sfida del cambiamento climatico

Andrea Trisoglio

Prato Green Deal

Valerio Barberis

Life Urbangreen - Servizi ecosistemici di specie arboree in due città europee

Irene Vigevani, Marco Gibin, Francesco Ferrini, Alice Pasquinelli, Osvaldo Failla, Paolo Viskanic, Alessio Fini

Valori immobiliari, spazi verdi e salute pubblica

Francesco Ferrini

La gestione dei patrimoni arborei urbani

Roberto Diolaiti

L’architettura naturale delle città: le alberate stradali

Giovanni Morelli

Servizi ecosistemici urbani del verde tecnologico

Edoardo Bit

Sette ragioni per una città verde

Maria Chiara Pozzana

Dallo standard al clima: il ruolo del verde nelle azioni di adattamento

Carolina Giaimo

Rassegna urbanistica

Capannoni, cosa fare???

Francesco Gastaldi

Un parco pubblico per il Montello? Il percorso

partecipativo per il recupero della ex Polveriera di Volpago del Montello (TV)

Matteo Basso

Le criticità del superbonus e due proposte

Francesco Gastaldi, Vittorio Ferri

Demolizione versus rigenerazione

Luciano Vecchi

La risorsa Patrimonio, prospettive di governance e gestione dell’emergenza

Carlo Federico dall’Omo, Giada Limongi

Periferia chiama città: un'ipotesi di recupero del borgo di Vaiano Valle a Milano

Giampoalo Evangelista

Tra smart city e smart landscape

Fabio Andreassi, Cinzia Bellone

Diversamente case: come abiteremo? Adeguare la casa per migliorare la città Ennio Nonni 72 73 76 77 79 81 82 84 87

90

90 93 97 99 100 102 104 106

in quarta

Parco di Villa Vogel, Firenze

Maria Chiara Pozzana

Porto e città: una riflessione

sul Documento di Pianificazione

Strategica di Sistema

a cura di Rosario Pavia

Prime esperienze nella redazione del Documento di Pianificazione Strategica di Sistema

Francesco Di Sarcina

Ripianificare i porti

Rosario Pavia

Il contributo del Pac 2014-20 allo sviluppo dei waterfront urbani

Annamaria Poso

Una nuova Vision geopolitica dell’Italia nel Mediterraneo, per la rinascenza post-covid

Donato Caiulo

Il contributo della pianificazione dello spazio marittimo nella pianificazione di sistema portuale

Serena D'Amora, Matteo Braida

Urbanistica Società Istituzioni

Sviluppo senza territorio nel nuovo riformismo del “meno peggio”

Piero Properzi

Assurb

a cura di Daniele Rallo

Urbanistica veneta: crediti edilizi e rigenerazione

Daniele Rallo, Luca Rampado

Libri e altro

a cura di Federico Camerin

Opinioni e confronti

Come la pandemia cambia la città e interroga l’urbanistica

Luca Imberti

Indici

108

109 111 114 115 118

126

126

127

127

129

138

140

> ERRATA CORRIGE

Nel n. 287-288 di Urbanistica Informazioni a pag. 126-127, articolo "Trent’anni dopo i Mondiali di Calcio Italia ’90: eredità urbanistiche e territoriali ed insegnamenti in vista delle Olimpiadi invernali 2026" scritto in collaborazione tra Davide Longato e Federico Camerin, non sono stati inseriti i riferimenti bibliografici. Vengono ora riportati a p. 103. Ci scusiamo con gli autori e con i lettori.

(5)

A circa dieci anni dall’Intesa Stato-Regioni con cui fu varato un programma di semplificazioni procedurali per consentire ai proprietari di immobili di realizzare incrementi volumetrici in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, meglio noto come Piano Casa, si intende analizzare quella vicenda, a partire dalla sua genesi tecnico-politica, inquadrato nel contesto dell’epoca. Saranno ricostruite le condizioni al contorno economiche, demografiche e abitative che condussero l’allora in carica Governo Berlusconi IV a lanciare tale iniziativa, utilizzando lo slogan “padroni in casa propria”, e verranno illustrate e commentate le reazioni della politica, delle imprese e dell’urbanistica italiana.

Con il contributo delle Sezioni Regionali dell’INU, inoltre, si entrerà nel merito delle diverse esperienze regionali, attraverso un esame delle potenzialità messe in campo da ciascuna Regione e analizzando gli effetti che esse hanno sortito.

Piano Casa

a cura di Roberto Gerundo, Carlo Gerundo

Nel giugno 2008, l’appena insediato Gover-no Berlusconi IV emanò il Decreto Legge 112/2008, poi convertito con legge 113/2008, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economi-co, la semplificazione, la competitività, la sta-bilizzazione della finanza pubblica e la pere-quazione tributaria. Con tale provvedimento, per la prima volta, furono anticipati all’estate i contenuti della legge finanziaria, per di più con lo strumento della decretazione d’urgen-za, al fine di far fronte ai primi effetti della crisi finanziaria che, dagli Stati Uniti, cominciava-no a riverberarsi in Europa (Bergonzini, 2014). L’art. 11 del Decreto Legge 112/2008 delegava al Comitato Interministeriale per la Program-mazione Economica l’approvazione di un pia-no nazionale di edilizia abitativa, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa in sede di Conferenza unificata, con l’obiettivo di «superare in maniera orga-nica e strutturale il disagio sociale e il degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensio-ne abitativa».

Il Piano nazionale di edilizia abitativa, media-ticamente ribattezzato Piano Casa, fu appro-vato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 luglio 2009 e fu articolato in sei linee di intervento orientate all’incremen-to del patrimonio immobiliare – sia con nuove costruzioni, sia attraverso il recupero di quelle esistenti – da realizzare con il coinvolgimento di capitali pubblici ma anche mediante il ricor-so a modelli di reclutamento di riricor-sorse private, in precedenza limitati al settore delle opere pubbliche (project financing), oppure a

strumen-ti finanziari immobiliari per l’acquisizione o la costruzione di immobili per l’edilizia residen-ziale sociale. Per partecipare al Piano Casa, le Regioni, d’intesa con gli enti locali interessati, avrebbero dovuto proporre al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un programma coordinato per l’incremento, in risposta alle diverse tipologie di fabbisogno abitativo, del patrimonio di edilizia residenziale, anche so-ciale per le categorie svantaggiate nell’accesso al libero mercato degli alloggi in locazione. Va precisato che il Piano Casa vide la luce sul finire di un decennio in cui si strutturò un doppio trend: da un lato, un sempre costante aumento del flusso di nuovi alloggi realizza-ti ogni anno1 (+80%), dall’altro una crescente

difficoltà di accesso al bene casa da parte di soggetti, nuclei familiari e giovani coppie a basso reddito. Tale ultima tendenza sarebbe stata, peraltro, confermata dai dati del Censi-mento Istat 2011, che avrebbero evidenziato un incremento, nel decennio intercensua-rio, sia delle abitazioni vuote (+1,7 milioni, +32,2%), sia del relativo tasso di inoccupa-zione del patrimonio abitativo (dal 19,5% al 22,5%). Sempre più case, sempre più vuote! Una sempre maggiore distanza tra doman-da e offerta di alloggi che il provvedimento messo in essere dal Governo avrebbe potuto assottigliare, se i suoi effetti non fossero stati del tutto trascurabili o, in alcune regioni, nul-li, tanto da far sì che l’espressione Piano Casa, nell’immaginario collettivo, venisse associata ad un'altra coeva iniziativa governativa: il co-siddetto Piano Casa 2.

23.

Roberto Gerundo, Carlo Gerundo

Il decennio lungo del Piano Casa.

L’edilizia in deroga fra bolla speculativa (2008) e

Covid-19 (2020)

(6)

A inizio 2009, il Governo, presieduto da un uomo di impresa che sull’edilizia aveva co-struito le sue fortune e che, da uomo di go-verno, aveva sempre convintamente fatto leva sul comparto dell’edilizia per rilancia-re l’economia, rispolverò lo slogan “padroni in casa propria”, già utilizzato a inizio degli anni 2000, per sponsorizzare un programma di semplificazioni burocratiche che consen-tissero ai proprietari di immobili di realiz-zare incrementi volumetrici in deroga agli strumenti urbanistici2. Sebbene il Governo

intendesse ricorrere, anche in questo caso, alla decretazione d’urgenza, il provvedimen-to fu oggetprovvedimen-to di un tavolo tecnico-politico con Regioni ed enti locali, su sollecitazione del Presidente della Repubblica, in quanto le Regioni stesse manifestarono perplessità e preoccupazione per l’emanazione di un decreto legge in una materia di legislazione concorrente, quale il governo del territorio. Il 31 marzo 2009 si pervenne a un’Intesa in sede di Conferenza Unificata, ai sensi dell’art. 8, legge. n. 131 del 2003, per «favorire iniziati-ve volte al rilancio dell'economia, rispondere anche ai bisogni abitativi delle famiglie e per introdurre incisive misure di semplificazio-ne procedurali dell’attività edilizia». In base all’Intesa, ratificata con deliberazione della stessa Conferenza Unificata del 1 aprile 2009, le Regioni si impegnarono ad approvare, nel termine di 90 giorni, proprie leggi che con-sentissero: a) interventi di ampliamento del-la volumetria edilizia fino al 20% di edifici residenziali uni-bi familiari o comunque di volumetria non superiore ai 1000 metri cubi per un massimo di 200 metri cubi, al fine di migliorare anche la qualità architettonica e/o energetica; b) allo stesso fine, interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35%; c) l’in-troduzione di forme semplificate e celeri per l’attuazione di tali interventi.

L’Intesa prevedeva, inoltre, che gli interventi edilizi non potessero riferirsi ad edifici abusi-vi o ubicati nei centri storici o in aree di ine-dificabilità assoluta e demandava alle leggi regionali l’individuazione di ulteriori ambiti di esclusione degli ampliamenti, con partico-lare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico, ovvero di ambiti nei quali i medesimi interventi si sarebbero dovuti favorire con opportune in-centivazioni e premialità finalizzate alla

ri-qualificazione di aree urbane degradate. L’accordo contemplava che le disposizioni introdotte dalle leggi regionali avessero va-lidità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi dalla loro entrata in vigore, salvo diverse determinazioni delle singole Regioni. Il Governo, dal suo canto, si impegnò a emanare, entro 10 giorni, un de-creto legge che non fu mai approvato, atteso il mancato accordo sul suo contenuto con le Regioni e con il sistema delle autonomie. La forma dell’Intesa in Conferenza Unificata fu oggetto di critiche e furono sollevati dub-bi di legittimità costituzionale, dal momento che, secondo alcuni, il principio della ‘depia-nificazione’, in quanto nuovo principio della materia governo del territorio, avrebbe do-vuto essere introdotto da una norma statale di rango legislativo e non da un accordo po-litico tra il Governo e gli esecutivi regionali (Cerulli Irelli, De Lucia, 2009).

Il suo contenuto, invece, fu aspramente con-testato dalle tre principali forze politiche di opposizione, dai movimenti ambientalisti e anche da noti urbanisti. Già prima della deliberazione dell’Intesa, l’allora segretario del Partito Democratico, Dario Franceschini, bocciò la proposta di Piano Casa, definen-dolo un intervento di “cementificazione del Paese” (Bruno, 2009) e sollevando dubbi sulla sua reale applicabilità al patrimonio edilizio italiano, con particolare riferimento agli im-mobili di piccola quadratura nei condomini (Rudelli, 2011). L’Unione di Centro ne criticò la natura, da un lato, sperequativa, in quanto rivolta solo ai “benestanti” proprietari di case isolate uni e bi-familiari, e, dall’altro, non risolutiva del radicato problema delle abi-tazioni inoccupate e invendute. L’Italia dei Valori, infine, lo assimilò concettualmente a un nuovo condono e attaccò la coalizione di governo definendola, con intento parodisti-co, “La Casa delle Libertà Abusive”.

Non meno severo fu il giudizio di Legam-biente che, criticando duramente le previste deroghe agli strumenti urbanistici generali, ricorse alla metafora cinematografica del-le mani sulla città per bollare il Piano Casa come un’iniziativa a carattere fortemente speculativo (Bonafede, 2009a).

Anche le penne di urbanisti e accademici non risparmiarono disapprovazioni feroci al Piano Casa che fu definito, in crescendo, «una sorta di liberalizzazione dell’attività edilizia spicciola (o condono edilizio

pre-ventivo)» (Benevolo, 2012), «il condono universale […] e senza oblazione. Anzi, con la gratitudine del governo» (De Lucia, 2009), un progetto di politica urbanistica per «scatena-re gli spiriti animali della speculazione edili-zia più forsennata e rozza per dare uno choc all’economia, un colpo alla burocrazia e un volano enorme all’edilizia» (Salzano, 2009). Al solo annuncio del provvedimento, fu lan-ciato un appello ad esso avverso su iniziativa di Gae Aulenti, Vittorio Gregotti e Massimi-liano Fuksas per contrastare l’ipotesi di una promessa crescita economica finanziata con «le escrescenze nelle villette» (Iezzi, Mastro-buoni, 2010).

La stessa Associazione nazionale dei costrut-tori edili accolse la proposta di Piano Casa con distacco, almeno istituzionalmente, e firmò una nota congiunta con Legambiente (!) in cui auspicava un percorso che premias-se «la qualità degli interventi e la professio-nalità degli operatori, definendo certezze più che deregolazioni generalizzate» (Bonafede, 2009b).

È indubbio che il Piano Casa non sia mai stato inteso, neppure da chi l’ha proposto e promosso, come una misura per garantire un’abitazione a chi di casa ne era privo. Così come è altrettanto innegabile che trattasi di un intervento che strizza l’occhio alla ren-dita e non redistribuisce in alcun modo la ricchezza immobiliare che rimane, poten-zialmente accresciuta, nella disponibilità dei proprietari di casa. In quest’ottica, non si esagera a definirlo un provvedimento ‘strap-pa-consensi’, attesa l’elevata percentuale dei proprietari di casa (72,8% nel 2009 secondo l’Eurostat) in Italia, in cui l’abitazione è rite-nuta essere il bene-rifugio per antonomasia. Va però rimarcato, tralasciando i posiziona-menti ideologici, come questa iniziativa in-tercettasse, più o meno volutamente, diverse esigenze provenienti non solo, banalmente, dal mondo imprenditoriale, ma anche da quello dell’urbanistica che tanto osteggiava la proposta di Piano Casa.

Nel 2009 si consolidava una crisi del mercato residenziale, cominciata l’anno precedente, che interrompeva il più lungo boom immobi-liare del dopoguerra dopo quello del miraco-lo economico degli anni ’50, durato dal 1998 al 2007. Secondo una stima del 2009 ad opera del Cresme, gli investimenti nel residenziale avrebbero registrato passivi molto pesanti sia nel 2008 (-9,2%), sia nel 2009 (-12,9%).

(7)

Tale aspetto, unitamente al già citato costan-te aumento dell’inoccupato e dell’invenduto, generava preoccupazioni nell’imprenditoria edile italiana (Bonafede, 2009b).

Una delle concause dei rilevanti tassi di cre-scita delle volumetrie residenziali registrati nel decennio precedente è da ricercare nella seconda generazione di leggi urbanistiche re-gionali, ispirate dal Congresso Inu del 1995, che sancirono la perequazione urbanistica quale principale strumento per l’attuazione dei riformati piani regolatori generali. Sep-pur identificata come panacea per il cronico

deficit di spazi pubblici o di uso pubblico che

affliggeva i comuni italiani, in molti conte-sti l’adozione della perequazione a tal uopo ha generato strumenti urbanistici drogati, in cui la moneta di scambio per finanziare gli

standard urbanistici sarebbe stata una

volu-metria residenziale assolutamente sovradi-mensionata rispetto alla domanda (Gerundo

et alii, 2019). A tal riguardo, vale la pena

ricor-dare che, dal 1995, il Paese viveva e, tuttora, vive una dinamica di constante invecchia-mento della popolazione e nel 2009 era già caduto in una trappola demografica fatta di saldi naturali annuali negativi (Golini, 2019). È evidente, pertanto, come la sofferenza del mercato immobiliare abitativo derivasse non solo dalla mole di case vuote, ma anche dal numero sempre più esiguo di nuove fa-miglie capaci di riempire quell’inoccupato, buona parte delle quali, peraltro, incapienti rispetto alle richieste del mercato stesso. Non sorprende, dunque, dal punto di vista della strategia politica, come il Governo abbia identificato nell’ampliamento volu-metrico dell’edilizia esistente lo strumento per raggiungere un duplice obiettivo: eco-nomico, per dare respiro alle piccole e medie imprese del settore delle costruzioni in crisi; sociale/elettorale, per soddisfare le esigenze dell’ampia platea dei proprietari di case uni-familiari, ville e villette legate, come affer-mato dallo stesso Presidente del Consiglio, alla possibilità di «aggiungere una, due stan-ze e dei bagni» al proprio immobile (Messi-na, 2010).

Tralasciando, tuttavia, gli aspetti più appa-rentemente speculativi e sperequativi dell’i-niziativa, è significativo come gli interventi oggetto dell’accordo in Conferenza Unifica-ta, poi ulteriormente dettagliati dalle singole leggi regionali, seppur messi in essere in via derogatoria, siano tra quelli che gli

strumen-ti urbanisstrumen-tici di terza generazione dovreb-bero adottare per perseguire la transizione dalla cultura dell’espansione insediativa alla cultura della trasformazione del costruito (Campos Venuti, 1990). Come affermato nel primo Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sui Consumi del Suolo, promosso proprio dall’Inu e coevo al Piano Casa, tra le azioni da perseguire per rispondere alle necessità di sviluppo della città, senza addivenire a un’ul-teriore compromissione di suoli, vi sono la compattazione e densificazione dei carichi insediativi, agilmente ottenibile con mode-rati incrementi delle volumetrie esistenti, oltre al riuso e alla riqualificazione di aree di-smesse di tipo industriale (Oncs, 2009). Non si cade in errore, dunque, se si afferma che il Piano Casa, almeno nella forma deliberata in Conferenza Unificata, prefigurava un model-lo di intervento sulla città esistente che, for-se più per esigenze di confor-senso elettorale che per consapevolezza tecnico-urbanistica degli effetti attivabili, mirava alla densificazione, al riuso e alla rigenerazione e, conseguente-mente, al contrasto del consumo di suolo. Tutte le Regioni approvarono le proprie leg-gi attuative dell’Intesa in Conferenza Uni-ficata entro il 2009, con le sole eccezioni di Calabria, Sicilia e della Provincia Autonoma di Trento, che lo fecero l’anno seguente. Il percorso normativo per la definizione det-tagliata degli interventi, proseguito a livello regionale, ha determinato l’inevitabile crea-zione di un quadro complesso e differenzia-to sul terridifferenzia-torio nazionale e ha dadifferenzia-to vita ad un ‘federalismo del mattone’, in deroga ai piani urbanistici, dai caratteri molto etero-genei. Di fatti, alcune Regioni, come Toscana ed Emilia Romagna, hanno optato per un Piano Casa fatto di interventi limitati. Al-tre Regioni hanno ampliato i criteri definiti nell’Intesa del 31 marzo 2009 includendo ul-teriori fattispecie di edifici oltre a quelli resi-denziali, quali gli edifici agricoli o produttivi non utilizzati, ovvero consentendo cambi di destinazione d’uso verso il residenziale, ten-tando di offrire, in tal modo, una soluzione per l’enorme quantità di volumetrie non re-sidenziali (uffici, case turistiche a rotazione) frutto dei sovradimensionati piani di prima e seconda generazione. Altre Regioni, ancora, hanno consentito meccanismi perequativi e compensativi, compresa la delocalizzazione di cubature. In alcune leggi regionali, infine, sono stati previste ulteriori premialità

vo-lumetriche finalizzate all’incremento della dotazione di spazi pubblici e di uso pubblico e al sostanziale miglioramento della qualità urbana.

A ormai oltre un decennio dall’emanazione delle varie leggi regionali che hanno operati-vamente dato vita al Piano Casa, si è in grado di tracciare il bilancio di una vicenda unica nel panorama dell’urbanistica italiana, attra-verso l’analisi degli effetti che le suddette leg-gi hanno sortito nei rispettivi territori, al fine di ricavare un quadro sinottico dei modelli di intervento riusciti, delle promesse tradite, delle lezioni apprese.

Tale bilancio, tuttavia, non può che proiet-tarsi nel decennio del Covid-19.

Le tendenze iperdensificatrici che hanno percorso gli anni ’10, vengono messe in crisi argomentativa dalla prassi del distanziamen-to sociale che, al di là degli aspetti emergen-ziali sanitari per cui è stato strettamente con-cepito, si propone come strategia innovativa per un riequilibrio territoriale che tende ad abbandonare o, almeno, attenuare le conso-lidate preoccupazioni sul consumo di suolo in atto.

Si prospettano ripopolamenti a bassa densi-tà nei borghi semiabbandonati dei comuni ricadenti nelle zone interne del Paese, ma an-che nuovo abitare le campagne.

D’improvviso, si archiviano trent’anni di teoria sui costi esterni della dispersione in-sediativa e gli sforzi della cultura urbanisti-ca volta a trovare modalità che riuscissero a comprimerli.

Come sempre, in media stat virtus. È certo vero che la compressione degli investimenti pub-blici ha portato ad una progressiva riduzione degli spazi adattati ad uso della collettività, che ha visto spesso iper-affollarsi scuole, ospedali, uffici postali, banche e servizi pub-blici in generale.

Ma non vi è dubbio, tuttavia, che la città era diventata costosa e improduttiva, quindi pa-rassitaria, per cui la reazione si è presentata netta e, a tratti, incongrua o smodata.

Come coniugare il nuovo paradigma del di-stanziamento sociale e, al tempo stesso, con-trastare il consumo di suolo, appare la sfida dell’immediato futuro, nei prossimi anni ’20. Bisogna allora guardare alle nostre città den-se di spazi negati, una pluralità di superfici fondiarie, anche di rilevanti dimensioni, sot-tratte agli usi correnti in quanto dismesse, abbandonate, inquinate, inaccessibili.

(8)

Sono di proprietà sia privata sia pubblica, in-capaci di valorizzarsi per inerzia dei soggetti proprietari.

Solo se tali superfici fossero rimesse in cam-po per sortire gli effetti dei ruoli che spesso anche gli stessi strumenti di pianificazione locali assegnano loro, la città si espandereb-be, diminuendosi gli insostenibili affolla-menti sempre crescenti negli ultimi anni, ma senza consumare nuovo suolo.

In definitiva, la prospettiva che il Covid-19 ci rassegna mira a perseguire una dilatazione auto-contenuta delle nostre città.

1. Secondo il Cresme, nel 2000 il numero di nuove abitazioni realizzate rispetto all’anno precedente era di 159.000, dato cresciuto fino a 287.000 nel 2009.

2. Consiglio dei Ministri n. 40 del 6 marzo 2009.

Riferimenti

• Benevolo L. (2012), Il tracollo

dell’urbanistica italiana, Laterza, Bari

• Bergonzini C. (2014), Parlamento e decisioni

di bilancio, FrancoAngeli, Milano

• Bonafede A. (2009a), Ambientalisti sul piede

di guerra. "Torna la speculazione anni ’60",

La Repubblica, 8 marzo 2009 <https:// www.repubblica.it/2009/03/sezioni/ economia/crisi-19/polemica-piano-casa/polemica-piano-casa.html> • Bonafede A. (2009b), Mattone selvaggio

anche i costruttori lanciano l'allarme,

La Repubblica, 16 marzo 2009 • Bruno E. (2009), Edilizia: non servirà

la licenza per ricostruire i palazzi, Il

Sole 24 ORE, 8 marzo 2009 <https:// st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/ Economia%20e%20Lavoro/2009/03/ berlusconi-piano-casa.shtml>

• Campos Venuti (1987), La terza generazione

dell’urbanistica, FrancoAngeli, Milano

• Cerulli Irelli V., De Lucia L. (2009), Il

secondo “piano casa”: una (incostituzionale) de-pianificazione del territorio, in

Democrazia e diritto, n. 1, pp. 106-116 • De Lucia V. (2009), Il condono

universale, L’Unità, 9 marzo 2009

• Gerundo R. et alii (2019), Monete

urbanistiche, Collana Tecnica urbanistica,

Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. • Golini A. (2019), Italiani poca gente. Il

Paese ai tempi del malessere demografico,

LUISS University Press, Roma • Iezzi M., Mastrobuoni T. (2010),

Gioventù sprecata. Perché in Italia si fatica a diventare grandi, Laterza, Bari

• Osservatorio Nazionale sui Consumi del Suolo (2009), Primo Rapporto 2009, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna • Messina S. (2010), Il presidente

bonsai, BUR Rizzoli, Milano

• Rudelli R. (2011), Verba non

volant, StreetLib, Milano

• Salzano E. (2009), Le mani sulla città, Il Manifesto, 8 marzo 2009

Il Piano Casa in Piemonte

Silvia Saccomani

Il cosiddetto Piano Casa del Piemonte, la leg-ge regionale n. 20 approvata nel 2009 a segui-to dell’intesa Stasegui-to-Regioni, recepiva la ratio del piano governativo (ampliamenti, demo-lizioni e ricostruzioni) (Faggiani, 2010), po-nendola però all’interno di un forte accento su un obiettivo di risparmio energetico. Era questo obiettivo a giustificare ampliamenti in deroga, l’introduzione di strumenti e am-biti cui demandare “operazioni di riqualifi-cazione del tessuto urbano con demolizioni, ricostruzioni, cambi di destinazioni d’uso, cubature premiali, uso di strumenti pere-quativi, al di fuori di un’organica innovazio-ne legislativa” (Saccomani, 2010, 46). Va no-tato che in Piemonte in quel periodo era già in discussione la revisione della legge urba-nistica regionale, la Lr. 56/1977 di astenghia-na memoria, giunta poi all’approvazione nel 2013 con la Lr. 3, ed alcune indicazioni avrebbero più correttamente potuto trovare spazio in questa revisione.

La Lr. 20, come il Piano Casa nazionale, avrebbe dovuto avere un ruolo nel fronteg-giare la crisi economica attraverso un rilan-cio dell’attività edilizia. Verso la scadenza del suo periodo di validità (dicembre 2011) la Regione fece un monitoraggio degli esiti del-la sua applicazione, tramite un questionario distribuito ai Comuni, da cui emerse uno scarso successo della norma sia in termini di approvazione delle delibere attuative sia in termini di domande di ampliamento o di demolizione e ricostruzione1. Il risultato

ve-niva da molti attribuito ai costi troppo alti di intervento connessi ai requisiti energetici introdotti dalla legge, considerati onerosi in riferimento soprattutto ad edifici apparte-nenti in prevalenza agli anni ’70, caratteriz-zati da basse prestazioni energetiche, oltre, ovviamente, alla situazione generale di crisi economica esplosa nel 2008.

Alla scadenza del periodo di validità del Pia-no vennero introdotte con la Lr. 1/11 modifi-che alla legge 20, prorogandone la scadenza al 31.12.2012. Vista la situazione, le modifi-che erano indirizzate ad ampliare le possi-bilità di intervento in deroga previste dalla legge stessa2.

Alcune ulteriori modifiche verranno introdot-te dalla revisione della legge urbanistica regio-nale. La Lr. 3/2013 introduce in particolare, con una modifica all’art. 14 della Lr. 20, la possibili-tà per i Comuni di promuovere “programmi di rigenerazione urbana, sociale e architettonica tramite azioni partecipative e di concerto con gli operatori privati”, individuando ambiti di territorio con edifici ritenuti incongrui da ri-qualificare a fini sociali o per una maggiore efficienza energetica, anche con interventi di demolizione totale o parziale e ricostruzione. Viene anche prevista la possibilità di demoli-zione e trasferimento di cubatura con premia-lità di edifici produttivi o commerciali valuta-ti incongrui nell’attuale localizzazione. Ma a parte queste modifiche, a partire dalla fine del 2012 il Piano Casa piemontese ha avu-to più o meno le stesse vicende di altri Piani Casa regionali: ne è stata prorogata di anno in anno la validità senza modifiche sostanziali fino all’approvazione nel 2018 della legge re-gionale n. 16.

Le proroghe del Piano Casa sono avvenute in un contesto in cui la situazione economica del Piemonte ed il settore edilizio in particolare non davano grandi segnali di miglioramento. Nel 2013 la Regione Piemonte con ANCE e i sin-dacati di settore attivò una Consulta perma-nente per l’edilizia con il compito di verificare i problemi e trovare soluzioni per contrastare una crisi che aveva visto fra il 2008 e il 2013 «la cancellazione di 60.000 posti di lavoro […]; la diminuzione del 24% degli investimenti […]; l’aumento del 27% delle procedure fallimenta-ri; il crollo del 45% delle compravendite delle unità abitative; il perdurare dello stallo dei mutui» (CNA Piemonte, 2013).

Nel 2014 in Piemonte si registrava una caduta dei permessi di costruire pari al 23%, anche se a partire proprio dal 2014 si assiste ad una ripresa delle compravendite di alloggi nel mer-cato immobiliare, dovuta presumibilmente ad una ripresa dell’erogazione dei mutui (ANCE Piemonte Valle D’Aosta, 2017). Anche la situa-zione del settore delle costrusitua-zione dopo il 2014 dà cenni di lieve miglioramento3.

Dopo anni di proroghe a fine 2018 viene infi-ne approvata la Lr. 16, “Misure per il riuso, la riqualificazione dell'edificato e la rigenera-zione urbana”. La legge segna un cambiamen-to, l’obiettivo non appare più solo quello del rilancio del settore delle costruzioni, ma an-che quello del riuso dell’esistente. «Al fine di limitare il consumo di suolo e riqualificare la

(9)

città esistente, aumentare la sicurezza statica dei manufatti, le prestazioni energetiche degli stessi, favorire il miglioramento della qualità ambientale, paesaggistica e architettonica del tessuto edificato, la Regione promuove inter-venti di riuso e di riqualificazione degli edifici esistenti, interventi di rigenerazione urbana e il recupero dei sottotetti e dei rustici» (Lr. 16/18, art. 1, comma 2).

La legge sostituisce con alcune varianti l’inte-ro Capo I della legge 20, affl’inte-rontando la questio-ne dell’ampliamento come parte del processo di riuso e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente attraverso interventi di ri-strutturazione, demolizione e ricostruzione o sostituzione edilizia con ampliamento «fina-lizzati a migliorare la qualità architettonica, statica, energetica e igienico-funzionale dei singoli manufatti, che non conducano a inter-venti di ristrutturazione urbanistica» (art. 3), e introduce a questo fine alcune premialità, dedicando un intero Capo (Capo II) alle misu-re specifiche per il misu-recupero dei sottotetti e dei rustici, con la conseguente abrogazione di due leggi regionali a ciò dedicate4.

Inoltre introduce misure per la rigenerazione urbana, ovvero la possibilità per i Comuni di individuare spazi ed edifici da riqualificare, con demolizione totale o parziale e ricostru-zione secondo un progetto di rigeneraricostru-zione ur-bana finalizzato a promuove un nuovo assetto urbanistico. Gli ambiti per i programmi di ri-generazione possono essere proposti anche da privati, ed anche per questo tipo di interventi è prevista una premialità. Complessivamente va notato in tutti gli articoli un forte accento sui temi del risparmio e dell’efficentamento energetico e della bonifica dei suoli.

La legge ha suscitato un certo dibattito e ri-chiesto la redazione di un’ampia circolare esplicativa, del maggio 2019, per dare risposta ai quesiti provenienti anche da molti comu-ni. All’inizio del nuovo anno, peraltro, la sua attuazione appare ancora molto scarsa. Ad es. a Torino finora le pratiche presentate ai sensi della Lr. 16 sono state solo 7 (5 in corso di ap-provazione, una non procedibile e una per cui c’è stato un diniego). Difficoltà di attuazione delle disposizioni della legge o difficoltà di un settore delle costruzioni che nonostante qualche lieve miglioramento mostra ancora ritmi di crescita molto lenti e nuove difficoltà di uscita dalla crisi?

Peraltro, il cambiamento introdotto con la Lr. 16 al Piano Casa sembra destinato a durare

poco. Dopo il cambio politico della giunta re-gionale5, a fine 2019 è stato presentato, da parte

della maggioranza del governo regionale, un disegno di legge di modifica della legge 16 at-tualmente in discussione (“Norme di sempli-ficazione in materia urbanistica e modifiche alla legge regionale n. 16 del 4 ottobre 2018”, PdL 70/19).

Il PdL 70 si muove nell’ottica di una modifica della Lr. 16 intesa ad ampliare le possibilità di interventi in deroga alla regolamentazione urbanistica (comprese le destinazioni d’uso in essere, le possibilità di intervento nei centri storici e nelle aree protette), escludendo pas-saggi deliberativi in Consiglio Comunale per ristrutturazioni ampliamenti e cambi di desti-nazioni d’uso su quasi tutto il sistema costru-ito. In altri termini, mentre la Lr. 16 sembrava orientata a porre fine ad un periodo di stra-ordinarietà “anticongiunturale” inaugurato con la legge 20 e le sue reiterazioni regionali, il disegno di legge 70 sembra orientato a ripro-porre, in maniera questa volta stabile, la logica del Piano Casa, aumentando la possibilità di interventi in deroga.

1. Dal monitoraggio, a cui peraltro aveva risposto un numero basso di Comuni (50%), emergeva, ad es. che a fine 2010 meno del 10% dei Comuni aveva adottato le delibere attuative, e che, su 350 domande di ampliamento presentate, era stato assentito il 50%, mentre erano state tutte approvate le sole 19 istanze di demolizione e ricostruzione con premio volumetrico. Su 18 pratiche riguardanti edifici produttivi ne erano passate 9 (Edilportale.com, 2011). 2. Ad es. estensione dell’intervento di

demolizione e ricostruzione a tutti i fabbricati costituiti da porzioni di destinazioni d’uso anche diverse da quella residenziale, purché quest’ultima fosse presente anche in misura minoritaria, maggiori possibilità di intervento nei centri storici su edifici considerati incongrui, interventi di soppalco e di ampliamento della superficie utile in fabbricati artigianali, produttivi e direzionali, recupero dei sottotetti a fini turistico-ricettivi.. 3. I dai Istat segnalavano ad es. a livello

nazionale un incremento del permessi di costruire nel 2016 (+ 3,8% per le nuove costruzioni e 4,8% per gli ampliamenti rispetto all’anno precedente), più forte nel nord Italia, ma più contenuto nel complesso nelle aree di nord-ovest (+2,5%). Complessivamente ad es. nel comune di Torino gli interventi realizzati negli anni ai sensi della Lr 20/2009 sono stati 66 con permesso di costruire e 23 con DIA. 4. Lr 21/98 “ Norme per il recupero a fini

abitativi dei sottotetti”; Lr 9/03 “Norme per il recupero funzionale dei rustici”. 5. Con le elezioni regionali della primavera

2019 l‘amministrazione di centro-sinistra guidata da Sergio Chiamparino è stata sostituita da un’amministrazione di centro–destra guidata da Alberto Cirio.

Riferimenti

• ANCE Piemonte Valle d’Aosta (2017),

Report. Le costruzioni in Piemonte, ISSN

2283-8708, http://www.piemonte.ance. it/docs/docDownload.aspx?id=40616. • ANCE Piemonte Valle d’Aosta (2019),

Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni, gennaio 2019, https://www.ance.

it/docs/docDownload.aspx?id=48610. • Edilportale.com (2011), Piano Casa Piemonte,

le modifiche riscuotono successo, https://www.

edilportale.com/news/2010/10/normativa/ piano-casa-piemonte-le-modifiche-riscuotono-successo_20119_15.html. • Faggiani A. (2010), Dal provvedimento

nazionale alle prime nterpretazioni regionali, in

«Urbanistica Informazioni», 229, pp. 30-41. • CNA Piemonte (2013), La Consulta delle

Costruzioni e lavoro in Piemonte, https://

www.cnapiemonte.it/la-consulta-delle-costruzioni-al-lavoro-in-piemonte/. • Saccomani S. (2010), Piemonte. Snellimento

delle procedure, in «Urbanistica

(10)

Il Piano Casa in Liguria

Giampiero Lombardini

Principi generali della legge regionale della Liguria

Nato nel 2008, il piano casa fu concepito dall’allora Governo come un intervento di natura economica anti-ciclica per affrontare la crisi economica che si era generata a par-tire proprio dal settore immobiliare per poi investire lo stesso in profondità per diversi anni a venire e quindi sostenere a “costo zero ma non a effetto zero” l’intero compar-to. Presupposto di base era che rimettendo in moto il settore dell’edilizia si sarebbe an-che dato un contributo alla generale ripresa economica. Per fare questo si puntò allora su un segmento specifico del mercato edilizio, quello costituito dalle attività di ristruttu-razione degli immobili di proprietà privata. Infatti, in mancanza di risorse sufficienti per mettere in campo grandi investimenti pubblici nel settore, si concepì un provvedi-mento legislativo che per promuovere consi-stenti flussi di investimenti non necessitas-se di alcun incentivo finanziario pubblico, ma che ci si potesse appoggiare sulla sem-plificazione delle procedure burocratico-amministrative, fondandosi sul principio della deroga alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie già stabiliti dai piani regolatori, aggiungendo a quelli già in essere diritti edificatori aggiuntivi. Il piano casa “origina-rio”, quello cioè concepito inizialmente dal Governo prima del vaglio della Conferenza Stato-Regioni, era di natura ben più ampia di quanto poi concordato e trasferito poi nelle diverse (anche se simili) disposizioni regionali. Quel primo piano-casa prevedeva, nelle sue prime versioni regionali, una serie di limitazioni concernenti la volumetria massima degli edifici su cui si applicano le norme di premialità previste che costitui-scono il vero fulcro della legge (dal momen-to che il principio base della legge è quello dell’auto-promozione degli interventi e della convenienza ad intervenire generata dalla produzione ex nihilo di “moneta urbanisti-ca”), la loro destinazione d’uso (inizialmente limitata alla sola funzione residenziale), lo stato di regolarizzazione urbanistica degli edifici (con esclusione inizialmente degli edifici abusivi e quelli oggetto di condono),

con apposita variante al Piano di Parco, anche all’interno dei propri territori al-meno parte delle disposizioni previste a questo punto per l’intero territorio re-gionale che comprende, detto per inci-so, anche tutte le aree classificate e clas-sificabili come zone omogenee di tipo E. Si sono poi operate modifiche sostanziali anche nell’allargamento delle premialità sia in termini assoluti (innalzando le per-centuali) che legandole a specifiche tipo-logie di interventi, quali ad esempio gli interventi su edifici ricadenti in zone di rischio idraulico, impiego di tecnologie per l’efficienza energetica e le energie rinno-vabili, l’impiego di materiali tipici locali, l’adeguamento anti-sismico, il contestuale intervento anche sui suoli mediante il loro ripristino e risanamento. Gli interventi più incisivi sul territorio, in particolare quelli che comportano demolizioni e ricostruzio-ni di edifici di maggiore dimensione, e in particolare quelli che comportano la delo-calizzazione dei nuovi fabbricati al di fuori del sito originario, sono soggetti a procedu-ra di conferenza dei servizi, con coinvolgi-mento quindi dei competenti uffici regio-nali ed espresso parere dell’Ente di governo superiore. Data poi la vasta estensione sul territorio regionale dei vincoli paesistici, gli interventi sono assoggettati molto spes-so al preventivo assenspes-so da parte della So-printendenza (dai report regionali di moni-toraggio della legge si stima in circa il 50% i casi che hanno richiesto il preliminare rila-scio di autorizzazione paesistica).

Articolazione del piano casa

Attualmente, lo schema operativo della leg-ge si articola in una serie di quattro differen-ziate modalità di intervento.

a. Ampliamento di edifici esistenti (art. 3): si applica alla vasta (ma limitata) casi-stica degli immobili a funzione residen-ziale (o prevalentemente residenresiden-ziale), non eccedenti i 1500 mc e relative per-tinenze (a loro vota non eccedenti i 200 mc) entro una gamma di potenzialità che comprendono incrementi compresi tra 60 e 200 mc. In questi casi è consen-tito il cambio di destinazione d’uso. La premialità è incrementata secondo va-rie misure percentuali qualora gli inter-venti edilizi comportino l’adeguamento degli edifici alla normativa antisismica l’esclusione dal campo di applicazione

dal-la norma di alcune aree specifiche ritenute sensibili dalle Regioni. Le liste regionali delle limitazioni comprendevano prevalen-temente gli edifici assoggettati a vincoli di carattere storico, culturale e architettonico, gli immobili localizzati nei centri storici, nelle aree di inedificabilità assoluta, in quel-le dichiarate a pericolosità o rischio idrauli-co elevato, nei territori delle riserve naturali o dei parchi nazionali o regionali.

La Regione Liguria ha declinato sul proprio territorio il piano-casa nel 2009 (Lr 49). Da allora, il testo legislativo è stato soggetto a diverse modifiche ed integrazioni e, fino al 2015, prorogato nella sua validità. Con la Lr 22/2015, il piano-casa regionale è stato temporalmente stabilizzato (non è cioè più soggetto a proroghe) e la sua applicazione, che oggi è largamente derogatoria rispetto ai Piani Urbanistici Comunali, si prevede che venga progressivamente assorbita all’in-terno degli stessi, col procedere delle nuove adozioni.

Nel corso del tempo, la “manutenzione” del-la Lr 49/2009 ha comportato un progressivo allargamento della platea della casistica di edifici sui quali poter applicare le previste norme premiali, incidendo:

a. sulla volumetria massima entro la qua-le far ricadere gli interventi assentibili, sia sulle destinazioni d’uso oggetto di possibili interventi;

b. sullo stato di regolarizzazione degli edi-fici: gli edifici già oggetto in passato di condono edilizio, esclusi dal perimetro di applicabilità della legge nelle sue pri-me versioni, sono stati inseriti a partire dal 2015 per la parte non condonata; c. sul raggio di influenza “spaziale” della

deroga che ad oggi si limita ad esclude-re i soli edifici o vincolati ai sensi del Codice 42/2004 o ricedenti nei centri storici (pur consentendo ai Comuni di perimetrare specifici ambiti all’interno degli stessi nei quali poter comunque applicare almeno in parte le sue dispo-sizioni), oppure negli ambiti a più eleva-ta qualità paesistica definiti dal vigente Piano Territoriale di Coordinamento Pa-esistico. Le aree parco sono inizialmen-te escluse dal perimetro di applicazione della legge, ma anche in questo caso le ultime modifiche introdotte consen-tono agli Enti Parco di poter estendere,

(11)

e il soddisfacimento dei requisiti in ter-mini di rendimento energetico, oppure nel caso in cui si operi su edifici di va-lore testimoniale, o quando l’interven-to comporti l’impiego nelle coperture di lastre in ardesia, o quando ancora siano previsti tetti fotovoltaici, serba-tori interrati per il recupero dell’acqua piovana, rispristino di suolo agricolo, rispristino di antichi sentieri e strade vicinali. Vi è inoltre un’ulteriore pre-mialità per i comuni non costieri posti ad altitudine superiore ai 500 m e qua-lora si prevedano interventi a favore di soggetti disabili.

b. Mutamento di destinazione d’uso di fabbricati esistenti a destinazione non residenziale (art. 3bis): si tratta di una misura introdotta dalla Lr 22/2015 che si applica per fabbricati non eccedenti i 200 mc. Gli interventi sono soggetti a preventiva stipula di atto convenzio-nale con il Comune contenente gli im-pegni del soggetto attuatore inerenti le opere di urbanizzazione necessarie al soddisfacimento degli standard urbani-stici e le modalità, i tempi e le garanzie di loro attuazione.

c. Demolizione e ricostruzione con incre-mento volumetrico di edifici a destina-zione residenziale aventi una volume-tria non superiore a 2.500 metri cubi e che necessitano di interventi di riqua-lificazione urbanistica, architettonica e/o ambientale (art. 6). Sono definiti tali, dalla stessa legge, gli edifici esposti a ri-schio idraulico secondo i vigenti piani di bacino, quelli con accertate criticità strutturali, quelli incongrui rispetto al contesto urbanistico, oppure sem-plicemente ricadenti in aree dove già gli strumenti urbanistici prevedevano la demolizione integrale e successiva ricostruzione. Per questa fattispecie la norma prevede una possibilità di incre-mento fino al 35% della volumetria pre-esistente e la possibilità sia di cambiare l’ubicazione originaria che di accorpare i nuovi volumi. La premialità è elevata fino al 45% se gli interventi comporta-no, contestualmente, anche la demoli-zione di serre inutilizzate oppure opere di ripristino paesaggistico (muretti a secco), idraulico o vegetazionale. Gli interventi di ricostruzione che

preve-dano la delocalizzazione dell’edificio al di fuori del sito e si pongano in variante alla vigente strumentazione urbanisti-ca comunale o in contrasto con le pre-visioni dei piani urbanistici operanti in salvaguardia sono assentibili mediante procedura di Conferenza di servizi, ri-manendo in capo alla Regione l’appro-vazione delle relative varianti.

d. Demolizione e ricostruzione con incre-mento volumetrico di edifici a desti-nazione diversa da quella residenziale (art. 7). Riguarda edifici di consistenza non eccedente 10.000 metri cubi anche mediante realizzazione di più edifici nel rispetto delle disposizioni regionali contenute nella programmazione com-merciale ed urbanistica in materia di commercio. Anche in questa fattispecie si prevede la possibilità di accorpare gli edifici oggetto di demolizione e la rea-lizzazione dei nuovi fabbricati anche in siti diversi rispetto a quelli originari. Tali interventi comportanti la deloca-lizzazione in altro sito, possono essere assentiti soltanto in aree dotate delle opere di urbanizzazione primaria a con-dizione che il soggetto attuatore si im-pegni con apposito atto convenzionale, da sottoscrivere con il Comune prima del rilascio del titolo edilizio, alla realiz-zazione delle eventuali ulteriori opere di urbanizzazione primaria necessarie e di quelle di urbanizzazione seconda-ria nella misura corrispondente al cari-co urbanisticari-co previsto dall’intervento, nonché alla realizzazione delle opere di sistemazione, anche di interesse pubbli-co, necessarie per il superamento delle condizioni di incongruità che giustifi-cano la delocalizzazione. Tali interven-ti sono asseninterven-tibili anche in zone omo-genee agricole di tipo E, purché dotate delle opere di urbanizzazione prima-ria e nel rispetto dei limiti di densità edilizia di cui all’articolo 7, comma 1, punto 4, del Dm 2 aprile 1968, n. 1444. Anche questi interventi sono assentiti mediante procedura di Conferenza di servizi. Per questo tipo di interventi la premialità arriva al 50% dell’esistente per gli edifici ricadenti in aree ad eleva-ta pericolosità idraulica. La premialità è inoltre incrementata per gli interventi relativi ad edifici siti in comuni

monta-ni, con esclusione delle porzioni di ter-ritorio montano ricadenti in comuni co-stieri, al 50% e al 60% rispettivamente. Con queste disposizioni, la platea dei po-tenziali casi di intervento è molto ampia, dal momento che rimangono escluse solo alcune fattispecie certo rilevanti sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo ma li-mitate spazialmente: oltre agli edifici esclu-si per caratteristiche di intrinseca qualità, si escludono gli edifici ricadenti nelle aree più sensibili paesisticamente e soprattutto la vasta pletora di quegli edifici di maggio-re dimensione, catalogabili nella fattispecie degli edifici plurifamiliari del tipo a “condo-minio” più grandi eccedenti la dimensione dei 1.500 mc o, in taluni casi, anche quelli fino a 2.500 mc (in casi per i quali però è ri-chiesta la dimostrazione della necessità del-la riqualificazione urbanistica), corrispon-denti (stando al dato medio della superficie media per alloggio a livello regionale come rilavato dall’Istat) ad edifici eccedenti i 5-6 alloggi o 10 nel secondo caso. Mediante l’art. 7 si amplia però di molto anche la casistica degli edifici su cui può operare la norma ar-rivando ad interessare quelli con volumetria fino a 10.000 mc. Riguardo la convenienza economica ad intervenire, questa è stata a sua volta incrementata nel corso degli anni, sia aumentando la soglia percentuale di in-cremento assentibile, sia legando gli inter-venti alla riqualificazione edilizia che, in li-nea di massima, dovrebbe corrispondere ad un parallelo incremento dei valori unitari di mercato ad intervento ultimato. Un note-vole impulso all’attuazione della norma de-riva infine dalla modifica delle disposizioni concernenti i cambi di destinazione d’uso: l’aver dato accesso alla norma agli edifici ad originaria destinazione non residenziale aumenta non poco la casistica dei potenziali interventi in grado di garantire un sicuro in-cremento di valore.

Attuazione ed impatto territoriale della norma

L’art. 8bis della rinnovata Lr 49 prevede un monitoraggio annuale della legge, effet-tuato attraverso un censimento dei dati ri-guardanti gli interventi realizzati da parte dei Comuni che sono tenuti ad inviare una specifica scheda di rilevamento alla Regio-ne. Dai dati dei report ricavati si possono tentare delle valutazioni articolate

(12)

territo-rialmente e tematicamente sull’attuazione e l’impatto della legge sul territorio regio-nale. Nel 2018 è uscito, a cura degli uffici regionali, il primo rapporto sullo stato di at-tuazione della legge con riferimento ai due anni precedenti, mentre nel 2019 è uscito un ulteriore aggiornamento con riferimen-to al 2018. I due report restituiscono quindi, articolati per Comune, i dati relativi agli ultimi di tre anni di attuazione del “nuovo” piano casa (quello cioè intervenuto dopo la stabilizzazione della Lr del 2015) con riferi-mento al numero totale di interventi edilizi autorizzati, il volume edilizio oggetto degli interventi, il tipo di interventi autorizzati (a seconda dell’articolazione secondo le di-sposizioni degli art.3, 6 e 7 della legge) e il tipo di zona nel quale essi ricadono, distin-guendo però solo tra interventi assentiti in zone agricole e zone parco (e per esclusione quindi quelli ricadenti in tutte le altre zone). Il quadro che ne emerge, a livello regionale, è riassunto nella tabella 1.

Il piano casa ha trovato applicazione almeno in uno dei tre anni considerati in 167 Comu-ni sui 234 complessivi della Regione, mentre in 67 Comuni il piano casa non ha registrato alcun caso. Da questo punto di vista, quin-di, si può dire che la legge regionale abbia trovato un’applicazione piuttosto diffusa, indipendentemente dalla condizione di par-tenza dei singoli Comuni: essa ha trovato applicazione sia nei Comuni costieri che in quelli interni, in quelli più popolosi come in quelli meni abitati, trovando spazio in realtà economicamente anche molto differenziate. Tuttavia, ad un esame più attento, si può no-tare come dal punto di vista del “peso” degli interventi realizzati, sia in termini di nume-ro assoluto di interventi attuati che soprat-tutto di volumetrie complessive coinvolte nei processi di ristrutturazione edilizio-ur-banistica, la legge ha trovato terreno parti-colarmente fertile solo in alcune specifiche realtà. Si tratta, come si può notare dal carto-gramma allegato, di alcuni Comuni costieri localizzati in aree ben circoscritte: l’area del sanremese (fino a Ventimiglia), l’area di Po-nente compresa tra Albenga e Finale Ligure, il golfo del Tigullio orientale. Alcuni Comu-ni spiccano per la particolare entità degli interventi attuati: Sanremo, Alassio, Ceria-le, Loano, Pietra Ligure, Varazze (Riviera di Ponente) e Santa Margherita Ligure e Sestri Levante (Riviera di Levante).

Va considerato che il Comune di Genova, per la dimensione statistica assolutamente fuo-ri scala fuo-rispetto a tutti gli altfuo-ri Comuni della Regione, ha visto un’applicazione della legge piuttosto modesta se rapportata alla massa critica complessiva del capoluogo, e questo si può spiegare con l’adozione in prossimità proprio dell’emanazione della Lr 22/2015 del nuovo strumento urbanistico generale co-munale (avvenuta nello steso anno) che in buona misura accoglieva già diverse istanze della legge stessa, consentendo di fatto in molte aree del territorio comunale di inter-venire con interventi anche incisivi di ri-strutturazione sia edilizia che urbanistica. Detto di Genova, può pertanto essere utile concentrarsi sulle due Riviere, laddove so-prattutto in alcuni contesti, il piano caso ha trovato larga applicazione. Si può tentare di spiegare perché vi sia stata questa particola-re concentrazione di interventi, provando a misurare il valore di alcune correlazioni con alcune variabili che si ritiene, in una prima

ipotesi interpretativa dell’impatto della leg-ge sul territorio regionale, abbiano giocato un ruolo importante. Si sono prese pertanto in considerazione le seguenti variabili: • Trend demografico

• Valore immobiliare medio a livello co-munale

• Reddito medio pro-capite

• Profilo socio-economico (orientamento delle economie comunali al turismo) • Incidenza alloggi vuoti (abitazioni non

occupate su totale abitazioni)

Se si confrontano i cartogrammi di tali va-riabili con quelli della “intensità” di applica-zione della legge, si può osservare (e la cosa è peraltro confermata dai relativi indici di correlazione) che queste variabili di base spieghino, in misure diverse ma tutte signi-ficative, quale sia stato il terreno più pro-pizio per l’applicazione delle opportunità offerte dalla legge. Innanzi tutto si osserva una netta preponderanza degli interventi nei comuni costieri a discapito delle aree

Tab. 1 - Gli ultimi di tre anni di attuazione del “nuovo” piano casa

categoria interventi di ampliamen-to e cambio d’uso (art.3) interventi di sostituzio-ne edilizia (art.7) Volume interessato da amplia-menti e cambi d’uso (art.3) Volume interessato da sostitu-zione edili-zia (art.7) Volume totale degli interventi 2016 395 184 59.064 56.881 115.945 2017 369 185 65.765 73.085 138.850 2018 321 143 77.655 64.853 142.508

(13)

interne, dove il piano casa ha trovato ben più scarsa applicazione. Ciò è legato, come si può rilevare dai dati, soprattutto a due fatto-ri: il valore medio immobiliare (nelle elabo-razioni eseguite si sono utilizzati in valori dell’Osservatorio Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, ricalibrati con alcuni elementi di mercato) e il reddito medio pro-capite, che può essere considerato una proxy della dina-micità economica dei vari contesti comunali. Il piano casa trova applicazione laddove i va-lori immobiliari sono particolarmente alti e questo elemento rende conveniente l’in-tervento di ristrutturazione: in alcuni dei Comuni sopra citati la quota di interventi ex art.7 (quelli cioè di sostituzione edilizia, i più onerosi urbanisticamente, è partico-larmente rilevante, a testimonianza che sussiste interesse ad intervenire anche con radicali sostituzioni edilizie fintanto che il mercato immobiliare si colloca su parame-tri alti o molto alti. Anche il reddito medio spiega bene il comportamento della legge:

non a caso la concentrazione maggiore di interventi si registra nelle due aree delle due Riviere dove più dinamica è l’economia locale, e non solo sotto il profilo turistico. Infatti, a questo proposito, se si analizzano i dati relativi alle altre variabili prese in considerazione, si può osservare come l’an-damento demografico (un altro indicatore rilevatore della dinamicità economica di certi territori, che nell’inverno demografico ligure spiccano immediatamente) coincida quasi perfettamente con le aree ad alta in-tensità di interventi (con la sola esclusione di Santa Margherita Ligure, dove hanno giocato molto probabilmente altri fattori: la contemporanea stasi della pianificazio-ne comunale e il parallelo alto profilo del mercato immobiliare locale). Dove non si registrano condizioni di dinamicità econo-mica, alti valori immobiliari, orientamento dell’economia locale verso una dimensione turistico-terziaria, il piano casa trova appli-cazione sì diffusa, ma a, per così dire, a bassa

intensità. Si tratta soprattutto o di Comuni costieri a diversa vocazione (tra cui i capo-luoghi di Savona e La Spezia, dove si registra un’applicazione meno incisiva della legge, sulla falsariga in qualche modo di quanto già detto per Genova) e di altre aree costie-re o meno dinamiche (come per esempio la riviera dell’imperiese) e caratterizzate da profili economico-territoriali diversi (come la riviera spezzina). La legge ha trovato una discreta applicazione, invece, nei Comuni che potremmo definire “di corona”: nell’area gravitazione di Spezia-Sarzana, oppure nei comuni di cintura di Genova o ancora lungo l’asse della Val Bormida. Nel resto dei Comu-ni interComu-ni, l’applicazione è stata invece molto ridotta (in questa categoria si concentrano tutti e 67 i casi di Comuni che non hanno registrato nemmeno un caso di intervento lungo l’intero arco temporale considerato) ed essa si può ricondurre, nella maggior parte dei casi, all’applicazione dell’art.3, quello cioè destinato ai piccoli incrementi volumetrici.

(14)

Qui il piano casa è stato per lo più inteso come uno strumento di adeguamento dell’abitazio-ne a mutate esigenze funzionali. Parliamo comunque di numeri estremamente ridotti: riprendendo in esame la mappa dei valori im-mobiliari si può notare dove nei comuni dove il valore medio di vendita scende sotto una specifica soglia (800-1.000 euro/mq) anche gli interventi tendono a diradarsi notevol-mente. Si tratta di casistiche dove la soglia di economicità dell’intervento dovrebbe essere valutata in relazione allora anche alle poten-zialità di sommare la “moneta urbanistica” ricavabile dall’applicazione della norma con altri contributi o detrazioni (“ecobonus”, “si-smabonus”, ecc.). D’altra parte, osservando la mappa della percentuale di abitazioni vuote sul territorio regionale, pur non entrando nello specifico di questo complesso fenome-no, si può distinguere, in prima approssi-mazione, un fenomeno di abbandono, tipico delle aree interne (si notino l’area montana dell’imperiese, le parti alti della Val Bormida o del Beigua, oppure ancora l’alto Appenni-no geAppenni-novese o l’alta e media Val di Vara nello spezzino) da un fenomeno di sotto-utilizzo o utilizzo turistico, tipico invece delle aree co-stiere ma progressivamente anche delle aree di cintura. Dove prevale la prima di queste di-namiche, il piano casa è abbastanza evidente che non abbia efficacia, mentre nei secondi, potrebbe anche, se non controllato, portare ad ulteriori curvature del mercato immobi-liare, incentivando ulteriormente il fenome-no della seconda casa o comunque della casa per vacanza.

Questioni interpretative della legge Come visto, i dispositivi di premialità previ-sti dalla Lr 49/2009, come modificata dalla legge del 2015, trovano più intensa applica-zione in Comuni costieri, quelli cioè caratte-rizzati da alto tasso di urbanizzazione, tes-suto urbano generalmente più compatto e notevole grado di dinamicità economica. In questi contesti, hanno trovato larga applica-zione, in particolare, i dispositivi degli arti-coli 6 e 7 della legge, quelli cioè dedicati alla sostituzione edilizia, spesso con cambio di destinazione d’uso e anche con traslazione dal sedime originario. Gli interventi degli articoli 3 e 3bis, ossia quelli che riguardano interventi di natura più contenuta dato il ta-glio ridotto degli edifici a cui si applica la norma, hanno trovato più ampia e generale

applicazione un po’ in tutto il territorio re-gionale, interessando spesso anche ambiti extra-urbani. I dati rilevano come ben il 39% degli interventi totali, a livello Regio-nale, si sia applicato in zone agricole: in que-sto dato va considerato che quelle che sono catalogabili come zone omogenee “E”, in Li-guria, specie nei comuni costieri-collinari, sono aree dove nulla o quasi è la presenza di attività agricola, a fronte invece di un alto valore panoramico, che le rende estrema-mente appetibili per segmenti molto selezio-nati del mercato immobiliare (emblematici in questo senso sono l’alto numero di inter-venti registrato in Comuni che presentano proprio questa condizione di collina litora-nea ad elevata panoramicità: Sanremo, Ales-sio, Varazze, Santa Margherita Ligure, per citare i casi più eclatanti). Per il resto, l’appli-cazione intensiva degli articoli 6 e 7 è andata concentrandosi in ambiti urbani ad alta den-sità, determinando spesso problemi inter-pretativi quando non addirittura potenziali conflitti con le disposizioni contenute nel Dm 1444/1968 in termini di densità edilizia e distanza tra gli edifici. L’articolo 7 del Dm prevede infatti che, qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singo-li edifici mediante demosingo-lizione e ricostru-zione, non sono ammesse densità fondiarie superiori ai 5 mc/mq per comuni al di sotto dei 50.000 abitanti (cioè la totalità dei comu-ni liguri con le sole ecceziocomu-ni di Sanremo, Savona, e La Spezia, dove tale limite è innal-zato a 6 mc/mq o 7 mc/mq nel caso di Geno-va, unica città in Liguria a superare i 200.000 abitanti). Nei casi di demolizione e ricostru-zione (esattamente quelli evocati dagli arti-coli 6-7 della legge regionale), stando alle di-sposizioni statali, sono ammesse densità superiori ai predetti limiti quando non ecce-dano il 70% delle densità preesistenti (art. 7, comma 2 del Dm 1444/1968). Orbene, con le generose premialità previste dalla Lr 49 non solo si eccede spesso il 70% (sono anzi previ-ste premialità che consentono di raggiunge-re il 135% o in alcuni casi anche il 150% ri-spetto al preesistente), ma è facile che gli interventi vadano a configurare, contempo-raneamente, densità edilizie ben superiori ai 5 mc/mq: dove infatti si opera in tessuti urbani densi, quando il lotto su cui insiste un fabbricato tende a coincidere con il sedi-me dello stesso o ad essere di poco eccedente il medesimo, bastano altezze di 2-3 piani per

superare il limite dei 5 mc/mq (sul punto si veda anche la Sentenza TAR Campania (NA) Sez. VIII n. 183 del 10 gennaio 2018, secondo la quale il limite dei 5 mc/mq non è in nes-sun caso derogabile). Dal momento che il piano-casa non lega gli interventi ad un lot-to minimo di intervenlot-to ma al solo edificio, è non solo possibile ma anzi probabile che gli interventi, soprattutto quando si attuino in ambiti molto compatti, vadano potenzial-mente in contrasto con il citato articolo 7 del Dm su questo specifico punto e si risolvano con un’accresciuta densità urbanistica. Gio-va ricordare che la legge regionale è sì in de-roga rispetto agli strumenti urbanistici ge-nerali dei comuni, ma non alle disposizioni di ordine generale e sovra-ordinate del Dm 1444: su questo aspetto sarebbe utile operare un monitoraggio più attento della legge e dei suoi effetti caso per caso che in alcuni conte-sti potrebbero assumere carattere distorsivo e non migliorativo delle più generali condi-zioni urbanistiche d’area. Problemi di coor-dinamento con il Dm 1444, si registrano an-che nei casi di applicazione del piano-casa negli ambiti agricoli (una quota rilevante del totale, come evidenziato sopra). Qui il di-sposto dell’art 7 del Dm 1444 è esplicito, qua-si lapidario: nelle zone omogenee E, è pre-scritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di mc 0,03 per mq. È evidente che con le disposizioni del piano casa, le premia-lità possano andare facilmente a modificare i rapporti di densità fondiaria non operan-dosi alcun legame tra edifico e lotto di asser-vimento. Potendosi anzi operare anche si-multanei cambi di destinazione d’uso, è possibile che magazzini e altri annessi agri-coli vengano convertiti a funzione residen-ziale (ben improbabile essendo il processo contrario), cosa che, unita alle premialità volumetriche di legge, consente ampi innal-zamenti delle densità fondiarie. Amplia-menti che sono svincolati da ogni rapporto di proporzionalità col suolo (ammesso che questo da solo costituisca presidio di qualità urbanistica) e che prescindono da eventuali accorpamenti fondiari, pregresse situazioni di asservimento dei lotti, obblighi di con-venzionamento per funzioni o di produzio-ne agricola oppure di presidio ambientale, come invece richiesti dalla legge urbanisti-ca regionale per i nuovi interventi in ambiti agricoli. Con il risultato di lasciare spazio ad applicazioni contradittorie: nel caso si

Riferimenti

Documenti correlati

50 (Codice dei contratti pubblici), sono compensi previsti in favore dei dipendenti delle amministrazioni aggiudicatrici, a fronte dello svolgimento di determinate

A tal proposito, l’ente istante ha rappresentato che recentemente si è pronunciata la Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna (cfr. 52/2019/PAR), la quale ha

7 della legge 131 del 2003, nel prevedere la facoltà per le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane di richiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte

Diritti dell'interessato - art.7 D.Lgs. L'interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non registrati, e la

obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana (massimo della concentrazione media mobile su 8h). Valore

Si comunica che è stato approvato dall’Assemblea dei Sindaci il Regolamento recante “Casa - Fidejussioni e incentivi per l’affitto sociale” volto a favorire l’incrocio tra

Sono finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche dell’unità immobiliare, dell’edificio o degli impianti; consiste nella detrazione dalle imposte lorde sui

[r]