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Capitolo 4 Ulteriori prospettive di ricerca.Vorrei terminare questo studio a partire da alcune riflessioni di Mavis Gallant riprese dalla sua intervista con Geoff Hancock

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Academic year: 2021

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Capitolo 4

Ulteriori prospettive di ricerca.

Vorrei terminare questo studio a partire da alcune riflessioni di Mavis Gallant riprese dalla sua intervista con Geoff Hancock1 e che mi sembrano significative del processo di

attribuzione del senso alle strutture topologiche fin qui identificate nei dieci racconti:

Once you have put reality through the filter and turned it into that other reality called fiction, the original ingredient ceases to exist. Ceases to exist in memory, that is. (28)

Hancock: Do you ever tamper with the distortions of memory?

Gallant: No, I think it’s a great mistake. For example in the Montreal stories, I never check anything. If I remember a street wrong, it has to stay wrong. (31)

A story usually begins, for me, with people seen in a situation, like that. (Locks fingers

together.) The knot either relaxes or becomes locked in another way. Why that should be I can’t

tell you. But that’s what occurs to me. The situation has a beginning and as much ending as any situation has in life. The story builds around its centre, rather like a snail. (45)

Yet if you move form one social class to another you’re a refugee, aren’t you? Isn’t a religious convert a refugee? Or someone who loses faith in ideas and people? If you move form one province to another you are a refugee of a kind. There is always something left behind. (46)

La prima citazione isola il processo di selezione, appropriazione, obliterazione del materiale originale, ovvero dei luoghi e delle persone, necessario a ricreare il luogo nella finzione narrativa e ad aggiungere alla componente topografica una sovrastruttura di significati più o meno complessa a seconda della qualità e dello scopo del «filtro» attraverso il quale il contesto geografico reale viene distorto. La seconda citazione ribadisce il concetto che Mavis Gallant già esprime nell’introduzione a Home Truths, ovvero che in un racconto il luogo è ricordato, simulacro di una realtà non più raggiungibile proprio perché appartenente ad un’esperienza necessariamente passata; in quanto simulacro rielaborato dal processo mnemonico, il luogo è pura soggettività, pertanto non deve corrispondere ad una realtà oggettiva, ad un dato spaziale concreto. L’andamento della narrazione è a spirale: con la terza citazione Mavis Gallant sottolinea il percorso, la natura involontariamente geometrica delle sue storie in cui i luoghi sono le coordinate lungo le quali si snoda la spirale della sua narrativa, permettendone lo sviluppo regolare e, al tempo stesso, la coesione e la coerenza necessarie per non incorrere nella dispersione del senso.

1 G. Hancock, op. cit. L'intervista, lo ricordiamo, è contemporanea alla stesura di ‘Linnet Muir’ e di poco precedente a ‘Edouard, Juliette, Lena’. I numeri fra parentesi corrispondono alle pagine cui si riferiscono le citazioni.

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Variazioni sul tema dell’esilio e degli esuli ritornano, come è evidente, anche nei dieci racconti fin qui oggetto di studio. Eppure quel «something left behind» dell’ultima citazione si può intendere non solo come riferito ai ricordi, alla memoria, a quella parte di sé che rende conflittuale il rapporto con il nuovo luogo, sia esso geografico, sociale o culturale. Quel «something left behind» ritorna, trasuda dal rapporto con il luogo, nuovo o ritrovato, perché il luogo vissuto dal personaggio è il palinsesto esperienziale di un luogo che un tempo è stato reale, che è ancora rintracciabile su una mappa, ma solo per quel personaggio in quel determinato momento narrativo assume lo spettro di significazioni che assicura la coesione e la coerenza del processo diegetico nel racconto e in un insieme più ampio come un ciclo o una sequenza.

In un saggio recente2, nel delineare la problematica del rapporto tra spazio, luogo e

personaggi in Anil’s Ghost e The Hungry Tide, John Thieme si concentra su tre aspetti fondamentali di questa dialettica che trovo utili per le conclusioni di questo studio poiché riassumono alcuni spunti fondamentali da cui la riflessione ha preso avvio: «I shall be looking at three interlinked issues: ways in which characters in the novels are seen, or see themselves, as in or out of place; possible sites of collaboration between diasporic and local characters; and alternative conceptions of place that are developed both by the characters and, implicitly at least, by the novels as a whole» (32). Sentirsi “in luogo” o fuori luogo; la compenetrazione tra personaggi diasporici/dislocati e locali; le concezioni alternative del luogo3, che, se per

Thieme si sviluppano nei romanzi di Ondaatje e Ghosh a partire dai personaggi e, implicitamente, anche a livello testuale, nei racconti di Mavis Gallant seguono invece un percorso inverso, più complesso, di stratificazione a priori di tutti quei significati in grado di integrare, ribaltare, annullare quanto espresso dall’istanza narrativa. La domanda da porsi non è quindi “Cosa significano i luoghi per i personaggi?”, ma “Cosa significa il testo attraverso i luoghi che hanno un significato per i personaggi?”, ovvero scegliere di interrogare il testo attraverso la sua componente tematico- e semantico-topologica. Come sostiene anche la stessa Mavis Gallant, il luogo è l’esito di un processo mentale che parte dall’acquisizione di un dato esperienziale alterato e ricreato prima di costituire uno degli elementi della finzione letteraria: l'equazione che per Thieme crea il luogo, mappa cognitiva+relazioni sociali+influenze naturali+intervento umano4 può essere applicata solo se si tiene conto del valore strumentale 2 J. Thieme, “'Out of Place?' The Poetics of Space in Amitav Ghosh's Thr Hungry Tide and Michael Ondaatje's

Anil's Ghost”, in Commonwealth. Essays and Studies, vol. 31, n°2, Spring 2009, pp. 32-43.

3 «An undifferentiated space becomes a place, when human being assign a meaning to it, through practices such as naming and mapping […]. How people view particular places relates directly to their sense of whether or not they feel they belong in them, whether or not they see themselves and whether they are seen as in or out of place, but there are, of course, various ways in which one can be in or out of place. […] Cognitive mapping, particularly in relation to what is perceived as normal and what is seen as transgressive, is as important a determinant of whether one is in or out of place as physical location and the epistemological policing of place norms intrudes into the most mondane situations». Ibidem, pp. 33-34.

4 «Work in cultural geography in recent decades has, of course, dispelled the myth that places have fixed, immutable identities, demonstrating instead that they are the product of cognitive mapping as well as constantly changing natural influences – geological, climatic and so on – and human interventions. In one aspect, places are the product of social relations and, as the geographer Doreen Massey says, 'social relations are never still; they

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del luogo nella finzione letteraria, dove non è, come nella realtà, sfera di un'eterogeneità coesistente, prodotto di ottiche molteplici. Deriva una sola ottica, quella autoriale, che sceglie di attribuirvi una trama del senso atta a creare un palinsesto di esperienze, di voci, di immagini, di temi utili a raccontare i personaggi e, in ultima analisi, le storie.

‘Linnet Muir’ ed ‘Edouard, Juliette, Lena’ sono stati qui analizzati per la prima volta come unità testuali uniche in cui i luoghi, e quindi i personaggi che vi sono legati, assolvono il compito di restituire l’idea di un testo singolo attraverso una fitta rete di rimandi intratestuali fra i racconti che compongono le due sequenze. A partire dall’ipotesi dimostrata da Gerald Lynch per cui, nella letteratura anglocanadese ma non solo, l’unitarietà e la coesione di una serie di racconti che propone le vicende di uno o più personaggi dipende necessariamente dai luoghi, l’analisi fin qui condotta si è voluta spingere oltre e ricercare le funzioni della rete topografica individuata dal discorso diegetico, riconoscendone i vari livelli tematico- e semantico-topologici.

Abbiamo dimostrato che il luogo è il mezzo attraverso il quale è possibile approfondire l’interpretazione di questi dieci racconti e ricostruire una rete del senso anteriore ai personaggi o, meglio, simultanea ma nascosta, messa in ombra dalle loro azioni e dai temi di cui si è soliti andare alla ricerca nei testi di Mavis Gallant: l’esilio, i rapporti conflittuali all’interno del nucleo famigliare, la dislocazione e il senso di non appartenenza provocato dall’altrove sono i principali nuclei tematici individuati dalla critica e che ritornano anche in ‘Linnet Muir’ e ‘Edouard, Juliette, Lena’. Dietro un’apparente resistenza all’interpretazione che emerge dalla final recalcitrance che conclude ad esempio “Varieties of Exile”, l'analisi condotta in questo studio dimostra che non sono i racconti ad opporre resistenza, ma è la prospettiva con cui se ne avvia la lettura ad essere limitata e pertanto a ritrovarsi in vicoli ciechi. Occorre individuare una chiave, uno strumento all’interno del testo che sia capace di andare alla ricerca di strutture più profonde e pervasive del discorso diegetico per restituire non solo il senso del racconto preso nella sua singolarità ma anche il percorso del senso che soggiace all’intera sequenza. Un percorso del senso in cui il luogo è più dell’ambientazione, di uno sfondo agito dai personaggi; al contrario, il luogo è depositario del senso globale del racconto e dei legami intratestuali che questo intesse con gli altri racconti della sequenza, mentre la rete topografica agisce sui personaggi e diventa struttura tematico- e semantico-topologica che ricostruisce ed esplicita la trama del non detto sulla quale il racconto riposa. La rete di significati essenziale alla costruzione del senso e della coesione interna alle sequenze così rintracciata si organizza a partire da più livelli di opposizioni semantiche intersecanti e sovrapponibili che si rivelano con il procedere dell’individuazione di una rete tematico- e semantico-topologica.

In ‘Linnet Muir’ i luoghi assolvono una duplice funzione, epistemologica e ontologica:

are inherently dynamic (Massey, Space, Place, Gender 2). Consequently, as Massey puts it elsewhere, space should be understood 'as the sphere of the possibility of the existence of multiplicity in the sense of contemporaneous plurality; as the sphere in which distinct trajectories coexist; as the sphere therefore of co-existing heterogenity' (Massey, For Space 9) », ibidem, p. 33.

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servono a Linnet per rintracciare una verità sulla morte del padre, mentre al tempo stesso si trasformano nei punti di riferimento dai quali il personaggio inizia a costruirsi una propria identità. Caratteristica della dominante ontologica è la doppia visione, la messa a fuoco simultanea dei luoghi nel suo passato recente di giovane donna e in quello più remoto dell’infanzia, che permette la sovrapposizione non solo di due immagini diverse, ma di un sistema di diverse attribuzioni assiologiche a seconda della prospettiva attraverso cui Linnet vede o rivede i vari luoghi in base agli eventi che vi si sono svolti e ai significati che una Linnet più matura attribuisce loro.

Se Linnet si riappropria dei luoghi di Montreal per ridefinire se stessa nella dialettica tra presente, passato recente e passato remoto, i luoghi con cui si confrontano Edouard, Juliette e Lena si situano ad un livello di ricostruzione epistemologica dell'intera vicenda attraverso un’isotopia di dislocazione che interessa in misura variabile i tre personaggi principali. Dislocazione che è data dai loro rapporti con i luoghi, che a loro volta ospitano e individuano la dialettica di fondo tra sostanza e apparenza, tra verità e menzogna. Per Edouard, Juliette e Magdalena, come del resto anche per Linnet, i luoghi sono nuclei centripeti di addensamento dei ricordi. Nella seconda sequenza si fanno soprattutto carico delle istanze di verità che oppongono resistenza all'opera mistificatoria della voce narrante: tentano infatti di restituire tutti quegli aspetti dei tre personaggi che sono volontariamente nascosti e le implicazioni taciute del loro rapporto, una «locked situation», proprio come quelle cui allude Mavis Gallant, sulla quale si innesta la dinamica di ritorno della sequenza.

Il luogo è lo strumento attraverso il quale si verificano delle ipotesi di lettura che ricercano un senso alla base del reticolato topografico tracciato dai personaggi. Montreal, Parigi, Londra: metropoli la cui tentacolarità non emerge, poiché esistono solo i frammenti del tessuto urbano che coincidono con i percorsi quasi claustrofobici dei personaggi. L’ibridismo, la complessità, la polifonia, il multiculturalismo, il flusso vitale che le anima: elementi appena accennati, si muovono sullo sfondo come contraltare del senso di esilio, di estraneità, di non appartenenza esperito dai personaggi.

Nelle opere di Mavis Gallant, di cui queste sequenze sono soltanto una minima parte presa a campione esemplificativo, a una maggiore enigmaticità dei personaggi corrisponde una tanto più radicata pervasività del luogo nella costruzione della struttura semantica e tematica del racconto. Quella di Mavis Gallant è una scrittura dell’esilio, pertanto il luogo non può che essere onnipresente e portatore di un senso profondo della sua narrativa: la percezione, la coscienza dell’esilio e della condizione di esule passa attraverso il senso di estraneità, di non appartenenza che il luogo rimanda al personaggio. È quindi necessario indagare gli elementi, i livelli dell’articolazione semantico- e tematico-topologica in cui si scompongono le strategie di attrazione/repulsione che il senso del diverso esercita sul personaggio.

Il luogo racconta le storie, ma racconta anche i personaggi; non soltanto: il luogo agisce il personaggio, lo attrae, lo respinge nella misura in cui è palinsesto topologico della sua storia.

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Ed è proprio l’alternanza, o la compresenza, di una connotazione euforica e/o disforica del luogo a restituire la strategia del senso celata dagli impliciti del racconto: in ‘Linnet Muir’ amplia e offre le fondamenta per la quest sia della figura paterna che di un’identità propria della protagonista, mentre in ‘Edouard, Juliette, Lena’ si offre quale somma delle istanze di verità necessarie a svelare la strategia di menzogna perpetrata a più livelli dai personaggi e dalla stessa voce narrante.

Ma il luogo crea la storia, soprattutto nelle sequenze e nei cicli di racconti, poiché offre loro un’unitarietà altrimenti parziale ed è al tempo stesso cornice e struttura, frame intratestuale e circumtestuale della vicenda. I personaggi hanno bisogno di essere ancorati a un sistema spaziale, immaginario o realistico che sia, per assumere una loro tridimensionalità, proprio come devono essere immersi in una cornice temporale e raccontati da una voce. Dato il rilievo crescente che la coordinata spaziale e geografica ha assunto negli studi letterari post-coloniali e non, in stretta e diretta interconnessione ad esempio con i cultural studies, la geocritica, l’ecocritica e i transnational studies, ideale proseguimento dello studio che qui si conclude sarebbe pertanto l’elaborazione di una teoria sistematica delle applicazioni e delle funzioni del luogo che arrivi ad offrire prospettive di analisi critica e di rilettura delle strutture semantico-topologiche utilizzando gli strumenti offerti da queste discipline, per un'interpretazione non soltanto del racconto, ma del testo letterario in genere.

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