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Balcani e missioni civili dell’Unione europea

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III CAPITOLO

Balcani e missioni civili dell’Unione europea

La terza parte di questa tesi si occuperà della prospettiva europea, in riferimento alla regione balcanica. Dopo una breve introduzione storica dell’area, mi concentrerò su gli eventi tragici degli anni ‘90, che sono stati il precursore dell’impegno dell’Unione europea in questo territorio, con l’analisi delle missioni civili qui dispiegate.

Perché proprio i Balcani come oggetto della tesi? A partire dal 2003, l’UE ha dispiegato un consistente numero di missioni, per lo più civili, in varie parti del mondo dal Medio Oriente, al Caucaso, all’Africa, tuttavia la scelta per quest’area, riguarda l’importanza strategica che assume per l’Unione. Alle porte dell’Europa, “i Balcani sono i nostri vicini più immediati”, per ragioni geografiche e storiche. È interesse dell’UE la stabilità e la crescita della zona.

L’impegno europeo si è, così, mosso nella direzione di contribuire allo sviluppo economico, all’edificazione dello Stato di diritto e al rafforzamento della sicurezza, con una prospettiva a lungo termine.

“La polveriera balcanica”, come sono stati spesso definiti questi luoghi per la loro instabilità, è anche fonte di risorse e potenzialità. Il 1 luglio 2013, la Croazia ha fatto il proprio ingresso nell’Unione europea, una comunità di 28 soggetti, che sicuramente non sta affrontando un periodo semplice per la sua credibilità, ma che potrà beneficiare delle possibilità offerte dall’entrata di nuovi paesi.

Cap. 3.1 I Balcani: per una prospettiva storico-geografica

La Penisola balcanica237 è un territorio situato nell’Europa sud-orientale, circondato su tre lati dai mari: Adriatico a ovest, Mediterraneo a sud Egeo e Mar Nero a est. A nord il confine è

237 Per un approfondimento dell’evoluzione storica dei Balcani si veda:

B. Magaš, Croatia through history, London, San Francisco, Saqi, 2007.

D. P. Hupchick, The Balkans: from Costantinople to Communism, New York, Palgrave, 2001.

F. B. Singleton, Twentieth century Jugoslavia, London, Macmillan, 1976.

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70 delimitato dal corso del Danubio. È una zona per lo più montagnosa, “Balkan” è una parola turca che significa “montagna”, e in effetti il paesaggio che si presenta è ricco di catene montuose, di massicci e rilievi, dai Carpazi, all’arco alpino e alle pieghe dinariche. La presenza di pianure come quella pannonica, subcarpatica o la Valacchia, addolcisce e rende variegata la zona, così come i fiumi rendono fertili i terreni per la produzione di varie colture, dal riso al cotone, ai cereali.238

L’area è stata, fin dai tempi più antichi, luogo d’incontro di popoli e tradizioni che ne hanno condizionato la storia. Questo crocevia tra Oriente e Occidente è una regione che ha visto un movimento migratorio continuo, che ne ha costituito il tessuto umano, “in un’alchimia di integrazione e rigetto, da cui sono nati i popoli balcanici attuali”.239

Generalmente, con il termine Balcani si intendono i territori di: Slovenia, Croazia, Bosnia- Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia, Albania, Grecia e Bulgaria. Questa tesi, pur non sottovalutando la complessità della regione, si riferirà, per necessità di delimitazione geografica, ai primi sei paesi, ovvero i Balcani Occidentali.

J. A. Dérens, Balkans: la crise, Paris, Gallimard, 2000.

J. Prunk, A brief history of Slovenia, Ljubljana, Zalozba Grad, 2000.

N. Malcolm, Bosnia: a short history, New York, New York University Press, 1994.

R. C. Hall, The Balkans wars, 1912-1913: prelude to the First World War, London, New York, 2000.

S. K. Pavlowitch, A history of the Balkans, 1804-1945, London, New York, Addison-Wesley Longman, 1999.

S. Rajak, Jugoslavia and the Soviet Union in the early Cold War: reconciliation, comradeship, confrontation, London, Routledge, 2011.

T. Gallagher, Outcast Europe: The Balkans, 1789-1989: from the Ottomans to Milošević, London, New York, Routledge, 2001.

T. Gallagher, The Balkans after the Cold War: from tyranny to tragedy, London, New York, Routledge, 2003.

T. Judah, The Serbs: history, myth, and the destruction of Jugoslavia, New Haven, Yale University Press, 1997.

V. B. Sotirović, Creation the Kingdom of Serbs, Croats, and Slovenes, 1914-1918, Vilnius, Vilnius University Press, 2007.

238 G. Castellan, Storia dei Balcani, XIV-XX secolo, Lecce, Argo, 1999, pagg. 17-21.

239 Ivi, pag. 21.

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71 Rintracciando anche influenze delle civiltà Minoica e Micenea, i più antichi abitanti, di questa parte d’Europa, furono i Greci e gli Illiro-albanesi. Questi due popoli di lingua indoeuropea si insediarono, i primi in direzione sud verso la metà del II millennio a. C., i secondi sulle rive dell’Adriatico.240 Dopo l’ellenizzazione greca e assorbita l’influenza delle popolazioni di origine tracio-dacia, l’area subì una seconda mutazione politico-culturale, quando fu inglobata nell’Impero Romano. Sotto la dominazione di Roma la zona fu suddivisa in province, contribuendo a formare un’entità politico e culturale più omogenea. I romani dettero un impulso importante sia a livello amministrativo, sia a livello economico e infrastrutturale.

Dopo il III sec. d. C., l’impero romano dovette affrontare una serie di problemi politici ed economici sia interni che esterni, in particolare le varie ondate di invasioni barbariche, che lo portarono ad un lento declino. Dal VI sec. d. C si insediarono nei Balcani gli Slavi, i quali con incursioni devastanti giunsero fin sulle coste del Mar Adriatico e dell’Egeo, mescolandosi con le popolazioni autoctone. Tra le maggiori tribù slave, i serbi e i croati si stabilirono nelle zone centrali, mentre gli antenati degli attuali sloveni, nelle Alpi orientali e nella Pannonia.241 Nonostante la possibilità di tracciare delle linee comuni da un punto di vista storico e antropologico, ciascuna tribù si diversificò in un percorso al tempo stesso autonomo e collettivo, che le portò ad incontrarsi e, purtroppo come vedremo a scontrarsi.242

240 Ivi, pag. 31.

241 M. Klemenčič, M. Žagar, The former Jugoslavia’s diverse peoples. A reference sourcebook, Santa Barbara, Abc-Clio, 2004, pagg. 2-4.

242 Per un maggiore approfondimento delle differenti nazionalità nei Balcani si consultino:

F. Bieber, Montenegro in transition: problems of identity and statehood, Baden-Baden, Nomos Verlagsgesellschaft, 2003.

H. Poulton, Who are the Macedonians?, London, C. Hurst, 2000.

I. Banac, The national question in Jugoslavia: origins, history, politics, Ithaca N. Y., Cornell University Press, 1984.

J. Gow, C. Carmichael, Slovenia and the Slovenes: a small state and the new Europe, London, C. Hurst, 2000.

J. R. Lampe, M. Mazower, Ideologies and national identities: tha case of twentieth century southeastern Europe, Budapest, New York, Central European University Press, 2004.

R. Stallaerts, Historical dictionary of the Republic of Croatia, Lanham, Scarecrow Press, 2003.

S. Bianchini, M. Dogo, The Balkans: national identities in a historical perspective, Ravenna, Longo, 1998.

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72 Un’altra influenza fondamentale, che ha plasmato decisamente l’area balcanica, è stata quella dell’Impero Ottomano. I Turchi, una popolazione di origine nomade proveniente dall’Estremo Oriente, iniziarono la conquista dei Balcani nel XIV sec. d. C. Importante per l’ulteriore differenziazione etnica di quest’area, fu la graduale conversione all’Islam dei territori conquistati, che portò la religione musulmana alle porte dell’Europa cristiana.

Non tutta l’area balcanica rimase sotto il giogo turco. Già dalla fine del XIV sec., alcune parti della Croazia continentale furono annesse alla corona ungherese, mentre la Dalmazia sotto la Repubblica di Venezia conobbe un forte sviluppo mercantile e la Slovenia, suddivisa in feudi, entrò nell’orbita austriaca. 243

L’apogeo del dominio turco fu il ‘500, infatti, a partire dal XVII sec. un altro grande attore arrivò sulla scena: la Monarchia Asburgica, che si contese con l’impero ottomano, e successivamente quello russo, l’influenza nella zona. Entrarono a far parte del regno asburgico la Croazia centrale244 e la Slovenia, e con il Trattato di Karlowitz (1699) si sancì il progressivo declino turco in Europa. Gli anni seguenti videro alternarsi momenti di guerre e di ratifiche di pace per la spartizione di questi territori, divenuti ormai semplici pedine del gioco delle grandi potenze, in cui si inserì anche la Russia alla ricerca di un maggiore espansionismo territoriale e di uno sbocco nel Mediterraneo.

Dopo lo scompiglio portato in tutta Europa da Napoleone Bonaparte, il 1800 vide due importanti momenti di quella che è stata chiamata la “Questione orientale”: la guerra di Crimea (1853-1856) e la crisi del 1875-1878, culminata nel Congresso di Berlino.

La prima ebbe origine dalla discussione tra Francia e Russia a proposito dei Luoghi Santi della Palestina. Al termine del conflitto, il trattato di pace fu firmato a Parigi, nel marzo del 1856, e confermò l’integrità dell’Impero ottomano e la fine del protettorato russo sui principati in Europa orientale, interrompendo la volontà di espansionismo russa.245

La seconda crisi iniziò con il sostegno della Russia alle popolazioni serbe, greche e bulgare, contro la dominazione turca, che provocò una guerra più ampia turco-russa, conclusasi il 3

243 J. Pirjevec, Serbi, Croati, Sloveni. Storia di tre nazioni, Bologna, il Mulino, 1995, pagg. 69-72 e 123-125.

244 Dell’antico Regno di Croazia, la Slavonia e la Bosnia rimasero sotto l’impero ottomano e la Dalmazia fino al 1815 sotto Venezia.

245 G. Castellan, Storia dei Balcani…op. cit., pag. 311.

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73 marzo 1878 con la Pace di Santo Stefano. Il Trattato è importante per la situazione nei Balcani perché prevedeva:246

1. La nascita di una Grande Bulgaria;

2. La Bosnia e l’Herzegovina rimanevano sotto l’Impero ottomano;

3. Serbia e Montenegro si ingrandivano territorialmente e divenivano indipendenti.

La Russia acquisiva alcuni territori dell’Anatolia, ma soprattutto con il suo sostegno ai movimenti nazionali panslavisti otteneva una maggiore influenza nell’area, che poteva essere il trampolino di lancio per un controllo degli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli e l’accesso al Mar Nero.247

Le altre potenze europee non erano però favorevoli ad un tale rafforzamento russo, così, evitando lo scoppio di un’altra crisi, Bismarck cancelliere tedesco propose un accordo tra le varie nazioni che si concretizzò nel Congresso di Berlino nel giugno-luglio 1878. I principali punti furono:248

1. Forte ridimensionamento della Bulgaria;

2. Estensione dell’amministrazione austro-ungherese alla Bosnia-Erzegovina;

3. Ritorno della Macedonia ai turchi;

4. Riconoscimento della piena sovranità a Serbia e Montenegro.

I paesi dei Balcani si affacciarono, così, agli inizi del Novecento in un quadro molto delicato, presi nella morsa di due grandi imperi, con una volontà latente e via via sempre crescente di trovare il proprio spazio di autonomia nello scacchiere europeo. I due grandi imperi (austro- ungarico e ottomano) dovevano gestire dei territori di enormi dimensioni, in mosaico di popoli, culture ed etnie molto variegato.

Una nuova crisi non si fece attendere e ben due guerre balcaniche scoppiarono tra il 1912-1913.

Da tempo, nell’area, si erano riaccesi i nazionalismi contro gli ottomani, questo portò alla

246 Ivi, pag. 331.

247 J. Pirjevec, Serbi, Croati…op. cit., pagg. 35-36.

248 Ibidem.

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74 nascita di una coalizione tra Bulgaria, Serbia, Montenegro e Grecia che si scontrò con le armate turche. La prima guerra Balcanica si concluse il 30 maggio 1913 con la Pace di Londra, che imponeva all’Impero ottomano l’abbandono di tutti i territori a occidente della linea che va da Midye sul Mar Nero, a Enez sull’Egeo. Inoltre la Grecia otteneva Creta.249

Subito dopo nacque un contenzioso tra gli stessi alleati, in particolare tra serbi e bulgari, per la spartizione della Macedonia, dove alcuni chiedevano l’indipendenza della regione. La Serbia e la Grecia si accordarono separatamente per non trattare con la Bulgaria. Quest’ultima, invece di attendere l’arbitrato della Russia, attaccò tra il 29 e il 30 maggio le truppe serbe e greche, i cui governi dichiararono così aperte le ostilità: era la Seconda guerra balcanica. Sofia si trovò in difficoltà, e nell’agosto 1913 dovette accettare la Pace di Bucarest, che comportò lo smembramento della Macedonia:250

1. Alla Bulgaria, come Stato perdente, andò solo il piccolo territorio del Pirin;

2. Alla Serbia toccò la zona centrale con Skopje e il Kosovo;

3. Alla Grecia spettò tutta la parte dell’Egeo fino a Salonicco.

Le due guerre balcaniche non furono solo dei conflitti localizzati, ma “agevolate dall’antagonismo tra le potenze, più precisamente dall’antagonismo tra Triplice Alleanza e Triplice Intesa”,251 furono il preludio dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Com’è noto, era il 28 giugno 1914, quando l’arciduca Francesco Ferdinando fu ucciso a Sarajevo da un giovane serbo. I dissensi tra Austria-Ungheria e Serbia si erano fatti più forti con la crescita dei sentimenti nazionalistici e con la piena annessione nell’Impero austro- ungarico della Bosnia-Erzegovina nel 1908.

L’Austria-Ungheria consegnò un ultimatum alla Serbia con una serie di richieste, tra cui quella della partecipazione di rappresentanti imperiali al processo contro i congiurati. Il rifiuto serbo di quest’ultimo punto giustificò la dichiarazione di guerra a Belgrado, ma al contrario delle

249 G. Castellan, Storia dei Balcani…op. cit., pag. 429.

250 Ivi, pag. 431.

251 Ivi, pag. 425.

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75 previsioni su un conflitto circoscritto e breve, tutto il meccanismo di alleanze tra i vari paesi, fece sfociare l’ “incidente” di Sarajevo in una guerra europea e poi mondiale.252

Il conflitto fu lungo e disastroso in termini di vite umane, di costi e di successivi problemi economici e sociali. Inoltre, vide coinvolti per la prima volta negli affari europei gli Stati Uniti d’America. La Conferenza di Pace di Parigi (1919) fu per i Balcani un compromesso fra i nazionalismi trionfanti, in primis quello serbo, e gli interessi economico-politici delle Potenze vittoriose. Sicuramente una volta che i due maggiori imperi quello austro-ungarico e ottomano furono cancellati, si concretizzarono le aspirazioni unitarie che tra gli slavi erano latenti da tempo. I contatti tra i vari rappresentanti politici dei paesi della regione balcanica avevano già auspicato la riunificazione dei popoli slavi,253 giungendo all’accordo di un’unione sotto la dinastia serba e un’amministrazione centralizzata a Belgrado. Il 1 dicembre 1918 a Belgrado, il principe Alessandro proclamava la nascita del “Regno dei serbi, croati e sloveni”, fondato sul sistema politico e militare serbo. Il nuovo regno fu riconosciuto ufficialmente proprio in occasione della Conferenza di Pace.

Tuttavia, come afferma Susan Woodward: “The great Powers at Versailles determined the composition of the new country. They used the new principle of the right to national self- determination to justify the dissolution of the Habsburg and Ottoman empires which had ruled the region for a half millennium, but they created a country that was in fact multinational.”254 Le grandi potenze speravano che il nuovo Stato non solo creasse un’area stabile al posto di tanti piccoli Stati, ma funzionasse anche da cuscinetto tra Austria e Serbia.

Questa prima unione evidenzia due punti: il primo che il processo di costruzione di un sistema di Stati nel sud-est europeo era basato su tre caratteristiche, la ridefinizione dello spazio politico lasciato vacante dallo Stato asburgico, la compensazione per la scomparsa dell’Impero

252 Per un approfondimento sulla Prima Guerra Mondiale:

D. Stevenson, The First World War and international politics, Oxford, Oxford University Press, 1988;

H. Stracham, The First World War, New York, Viking, 2004;

253 Già il 29 ottobre 1918 si era costituito a Zagabria un Consiglio Nazionale che si pronunciò per la formazione di un governo nazionale con l’incarico di realizzare un’unione con la Serbia e il Montenegro.

254 S. Woodward, Balkan tragedy: chaos and dissolution after the cold war, Washington, The Brookings institution, 1995, pag. 23.

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76 ottomano, e il fondamentale riallineamento delle forze dopo la Rivoluzione russa. Il secondo, che vi era la necessità di colmare il divario tra i diversi nazionalismi.255

Il nuovo Stato era un mosaico di popoli, di lingue, religioni ed etnie molto differenti.

L’instabilità e i dissensi non tardarono a presentarsi: la Costituzione del 1921 (fortemente centrista) non teneva conto delle diversità politiche, culturali ed economiche tra le regioni. La crisi economica degli anni ‘20 contribuì alle difficoltà, così come l’integrazione in un unico apparato territoriale, burocratico e legale, mentre il predominio dei serbi portò ad un continuo scontro con i croati, i due nazionalismi più forti.256 Nel giugno del 1928 il Regno cambiò nome e fu ribattezzato Jugoslavia, ma questo non servì a placare le agitazioni, tanto che Alessandro I sciolse il Parlamento e assunse su di sé la responsabilità del potere. Che il clima fosse molto teso, lo testimonia la stessa uccisione di Alessandro I nel 1934.

Alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, fu raggiunto l’accordo tra serbi e croati per la trasformazione della Jugoslavia in uno stato diviso in due parti. Infatti, alla Croazia e buona parte della Bosnia-Erzegovina era riconosciuta ampia autonomia.257 Nel frattempo, l’Europa fu sconvolta dai successi hitleriani: l’invasione della Polonia a est, quella della Francia ad ovest e la guerra con l’Inghilterra. Con l’annessione italiana dell’Albania, la guerra in Grecia e l’adesione al Patto d’Acciaio di Ungheria, Romania e Bulgaria, la Jugoslavia si trovò accerchiata. Le possibilità che si presentavano al reggente Paolo erano due: o schierarsi a sostegno degli inglesi, o scendere a patti con i tedeschi e gli italiani, aderendo all’Asse.258 La decisione riguardò questa seconda scelta, con il malcontento dei militari nazionalisti, in particolare serbi. All’ingresso della guerra in Jugoslavia, l’esercito era malpreparato e ben presto l’avanzata italo-tedesca sembrava inarrestabile. Germania, Italia e Bulgaria si smembrarono il territorio yugoslavo: la Serbia fu occupata dai tedeschi, parte della Vojvodina data all’Ungheria, la Macedonia in parte alla Bulgaria e in parte all’Italia, che occupò anche il Montenegro. La Croazia vide, invece, l’instaurazione di un governo fantoccio dell’Asse,

255 Ivi, pag. 24.

256 S. Woodward, Balkan tragedy…op. cit., pag. 23.

257 J. Pirjevec, Serbi, Croati…op. cit., pag. 50.

258 Ivi, pag. 51.

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77 guidato dal movimento degli ustascia, che per creare uno Stato etnicamente puro, procedette all’eliminazione in massa della minoranza serba.259

La resistenza che si formò in Jugoslavia può essere divisa in due formazioni: quella tradizionale di tipo nazionalista, i cetnici erano i più numerosi, e quella comunista che fece capo a Josip Broz Tito. Dopo duri scontri, al termine della guerra, Tito ottenne il controllo del paese e lo strutturò secondo una federazione di repubbliche, sul sistema istituzionale sovietico. Nacque così la seconda Jugoslavia, che si chiamò Repubblica Socialista di Jugoslavia.260

Tito guidò il paese per ben trentasette anni lasciando un’impronta molto forte e profonda, mi limiterò ad accennare alcuni dei momenti significativi del periodo in cui ha governato la Jugoslavia, rimandando ad ulteriore materiale bibliografico per un maggiore approfondimento.261

Quando il Partito Comunista Jugoslavo (PCJ) arrivò al potere, aveva due obiettivi principali:

creare una società socialista nella cornice della Jugoslavia e consolidare il ruolo leader che il partito aveva raggiunto durante la guerra.262 La Seconda guerra mondiale era finita, il paese era in macerie ma la vittoria del socialismo apriva ad una nuova prospettiva per la costruzione di una nuova società jugoslava.

Come osserva Lorenzo Bertuccelli: “la via percorsa inizialmente a questo fine fu di spingere sul pedale del socialismo, facendo finta di trascurare la questione nazionale per superarla in virtù di un più alto e ideologicamente corretto internazionalismo socialista e di un forte patriottismo pan-jugoslavo. Due facce di una stessa moneta: edificazione del socialismo e costruzione della Jugoslavia. Ciò significa che i principi della parità e del federalismo erano bilanciati dal

259 Ivi, pagg. 52-53.

260 Il nome definitivo si ebbe solo nel 1963: Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, composta da sei Repubbliche, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro e Macedonia e due Province autonome, Kosovo e Vojvodina.

261 Sulla Repubblica Socialista di Jugoslavia si veda:

D. Rusinow, The Jugoslavia experiment, 1948-1974, London, C. Hurst, 1977.

V. Dedijer, Tito, New York, Arno Press, 1972.

W. Duncan, Tito’s Jugoslavia, Cambridge, Cambridge University Press, 1979.

262 H. K. Haug, Creating a socialist Jugoslavia, London, I.B. Tauris, 2012, pag. 116.

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78 progetto di uno stato unitario, anche se in termini socialisti”.263 La questione nazionale doveva essere risolta con una fusione tra la ri-concettualizzazione dell’idea di unità jugoslava e la creazione di una società socialista.264 Il PCJ non voleva però creare l’unità jugoslava attraverso la forza o la negazione delle singole culture nazionali, ma partendo dal riconoscimento delle diversità. 265

Tuttavia, non era semplice, Tito doveva tenere presente i punti sensibili dell’area: la volontà di conquista di altri attori, la guerra sul territorio e la competizione tra sistemi politici.266 Inoltre, i sentimenti di appartenenza non si potevano costruire e decostruire semplicemente e velocemente, il rischio era quello che il nuovo jugoslavismo, con le sue diversità, potesse rivelarsi ancora più “omologante”.267

Una volta al potere Tito cercò di introdurre il sistema politico sul modello sovietico; così procedette ad una pianificazione statale e centralizzata, alle collettivizzazioni forzate, alla soppressione dei partiti politici. 268 Forte della sconfitta nazi-fascista, Tito non voleva concedere obbedienza assoluta a Stalin, a sua volta quest’ultimo diffidava delle ambizioni personali del primo, considerandolo troppo indipendente. Così, su diversi fatti e opinioni sorsero contrasti: il sostegno titino ai comunisti greci, il progetto di una federazione balcanica, i disaccordi sulle strategie di difesa e sviluppo, col tempo portarono all’esclusione della Jugoslavia dal Blocco sovietico e alla necessità di trovare una propria formula. La rottura con Stalin è interessante, non solo, perché rivelò la forte posizione di Tito, ma perché dimostrava la marginalità della Jugoslavia nel nuovo balance of power del continente e la sua capacità di sopravvivere economicamente e politicamente da sola.269

263 L. Bertucelli, M. Orlić, Una storia balcanica: fascismo, comunismo e nazionalismo nella Jugoslavia del Novecento, Verona, Ombre corte, 2008, pag. 153.

264 H. K. Haug, Creating…op. cit., pag. 119.

265 Ivi, pag. 122.

266 S. Woodward, Balkan Tragedy…op. cit., pag. 24.

267 Ibidem.

268 S. P. Ramet, Balkan Babel, The disintegration of Jugoslavia from the death of Tito to the fall of Milošević, Boulder, Oxford, Westview Press, 2002, pag. 5.

269 J. B. Allcock, Explaining Jugoslavia, New York, Columbia University Press, 2000, pag. 239.

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79 Nel 1950 il partito comunista jugoslavo introdusse il principio di self-management in economia, autorizzando il ritorno delle coltivazioni alla proprietà privata. Edvard Kardelj, teorico del partito, illustrò le tre linee guida del socialismo jugoslavo: genuino ruolo delle classi lavoratrici, un certo livello di decentramento come garanzia contro il monopolio politico del centro, e una consistente “socialist democratisation” negli aspetti sociali e dello sviluppo.270 Nel 1952, durante il sesto Congresso del Partito Comunista Jugoslavo, questo cambiò nome in Lega dei Comunisti di Jugoslavia (LCJ), con l’obiettivo di evidenziare il ruolo guida e educativo. Nel 1953 vennero istituiti due organi importanti: il Federal Institute for Economic Planning e il Federal Statistical Institute. L’economia domestica e il sistema politico del paese erano strutturati sul bisogno di una politica di neutralità e indipendenza. In politica estera, dopo aver cercato appoggio nei paesi occidentali, con il rifiuto degli Stati Uniti di inserire la Jugoslavia nel sistema di aiuti del Piano Marshall (1947), Tito volse lo sguardo verso i paesi meno-sviluppati, dando vita al Movimento dei Paesi non-allineati, che non si inserivano nella logica di contrapposizione tra i due blocchi.271

Gli anni ‘60 videro un progressivo decentramento e un rafforzamento del sistema federale. Vi furono importanti riforme tra le quali: il rilassamento delle restrizioni alla libertà di parola e religiosa, l’abolizione del regime dei visti, i provvedimenti per l’agenzia di sicurezza dello Stato ed e del partito.272

Nel 1974 la Costituzione prevedeva un maggiore decentramento delle Repubbliche e Province autonome, il riconoscimento delle singole identità nazionali, tra cui quella bosniaco musulmana, che divenne gruppo nazionale273, la suddivisione in due Camere dell’Assemblea Federale, la scelta di un sistema di rotazione tra le Repubbliche per il ruolo di Presidente, dopo la morte di Tito, una complessa rete di diritti di proprietà e individuali, alla cui base vi era la volontà di una generale uguaglianza economica e sociale. Infatti, lo scopo della Costituzione

270 H. K. Haug, Creating…op. cit., pag. 137.

271 F. Romero, Storia internazionale del Novecento, Roma, Carocci, 2001.

272 S. Ramet, Balkan Babel…op. cit., pag. 6.

273 All’art. 1 della Costituzione del 1974 si afferma che: “la Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia è uno stato federale che ha la forma di uno stato-comunità di popoli volontariamente uniti e delle loro Repubbliche e Province autonome di Vojvodina e Kosovo, che sono parti costituenti della Repubblica Serba, basato sulla sovranità del popolo e sull’autogestione della classe dei lavoratori e di tutto il popolo lavoratore”.

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80 era di impedire qualsiasi gerarchia e sfruttamento, realizzando una società di uguali, fondata sul principio del consenso.274 Questi furono anni di stabilità politica e forte sviluppo economico.

Tra il 1979 e il 1982, molte cose cambiarono per la Jugoslavia, in particolare si possono individuare:

1. Cambiamenti fondamentali nel sistema internazionale: gli shock petroliferi degli anni

’70, il riacutizzarsi della tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, l’elezione alla Presidenza Usa di Ronald Reagan, le difficoltà nelle negoziazioni per l’accordo di associazione con la Comunità Europea, che hanno portato Susan Woodward ad affermare: “Jugoslavia’s dissolution began with fundamental changes in the international environment”275;

2. Problemi economici interni al paese: misure di austerità, crescita dell’inflazione, scarsità dei beni di consumo contribuirono a un evidente recessione;276

3. Risveglio dei nazionalismi, a cominciare da quello serbo.

Nel maggio 1980 la morte di Tito, simbolo dell’unità jugoslava, lasciò il paese nell’incertezza e nel disorientamento politico. La situazione andò peggiorando con il riacutizzarsi dei nazionalismi e l’incapacità della nuova dirigenza, di far fronte al contesto precario e complesso.

Le preoccupazioni della leadership comunista erano essenzialmente due: preservare il ruolo della Lega nel paese e difendere il sistema dal rischio di dominazione di un solo gruppo nazionale. 277

Così dopo la morte di Tito, il dibattito interno ed esterno alla Lega ebbe al suo centro tre argomenti:

1. L’emergenza della crisi economica e di interventi urgenti;

2. Il cambiamento del sistema politico-istituzionale;

3. Il Kosovo e la posizione della due Province autonome con la Serbia.

274 S. Ramet, Balkan Babel…op. cit., pag. 6.

275 S. Woodward, Balkan Tragedy…op. cit., pag. 47.

276 Ivi, pagg. 58-59.

277 H. K. Haug, Creating…op. cit., pag. 307.

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81 Per quanto riguarda il primo punto furono attuati una serie di provvedimenti per arginare il declino economico, tra cui misure di austerità, politiche che favorissero le esportazioni e il mercato con l’Occidente, liberalizzazioni e incentivi alle imprese. Ma l’economia stentava a decollare.

Il dibattito sulle riforme dell’assetto politico fu ancora più forte e acceso, soprattutto per le posizioni divergenti tra le singole nazionalità. Infatti, si potevano distinguere tre possibilità:278

1. L’ipotesi di una Confederazione, proposta dalla Slovenia, in cui si prevedeva un rafforzamento delle singole sovranità;

2. Mantenimento dello status quo, un sistema basato su un pensiero economico liberale, centralizzato sulle questioni macroeconomiche, sostenuta dalle autorità federali;

3. L’ipotesi di un rafforzamento della Federazione con un maggiore potenziamento delle autorità centrali, invece capeggiata dalla Serbia.

L’ultimo aspetto è collegato alla riacutizzazione dei vari nazionalismi. L’episodio che concretizza questo fenomeno, fu l’eUplosione di tumulti in Kosovo tra i serbi e la maggioranza albanese nel 1981.

Dagli anni ‘80 si era riacceso il dissenso intellettuale serbo nei confronti del regime, per cui se quest’ultimo tentava di tenere viva la convinzione riassunta nello slogan “After Tito-Tito!”, gli intellettuali di Belgrado screditarono la figura di Tito e misero in dubbio la legittimità del potere socialista. In particolare, prese vita un evidente revisionismo storico, critico nei confronti del regime e protettivo degli interessi e delle tradizioni serbe. Gli intellettuali scrissero un Memorandum dai toni molto forti; nella prima parte erano contenute le critiche economiche e politiche al regime, il decentramento e il policentrismo avevano favorito la disintegrazione del paese. La seconda parte, più nazionalista, si occupava dello status della Serbia e della rispettiva popolazione, vittime di un sistema che le penalizzava a favore di altri Stati. In più si reclamava la questione delle minoranze serbe non solo in Kosovo, ma anche in Croazia e in Bosnia.279 Hilde Haug, così commenta il Memorandum: “the activities of the Serbian intellectuals were important not only because they questioned and rejected the socialist solution to the Yugoslav national question, but also because they came to portray the Serbian

278 S. L. Woodward, Balkan Tragedy…op. cit., pag. 83.

279 H. K. Haug, Creating…op.cit., pagg. 325-326.

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82 national question as the key political issue with an even higher priority than democratisation.”280 La Repubblica serba si fece promotrice di riforme per rafforzare il potere centrale e il ritiro delle autonomie alle due Province autonome, che si concretizzò nel 1989.

Un’altra repubblica che sviluppò forti critiche nei confronti del regime fu la Slovenia, però articolate in due posizioni. La prima democratica e giovanile, faceva capo al Mladina Magazine e invocava riforme volte a rafforzare il processo democratico, invece la seconda, che trovava espressione nel giornale Nova Revija era di impronta tradizional-nazionalista e si incentrava sulla questione nazionale slovena, manifestando viva preoccupazione per il revisionismo serbo.281 Proprio in Slovenia cresceva la richiesta per un maggiore pluralismo politico, accusando l’inadeguatezza del partito unico, fomentando un dissenso latente nella stessa società.

La situazione, già come abbiamo visto sopra precaria e delicata, subì un ulteriore peggioramento con l’entrata sulla scena politica nel 1987 di Slobodan Milošević, fervido e carismatico sostenitore del nazionalismo serbo.

Suddivisione etnica della Jugoslavia nel 1981282!

280 Ibidem.

281 Ivi, pagg. 327-328.

282 L’immagine è tratta da: M. Klemenčič, M. Žagar, The former Yugoslavia’s…op. cit., pag. 187.

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83

Cap. 3.1.1 1989-1991 Progressiva Escalation verso il conflitto

La Jugoslavia si presentava nel 1989 un paese vicino al collasso: il rigurgito dei nazionalismi e la fine del senso di comunità, l’economia al tracollo, la debolezza dell’impianto politico- istituzionale sembravano arrivati ad un punto di non ritorno. I punti cardine della politica titoista, un’economia centralizzata ma non troppo, il sentimento di fratellanza e unità tra le nazionalità, il non-allineamento in politica estera, ed il ruolo coordinatore della Lega dei Comunisti non avevano resistito alla scomparsa del loro ideatore. È pur vero che la Jugoslavia conteneva fin dalla sua prima formazione i germi del suo fallimento: fin dal 1918 la

“Jugoslavia was a nonsynchronised and contradictory state creation”.283

La prima Jugoslavia nata principalmente dalla spinta egemonica serba-montenegrina, a cui poi Croazia e Slovenia avevano volontariamente aderito, era finita per il forte centralismo; il secondo tentativo non aveva funzionato a causa di un sistema politico “equivoco”, un misto tra federale-confederale, che aveva creato ambiguità sotto molteplici aspetti. Le parole di Mark Thompson mi aiutano a spiegare ulteriormente: “As a term Jugoslavia was false: the Bulgarian, Croatian, Serbian and Slovenian languages are distinct […]. As an idea it was beautiful, inspirational and delusive. As a political project it was beautiful, inspirational, delusive and sometimes expedient. As a state it was unique and eventually impossible.”284

Così, la morte di Tito favorì sicuramente il processo di disintegrazione della Jugoslavia, però, le fondamenta del sistema nel suo complesso non erano solide, come se provassimo a costruisre una casa partendo dal tetto, e non dalla base: “Jugoslavia was held together not by Tito’s charisma, political dictatorship, or repression of national sentiments, but by a complex balancing act in the international arena, and a mixed economy and political system that provided governamental protections of social and economic equality and of shared sovereignity among its nations.”285

Dal 1989 gli avvenimenti seguirono un’escalation inarrestabile, che sfociò nell’estate del 1991 nella guerra. Sicuramente anche i fatti della politica internazionale dalla caduta del Muro di Berlino, alla fine del comunismo in Unione sovietica, influenzarono e favorirono il corso degli eventi nella penisola balcanica.

283 S. Stojanović, The Fall of Jugoslavia. Why communism failed, New York, Promethus Book, 1997, pag. 72.

284 M. Thompson, A paper house. The ending of Jugoslavia, London, Vintage, 1992, pag. 2.

285 S. L. Woodward, Balkan Tragedy…op. cit., pag. 21.

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84 Era marzo 1989, quando il leader serbo Milošević riuscì a far adottare un emendamento alla Costituzione, che reintegrava a tutti gli effetti i territori del Kosovo e della Vojvodina, da sempre ritenuti parte integrante della Serbia. Questo passo permise a Milošević di controllare, considerando anche il Montenegro, ben quattro delle otto posizioni (le sei Repubbliche più le due Province autonome) in ogni istituzione federale.286 Ancora Milošević, in occasione del seicentesimo anniversario (giugno 1989) della Battaglia del Kosovo,287 evocò i miti nazionalisti serbi, riecheggiando il progetto della Grande Serbia. Le altre Repubbliche temettero una loro estinzione politica e culturale, a scapito del rafforzamento del nazionalismo serbo.

Nel dicembre 1989, il Primo Ministro del governo federale Ante Markovic cercò di mettere in atto un’urgente terapia economica, fatta di misure di austerità, anti-inflazionistiche e monetarie come la convertibilità del dinaro nel marco tedesco. Markovic cercò, inoltre, di contenere le spinte nazionaliste, con la volontà di restaurare la legittimità del governo federale.

Tuttavia, il potere centrale era ormai delegittimato, e lo testimoniò il fatto che al XIV congresso della Lega dei comunisti nel gennaio 1990, in un serrato confronto, soprattutto tra sloveni e serbi, sulla necessità di riformare il partito e la natura istituzionale della Jugoslavia, i primi, seguiti dalla delegazione croata, lasciarono l’incontro.

Nel 1990, in tutte le Repubbliche si tennero le elezioni multipartitiche.288 In Slovenia (aprile

‘90) vinse la coalizione di centro-destra Demos guidata da Milan Kucan, che divenne presidente. Nel maggio in Croazia ottenne la maggioranza l’Unione Democratica croata di Franjo Tudjman. In Bosnia-Erzegovina, le elezioni si tennero nel novembre e tre partiti, rappresentanti i maggiori gruppi nazionali (Musulmani, Serbi e Croati), ottennero i seggi in proporzione alla percentuale del singolo gruppo, mentre il musulmano Alija Izetbegovic fu scelto presidente. Nello stesso mese anche la Macedonia andò al voto, e vide la formazione di un governo nazionalista. In dicembre, toccò a Serbia e Montenegro votare. In entrambe i

286 M. Spencer, What happened in Jugoslavia?, in M. Spencer and others, The Lessons of Jugoslavia, New York, Elsevier Science, 2000, pagg. 14-15.

287 Il 15 giugno 1389 è una data molto importante nella tradizione serba, in quanto ricorda la Battaglia del Campo dei Merli (Kosovo), in cui l’esercito serbo si scontrò contro le truppe ottomane, ma con la sconfitta la Serbia cadde sotto il giogo turco.

288 C. Rogel, The breakup of Jugoslavia and the war in Bosnia, Westport, Greenwood Publishing Group, 1998, pagg. 21-22.

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85 comunisti tornarono al potere, nel primo paese Milošević fu confermato presidente e nel secondo il giovane Momir Bulatovic. 289

Bosnia-Erzegovina e Macedonia erano i paesi più timorosi di una possibile dissoluzione della Jugoslavia, sia per le loro deboli economie, sostenute per la maggior parte dalle entrate federali, sia per motivi etnici. Temevano, infatti, una loro disintegrazione a causa della composizione nazionale.

Nel dicembre 1990 tre eventi,290 in particolare, dimostrarono che le tre principali nazioni Jugoslave-Serbia, Croazia e Slovenia si erano arrese a qualsiasi possibilità di mantenere uno Stato comune:

1. Il 21 dicembre il Parlamento croato promulgò una nuova Costituzione, in cui si affermava la sovranità della Croazia;

2. In Slovenia si tenne un referendum, che segnò la vittoria per una potenziale indipendenza del paese;

3. Il governo serbo si appropriò illegittimamente di un’ingente quantità di dinari dalle emissioni federali, che scatenò forti proteste da parte delle altre Repubbliche.

Secondo Glaudic: “those three events indicated that 1991 was to be the year of Jugoslavia’s final dissolution”. 291 E così fu.

Agli inizi del 1991 più forze erano a lavoro in Jugoslavia: una parte (il Governo e l’esercito federale) che cercavano di tenere insieme il paese, un’altra (Serbia, Slovenia e Croazia) che invece minavano la sua stabilità. La stessa armata federale perse in queste periodo controllo e credibilità, e divenne uno strumento manipolato dalla Serbia.292 Quest’ultima, nel maggio 1991, compì un ulteriore sfida, bloccando la rotazione per la presidenza federale, che detenuta dal collaboratore di Milošević, Borisav Jovic, sarebbe dovuta spettare al croato Stipe Mesic.293 La

289 Sui risultati delle elezioni in Jugoslavia si veda anche il capitolo, Challenges of democracy, in J. Glaurdic, The hour of Europe, Western powers and the breakup of Jugoslavia, New Haven, Yale University Press, 2011.

290 Ivi, pag. 125.

291 Ivi, pag. 127.

292 C. Rogel, The breakup…op. cit., pagg. 22-23.

293 Ivi, pag. 24.

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86 situazione si paralizzò: vani risultarono gli sforzi sia di Bosnia-Erzegovina e Macedonia, sia di Markovic di mediare tra le Repubbliche. Il 25 giugno 1991 Croazia e Slovenia dichiararono la loro indipendenza.

Prima di analizzare le varie fasi del conflitto, è interessante aprire chideri: quale fu la posizione dei principali attori internazionali e in particolare dell’Europa di fronte a questi eventi?

La Comunità Europea si trovava in un momento delicato della sua storia, il cammino per il completamento del mercato unico stava proseguendo, così come continuava il pieno coinvolgimento della Germania unita nelle istituzioni europee. Inoltre da molte voci si invocava la necessità di una maggiore integrazione politica. La CE era sia distratta dagli effetti della caduta del muro di Berlino e della crisi del Golfo, sia mancante dei necessari strumenti operativi, di un’adeguata determinazione politica e dell’indispensabile coesione tra gli Stati membri.294 L’esperienza della Cooperazione Politica Europea, come è già stato evidenziato nel primo capitolo del presente elaborato, era rimasta a livello intergovernativo, ma le sfide che si ponevano richiedevano una differente modalità di gestione. Proprio i Balcani rappresentavano per l’Europa la prima vera sfida nel proprio territorio, dopo la fine dell’era bipolare. Per evitare una destabilizzazione dell’area, i paesi della CE auspicarono fin da subito il mantenimento della Repubblica di Jugoslavia, e nonostante gli evidenti segnali di disintegrazione, si preferiva credere ancora nella possibilità che la situazione potesse essere salvata.295

Sonia Lucarelli individua tre fasi,296 in cui suddividere il conflitto in Jugoslavia e i rispettivi attori coinvolti:

1. La prima fase (giugno 1991-gennaio 1992) ha come teatro delle operazioni la Slovenia e la Croazia e come istituzioni che gestirono i conflitti, la Comunità europea e la Conferenza per la sicurezza e cooperazione in Europa (CSCE);

2. La seconda (gennaio 1992-aprile 1994) ancora in Croazia, ma estesa anche in Bosnia, vede l’intervento delle stesse Nazioni Unite;

294 L. Gori, L’Unione europea e i Balcani occidentali: la prospettiva europea della regione (1996-2007), Catanzaro, Rubbettino, 2007, pag. 22.

295 S. Lucarellli, Europe and the Breakup of Jugoslavia. A political failure in search of a scholarly explanation, The Hague, Kluwer Law Interantional, 2000, pag. 16.

296Ivi, pag. 12.

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87 3. La terza (aprile 1994-novembre 1995) in Bosnia e, sotto la guida degli Stati Uniti,

interviene la NATO.

Per l’analisi dei principali avvenimenti del conflitto, terrò presente questa suddivisione temporale, così da mettere in luce, oltre alle vicende storiche, le dinamiche in atto tra i diversi attori che si sono impegnati sul campo.

Cap. 3.1.2 La prima fase del conflitto: l’ora dell’Europa

La prima conseguenza della dichiarazione d’indipendenza di Slovenia e Croazia fu l’invio dell’armata federale jugoslava. In questa prima fase, sia le Nazioni Unite che gli Stati Uniti, tennero una politica di basso profilo, nell’opinione che la Jugoslavia fosse un problema europeo. Al contrario, la Comunità europea prese il ruolo di guida e reagì con azioni diplomatiche collettive.

Il 28 giugno il Consiglio europeo decise per l’invio di una Trojka di buoni uffici, composta dai ministri degli Esteri di Italia, Lussemburgo e Belgio, per supportare la richiesta austriaca di attivare il Conflict Prevention Centre della CSCE. Inoltre, vennero congelati gli aiuti economici alla Jugoslavia. Successivamente, la CE decise di inviare una propria missione di osservazione (ECMM), per monitorare il cessate il fuoco, e di imporre l’embargo militare a tutte le Repubbliche jugoslave.297 Gli Stati Uniti, pur non coinvolgendosi direttamente, si associarono a queste misure. La tregua che seguì, permise il 7 luglio ‘91 di negoziare l’Accordo di Brioni, che mise fine alla guerra in Slovenia. Questo accordo prevedeva la sospensione temporanea di tre mesi delle dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croazia, il cessate il fuoco e il ritiro dell’esercito federale, infine, il ristabilimento dei confini, alla situazione prima del 25 giugno;

le parti si impegnavano anche per una “Dichiarazione comune di risoluzione pacifica della crisi jugoslava”.298

Per la Comunità europea, questo accordo rappresentò una vittoria diplomatica, tuttavia, nello stesso periodo il conflitto si era già spostato in Croazia. Qui, le minoranze serbe in Krajina e Slavonia, forti del sostegno della milizia serba e di Belgrado chiesero la secessione dalla Croazia.299 La CE continuò con l’attività diplomatica, cercando di prevenire e contenere le

297 Ivi, pagg. 18-19.

298 J. Glaurdic, The hour of Europe…op. cit., pag. 190.

299 Ivi, pag. 191.

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88 tensioni, ma le ostilità crebbero sempre di più. Fu in questo periodo (estate-autunno 1991), che ebbero luogo due dibattiti in seno alla Comunità: nel primo, nonostante l’iniziale unanimità nel favorire la continua unione della Jugoslavia, la Germania cominciò a ritenere indispensabile riconoscere le Repubbliche secessioniste, creando tensioni tra gli Stati membri,300 il secondo vide la Francia sostenitrice dell’invio di una forza di interposizione dell’Unione dell’Europa Occidentale (UEO). La Gran Bretagna si oppose all’idea, per il timore che questo conflitto potesse costituire un precedente per un intervento di terzi, in dispute interne (il riferimento andava all’Irlanda del Nord), ma anche per il suo continuo sostegno alla politica transatlantica con gli Usa.301

L’escalation di violenze portò prima alla richiesta franco-britannica, durante l’incontro dei ministri degli affari Esteri della CE all’Aia nell’agosto ’91, per un intervento delle Nazioni Unite, cui però si opposero Cina e Russia; in seguito, all’estensione di ECMM alla Croazia e alla formazione di una Conferenza di pace. Quest’ultima iniziò nel settembre 1991 ed fu presieduta dall’ex Segretario generale della NATO Peter Carrington, ma le diverse aspettative degli Stati membri preannunciarono le difficoltà di compromessi.302 Varie proposte furono prese in considerazione, ma senza accordi definitivi; a questo tentativo si associò la costituzione di una Commissione di Arbitrato, alla cui guida fu scelto Robert Badinter, che espresse vari pareri sulla situazione jugoslava, tra cui quello sulla necessità di soddisfare una lista di condizioni, prima di un comune riconoscimento delle repubbliche.303

Mentre gli scontri e le atrocità proseguivano, i ripetuti appelli per il coinvolgimento delle Nazioni Unite portarono alla Risoluzione 713 del Consiglio di Sicurezza il 25 settembre

300 Come vedremo, la Germania riconoscerà unilateralmente Slovenia e Croazia il 23 dicembre 1991. I motivi di questo riconoscimento sono stati rintracciati nell’importanza storica e strategica che l’area balcanica ha sempre avuto per la Germania, per espandere il suo potere economico, per stabilizzare l’area orientale, infine per vari tipi di pressioni interne (dall’opinione pubblica, alla lobby croata, alla Chiesa). Per approfondire le dinamiche sul riconoscimento degli Stati, si veda S. Lucarelli, Europe and the breakup of Jugoslavia…op. cit., pagg. 123-165.

301 Per maggiori dettagli sul dibattito relativo all’intervento militare, si veda il capitolo 11 di S. Lucarelli, Europe and the breakup of Jugoslavia…op. cit., pagg. 167-219.

302 La Germania vedeva la Conferenza come uno strumento per una pacifica dissociazione della Jugoslavia, mentre Francia e Gran Bretagna come un modo per tutelare la preservazione dell’unità. Vedi J. Glaurdic, The hour of Europe…op. cit., pag. pag. 210.

303 Per approfondimento: S. Terrett, The dissolution of Jugoslavia and the Badinter Arbitration Commission: a contextual study of peace-making efforts in the post-Cold War world, Burlington, Ashgate, 2000.

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89 1991.304 Questo provvedimento riguardava, prima di tutto, l’istituzione di un embargo sulle armi per tutte le parti del conflitto, poi il riconoscimento degli sforzi di mediazione della CE e della CSCE, infine invitava “all States to refrain any action which might contribute to increasing tension and to impeding or delaying a peaceful and negotiated outcome to the conflict in Jugoslavia, which would permit all Yugoslavs to decide upon and to construct their future in peace”.

Il fallimento dell’Accordo di Brioni era evidente. Il proseguimento delle violenze sfociò nel settembre del ‘91 sulle coste dalmate, con l’assedio di Zara, Spalato e Dubrovnik. La Comunità europea minacciò ancora sanzioni economiche e l’esclusione della Jugoslavia dalla lista delle nazioni favorite. Intanto continuavano i lavori della Conferenza sulla Jugoslavia. Lord Carrington propose un Piano basato su una libera associazione di Repubbliche sovrane e indipendenti, entro i confini esistenti. La proposta fu rifiutata da Milošević, che presentò la possibilità di una mini-Jugoslavia comprendente le Repubbliche favorevoli all’iniziativa e le minoranze serbe in Croazia e Bosnia-Erzegovina,305 trovando, però, forte opposizione. La Bosnia-Erzegovina dichiarò la propria indipendenza dalla federazione il 15 ottobre.306 Il rischio di un trasferimento delle ostilità si concretizzò ulteriormente.

Agli inizi di novembre un nuovo Piano venne messo sul tavolo delle trattative. Questa volta Lord Carrington sperava nell’esito positivo: l’offerta è molto generosa. Era rimosso l’obbligo per la Serbia a ristabilire l’autonomia alle regioni di Kosovo e Vojvodina e si proponeva la formazione di un comune Stato per quelle Repubbliche che lo desideravano.307 Il leader serbo rifiutò nuovamente la proposta. La Comunità europea così condannò la Serbia per i ripetuti attacchi alle città croate e richiese l’intervento dell’ONU, per l’imposizione di un embargo petrolifero “against any republic that will not accept the plan by November 5”.308 A questo punto, la Serbia accettò, ma la grande offensiva a Vukovar dell’armata federale, interruppe le trattative.

304 La risoluzione nr. 713 del 25 settembre 1991 è consultabile

http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/RES/713(1991).

305 S. Lucarelli, Europe and the breakup of Jugoslavia…op. cit., pag. 25.

306 La Repubblica Macedone aveva già dichiarato la propria indipendenza il 9 settembre 1991: di fatto con l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia rimaneva composta solo da Serbia e Montenegro, che la ribattezzarono il 27 aprile 1992 Repubblica Federale di Jugoslavia.

307 J. Glaurdic, The hour of Europe…op. cit.,, pag. 242.

308 S. Lucarelli, Europe and the breakup of Jugoslavia…op. cit, pag. 25.

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90 Un’altra Risoluzione del Consiglio di Sicurezza (nr. 721/91)309 sottolineò, che il dispiegamento di una forza di peace-keeping doveva essere legato alla condizione del rispetto di un generale accordo di cessate il fuoco. Gradualmente, l’Europa cambiò la visione del conflitto: se inizialmente era letto come una guerra civile, in cui tutte le parti avevano responsabilità, adesso, le principali responsabilità erano imputate alla Serbia, che controllava le istituzioni chiave della Repubblica federale e si opponeva ai processi di pace. Questo si rese evidente con la decisione del 2 dicembre 1991 di abolire le sanzioni economiche contro le Repubbliche jugoslave, ad eccezione di Serbia e Montenegro.

Un importante passo si ebbe quando i ministri degli Esteri della Comunità adottarono il 16 dicembre 1991 due testi, uno generale e l’altro sulla Jugoslavia, sulle politiche di riconoscimento degli Stati e confermarono il 15 gennaio l’esame delle domande di riconoscimento, richieste prima del 23 dicembre.310 Le condizioni poste agli Stati candidati erano: il rispetto dei diritti individuali e delle minoranze, lo stato di diritto, il processo democratico, l’impegno al disarmo e la non proliferazione nucleare, la tutela della stabilità e sicurezza regionale. La Commissione Badinter avrebbe giudicato la conformità dei candidati a questi criteri.311 Tuttavia, la Germania decise di riconoscere unilateralmente Slovenia e Croazia il 23 dicembre, indipendentemente dal parere della Commissione di Arbitrato, suscitando perplessità non solo perché nello stesso periodo a Maastricht si era istituito un pilastro sulla Politica estera e di sicurezza comune, ma perché si temeva un peggioramento della situazione.

Nel dicembre, il Consiglio di Sicurezza ONU adotta la Risoluzione 724/91,312 che stabiliva il dispiegamento di un piccolo gruppo di personale militare per preparare un’eventuale operazione di peace-keeping.

309 La Risoluzione nr. 721 del 27 novembre 1991 è consultabile

http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/RES/721(1991).

310 Per consultare i due testi integrali si veda: The European Journal of International Law, IV, 1, 1993, pagg. 72- 73 e 74-91- Electronic Resources.

311 S. Lucarelli, Europe and the breakup of Jugoslavia…op. cit., pag. 27.

312 La Risoluzione nr. 724 del 15 dicembre 1991 è consultabile

http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/RES/724(1991).

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