ד"סב
Premessa
Comune al mondo greco ed egiziano è, ancora, la scarsità di fonti sull’uso alimentare dell’olio d’oliva
1. L’assenza dell’olio d’oliva dalla ‘norma’ delle mense greco-
egiziane si può interpretare grazie all’analogia con periodi più recenti. SISMONDI, Della condizione degli agricoltori in Toscana, (Biblioteca dell’economista, s.
II,
II, Torino 1860, 555-556),
2in un’analisi degli usi alimentari dei contadini toscani alla metà dell’Ottocento, osserva come «il contadino di Toscana fa in generale dell’olio per suo proprio uso, e se ne serve non solamente per lume, ma anche per condire gli erbaggi di cui si ciba, quali in tal guisa diventano più saporiti e nutrienti». Il contesto vede il contadino toscano come eccezionalmente evoluto rispetto a quelli del resto d’Italia. Dunque non doveva essere normale, per la gente di campagna, usare l’olio a tavola. La ragione si individua facilmente se si rintraccia nel consumo tal quale una variante diastratica. Lo stesso varrà probabilmente nel caso degli antichi.
31
Non riporto le fonti greche sul tema, per le quali cfr. GARSNEY, 1999. Personalmente non avrei dubbi sul fatto che nessuna di queste testimonianze si può portare a favore di un uso estensivo e comune dell’olio d’oliva in cucina. Per quanto sia metodologicamente rischioso trarre una notizia da un dialogo platonico, le parole di Protagora, che ricorda come i medici sconsiglino l’olio ai malati, andrebbero analizzate sotto questo aspetto (Plato, Protagoras, 334c1). Vi si dice, nel discorso sulla relatività dell’utile, che l’olio è utile all’uomo, ma principalmente per le sue parti esterne, mentre rischia di essere nocivo per l’interno. Cfr. anche Plin. NH, 14.150.1: Duo sunt liquores humanis corporibus gratissimi, intus vini, foris olei, arborum e genere ambo praecipui, sed olei necessarius.
2
Che cito di seconda mano dall’introduzione di P. CAMPORESI a P. ARTUSI, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, Torino 1970, XIX.
3
L’idea che l’olivo fosse sempre e così ben distribuito presso i popoli del Mediterraneo va certamente ridimensionata. A questo proposito cfr. P. GARNSEY 1999, 13-15. Anche qui, certo per il contesto del Mediterraneo in età classica, non si fa cenno al dato della Moringa.
Che dell’olivo parli Archestrato di Gela (
IVa.C.), gastronomo viaggiatore la cui opera si possiede in frammenti, apre un altro squarcio. Si occupa infatti prevalentemente di prodotti esotici e pregiati.
Ciò non vuol dire necessariamente che l’olio d’oliva fosse un bene di lusso, ma che alcune varietà
Il valore economico dell’olio, ovviamente fondamento dell’impiego nel fisco, è legato alle tecnologie di estrazione. Per quanto si sia negata per l’antico l’attività della legge ‘della domanda e dell’offerta’, in Egitto si vedrà come l’avanzamento della tecnica estrattiva sia inversamente proporzionale al valore dell’olio sul mercato:
più olio si riesce a ottenere e più si abbassano i prezzi.
C’è però una precauzione da prendere: ancora oggi in Corsica e in Turchia presso alcune comunità isolate si ricorre all’estrazione per spremitura in teli, senza macina né pressa. Ciò vuol dire che bisognerà cautamente evitare di estendere le tecnologie oltre l’area geografica d’attestazione. In Egitto l’evidenza archeologica dice chiaramente che l’evoluzione della macina fino allo sfruttamento dell’energia idraulica avvenne solo in età tolemaica, ma limitatamente alle città greche e nelle doreai. E ciò è indubbiamente collegato alla mancata regimentazione idrica (se non occasionale) fino a quel periodo.
4Anche al di fuori dell’Egitto, l’esemplare più antico di mola girevole viene da Olinto ed è datato al
IVa.C. («si presenta come il trapetum descritto da Catone nel
IIsecolo a.C.») e che«questi sistemi si diffonderanno largamente nell’epoca romana. Dunque è solo oltre i limiti cronologici che mi sono posto in questo lavoro che il Mediterraneo vede l’utilizzo ampio e diffuso di strumenti per garantire una resa simile all’attuale.
Durante gli anni del dottorato pisano ho contratto innumerevoli debiti.
Verso la Scuola Normale prima di tutto: il Laboratorio di Scienze dell'Antichità diretto da Carmine Ampolo è stato sempre un rifugio sicuro dove più che altrove ho potuto lavorare e confrontarmi quotidianamente con studiosi dell'Antichità Classica. A Cristina Carusi, Alessandro Corretti, Alessia Dimartino, Donatella Erdas, Anna Magnetto, oltre che naturalmente a Carmine Ampolo, maestro da sempre, il mio più vivo ringraziamento.
Il sostegno paziente di Biagio Virgilio e l'energico pungolo di Giovanni Salmeri sono stati necessari per arrivare fin qui. In questi anni non sono mai mancati i preziosi consigli di Alain Bresson e Joe Manning.
Nel febbraio-marzo 2010 ebbi modo di trascorrere un proficuo periodo di studio come boursier presso l'École française d'Athènes: nei lunghi pomeriggi e nelle notti in giardino e in biblioteca o nella cucina della Maison des Hôtes ho potuto confrontarmi con Guillaume
potevano avere un maggior pregio. E come non considerare questo dato come un indizio di selezione agricola di cultivar migliori? Del resto anche in area babilonese, già un documento del
XIVsec. riporta un dono diplomatico di ‘olio dolce’ (EA, 14,III,46).
4
E
YRE1999.
Biard, Claire Jacqmin, Paul Joseph Kosmin, revisiting Brideshead.
Nei circa diciotto mesi trascorsi a Leuven ho contato sull'inesauribile disponibilità di tutti i membri del dipartimento: un ringraziamento speciale a Maha AbdelMonem Ahmed Akeel, Mark Depauw, Kathelijn Vandorpe, Sofie Waebens e naturalmente Willy Clarysse, il demiurgo del paradiso dei papirologi. Nello stesso periodo trovavo tregua dal greco 'amministrativo' nello studio di Guido Schepens: grazie!
Naturalmente non ho mancato di incomodare molte persone anche sul territorio nazionale:
molto devo a Lucia Criscuolo, Maria Serena Funghi e Gabriella Messeri.
Senza Gianfranco Adornato e Cristiana Torti questa premessa non sarebbe mai stata scritta: il debito verso di loro e Fiorella La Guardia è irripianabile.
Le mie famiglie, Casa-Sammito e Sed-Funaro, sono state di supporto costante e senza il pronto intervento delle zie mi sarei perduto più d'una volta: grazie a loro e agli amici Stracotto, Torsello e B'lbeta.
Rav Cipriani, Bruno Di Porto, Gaia Lembi, Rav Punturello, Ester Spizzichino, Clara Wachsberger sono ugualmente responsabili dell'entusiasmo ritrovato.
Dall'Etna alle Ardenne grazie davvero tantissimo a Elina Zicmane (con Puika) e a Gianluca e Maciej per avermi portato il sole anche in Belgio.
I pazienti abitanti di Via Di Nudo verranno presto ringraziati florealmente e alcolicamente.
a Gianluca
I - Economie antiche: approcci
Il dibattito sui modelli per la lettura della storia economica del mondo antico è in continuo divernire dalle origini della disciplina stessa e si anima in questi anni per le reazioni favorevoli o contrarie all'applicazione dei principi delle New Institutional Economies e del Law&Economics al mondo antico. Non si intende qui offrirne un compendio, se non brevemente per singole correnti e per capire in che modo questo dibattito possa aver influenzato gli studi sull'economia egiziana e su quella tolemaica in particolare.
Nel corso di una relazione presso la Indian Economic Association nel 1960
5, il premio Nobel per l'economia (1998) Amiya Kumar Dasgupta pose le basi per un approccio relativista all'uso degli strumenti interpretativi per la storia e l'analisi economica, basi che purtroppo sembrano non essere ancora recepite dagli storici dell' economia antica. In aperta polemica con Joseph Schumpeter
6(ma non solo),
Dasgupta richiamava l'economia al suo status di scienza sociale e ribadiva con forza come essa non potesse soddisfare un criterio di universalità proprio delle scienze esatte:
In economia, diversamente dalle scienze fisiche, le teorie si sono sviluppate una accanto all'altra piuttosto che in un ordine gerarchico. Esse devono essere comprese con riferimento a particolari contesti: qualificare come «generale»
una teoria economia è a volte un eccesso di ambizione
7.
5
Lo sviluppo di quell'incontro confluì poi in DASGUPTA 2004.
6
«Mi riferisco ovviamente a quelli cui piacerebbe, come Joseph Schumpeter, rivendicare per la scienza economica uno status simile a quello delle scienze fisiche», DASGUPTA 2004, 11. Sul ruolo di Schumpeter nel dibattito sulle economics nell'antichità (Aristotele e Senofonte principalmente) vd. ora PEBARTHE 2012.
7
Ivi, 14.
Se si accoglie la sua posizione, si escluderà che sia possibile una teoria generale che dia risposte univoche e vere a tutti problemi posti dall'osservazione dei fenomeni economici
8. Le stesse ragioni storiche e ideologiche che hanno formato il lessico economico possono essere fuorvianti e avere un sapore universalistico, al punto che a fronte di 'teoria della relatività' si usa discorrere di 'legge della domanda e
dell'offerta', laddove i termini dovrebbero essere invertiti. Correnti storico-
economiche positiviste e generaliste hanno contribuito in misura variabile anche alla formazione del pensiero primitivista, laddove esse sono state assunte come l'unico possibile rappresentante della teoria economica.
In realtà scuole e correnti di pensiero economico si sono poste problemi diversi, da prospettive diverse e non sono globalmente alternative. Il marginalismo non comporta il superamento dell'economia classica e non ne è l'evoluzione, allo stesso modo come l'economia neo-classica non soppianta il marginalismo.
Come gli economisti che si spingono nella formulazione di teorie generali, allo stesso modo si produce letteratura sull'economia antica nell'illusione che un'unica impalcatura teorica possa sostenere la costruzione di una storia coerente e verisimile. Non è così. Se si intende conoscere l'andamento dei prezzi relativi con il loro riflesso sulla distribuzione della ricchezza e il potere d'acquisto dei salari occorre usare strumenti teorici (di derivazione marginalista) diversi da quelli che si usano per indagare sulla risposta lenta o logicamente incoerente del legislatore di fronte al mutare di un certo scenario economico
9.
L'economia (e ancora di più la storia economica) affronta un doppio problema: il primo, che la accomuna alle scienze esatte, concerne la nascita di nuove teorie che comprendono fenomeni precedentemente esistenti, ma non osservati o spiegati; il secondo, che la distingue dalle scienze esatte, riguarda il fatto che nell'evoluzione diacronica l'economia si trova a dover interpretare fenomeni nuovi e dunque a formulare nuovi strumenti teorici
10. Nel campo della storia economica si aggiunge la
8
Vd. anche DASGUPTA 1956 in contrapposizione a Keynes e KUŁA 1962, critica alla longue durée delle Annales.
9
Senza che l'irrazionalità apparente di certi comportamenti conduca ad estendere a tutto il sistema connotati di imprevedibilità e irrazionalità, con esiti di gusto pirronistico: è questa la base dello scetticismo nella teoria del cigno nero di Nassim Nicholas Taleb. Non lontano da questo atteggiamento quello estensivo dei primitivisti / sostantivisti, che si vedrà qui di seguito.
10
Al pari, per esempio, della Giurisprudenza o della Medicina, ma certamente non della Matematica
terza dimensione dello studio delle risposte teoriche e pragmatiche coeve
all'affermarsi di un nuovo fenomeno. In questo quadro complesso si colloca anche l'impossibilità di accettare l'idea per la quale all'assenza di teorizzazione su un fenomeno debba corrispondere l'inesistenza del fenomeno, che sarebbe come affermare che Colbert non diede luogo a una riforma del sistema macroeconomico perché la macroeconomia nasce solo con Hume
11. Questo approccio che sovrappone e confonde economies e economics non verrà mai preso in considerazione nel presente lavoro.
1. Le New Institutional Economics
Come si vedrà nei paragrafi che seguono, le reazioni alle NIE sono state negli ultimi anni le più diverse. In questo lavoro vi si ricorrerà di frequente, con i caveat di cui si è appena scritto sull'applicazione di un modello economico a un intero sistema e fenomeni diversi. Occorre dunque tracciare un breve schizzo di questa scuola di pensiero che così tanto e con esiti alterni ha condizionato anche la storia economica del mondo antico nell'ultimo decennio
12.
Si preferirà in questa sede non ripercorrere la corrente
13dal suo principio, dal
o della Fisica.
11
La questione è naturalmente molto più complessa di così e ha radici nella nascita stessa dell'ontololgia e della gnoseologia. Qui non ci si occuperà di primitivismo, pace Finley e i suoi continuatori e l'idea che l'oggetto esista solo se è conosciuto e verbalizzato è rigettata in principio.
La proposizione che il mercato sia una conseguenza della scienza economica è dominante in POLANYI 1944 (La grande trasformazione), ma già ribaltata in ID. 1947 (Our obsolete market mentality): vd. PEBARTHE 2012, 127. Finley dipende sostanzialmente dal primo Polanyi: vd.
ibid.
12
Sull'uso nella storia economica antica vd. BRESSON 2007-8, in particolare 23-36; MORRIS – SALLER – SCHEIDEL 2007; CEHGRW I , 15-173; si veda poi la risposta oxoniense a quest'ultima della conferenza 'Growth and Factors of Growth in the Ancient Economy', tenuta a Chicago nel 2011 e organizzata da François Velde, Alain Bresson e Elio Lo Cascio, i cui atti sono in corso di stampa. L'esperimento stesso della CEHGRW non è uniforme nella resa ed è parso generalmente poco coerente: vd. la critica articolata del 'Compte rendu de The Cambridge Economic History of the Greco-Roman World, Cambridge (2007), Table ronde, Nanterre, 13 février 2010', ora pubblicato su TOPOI 17/1, 2011, 7-178. Si veda JURSA 2010 per
un'applicazione all'economia babilonese di I millennio, per quanto VAN DER SPEK 2007 sia teoricamente meglio strutturato.
13
In realtà di correnti che afferiscono alle NIE ce ne sono almeno due: una discendente da Hume
attraverso il secondo Hayek e fidelizzata al concetto di mano invisibile, che trova il suo esponente
momento che la storia e l'evoluzione ne sono state più volte esposte, ma piuttosto segnalarne i punti salienti e riprendere il dibattito da un contributo di Rudolf Richter (ancora sostanzialmente ignorato dalla critica storico-economica) che ha segnato un punto di svolta nella ricezione delle NIE
14.
Se Richter è probabilmente nel giusto quando descrive come positivistico il clima economico dei modelli di equilibrio generale, giunto a maturazione negli anni '80 del secolo scorso, volto specialmente all'astrazione matematica neoclassica e contraddistinto dalla scarsa considerazione per i modi di scambio, è anche vero che esso non venne minato dalle sole NIE: come si vedrà in seguito, nello stesso periodo la Prospect Theory e le teorie comportamentali contribuivano parimenti a una ponderata relativizzazione della facies più matematica e computazionale
dell'economia e a un nuovo riassetto nel campo delle scienze sociali. Allo stesso tempo, gli studi di storia economica, e di quella antica in modo particolare,
soffrivano semmai del male opposto, determinato da una certa degenerazione delle teorie polanyiane (vd. infra) e dall'estensione di quelle finleyiane oltre i limiti
cronologici che lo studioso stesso si era posto. Tuttavia, la strada indicata da Polanyi, nonostante il reciso rifiuto per l'applicazione di teorie moderne all'esegesi
dell'economia antica, aveva già spostato l'asse della ricerca sulle istitutizioni e i modelli organizzativi
15. Non si concorderà con Richter, dunque, nell'attribuire alle NIE un valore scardinante ed esclusivo nel ricollocamento delle istituzioni all'interno della speculazione storico-economica, per quanto sia indubbiamente stato lo scopo principale della corrente
16.
La definizione ormai 'classica' di istituzioni le descrive come «the rules of the game in a society, or, more formally, the humanly devised constraints that shape human interaction [...] Institutional change shapes the way societies evolve through time and hence is the key to understanding historical change»
17. Si tratta, in breve,
di maggior rilievo nella storia economica in Avner Greif; l'altra, con le fondamenta in Coase, alla quale afferiscono sia North sia Williamson, che riconosce alle istituzioni un peso maggiore e punta su una maggiore interazione tra queste e l'economica: vd. RICHTER 2005, 165.
14
RICHTER 2005.
15
Vd. HUMPHREYS 1969, 181.
16
Sin dagli inizi: vd. WILLIAMSON 1975, 7, che include la storia economica tra gli oggetti privilegiati dell'indagine neo-istituzionale.
17
NORTH 1990, 5. Questa definizione ha naturalmente subito delle modificazioni nel tempo, specie
in relazione alle due macro-correnti di cui supra.
del binario entro cui si muove la performance, ossia l'adattamento di queste regole del gioco alla prassi. In questo quadro gli oggetti che comunemente si indicano come istituzioni (e.g. tribunale, parlamento) prendono il nome di organizzazioni e sono l'espressione dell'applicazione performativa delle istituzioni alla prassi. La legge è un'istituzione, il tribunale è un'organizzazione, un codice è la performance.
Cambiamenti a lenta sedimentazione o choc sono la causa del cambiamento. Le istituzioni, però, non sono considerate solo in virtù della loro influenza sul corso degli eventi economici (e.g. i mercati), ma sono esse stesse oggetto
dell'interpretazione NIE
18, ma in un senso non univoco nell'evoluzione del pensiero NIE
19. Nella premessa metodologica di North
20, le istituzioni svolgono un ruolo di ottimizzazione degli scambi (nel senso ampio di interazione tra individui) in un contesto che non è più virtualmente perfetto. Al contrario, egli riconosce come la spinta verso il cambiamento istituzionale che dovrebbe idealmente venire dalla constatazione di fattori di disturbo (come per esempio il cambiamento persistente dei prezzi relativi) possa essere rallentata se non bloccata proprio dall'alto tenore dei costi di transazione (e dunque dall'imperfezione negli scambi). In questo quadro generale, in cui la norma è l'imperfezione (non solo dei fattori economici, ma anche della razionalità, così che l'idealtypus dell'agente economico a razionalità piena perde, giustamente, consistenza), North sposta l'asse della razionalità
sull'opportunismo della classe dominante che potrebbe preferire istituzioni meno
18
FURUBOTN – RICHTER 1993.
19
A grandi linee si può dire che mentre per Williamson (1981) e i suoi le istituzioni sono intese esclusivamente alla riduzione dei costi di transazione e al miglioramento dell'efficienza economica e il fallimento ne determina la scomparsa, dalla parte di North (1990, 51) si sposta il punto d'osservazione verso le ragioni della performance irrazionale senza condannarla aprioristicamente.
Oltre a una visione più dogmatica delle leggi di mercato e, in ultima analisi, della mano invisibile, l'approccio di Williamson è più difficile da usare ai nostri fini per il fatto che egli stesso non si preoccupi di provvedervi una profondità storica, a meno che non la si recuperi attraverso la revisione di Avner Greif (vd. infra). Appare tuttavia significativo che questo studioso non si trovi mai citato nel recente convegno di Chicago (VELDE – BRESSON – LO CASCIO c.d.s.) dove si fa il punto sull'applicazione delle NIE alla storia economica (specie in riferimento all'evoluzione dei diritti di proprietà) del mondo antico per aree tematiche. Un breve cenno in MANNING 2010, 75, dove si interpreta il ruolo del re-faraone alla luce del 'modello cognitivo' di Greif, senza che in questo campo lo studioso abbia raggiunto, a parere di chi scrive, una complessità analitica pari a quella di Kahneman (vd. infra).
20
NORTH 1981, 6 e 1990, passim.
performanti a favore della propria stabilità e del mantenimento dei propri diritti di proprietà. In realtà, dunque, la razionalità della quale non sposa le ragioni in campo di scelte economiche e ottimizzazione dei costi, torna nell'assetto della gestione e nel mantenimento del potere, anche se solo a breve termine.
Nella genesi e nell'evoluzione così come nella critica delle NIE molto peso ha e ha avuto la teoria dei giochi e in particolare il cd. 'equilibrio di Nash'
21. Senza addentrarsi nell'argomento, si intende sottolineare qui come la teoria dei giochi abbia avuto un ruolo intellettualmente importante nello smantellamento dell'idea che fattori culturali su base etnica possano da soli giustificare (o rinforzare) l'inesplicabilità di alcune scelte, mostrando come scelte apparentemente irrazionali siano destinate, nel ripetersi di contesti tra loro assimilabili, a raggiungere un equilibrio irreversibile secondo un meccanismo comune a tutto il genere umano. Nella revisione di Bresson (2007, 28), ciò si riallaccia all'osservazione polanyiana di come società tra loro distanti e reciprocamente sconosciute possano aver raggiunto forme
istituzionalmente analoghe.
In questo senso si sono mossi i primi tentativi di rilettura della storia economica tolemaica, il cui pioniere è stato Joseph G. Manning. Senza far riferimento qui alla selezione delle fonti che opera lo studioso
22, si riprendono i suoi argomenti per come sintetizzati nel contributo alla CEHGRW
23. Per quanto la crescita sia, sulla scia keynesiana, uno degli obbiettivi principali delle NIE, a causa dello stato dell'arte, se non della documentazione, Manning risolve di intraprendere un'applicazione delle NIE concentrata sul cambiamento istituzionale. Manning opera fuori dal pregiudizio economico-evoluzionista per il quale lo scopo di una buona economia sia
21
Già presente nella definizione di 'istituzioni' per come sopra riportata. L'equilibrio di Nash in relazione alle NIE è problematizzato a beneficio di un pubblico di antichisti in BRESSON 2007, 27: «La théorie des jeux s’attache à analyser et à modéliser en termes mathématiques les décisions prises par différents acteurs ayant chacun leur stratégie propre, éventuellement antagoniste, face à une situation donnée». L'equilibrio di Nash, però, pone dei problemi di profondità storica: vd.
RICHTER 2005, 184, con il resoconto delle posizioni di Aoki e Greif per ciò che concerne la storia economica.
22
Si vedrà in seguito come probabilmente il peso dato a Edfu sia sbilanciato a favore di altre evidenze di cui non ha tenuto conto nell'ultimo decennio.
23
MANNING 2007, senza tema di trascurare la produzione successiva, in particolare MANNING
2010, dove le sue posizioni sulle NIE sono rimaste pressocché immutate con una rinnovata
considerazione, invece, per la corrente di Law&Economics. Vd. ora CASA 2011a, passim.
necessariamente la crescita positiva e questo è un importante progresso per l'uso cosciente degli strumenti NIE. Tuttavia egli cade in uno degli errori più frequenti tra gli storici che si siano avvicinati alle NIE, ossia quello di confondere le istituzioni intese come 'rules of the game' e le istituzioni intese secondo il comune lessico storico-politico, nonostante mostri apertis verbis di avere ben presente la differenza tra le due
24. Pur ispirandosi alle NIE e a un approccio analogo, ma meno
meccanicistico di quello dell'economia embedded, Manning cade in una rete di tradizionalismo e semplificazione quando afferma che «the last two centuries, however, were marked by dynastic disputes, rural uprising and flight from the land that must have affected state revenues as well as agricultural productivity and overall economic performance»
25. Quest'ultima osservazione è in contrasto con la stessa scuola northiana nonché con una delle più vibranti e meno discusse conquiste de Les Annales: il nesso tra storia evenemenziale e storia socio-economica non è mai lineare né scontato. È il caso
26dell'economia nederlandese tra XVI e XVII sec. e.v., quando l'assetto fiscale promosso dai governi di fronte a un periodo di crisi diffusa fu la rampa di lancio per la crescita economica. Quel must, il cui senso impera nella letteratura sulla seconda metà del regno tolemaico, va sostituito con osservazioni empiriche e dimostrazioni perché da solo l'andamento della storia politica ed evenemenziale non è condizione sufficiente (ma nemmeno necessaria) per il contemporaneo svolgersi di decrescita o stagnazione economica.
2. Polanyi e la scuola parigina neo-polanyiana 2.1 Polanyi
The main forms of integration in the human economy are, as we find them, reciprocity , redistribution , and exchange
POLANYI 1977, 35-36
Non importa in questa sede riassumere i punti chiave del pensiero economico
24
MANNING 2007, 434. Per una critica più puntuale vd. CASA 2001a, 69.
25
MANNING 2007, 438.
26
Riportato dallo stesso North (1990, 142).
polanyiano
27, ma si cercherà solamente di vedere come alcuni di essi possano aver agito nella storia degli studi delle economie ellenistiche e della tolemaica in modo particolare
28. Come si vedrà meglio oltre (cap. 3) la prospettiva polanyiana ha avuto un'eco soprattutto negli studi di economia dell'Egitto faraonico, specie in virtù dell'assenza di moneta
29.
Così come Finley, Polanyi lasciò talora intuire per l'economia ellenistica una natura diversa da quella dello scambio reciproco, propria, nei suoi pensieri, del mondo preindustriale prima della grande trasformazione ottocentesca. È il caso, per esempio, del ruolo attribuito a Cleomene di Naucrati
30, visto quasi come «il creatore del mercato mondiale dei cereali»
31. Non che Polanyi neghi l'esistenza di nuclei originari di mercato non politicamente embedded già nel mondo antico e in
particolare nell'Atene classica, ma il genere di fonte cui si volge a conforto della sua tesi ha di preferenza una posizione cronologicamente più alta
32. In generale,
27
Vastissima è la bibliografia sul tema: si veda per tutti MAUCOURANT 2005, che insiste anche sulle sovrinterpretazioni, specie dal cap. III in poi: Jérôme Maucourant è un vivo sostenitore del polanyismo applicato all'economia antica (da ultimo MAUCOURANT 2011) e funge da motore ideologico della scuola di Nanterre. Dall'altra parte, una critica davvero puntuale del pensiero polanyiano, specie per ciò che concerne l'esistenza stessa dei mercati, si trova in SILVER 1995.
Resta un classico della critica a Polanyi HUMPHREYS 1969: «Polanyi's thesis, briefly stated, was that economic theory applies only to the modern market economy and cannot serve the needs of the economic anthropologist or the historian of pre-market civilizations» (166). Si veda supra per la derivazione dal primo Polanyi in Finley dell'idea che non possa esistere economia senza scienza economica.
28
Sarebbe ridondante e inutile ai fini di questo lavoro riprendere il peso del pensiero polanyiano sull'economia antica tout court.
29
Vd. MONSON 2012, 13.
30
POLANYI 1977, 283-310.
31
AMPOLO 2010, 49 n. 29.
32
Fanno eccezione i casi di Delo e Rodi, a più riprese citati da Polanyi. In GT cita i due casi in coda
alla riflessione sulla definizione di mercato all'inizio della politica aristotelica (56-8): «as long as
markets and money were mere accessories to an otherwise self-sufficient household, the principle
of production for use could operate … For this was the century when Delos and Rhodes were
developing into emporia of freight insurance, sea-loans, and giro-banking, compared with which
the Western Europe of a thousand years later was the very picture of primitivity» (56). Siccome si
è detto che non ci si occuperà qui di 'economics' ma solo di 'economies', non si approfondirà il
rapporto di Polanyi con Aristotele, che pure rimane un punto fondamentale del suo pensiero
sull'economia antica. Polanyi sembra raggiungere per una via diversa la stessa conclusione di
Lucio Russo (2003) sulla scienza antica in toto, ossia che «The tradition preserved the history of
nonostante entrambi gli studiosi abbiano avuto poca attenzione per il mondo ellenistico
33, sono stati chiamati spesso in causa su questioni ellenistiche dai detrattori come dai sostenitori del primitivismo/sostantivismo. Molto di recente è stato Andrew Monson a ricollocare Polanyi nel dibattito sulla transizione dall'Egitto tolemaico a quello romano, attraverso però la modellizzazione teorica operata da Ober per l'Atene classica
34. Tuttavia, la riflessione più recente – e probabilmente l'unica organica mai scritta – sul contributo, volontario e non, di Polanyi e del polanyismo allo studio dell'economia ellenistica è stata condotta da Zofia
Archibald
35, specie in relazione al ruolo dei mercati: in 'The Great Transformation' (1944) e 'Trade and Market in the Early Empire' (1957) «the ancient world was used somewhat sketchily to illustrate his general these about pre-modern economic
classical Greece and that of the rise of Rome – the periods that remained cultural reference points in the late Empire and in the Middle Ages, whereas the history of the century of scientific revolution was forgotten with the return of civilization to a prescientific stage» (7). Lo stesso autore mostra in tutta l'opera come sia falso il pregiudizio che vuole Aristotele «as the unsurpassed high tide of scientific thinking» (ivi, 244), idea dalla quale Polanyi è certamente conquistato.
33
Interessante l'approccio sociologico all'uso della quantificazione nella storia economica del mondo antico proposto da François De Callataÿ al convegno 'Long-Term Quantification in Ancient Mediterranean History' (Brussels, Royal Library of Belgium - October 15th and 16th, 2009):
«First, primitivists, such as Hasebroek, or substantivists, like Polanyi and Finley, specialized in early historical periods for which, indeed, we do have very few numbers; while the advocates of modernism, such as Meyer, Wilcken or Rostovtzeff, deal with Hellenistic and Roman times which are far richer in opportunities for quantitative analysis»; senza peraltro nascondere le proprie antipatie: «The primitivists, with their linear view of time, are constantly striving for change, and are likely to be frustrated by the conditions of their society or their personal lives. For the modernist, a non-linear view of time allows them to avoid these frustrations, and to be satisfied with their lot», pur nella consapevolezza che «by describing the characteristics of these two schools we are, in Weberian taxonomy, building two Idealtypen or models» (cit. dall'abstract).
Già HUMPHREYS 1969 (194-5) sottolineava l'utilità interpretativa del 'port of trade' per il commercio di grano anche nel mondo ellenistico, ma metteva in guardia dall'uso del modello redistributo tout court per quell'era (210-1): «Thus, what disturbed the philosophers of the fourth century was not, as Polanyi thought, an increase in profit-making on price differentials, but the disembedding or structural differentiation of the economy, leading to the application of
"economic" criteria and standards of behavior in a wide range of situations recognized as economic above all by the fact that money was involved; the old civic virtues of generosity and self-sufficiency were being re- placed by the market attitudes of the trader».
34
MONSON 2012, 8 e OBER 2006, 134-6.
35
ARCHIBALD 2005, 10-17 e passim.
structures»
36, per quanto il 'port of trade' sembri corrispondere, nella dislocazione spaziale, al modello di Polanyi. Archibald giustamente ritiene che «it has become increasingly difficult to deny the existence of economic mechanisms that resemble ones that we are familiar with … What makes the ancient versions of these
mechanisms different is their intitutional and socio-cultural setting»
37.
Nel ricorso, diretto o mediato, a Polanyi (in particolare alla redistribuzione e al 'port of trade') per la definizione della natura dell'economia antica ci sono tre importanti rumori di fondo. Il primo consiste nella selezione delle fonti operata dallo studioso, già oggetto, come s'è visto, di numerose critiche; il secondo sta nel
pregiudigio che l'economia della grande trasformazione sia 'disembedded'
38; il terzo invece si incontra nella regressione fino alle fonti d'ispirazione del modello di Polanyi. Un confronto e un più stretto apparentamento della storia economica con l'antropologia è richiamato non solo dagli storici dell'economia, ma spesso anche dagli stessi economisti. Occorre che ci si interroghi, una volta assunto un modello, sulla sua validità in relazione al progredire della ricezione tra gli antropologi degli assunti che vi sono alla base. Non solo: l'istanza anti-modernista/analogista è univocamente rivolta contro la parte liberista del pensiero economico moderno e ne trascura del tutto direzioni diverse o addirittura opposte. Adesso che, durante una seconda crisi globale del mondo occidentale, si torna a considerare il liberismo puro come un'utopia (se non come uno strumento – puramente ideologico – subdolo di asservimento delle classi più deboli), la critica fondamentalista all'analogismo perde di senso, se l'esegesi economico-sociale apre a dottrine e modelli non incentrati sulla 'invisible hand'. È chiaro in questi anni, ben più di quanto non lo fosse prima, che per esempio i commerci di petrolio e il valore delle riserve sovrane attive e passive sono tutt'altro che 'disembedded', dal momento che possono variare con estrema facilità non solo in relazione a singoli provvedimenti legislativi di natura economica, ma
36
Ivi, 11.
37
ARCHIBALD 2005, 18.
38
Questo tema richiederebbe certo di essere trattato con maggiore ampiezza. Il ricorso in questo lavoro a teorie economiche moderne per la comprensione dell'economia antica si muove in realtà in due direzioni opposte (almeno da un punto di vista polanyiano): tra gli antropologi (cognitivisti soprattutto) come tra gli economisti è diffusa l'idea (la constatazione, probabilmente) che
l'economia contemporanea non sia affatto 'disembedded'. Studiare il mondo passato con modelli
descrittivi del presente può significare sia verificare l'esistenza di leggi di mercato, sia rintracciare
una continuità nei comportamenti economici dell'essere umano socialmente organizzato.
anche semplicemente in conseguenza di lievi e temporanei mutamenti o instabilità nel clima politico. E ciò avviene proprio nella finanza, ossia il settore dell'economia pensato e strutturato per essere l'incarnazione del libero mercato
39.
L'istanza primaria di Polanyi, ossia di definire i rapporti commerciali tra gli uomini secondo logiche non di mercato, nasce da esigenze tutt'affatto assimilabili a quelle di North (vd. infra). Ciò che segna più marcatamente la differenza tra i due approcci è la applicabilità di strumenti econometrici all'economia antica, ma Polanyi stesso, lo si è visto, collocava il mondo ellenistico in una sorta di monade
parzialmente estranea alla stasi premoderna.
4.2 Gli epigoni di Polanyi
Di segno esplicitamente e spiccatamente polanyiano è l'opera di Bruce Trigger sull'Egitto faraonico, con un'attenzione particolare all'Antico Regno
40. Anche il suo punto di vista – probabilmente il prodotto teoricamente più maturo dell'ultima egittologia – pare mostrare un vizio di forma. Egli osserva come non esistesse nell'Egitto antico una figura di mercante ontologicamente assoluta dal cursus honorum legato al doppio ureo, che è obiettivamente innegabile. Perplime però il nesso consequenziale istituito tra ciò e l'embeddedness polanyiana. Si potrebbe obiettare infatti che l'attività del mercante non sembra essere funzione della posizione sociale e che in realtà l'analisi in questo caso tende forse a confondere e sovrapporre due piani distinti che, semplificando, si potrebbero dire di forma e sostanza.
L'embeddedness prevede che l'economia si muova su binari tracciati da strutture ed esigenze politiche e sociali: assumere che il legame tra lo status di un mercante di successo e la sua professione possano essere manifestazione della dipendenza dell'economia dalla politica non pare immediato. Così fatta, ceteris paribus, l'osservazione della funzione biunivoca tra il ruolo di mercante e quello sociale
39
L'inizio di una eterodossia nella considerazione dei limiti della competizione perfetta nasce probabilmente con Piero Sraffa (1925, 1926): vd. MARCUZZO 2003, 295-7 e passim, sugli economisti che nel XX sec. aprirono la prospettiva a forme di mercato non libero (monopoli totali e parziali, monopsoni e competizione imperfetta). A simili conseguenze era arrivato Lucio Russo (2003; vd. infra): «a growing number of scholars now casts doubt on the idea that one can
characterize an economic system or a civilization by listing the ways in which it falls short of Wall Street» (261).
40
La sua produzione è notevole: si veda in particolare TRIGGER 1993 e KEMP 2006, quest'ultimo
teoricamente più complesso.
dovrebbe piuttosto portare a constatare che la politica e la società rispondono al mercato e vi si adeguano. Non si arriverà a supportare un tale estremo alla luce del fatto che quella relazione non può essere analizzata ceteris paribus.
Conviene in questa sede porre Moses Finley in questa sezione, dal momento che il suo contributo alla comprensione dell'economia ellenistica non è maggiore di quello di Polanyi e l'approccio ne è derivato: Finley escludeva l'esistenza di un'economia ellenistica tout court e piuttosto tracciava una demarcazione geografica per grandi aree omogenee. Da un parte i greci d'occidente, 'the old Greek world', che non
avrebbero mmostrato cambiamenti di rilievo rispetto ai periodi precedenti, e dall'altra il mondo orientale di Seleucidi e Tolemei, che continua senza soluzione di continuità le strutture economiche in vigore nelle società pre-alessadrine
41.
Infine, pur muovendo da tesi neo-istituzionali, Andrew Monson (2012, 88) accoglie la prospettiva polanyiana e la estende all'Egitto tolemaico, individuando il vero punto di svolta (dalla redistribuzione verso il mercato) nella transizione all'impero:
In broad outline, the Ptolemaic state had a redistributive royal and temple economy that captured agricultural surplus and used it to mantain the military and bureaucracy along with the palacy and priestly elite. Of course it was not completely redistributive in any absolute sense, as Polanyi seems to have envisioned, but the notion of redistribution has analytical value if one has in mind a specific point of comparison [cioè l'economia d'età imperiale]
Si avrà modo di vedere oltre come l'economia redistributiva dell'Egitto tolemaico, se da una parte è innegabilmente esistita, dall'altro è stata sopravvalutata in ragione della scarsa considerazione per l'economia privata
42.
41
FINLEY 1985, 183.
42
Certo, meno documentata che in età romana, ma non per questo inesistente o di minore portata.
L'impressione che si ricava leggendo l'ultima opera di Monson è che egli abbia riconosciuto dei
fenomeni nuovi nell'Egitto romano talora postulando la loro assenza nell'Egitto tolemaico dal
silenzio delle fonti, per quanto sottolinei a più riprese come l'evoluzione dovette essere lenta e
graduale e soprattutto iniziata già nella seconda fase del regno tolemaico. Aggiungerei che il
cambiamento nel genere di documenti prodotti dall'amministrazione non indica necessariamente
un cambiamento nei meccanismi economici.
L'uso che fa Monson di Polanyi non è mediato, specie nell'analisi del sistema fiscale, dall'evoluzione del pensiero polanyiano segnata da Pryor (1977). Egli operò una distinzione tra gli scambi (l'ultimo step evolutivo della teoria polanyiana) e i trasferimenti. Questi ultimi, nel sistema di Pryor, sono le transazioni unidirezionali per le quali beni e servizi sono dati senza un ritorno diretto, come le tasse, appunto, classificate in quanto transazioni di beni o denaro in cambio di stabilità sociale e/o successi militari
43. Sempre secondo Pryor, queste transazioni potevano essere
centriche (in una società caratterizzata da «an institution or an individual carrying out a societal-wide role») o non-centriche
44.
Per quanto non siano penetrate finora negli studi di economia antica se non marginalmente, le teorie di economia comportamentale sono candidati privilegiati per uno sviluppo ulteriore del sistema polanyiano, in particolare gli studî sulle attitudini di reciprocità nelle cd. small scale societies. Il concetto di reciprocità, infatti, è necessariamente completato da quello di prosociality, ossia la misura del grado di attitudine alla reciprocità (vd. infra §Conta solo contare?
Kahnemann&Tversky: da Bernoulli in poi). La stessa struttura dell'analogia polanyiana delle isole Trobriand ha una genesi non lontana da quella delle piccole comunità per le quali si sono studiato i gradi e i modi della 'prosocialità'.
43
Pryor (1977) distingueva ancora gli scambi in due cateogorie: quelli nei quali il rapporto tra beni e servizi scambiati poteva variare e quelli in cui ciò non poteva accadere; questi ultimi (scambi reciproci) avrebbero escluso l'uso della moneta.
44
PRYOR 1977, 34.
C'è un'ultima considerazione da fare, sulla quale occorrerebbe che gli storici dell'economia riprendessero a interrogarsi: nella Ricchezza delle Nazioni, Adam Smith fa costante riferimento alla storia economia del mondo antico
45. Come si concilia ciò
46con la pretesa che il mondo antico (o il mondo preindustriale addirittura) potesse essere così alieno ai principi classici dell'economia? Il tema è stato ripreso più volte da Neville Morley, ma non sembra avere la giusta eco nel dibattito sull'applicazione delle teorie economiche allo studio del mondo antico. «The pioneers of political economy were steeped in the classics, and the writings of Adam Smith, James Steuart, and Thomas Malthus are full of references to classical authors and episodes in ancient history – not merely as illustrations or displays of erudition but as an integral part of their arguments.The past was a source of evidence with which theories might be supported»
47. Il discrimine maggiore tra l'economia antica e quella a lui contemporanea era per Adam Smith la schivitù, dal momento che egli
45
Considerazione che pare aver influenzato i primi e più importanti studiosi di economia antica come Gibbon e Grote, specie in relazione al lusso e alla distribuzione della ricchezza (MORLEY 1998, 101). Per le speculazioni sulla demografia a partire già da Hume vd. infra.
46
E il fatto che in generale «most late eighteenth- and early nineteenth-century discussions of luxury, population, or slavery referred at some point to the ancient world» (MORLEY 1998, 104).
47
MORLEY 1998, 97.
Fig. 1: Centri presi in esame da HENRICH et al. 2005 (799)
considerava il lavoro schiavile il più caro
48. Lo stesso Smith era tra tutti il maggior fruitore dell'analogia storica con il mondo antico, che amava a tal punto da ispirare il suo legislatore ideale a Cicerone, Platone e Solone
49. Morley (1997, passim) dimostra come in realtà Finley sia stato forse uno dei pochi a porsi questo problema, ma allo stesso tempo avesse dato una risposta insufficiente, che non teneva conto del mondo di riferimento dei primi studiosi di economia politica (specie Smith e Malthus), basato anch'esso, come quello antico, sulla produzione agricola. Se il problema nell'analogia è il capitalismo della grande trasformazione, come rigettare l'estensione di certi principi economici al mondo antico, se questa è postulata da chi fa
riferimento a variabili assimilabili?
Il contributo di Lucio Russo
Il modo in cui Lucio Russo, dal suo osservatorio entusiasta sul panorama scientifico ellenistico, descrive l'intervento di Finley nel dibattito sulla storia economia antica, non lascia dubbio sulla posizione che lo studioso assume rispetto al primitivismo:
«Finley once boiled all the technological innovations of "the Greeks and Romans"
down to a "fairly exhaustive" list of thirteen items»
50. Dopo aver dato breve notizia del dibattito tra modernisti e primitivisti (pp. 243-5), Russo ripercorre le politiche scientifiche e tecnologiche dei regni e delle città ellenistiche, iniziando naturalmente dall'Egitto
51e focalizzandosi su Pergamo «whose rulers, as we just saw, sponsored research in areas that promised an immediate practical return, such as agriculture and engineering» (p. 249): è effettivamente difficile conciliare l'esistenza di strumenti quali l'incubatrice avicola con una politica economica di autosussistenza
52. In
48
Ivi, 103 su Wealth 3.2.9.
49
Ivi, 106. La tendenza a trascurare la storia economica che Morley giudica crescente con l'evoluzione della scienza economica è certamente vera, ma bisogna aggiungere alla sua lista di autori interessati all'antico anche alcuni economisti marginalisti di fine XIX sec. che tornarono a interessarsi dell'antichità specie in merito a temi fiscali: cfr. e.g. sull'Egitto tolemaico BASTABLE 1917 (tasse di successione), 4.9.2 e LALOR 1899, I 248.23 (imposte sul commercio).
50
RUSSO 2003, 244.
51
Interessante la citazione (p. 246) di SB 6 9302 (Apollonopolis, ex. III sec. a.e.v.), dove il cleruco Philotas chiede al sovrano di adottare una pompa idrica di sua invenzione ἐπε]ιδὴ [πυ]κναὶ γίνονται \αἱ/ ἀβροχίαι ἐν τῆι χώραι νῦν ἤδη καὶ παντελῶς (rr. 2-4) e garantisce che grazie alla sua macchina σωθήσεται δὲ ἡ χώρα (r. 5).
52
Si tratta di uno strumento noto agli egiziani e diffuso ai greci in età tolemaica: RUSSO 2003, 250-
1: «In the early sixteenth century Thomas More wrote admiringly that in Utopia "vast numbers of
generale Russo trova in Egitto (attraverso Rostovtzev, va detto, ma del resto Finley e i primitivisti non offrivano al lettore non specialista altrettanti riscontri con le fonti) le prove a conforto della sua idea che le scienze venissero promosse con intenti non esclusivamente speculativi. Ciò che lo convince del primitivismo è la cautela verso la modernizzazione del passato
53, ma allo stesso tempo destituisce l'attualità dalla posizione di privilegio che l'evoluzionismo (nel senso deteriore) le ha assegnato: «If we think that biology has predetermined a unique possible path for the human race, culminating in the “economic rationalism” of today, it may be possible to define other civilizations by how far they are from ours; but human history is much more complex than that … The Mouseion’s economic role was not comparable to that of the Royal Society, but that does not mean this role was insignificant, nor does it imply lack of wisdom or foresight on the part of ancient scientists» (p. 264). Non solo per la promozione della scienza ad Alessandria, ma anche per la mancanza di un modo di produzione schiavistico Russo vede un discrimine geografico più funzionale di uno cronologico e per quest'ultima ragione assegna uno statuto speciale
all'economia tolemaica. Questa posizione è certamente influenzata dall'approccio finleyiano all'economia ellenistica (vd. supra) e Russo non si propone di avere una prospettiva indipendente sulle fonti. I due punti più notevoli della sua breve riflessione sull'economia ellenistica riguardano il contributo della tecnologia all'economia di mercato e la relativizzazione del punto d'osservazione attuale.
Intermezzo. Perché abbiamo dimenticato le Annales
54Con l'eccezione dell'opera di Vidal-Naquet
55sulla diagraphe tou sporou, la
produzione degli studiosi delle Annales sull'Egitto antico non è comparabile a quella
eggs are laid in a gentle and equal heat, in order to be hatched", but incubators would remain a mere literary memory still long after that».
53
«In Chaplin’s movie Modern Times, the tokens of modernity are screws, gears, transmission belts, valves, steam engines, automata: a smorgasbord of inventions from ancient Alexandria. How can one say that these innovations were useless back then? Yet, though so much of the technology that made up the movie’s factory goes back to the third century B.C., it is clear that in that century there were no factories like Chaplin’s.» (263)
54
Si fa riferimento in questa sezione soprattutto alle prime due fasi del movimento, quella 'rivoluzionaria' fino al 1945 e quella matura fino al 1968, dominata dalla figura di Fernand Braudel, secondo la scansione temporale di BURKE 1990, 2-3.
55
VIDAL - NAQUET 1967.
sul resto del mondo antico e greco-romano in particolare. In un contributo estremamente importante per la storia dell'egittologia, Georges Posener (1962) analizzava la distribuzione cronologica e geografica delle fonti, sottolineava le contraddizioni dell'esegesi e denunciava come a fronte della parvità della materia proveniente dal Basso Egitto «on élimine pour aligner les données sur un schema préétabli, pour réaliser une construction harmonieuse dont tous les éléments s'agancent parfaitement. Il existe comme un besoin de réduire l'infinie variété des faits à une formule simple et rigide qui ne souffre pas d'exceptions. Le travail de cabinet nous a habitués à éviter les contradictions et les incoséquences. La méthode déteint sur la matière, et plus la matière humaine que nous étudions est éloignée de nous et nous est étrangère, plus nous sommes portés à la traiter dans l'abstrait et à lui imposer notre rigueur. (…) Les faits, dûment sélectionnés et interpretés, permettent de soutenir des thèses opposées»
56. Un doppio ordine di problemi dunque: da una parte il rigorismo accademico che livella la materia su degli schemi preconfezionati (tema sempre attuale, naturalmente) e dall'altra l'arbitrarietà nella scelta delle fonti. A questo tema si legò successivamente la viva opposizione a Polanyi di Braudel, il quale accusava lo studioso ungherese di «un misconoscimento quasi totale della storia»: «Karl Polanyi volge al ridicolo il fatto che taluni storici abbiano potuto parlare di "mercanti" assiri, anche se migliaia di tavolette ce ne tramandano la corrispondenza»
57.
È significativo che nella prima raccolta della scuola di Liverpool (ARCHIBALD et al. 2000), dove a più riprese si fanno i conti con la storiografia precedente, non ci sia alcun riferimento alle Annales in quanto tali e al loro portato nella storia economica e sociale
58, mentre si sente vivo il bisogno di rapportarsi a Finley che pure aveva esplicitamente accantonato l'ellenismo
59. Naturalmente lo sguardo degli autori non è rivolto solo verso Finley, ma più in generale sui suoi epigoni e sul portato che, suo malgrado, ebbe negli studi socio-economici dell'ellenismo. Di Annales invece hanno trattato in varia misura gli autori del volume di scritti dedicato a Raymond Descat e
56
Ivi, 642-3.
57
BRAUDEL 1987, 214 e 236.
58
Diversa è stata la ricezione da parte degli archeologi, attraverso Braudel e Purcell: vd. GREENE 1990, 127-131.
59
E il rifiuto del mondo ellenistico e dell'Egitto tolemaico in particolare è la ragione per la quale in
questo lavoro non si sente l'esigenza di prendere in considerazione temi e metodi finleyani.
recentemente pubblicato
60.
C'è un punto di convergenza tra l'eredità delle Annales (eredità eccentrica e controversa, invero) e le correnti statunitensi della nuova sociologia
comportamentale (vd. infra) e si tratta dell'ultimo Bourdieu
61. Nel delineare i contorni e i contenuti dell'economia antropologica più recente, Bourdieu si concentra sul ruolo degli agenti economici (intesi e limitati al fattore di produzione) in un dato spazio
62.
5. Il gruppo di Liverpool e l'economia ellenistica
Con tre volumi collectanei e un quarto in preparazione
63il gruppo di studiosi fondato e animato da John K. Davies da una decina d'anni ha ripreso le fila dell'economia ellenistica. Il primo dei tre volumi, comparso nel 2000, contiene le premesse
metodologiche: in disposizione chiastica i contributi di Davies e Archibald sono volti rispettivamente a segnare i progressi compiuti 'in the post-Finley era' e le prospettive per un rinnovamento dell'opera di Rostovtzev
64. Tracciati i punti cardine della
reazione anti-finleyiana più recente, Davies si cimenta nella definizione (logica e spazio-temporale) dello studio dell'economia ellenistica. L'istanza operativa è quella di riuscire a comprendere le innumerevoli fonti a disposizione per la ricostruzione di un quadro filologicamente coerente, ma la sfida più impegnativa che si propone lo studioso è certamente quella di strutturare un assetto teorico e metodologico che non escluda le più recenti evoluzioni della storia del pensiero, «by tracking actual
behaviour or by studying the representations, in various genres, direct or indirect, which can be read to reflect aspects of the Zeitgeist». Per far ciò, mette in guardia dai rischi che comporta lo studio dell'economia ellenistica: il primo riguarda proprio
60
KONUK 2012.
61
Vd. in particolare BOURDIEU 2005.
62
Tutto il ragionamento di Bourdieu è centrato sulla dimensione spaziale, tanto da arrivare a uniformare ad essa quella temporale, in questo modo perdendo uno degli assi fondamentali dei modelli ad agenti. «To break with the dominant paradigm [in economics], we must attempt to construct a realist definition of economic reason as an encounter between dispositions that are socially constituted (in relation to a field) and the structures, themselves socially constituted, of that field. In doing so, we need to take note, within an expanded rationalist vision, of the historicity constitutive of agents and of their space of action». ivi, 75.
63
DAVIES 2000, 11.
64
E anche questa disposizione dei contenuti è significativa della posizione del team sul primitivismo.
l'arco cronologico in sé e il rischio di reificare una definizione astratta
65; il secondo lo storicismo
66; il terzo, strettamente imparentato con il secondo, consiste nel rischio che il peso della storia evenemenziale in quella economia sia sovradimensionato
67. Come anche molti altri, Davies constata l'educazione ellenocentrica degli studiosi che si occupano di ellenismo, così da creare una periferia artificiale, ma uno dei punti nodali del suo contributo riguarda la considerazione che si ha normalmente dei fenomeni economici, osservati sotto il cappello del controllo fiscale di un unico potere centrale
68. Ciò rischia di generare, secondo lo studioso, da una parte la confusione tra i processi produttivi / mercati e il sistema fiscale e dall'altra la mancata comprensione dei processi interattivi tra le due sfere, che andrebbero
mantenute separate
69. Le conclusioni di questo contributo di fondazione vanno in una direzione ancora da esplorare pienamente. Che conoscesse o meno la posizione di Dasgupta che si è citata di sopra, Davies raggiunge la stessa conclusione: è quanto meno infruttuoso affrontare lo studio di un sistema economico con un unico modello in mente, sia esso applicato consapevolmente o no. Con la posa della prima pietra, Davies conclude la pars destruens del suo metodo. Nelle conclusioni al volume vergate da Archibald (279-84), si traccia invece lo scenario metodologico possibile in relazione agli studi presentati: smarcandosi dalla narrativa moralista di Rostovtzev il gruppo di Liverpool intende esplicitamente rimettere in discussione il metodo, ma anche e soprattutto analizzare prima che sintetizzare il mutamento delle economie lungo gli assi del tempo e dello spazio, in sintesi destrutturare l'immagine
cristallizzata di un ellenismo monolitico e progressivamente decadente sotto il peso di Roma.
Con i volumi successivi, dei quali non si rende conto qui in dettaglio, il gruppo ha animato una discussione internazionale su casi particolari, non affidandosi a un approccio predeterminato (come è invece il caso della CEHGRW o del
successivo convegno di Chicago), ma lasciando che gli studiosi risolvessero le
65
Lo scotto pagato per questa ragione e per il pregiudizio orientalizzante dall'Egitto tolemaico è alto.
66
«No portrait of Hellenistic economic history (or indeed of Hellenistic history in general) which knows from page one that a Roman conquest of the eastern Mediterranean would take place can fail to be history viewed from the wrong end», ivi, 12.
67
Pericolo che esclude per l'Egitto tolemaico.
68
In questo Davies (14) trova importante l'influenza di PREAUX 1939 e ROSTOVTZEV 1941, proprio sulla storia economica dell'Egitto tolemaico.
69
Si vedrà oltre come in questo lavoro si sia cercato di rispondere a questo stimolo.
questioni con strumenti proprî. L'ultimo volume (ARCHIBALD et al. 2011) certamente risente dell'affermazione delle NIE, ma il progetto tiene ancora fede all'intento originario, ossia di esplorare oggetti e prospettive diversi, con l'esito felice della reciproca contaminazione. Certo è che il primitivismo non vi ha avuto spazio e il sostantivismo si è limitato quasi esclusivamente al ricorso al 'port of trade'.
In questo quadro di rinnovamento critico, alcuni degli studiosi hanno costruito dei modelli funzionali. Si prenda ad esempio il modello di Davies (2005) che intende illustrare le relazioni tra i fattori dell'economia poleica: per quanto completo, non risponde pienamente a ciò che ci si attenderebbe da una teoria economica, ossia determinatezza delle implicazioni e potere unificante
70e soprattutto manca di sintesi.
Ciò che ci si attende da una teoria è che essa sia in grado di derivare il maggior numero possibile di implicazioni dal minor numero possibile di assunti. Il modello di Davies è di segno opposto: esso mostra tanto un'acutezza analitica quanto una
difficile leggibilità
71.
7. L'Egitto: problemi di metodo
«Egyptology became more and more isolated and alien, to a certain extent, to the new methods of historical analysis and comparative research developed during the 19th and early 20th centuries, as if it was somewhat of an elitist self-sufficient
domain of study, one of the last bastions of antiquarianism and romantic archaeology, where social and economic history were at best only educatedly tolerated at the margins of the discipline»
72: così Juan Carlo Moreno García nell'esordio di uno dei suoi più brillanti contributi dal titolo 'From Dracula to Rostovtzeff or: the
misadventures of economic history in early Egyptology'
73, dove tratta di come tra la
70
Sono queste due delle virtù epistemiche, ossia le qualità che gli economisti considerano desiderabili in una teoria: vd. MOSCATI 2006.
71
Naturalmente nella nostra disciplina il rapporto tra realismo e sistematicità di una teoria non può essere favorevole al primo come lo è nell'economia neo-classica in generale: vd. MOSCATI 2007, 121 e passim. Il rischio è chiaro e consiste nella ricostruzione di un archetipo coerente, ma noumenico, improponibile per un oggetto di studio conoscibile solo per frammenti e già di per sé parzialmente integrato.
72
GARCIA 2009, 175, corsivo mio.
73
García è certamente influenzato da una critica marxista e a tratti positivista ai secc. XIX e XX, vd.
le frequenti citazioni di Hobsbawm e la certezza che l'affermarsi di varianti cristiane nuovamente
fine del XIX e gli inizi del XX sec. l'egittologia fosse legata a un contesto culturale neo-arcadico e decadente
74. In effetti ancora alla metà degli anni '70 del secolo scorso Janssen (1975, 128-9) lamentava che «the influence of the economy on Egyptian political and cultural history has been underrated», soprattutto da parte degli egittologi stessi, dal momento che invece, sin dalla pubblicazione delle prime traduzioni di testi egiziani di interesse socio-economico, studiosi come Meyer e Weber ne fecero largo uso, pur con esiti opposti. Soprattutto García descrive la nascita del mito di uno stato faraonico interventista e paternalistico come risultato del prisma usato dagli archeologi biblici e delle suggestioni della storia di Joseph
75, mito che ricevette nuova linfa con il consolidamento post-bellico delle rivoluzioni russa e cinese.
Ancora oggi l'Egitto faraonico trova difficoltà a divincolarsi da queste maglie e in qualche modo l'Egitto tolemaico soffre del medesimo male. Non ci si sofferma qui su questo nodo perché si crede di darne risposta nel corso dei capitoli successivi. Si anticiperà solo che il problema della tesi dirigista, incarnata nelle opere di Claire Préaux e Michail Rostovtzev, e che Jean Bingen ha parzialmente superato, ritorna nel momento in cui l'analisi dell'economia tolemaica sembra fermarsi allo studio del rapporto della produzione con l'autorità statale, principalmente inverato nel fisco.
Tanto più, lo si vedrà, ciò è vero con la riproposizione della teoria dello stato predatore e una rinnovata attenzione verso la gestione della terra. Quel che pare mancare ancora è un'analisi delle dinamiche economiche al di là della presenza dello stato, non più focalizzata sui rapporti verticali tra popolazione (ed eventualmente classi sociali) e stato, ma sul rapporto orizzontale tra gli agenti. Il ricorso ai garanti
legate all'Antico Testamento fosse funzione, agli inizi del XX sec., della perdita di fiducia nel progresso (p. 181). Se da una parte ha certamente ragione sulla reciproca influenza di egittologia e romanticismo/decadentismo, dall'altra non tiene in considerazione una nicchia della produzione letteraria che sin da subito prese coscienza delle potenzialità della storia economica egiziana: per tutti si veda 'Death comes at the end' (1945) di Agatha Christie, dove lo scriba di famiglia incarna una figura di ponderata razionalità.
74
La visione 'sepolcrale' dell'Egitto antico rimase a lungo un problema sentito: vd. POSENER 1962, 636: «De la sorte, on en revient bon gré mal gré à une Égypte spiritualisée et quelque peu
sépulcrale». Qui la portata dell'evidenza proveniente da contesti templari viene anacronisticamente tenuta separata da quella proveniente da contesti civici, con una confusione di fondo tra templare e cultuale.
75
Visione forse di sapore positivista, ma certamente fondata.
solvibili
76è uno di questi fenomeni che meriterebbero più attenzione in sede di sintesi, specie nel caso dell'Egitto tolemaico, alla luce della comprovata esistenza dell'istituto del giroconto.
9. Conta solo contare? Kahnemann&Tversky: da Bernoulli in poi
Senza tema di smentita si può asserire che l'economia comportamentale non ha ancora fatto il suo ingresso nel dibattito storico-economico sul mondo antico, nonostante si conti qualche rara eccezione
77, mentre invece comincia ad essere apprezzata dagli storici moderni e contemporanei.
Negli ultimi 30 anni le scienze cognitive sono state uno dei campi di ricerca più dinamici: rispetto ad allora oggi, grazie alla cosidetta rivoluzione cognitiva, si conosce molto di più non solo del pensiero umano, ma anche dei fondamenti
cognitivi della cultura umana. Allo stesso tempo rimane ancora aperto il dibattito su come gli storici e gli umanisti in generale possano sfruttare i risultati delle scienze cognitive. Parallelamente anche la storiografia post-strutturalista ha portato
innovazioni di rilievo: molte scuole storiche, come la British Cambridge School e la German Conceptual History, hanno volto l'attenzione non più soltanto al sistema culturale degli attori storici, ma anche al modo in cui un dato complesso di idee politiche sociali e scientifiche determina un mondo intellegibile intorno ad essi.
Come Joan Scott ha più volte ribadito, l'evidenza storica e i fatti dedotti dalle fonti sono intrinsecamente inutili senza la comprensione della struttura cognitiva che determina la percezione delle cose
78. Il problema metodologico che consegue a questa affermazione non è di poco momento: è infatti evidente come gli storici che cercano di comprendere una data struttura cognitiva dovranno necessariamente applicare delle categorie a loro contemporanee che rischiano di minare i risultati dell'interpretazione.
Tuttavia, diversi campi delle scienze cognitive, e in modo particolare Culture and Cognition
79, hanno rilevato numerosi aspetti del pensiero umano che ne mostrano
76
Vd. da ultimo GERACI 2009 e infra.
77
Come HICKEY 2012.
78
Il principio è stato da ultimo riformulato filosoficamente dal neo-kantismo della scuola di
Marburg, per il quale «one’s access to things is necessarily mediated by one’s cognitive structures, so that in the end it makes little sense to talk of 'the things in themselves'» (MOSCATI 2007, 123).
79
Per una messa a punto vd. NISBETT – NORENZAYAN 2002: «It seems safe to say that most
psychologists in the 20th century held strongly to four assumptions about cognition.
pattern comuni e indipendenti dai contesti storici e culturali, come per esempio il trattamento del rischio e la funzione di utilità. Questo importante strumento, per quanto fino a qui per niente o poco sfruttato, apre prospettive interessanti e soprattutto risolve il dilemma espresso sopra: l'applicazione di categorie
contemporanee allo studioso sullo studio del passato non dà necessariamente luogo ad anacronismi e difetti di retroversione, a patto che si sia determinato o anche solo approssimato l'ambito cognitivo d'indagine. L'isolamento del 'miracolo greco'
elaborato da Polanyi ed estremizzato da Finley, per il quale la 'mentalità' (primitiva o prelogica) dei greci andava tenuta separata da quelle degli orientali coevi e degli occidentali post-medievali viene così a perdere sostanza
80. Il cognitivismo insiste piuttosto su variabili diastratiche: la nascita della statistica, è dimostrato, non ha modificato il comportamento dell'attore economico medio, anche istruito ma non specificamente, che continua a muoversi nel mercato con strumenti congitivi che non ne tengono conto
81. La differenza nel comportamento economico non subisce dunque mutamenti su un asse diacronico, ma, appunto, diastratico ed è la conoscenza e il modo in cui è veicolata e recepita che rende differenti azioni e reazioni.
La recente raccolta di contributi Natural Experiments in History
82ha sfondato il muro della diffidenza e ha dato esempi di varia caratura su come lo storico può servirsi degli strumenti cognitivi, accerchiando l'ostacolo consistente
nell'impossibilità per lo storico di realizzare esperimenti in campo o di laboratorio che sono la spina dorsale del metodo cognitivista.
Altri esperimenti in questa direzione sono stati compiuti sulla natura e l'uso dell'archivizione di dati di natura economica e sul loro legame con la reciprocità.
831. Basic cognitive processes are universal: every normal human being is equipped with the same set of attentional, memorial, learning, and inferential procedures.
2. The basic cognitive processes work in much the same way regardless of the content they operate on.
3. General learning and inferential processes provide the growing child with all it needs to learn about the world. Content is supplied by these cognitive processes operating on the environment.
4. Since the social, political and economic worlds of different people are different, the content of human minds – theories, beliefs, values, etc. – is indefinitely variable».
80
Vd. PEBARTHE 2012. Va detto che Finley stesso attribuiva però connotati diversi al mondo greco-romano: vd. FINLEY 1987.
81
KAHNEMAN – TVERSKY 1982b, 6 e passim.
82
DIAMOND – ROBINSON 2010.
83
BASU et al. 2009: «Economists have long recognized the central role of exchange, but have no
Se fosse recepito dalla storia economica, il cognitivismo darebbe luogo al
superamento delle teorie di scelta razionale, che sono per esempio la base concettuale dell'opera di Rathbone sull'archivio di Heroninos e l'Egitto di III sec. e.v.
84In quel caso, come in molti altri simili, le scelte irrazionali sono categorizzate sulla base di un Idealtypus di razionalità che non pare poter esistere in alcun tipo di relazione tra esseri umani.
scientific explanation and evidence for whether and how recordkeeping promotes reciprocity». Tra i risultati più interessanti di questa ricerca si sottolinea la constatazione provata che la
registrazione promuove la formazione della reputazione degli attori (ivi compreso lo stato), aumenta il grado di coordinazione tra le parti e promuove la reciprocità (e dunque gli investimenti di capitale): «We experimentally demonstrate that voluntary use of recordkeeping alters the character of reciprocal exchange. Recordkeeping enables better recall of past outcomes, promotes reputation formation, and encourages spontaneous coordination of economic decisions. The ultimate effect is that recordkeeping alters an economy's history and encourages exchange by reducing the risk of loss from transacting with strangers». Questo genere di interpretazione ben si sposa e completa il ruolo ermeneutico assegnato alla moneta (in forma di garanzie) in casi come quello della laminetta di Pech-Mao (vd. AMPOLO – CARUSO 1990-91).
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