• Non ci sono risultati.

3. …È COME ANDARE AL CINEMA GRATIS!

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "3. …È COME ANDARE AL CINEMA GRATIS!"

Copied!
38
0
0

Testo completo

(1)

3. …È COME ANDARE AL CINEMA GRATIS!

«Cinesex», 1969-1974

Gianni Amelio, intervistato da Emiliano Morreale in occasione della mostra Lo schermo di carta, ci regala una descrizione molto evocativa della “vita” del cineromanzo nella sua breve ed esplosiva golden age, gli anni Cinquanta.

Ma i cineromanzi erano considerati merce scadente già allora quando uscivano, letture di bassa lega, come i fotoromanzi. Tanta gente ancora li confonde. Si leggevano, si passavano di mano e poi ci si incartavano le uova. Il lettore tipo del cineromanzo aveva sì e no la quinta elementare e non era né un metalmeccanico né un insegnante di matematica. Magari faceva la cameriera o la casalinga, che allora era più o meno la stessa cosa. Da ragazzo abitavo in un piccolo paese e certe volte dovevo incaricare qualcuno che andava in città di comprarmi un cineromanzo nuovo. Due su tre mi davano buca: se erano maschi si vergognavano di chiedere in edicola quella roba per signorine.1

L’immagine che si ricava dalle parole del regista è quella di un vero e proprio sottobosco culturale, un universo considerato di esclusiva pertinenza femminile, per molti aspetti osmotico con quello del fotoromanzo, nel quale le pratiche di fruizione erano più collettive che solitarie ed equivalevano in molti casi letteralmente al “consumo”, anche fisico, dei materiali.

Quanto, poi, tale consumo fosse davvero soltanto “roba per signorine”, non è realmente dato sapere. Una delle caratteristiche dello studio del cineromanzo è, infatti, la concreta difficoltà nel reperimento di dati certi circa l’effettiva diffusione di tali prodotti.2 E anche una rilevazione tipologica del pubblico compiuta

indiziariamente attraverso l’analisi delle rubriche di posta o delle fotografie dei partecipanti ai concorsi indetti dalle varie riviste (analisi che sembrerebbe rivelare, di fatto, una composizione di gender tutt’altro che appiattita sul femminile) presenta non poche incertezze, per esempio a causa dei constraint socio-culturali cui,

1 E. Morreale, Cronaca di un amore. Conversazione con Gianni Amelio, in Id. (a cura di), Gianni Amelio

presenta: lo schermo di carta. Storia e storie dei cineromanzi, op. cit., p. 229. Corsivo mio.

2 Si veda: E. Morreale, Il sipario strappato. Introduzione ai cineromanzi, in Id. (a cura di), Gianni Amelio

(2)

all’epoca, potevano essere sottoposte le donne, in termini di esposizione pubblica della propria immagine o del proprio privato.3

In ogni caso, al di là di ogni possibile speculazione circa il genere sessuale dei lettori di queste riviste, la confusione di sfere tra fotoromanzo e cineromanzo (entrambi rubricati già all’epoca come prodotti di scarsa importanza, buoni solo per far sognare le casalinghe e le cameriere) aveva in realtà più di una motivazione proprio nella genesi del cineromanzo stesso.

3. 1 Cineracconto, fotoromanzo, cineromanzo

In effetti, già dalla sua nascita nel dicembre del 1950, con la prima uscita della rivista «Super cinema» (un vero e proprio «incunabolo del settore»,4 secondo

Morreale), il cineromanzo mostrava i segni di un rapporto di filiazione diretta dal fotoromanzo, che stava vivendo in quel momento una fase di consolidamento produttivo ed espansione editoriale.

La contiguità tra le due tipologie di prodotti appariva, infatti, evidente innanzitutto da un punto di vista strettamente grammaticale. Nonostante la minore qualità fotografica5 e il maggiore dinamismo compositivo6 delle vignette del cineromanzo rispetto a quelle del “fumetto fotografico” classico, si può dire che le peculiarità stilistico-formali e strutturali del fotoromanzo (quali ad esempio l’assenza

3 Interessante, a questo proposito, una notazione dello stesso Amelio, circa la maggioranza di uomini nei concorsi

fotografici promossi dalle riviste. Secondo il regista, infatti, mentre per un «giovanotto» apparire su una rivista poteva essere «una specie di trofeo», per una ragazza poteva significare, in determinati contesti, rischiare di «passare per una poco di buono, con certi grilli per la testa». E. Morreale, Cronaca di un amore. Conversazione

con Gianni Amelio, op. cit., pp. 229-230.

4 E. Morreale, Il sipario strappato. Introduzione ai cineromanzi, in Id. (a cura di), Gianni Amelio presenta: lo

schermo di carta. Storia e storie dei cineromanzi, op. cit., p. 48. Il primo numero di «Super cinema», datato 10

dicembre 1950, conteneva la versione «In 150 fotogrammi dialogati» (così recitava la copertina) del film Il

brigante Musolino (Mario Camerini, 1950), con Amedeo Nazzari e Silvana Mangano. Sulla rivista in generale si

veda: Idem, pp. 48-49.

5 Salvo rari casi in cui era possibile utilizzare delle foto di scena dei film, i cineromanzi erano realizzati

selezionando i singoli fotogrammi direttamente dalle copie che venivano acquisite dalle case editrici, attraverso un procedimento denominato, in gergo tecnico, “filaggio” (a causa della prassi, comunemente adottata, di inserire del filo nei dentini centrali del fotogramma prescelto, prima di procedere a mandare in moviola la pellicola per “montare” il cineromanzo). Si veda: M. Mercuri, Confidenze di un addetto ai lavori, in E. Morreale, (a cura di),

Gianni Amelio presenta: lo schermo di carta. Storia e storie dei cineromanzi, op. cit., p. 212.

6 «Rispetto ai fotoromanzi, che tendono sempre a eludere il cuore dell’azione, il cineromanzo sfrutta

maggiormente le scene del film che descrivono azioni in corso, e al limite le accompagna con didascalie che chiariscano il senso degli eventi. Le pose degli attori sono in genere meno statiche […], le inquadrature sono forzatamente più dinamiche, anche a scapito della pulizia e armonia delle immagini». E. Morreale, Il sipario

strappato. Introduzione ai cineromanzi, op. cit., p. 40. Si veda, inoltre: L. Cardone, Con lo schermo nel cuore. Grand Hôtel e il cinema (1946-1956), op. cit., p. 153 e A. C. Quintavalle (a cura di), Nero a strisce. La reazione a fumetti, p. 28.

(3)

di onomatopee, la trasformazione del tradizionale balloon fumettistico, l’impaginazione piuttosto rigida e così via)7 fossero passate senza soluzione di continuità dall’uno all’altro ambito, tanto da permettere di definire (per assurdo) il cineromanzo come «un fotoromanzo che non è mai stato girato in quanto tale».8

In realtà, la questione si complica ulteriormente se, al computo delle “parentele prossime” del cineromanzo degli anni Cinquanta, si va ad aggiungere anche la diffusa pratica della novellizzazione romanzata dei film (ovvero la trasposizione scritta delle trame, quasi sempre con l’abbellimento di un corredo fotografico più o meno corposo), affermatasi in Italia a partire dagli anni Venti e particolarmente in voga durante tutti gli anni Quaranta e Cinquanta. I cosiddetti cineracconti erano, infatti, protagonisti assoluti di «testate che già dal nome non lasciano dubbi sui loro contenuti principali»,9 come ad esempio «Il Romanzo-Film», «I cineracconti»,

«Cine-Novella» o «Novellefilm», oppure comparivano all’interno del più vasto armamentario comunicativo dei rotocalchi (cinematografici e non), insieme alle recensioni dei film e alle biografie dei divi. I “film di carta” avevano avuto, fin dai loro primi anni di vita, un forte appeal presso un pubblico di estrazione socio-culturale medio-bassa, allo stesso tempo amante del cinema e avido di storie, colpito tanto dall’efficacia emotiva delle immagini dei divi e delle scene dei film riprodotte, quanto dalla potenza drammatica delle vicende raccontate.

All’inizio degli anni Quaranta, queste novellizzazioni avevano, in alcuni casi, raggiunto una formalizzazione ormai notevolmente simile a quella del fumetto. In «Cinevita», considerato il primo esempio di proto-cineromanzo, le storie dei film erano illustrate da un numero piuttosto elevato di foto di scena (quaranta o cinquanta, a seconda delle diverse pellicole), virate in seppia e posizionate su due bande parallele; sotto le singole fotografie erano poste delle didascalie lunghe che riassumevano parte della trama, mentre dentro ciascuna di queste “pseudo-vignette” (vicino al bordo inferiore o superiore dell’immagine) veniva riportata una breve frase

7 Si vedano: L. Cardone, Con lo schermo nel cuore. Grand Hôtel e il cinema (1946-1956), op. cit., pp. 123-125 e

pp. 151-152; E. Morreale, Il sipario strappato. Introduzione ai cineromanzi, op. cit., p. 41 e A. C. Quintavalle (a cura di), Nero a strisce. La reazione a fumetti, p. 28.

8 E. Morreale, Il sipario strappato. Introduzione ai cineromanzi, op. cit., p. 38. Corsivo dell’autore.

9 R. De Berti, I filmi appassionanti. Breve storia dei cineracconti, in E. Morreale, (a cura di), Gianni Amelio

presenta: lo schermo di carta. Storia e storie dei cineromanzi, op. cit., p. 108. Sul cineracconto, e sulla

novellizzazione in generale, oltre all’opera di Raffaele De Berti appena menzionata e a quelle già citate in precedenza (infra, p …), si veda anche: A. Angelini e S. Del Secco (a cura di), I cineracconti dal 1920 al 1950, in E. Morreale, (a cura di), Gianni Amelio presenta: lo schermo di carta. Storia e storie dei cineromanzi, op. cit., pp. 249-263.

(4)

di discorso diretto o una notazione significativa dal punto di vista dello svolgimento dell’intreccio.10

In una rivista come «Cinevita», o come la più tarda «Foto film»,11 dunque, la preponderanza della parola scritta che generalmente caratterizzava il cineracconto12 cedeva il passo a una differente forma comunicativa, in cui le fotografie, montate in successione e ormai quasi del tutto “affrancante” dalla necessità di una mediazione verbale, rappresentavano il principale veicolo della progressione narrativa.

Paradossalmente, nel momento stesso in cui la parte iconografica delle trasposizioni “romanzate” assumeva un’inusitata centralità a livello di racconto, si veniva in qualche modo a indebolire proprio il legame referenziale con il film-ipotesto di partenza. Come giustamente nota Elena Mosconi, cioè, l’immagine all’interno del cineracconto aveva, di fatto, gradualmente perso la propria tradizionale connotazione di «luogo di addensamento mnemonico o simbolico – collegato ai protagonisti o ai momenti emblematici del film»,13 capace quindi di riportare idealmente il lettore alla propria condizione di spettatore, e si era trasformata nell’unità significante di una narrazione potenzialmente autosufficiente.

Tale mutamento di funzione, da prevalentemente sintetico-evocativa ad analitico-descrittiva, dell’apparato fotografico del cineracconto, non poteva rimanere senza conseguenze, nel contesto delle pratiche di fruizione delle riviste popolari. Lo spostamento del “lavoro narrativo” sul versante dell’immagine aveva, infatti, abituato i lettori alla consuetudine del racconto fotografico, preparando, di fatto, il

10 Si veda: E. Mosconi, Cinevita: la costruzione del popolare, in R. De Berti (a cura di), La novellizzazione in

Italia. Cartoline, fumetto, romanzo, rotocalco, radio, televisione, op. cit., pp. 61-69. La rivista, inizialmente

settimanale, era stata prodotta a partire dal 1935 dalla Nicolli/Edizioni Economiche Italiane, poi Edital (Milano), e aveva assunto dal 1941 il formato orizzontale con la struttura qui riportata. Dal 1948, con il sottotitolo «Gli Albi di Cinevita», la rivista si era sdoppiata in un quindicinale (rotocalco) e un mensile (albo a colori), tornando al formato verticale; si veda: A. Angelini e S. Del Secco (a cura di), I cineracconti dal 1920 al 1950, op. cit., p. 253.

11 In questa testata, uscita a partire dal 1949, i dialoghi erano riportati in fondo a ogni fotografia, mentre le

didascalie erano poste tra una vignetta e l’altra. Si veda: E. Morreale, Il sipario strappato. Introduzione ai

cineromanzi, op. cit., p. 49.

12 Si pensi che la prima rivista italiana dedicata esclusivamente alla novelizzazione di film, «Il Romanzo-Film»

(quindicinale, edito inizialmente dalla casa editrice romana La Nuova Libreria Nazionale, diretto da Lucio D’Ambra e uscito dal 7 novembre 1920 al 21 maggio 1921) presentava dei racconti di 40-50 pagine, corredati di 3-4 fotografie al massimo. In seguito alla diffusione e al successo di questa formula editoriale, si sarebbe arrivati a una proporzione ben diversa, ma sempre e comunque sbilanciata a favore della parola scritta: ad esempio, nei supplementi mensili di «Cinema Illustrazione» (rivista di cinema edita da Rizzoli, che ha avuto tra i direttori anche Cesare Zavattini, uscita dal 15 ottobre 1932 probabilmente fino al luglio 1939), le pagine di racconto erano 34, e in ogni pagina erano presenti una o due fotografie.

(5)

terreno, innanzitutto da un punto di vista prettamente linguistico, all’invenzione e allo sviluppo del fotoromanzo nella seconda metà degli anni Quaranta.14

D’altro canto, che il cineracconto avesse contribuito a “creare” il fotoromanzo rimane un dato di fatto inopinabile, soprattutto in un senso squisitamente commerciale: era stato, infatti, anche sulla base dell’enorme successo delle novellizzazioni su rotocalco che si era sentita la necessità di produrre ex novo dei racconti fotografici che in qualche misura “mimassero” il cinema stesso. Come afferma ironicamente Évelyne Sullerot, se non esistevano abbastanza pellicole da “trascrivere” per soddisfare le pressanti richieste dei lettori, «Poco importava! Si sarebbero fabbricate storie non filmate ma fotografate, con vedettes di seconda mano, e soggetti rimaneggiati di film e romanzi noti».15 In questo senso, pertanto, si può

dunque affermare che il fotoromanzo avesse guardato fin da subito al cinema come fondamentale controparte immaginifica per creare la propria epica, e al cineracconto (oltre che al fumetto e al rosa letterario) come forma editoriale su cui modellare la propria identità culturale.

In un brevissimo torno di anni, quindi, si erano oltremodo intensificate le sfaccettate interrelazioni e i prestiti reciproci da lungo tempo esistenti tra cinema e riviste popolari, e si era venuta a creare una particolare configurazione dell’industria editoriale che aveva nel fotoromanzo un fondamentale nucleo propulsore, insieme mitico ed economico. In questa situazione, il passaggio dalla commistione d’immaginari e trasmigrazione di pubblici alla vera e propria assimilazione dell’oggetto-film all’interno dell’“ingranaggio produttivo” era stato decisamente breve. Con un movimento uguale e contrario a quello che aveva portato dal cineracconto al fotoromanzo, le singole pellicole nella loro interezza erano, infatti, diventate parte della materia grezza con cui venivano confezionati i “racconti

14 Sul ruolo dei cineracconti nella genesi del fotoromanzo si vedano, ad esempio: M. T. Anelli, P. Gabbrielli, M.

Morgavi, R. Piperno, Fotoromanzo: fascino e pregiudizio. Storia, documenti e immagini di un grande fenomeno

popolare (1946-1978), op. cit., p. 83, nota 6; L. Cardone, Con lo schermo nel cuore. Grand Hôtel e il cinema (1946-1956), op. cit., pp. 148-151; E. Detti, Le carte rosa. Storia del fotoromanzo e della narrativa popolare, op.

cit., pp. 50-51; A. Bravo, Il fotoromanzo, op. cit., pp. 16-18; E. Mosconi, Cinevita: la costruzione del popolare, op. cit., p. 61; E. Sullerot, I Fotoromanzi, op. cit., p. 102. Sul fotoromanzo, di veda: infra, p. …

15 E. Sullerot, Il fotoromanzo, mercato latino comune dell’immagine, in La civiltà dell’immagine. Almanacco

letterario Bompiani 1963, Bompiani, Milano, 1962, p. 125, cit. anche in L. Cardone, Con lo schermo nel cuore. Grand Hôtel e il cinema (1946-1956), op. cit., p. 150.

(6)

d’amore a fotogrammi”, contribuendo tra l’altro ad abbattere i costi legati alla realizzazione di prodotti originali, in alcuni casi anche piuttosto elevati.16

Il cineromanzo mostrava, in effetti, tutti i tratti dell’artefatto culturale derivativo: costituiva, cioè, in primo luogo un sottoprodotto del cinema, ma anche e soprattutto rappresentava un’evoluzione (o, addirittura, una “semplificazione”) di alcune forme della pubblicistica popolare dei tardi anni Quaranta. È pur vero, infatti, che una testata tutto sommato effimera, quale «Super cinema», si era presentata (già a partire dal titolo) come costola della coeva programmazione di sala; di contro, tuttavia, una rivista dalla vicenda editoriale ben più solida, come «I grandi fotoromanzi d’amore» delle Edizioni Victory,17 nelle prime uscite non enfatizzava in alcun modo la provenienza cinematografica delle proprie storie e si serviva prevalentemente di pellicole piuttosto datate (probabilmente le meno dispendiose sul mercato),18

mettendo così nettamente in secondo piano l’eventuale funzione di traino pubblicitario dei cineromanzi rispetto ai film.19

La realizzazione di cineromanzi non era, cioè, coscientemente inserita in una moderna strategia di valorizzazione programmatica delle sinergie tra i diversi comparti produttivi dell’industria culturale. Un’eclatante eccezione, da questo punto di vista, era rappresentata dalla casa editrice Lanterna Magica, diretta da Luigi De Laurentiis (fratello del produttore Dino), che aveva immesso sul mercato due riviste tra le più curate dal punto di vista editoriale, «Cineromanzo per tutti» e

16 Ricordiamo che produrre un intero fotoromanzo a puntate di «Sogno» poteva costare in quel periodo fino a 300

milioni di lire. Si veda: M. Mercuri, Confidenze di un addetto ai lavori, op. cit., p. 214.

17 Le Edizioni Victory, i cui albi erano contrassegnati dal “bollino rosso” in alto a sinistra sulle copertine (per

differenziarli dalle “imitazioni”), hanno rappresentato una delle esperienze più fortunate nell’ambito del cineromanzo degli anni Cinquanta. Da questa casa editrice erano state prodotte tre riviste quindicinali di cineromanzi: «I grandi fotoromanzi d’amore» (1952-1957), «Fotoromanzo Gigante» (1954-1957) e «Fotoromanzo Bimensile Victory» (1954-1957), tutte dirette dallo stesso Giuseppe (Pino) Ponzoni che negli anni Sessanta avrebbe dato i natali a «Killing». La qualità delle tre riviste non era elevata, ma la Victory era stata senza dubbio una casa editrice estremamente prolifica, avendo dato alla luce oltre trecento titoli nelle varie collane. Si veda: E. Morreale (a cura di), I cineromanzi. Le magnifiche sette collane, in Id. (a cura di), Gianni

Amelio presenta: lo schermo di carta. Storia e storie dei cineromanzi, op. cit., pp. 265-267.

18 I passaggi attraverso cui questi film venivano acquisiti dalle case editrici, e la correlata questione dei diritti di

sfruttamento, sono piuttosto oscuri. Michele Mercuri, della Lancio, racconta dell’esistenza di alcuni procacciatori che compravano i diritti dei film, entravano fisicamente in possesso delle pellicole e proponevano “l’affare” alle varie case editrici, spesso tramite una sorta di block booking che collegava l’acquisto di un titolo importante a quello di numerosi altri di minore interesse. M. Mercuri, Confidenze di un addetto ai lavori, op. cit., p. 212-213. Secondo il press agent Enrico Lucherini, intervistato da Lorenzo D’Amico de Carvalho per il suo documentario

Sfogliare un film (allegato al catalogo della mostra Lo schermo di carta), i produttori, i registi e gli attori spesso

neanche venivano a sapere dell’esistenza di questo tipo di operazioni, date le peculiarità della circolazione dei cineromanzi (prevalentemente in provincia e presso le fasce sociali più basse). La sua affermazione pare essere confermata anche da altri personaggi intervistati per lo stesso documentario, come ad esempio Mario Monicelli o Giuliano Montaldo.

(7)

«Cineromanzo gigante».20 Da una parte, infatti, le due testate potevano contare su una cospicua disponibilità di titoli “a costo zero”, provenienti dal catalogo Ponti-De Laurentiis, configurandosi, a tutti gli effetti, come un importante anello della catena di sfruttamento economico dei film da parte di un “consorzio” di cui facevano parte gli stessi produttori; dall’altra, tali riviste svolgevano effettivamente un ruolo paratestuale nei confronti del cinema, in alcuni casi anche all’interno di innovative iniziative promozionali, come dimostra, ad esempio, l’uscita in edicola del cineromanzo tratto da Guerra e Pace (King Vidor, 1956) in contemporanea con il lancio della pellicola nelle sale.21

In ogni caso, la sovrapposizione identitaria tra cineromanzo e fotoromanzo sarebbe dovuta perdurare anche nella fase di contrazione della popolarità dei film di carta. Con una paradossale inversione di ruoli, agli inizi degli anni Sessanta, le residue realtà produttive che continuavano a immettere sul mercato i cineromanzi (ricordiamo che Victory e Lanterna Magica avevano interrotto la produzione intorno al 1957-1958) si erano trovate sovente nella scomoda posizione di dover “mascherare” i propri prodotti da fotoromanzi, eliminando quindi ogni riferimento paratestuale al cinema, per sperare di avere una qualche chance nei confronti del pubblico.

Emblematico, in questo senso, è il caso delle ultime uscite dei cineromanzi di Franco Bozzesi.22 Considerato come l’unico vero e proprio “autore” all’interno di questo settore (le sue pubblicazioni erano certamente le più innovative e riconoscibili a livello espressivo, soprattutto per quanto riguarda la composizione delle pagine e lo stile delle didascalie), Bozzesi aveva creato alcune delle testate più longeve in assoluto23 ed era stato in grado di continuare la propria avventura imprenditoriale

20 «Cineromanzo per tutti», mensile, era uscito a partire dal febbraio 1954 e aveva chiuso nel 1957;

«Cineromanzo gigante», mensile, aveva iniziato le pubblicazioni un anno dopo e aveva chiuso i battenti nello stesso periodo. Nelle pubblicazioni della Lanterna Magica (diversamente da quanto accadeva negli altri cineromanzi), gli autori delle rielaborazioni dei film apponevano la propria firma accanto a quella del regista della pellicola di partenza. Entrambe le riviste potevano vantare la collaborazione della scrittrice e giornalista Mara Baldeva, in qualità di autrice dei testi. Le due testate, inoltre, avevano libero accesso (dato lo stretto legame con la casa di produzione di molti dei film che riproducevano) a tutta una serie di materiali, dalle sceneggiature originali alle foto di scena, che miglioravano nettamente la qualità dei prodotti offerti al pubblico.

21 E. Morreale (a cura di), I cineromanzi. Le magnifiche sette collane, op. cit., p. 268.

22 «Star cineromanzo gigante», quindicinale, inizio pubblicazioni 15 marzo 1955, chiusura nel giugno 1956; «I

vostri film», settimanale (poi quindicinale), inizio pubblicazioni nell’aprile 1956, chiusura nel dicembre 1964; «Super Star cineromanzo gigante», quindicinale, inizio pubblicazioni 15 giugno 1956, chiusura 1 maggio 1964.

23 Forse un’altra rivista aveva chiuso successivamente alle pubblicazioni di casa Bozzesi. Si tratta di «I vostri

film-romanzo», edita dalla I.MO. (Roma). Si veda: E. Morreale (a cura di), I cineromanzi. Le magnifiche sette

(8)

anche dopo l’esaurimento del filone sul mercato nostrano, trasferendo la propria produzione in Francia già a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta.

Nell’ultimo anno di vita di «I vostri film», ad esempio, erano aumentate le pagine dedicate ai servizi “di contorno” rispetto al cineromanzo, come le rubriche di attualità, i racconti di vita vissuta e così via, avvicinando sempre più la struttura della rivista a quella del rotocalco femminile, e anche le copertine avevano cambiato stile, preferendo i disegni alle fotografie, in questo modo assimilando l’aspetto della testata a quello di un “normale” fotoromanzo.

Le due uscite che avevano concluso la vicenda produttiva di «Super Star», invece, vedevano i titoli dei film e le immagini di richiamo in copertina sottoposti a una sorta di opera “mistificatoria”: nel penultimo numero, il film La legge del Signore (Friendly Persuasion, William Wyler, 1956) si era trasformato in La legge dell’amore, e la copertina mostrava una foto di Ava Gardner (che non faceva assolutamente parte del cast); mentre nell’ultimo, che proponeva il cineromanzo di Ben Hur (1959), la copertina esibiva una modella abbigliata come in un peplum, «quasi nascondendo la parentela col film di Wyler».24

E per sancire, una volta per tutte, questa “vittoria” storica del fotoromanzo, basti ricordare che una casa editrice come la Lancio, giunta tardivamente alla produzione di cineromanzi25 (e destinata a influire sulla sorte del fotoromanzo con l’abbandono della serialità “d’appendice” cara alle testate storiche)26 avrebbe in seguito utilizzato delle trasposizioni di vecchi film come fotoromanzi veri e propri, semplicemente cambiando le copertine.27

Così, all’inizio degli anni Sessanta, mentre il fotoromanzo continuava a vivere un periodo d’intensa attività produttiva e di grande popolarità, la stagione del cineromanzo pareva essere giunta alla fine. O, meglio, era certamente giunta al passaggio di testimone tra le pubblicazioni legate a doppio filo al “grande cinema” per tutti e quelle che si dedicavano allo sfruttamento intensivo dei cosiddetti “generi maschili”.

24 E. Morreale, Il sipario strappato. Introduzione ai cineromanzi, op. cit., p. 55.

25 Con testate come «Lancio cineromanzi d’amore» e «Cine selezione mondiale» (del 1957), «Cine Successo» e

«Tu ed io» (del 1959), e «Con te» (del 1960).

26 Si veda: infra, p….

(9)

3.2 Al maschile

Una delle questioni che più spesso vengono sollevate rispetto alla sorte del cineromanzo dopo la conclusione della sua golden age degli anni Cinquanta è quella della sua «alleanza con generi “al maschile” come il western, l’horror, il film di guerra e poi il filone sexy».28

In realtà, già durante il periodo di massimo splendore del cineromanzo erano stati compiuti dei tentativi di sperimentare le potenzialità del mezzo anche fuori dal consueto asse di riferimento comunicativo e produttivo (legame col melodramma e pubblico prevalentemente femminile).

Ad esempio, le edizioni Victory avevano dato alla luce una collana di cineromanzi western (genere cinematografico per convenzione associato a un’audience di sesso maschile) già negli anni tra il 1952 e il 1954, creando un prodotto dall’aspetto “ibrido” che richiamava, per alcune caratteristiche strutturali, sia il fotoromanzo che il fumetto. La serie «Storie del west» aveva, senza ombra di dubbio, la fisionomia di un fotoromanzo sotto mentite spoglie, a partire dalle copertine “disegnate” (sulle quali campeggiava un fotogramma del film ricolorato), mentre del fumetto manteneva il formato pocket (11,6x16,6 cm). Un’altra anomalia rispetto ai cineromanzi “standard” era la divisione in episodi dei titoli proposti: negli anni 1952-53, infatti, alcuni importanti film americani del periodo, come Mezzogiorno di fuoco (High Noon, Fred Zinneman, 1952) e Sterminio sul grande sentiero (The Iroquis Trail, Phil Karlson, 1952) o del decennio precedente, come Terra Nera (In Old Oklahoma, Albert S. Rogell, 1943) e Il massacro di Fort Apache (Fort Apache, John Ford, 1948) erano stati pubblicati a puntate in opuscoli a ricorrenza decadale, e ripubblicati solo nel 1954 nel formato consueto del cineromanzo (un film intero su ciascuna uscita), presentando, tuttavia, ogni singolo numero come un «Fotoromanzo Completo».29

Un altro esperimento in tal senso era stato tentato da Luigi De Laurentiis, che aveva cercato di intercettare un target insolito per il cineromanzo, quello degli adolescenti, attraverso la pubblicazione di film avventurosi a puntate sulle pagine di

28 P. D’Acquisto, Ondata di calore. Gli ultimi fuochi del cineromanzo, op. cit., p. 221.

29 La prima versione di «Storie del west» era uscita per 42 numeri, al prezzo di 50 lire; la versione del 1954 aveva

proposto 14 numeri con il film completo, che costavano ognuno 120 lire. Neppure sulla quarta di copertina, dove venivano elencati i titoli già pubblicati, era mai utilizzata la parola “film”.

(10)

«Orsa Maggiore». La rivista, denominata «Fotosettimanale di cinema per la gioventù» aveva tuttavia avuto vita breve (soltanto 9 numeri) e già dopo la sesta uscita aveva eliminato la parte dedicata ai cineromanzi.30

All’inizio degli anni Sessanta, la rivista «Malìa»31 appariva come un altro tentativo, senza dubbio più fortunato dei precedenti, di deviare dal côté larmoyant delle testate orientativamente rivolte a un’audience femminile, e di raggiungere una particolare nicchia di pubblico in cerca di emozioni forti, cavalcando l’onda della popolarità dell’horror “all’italiana” e del fumetto nero per adulti. Nata inizialmente soprattutto come pubblicazione di fotoromanzi che, in qualche modo, cercavano di imitare con mezzi ridotti le atmosfere cupe e “vampiresche” dei coevi film dell’orrore, «Malìa» è un esempio da manuale della sovrapposizione assolutamente indolore tra la sfera del “racconto a fotogrammi” e quella del cineromanzo: l’introduzione di vere e proprie trasposizioni di film (che, a partire dal numero 31, avevano sostituito in toto le storie originali) non aveva infatti causato alcuna sostanziale modifica nell’assetto paratestuale della rivista, lasciando inalterate le copertine pittoriche (già in precedenza debitrici, in ogni caso, nei confronti dello stile della cartellonistica cinematografica dell’epoca) e lo stesso sottotitolo della testata, «I fotoromanzi del brivido».

D’altra parte, questa permeabilità di ambiti sembrerebbe rappresentare un’esemplificazione “in piccolo” della fluidità del rapporto di debiti e prestiti tra cinema e stampa popolare, nonché del ruolo di mediazione che il fotoromanzo come medium avrebbe rivestito nella relazione tra i film e la loro trasposizione in cineromanzi. Il caso di «Malìa», cioè, illustra alla perfezione il passaggio da un filone cinematografico di successo (in questo caso l’horror gotico), allo sfruttamento editoriale di un preciso immaginario a esso legato (vampiri, fantasmi, castelli, atmosfere cimiteriali e così via) per la creazione di storie derivative prodotte attraverso un altro linguaggio (in questo caso il fotoromanzo), fino all’assorbimento definitivo del filone stesso all’interno del linguaggio secondo, mediante la trasformazione in pseudo-fotoromanzi dei singoli film.

30 La rivista «Orsa Maggiore», settimanale, era edita dalla Cineperiodici (Roma), ed era uscita dal 14 aprile al 15

giugno 1956. Si veda: E. Morreale (a cura di), I cineromanzi. Le magnifiche sette collane, op. cit., p. 267.

(11)

Ad ogni modo, la rosa dei titoli scelti mostrava, come nel caso del cineromanzo western, una compattezza generica che ovviamente non aveva precedenti nelle testate di cineromanzi “classiche”: fatta eccezione per il thriller Le notti della violenza (Roberto Mauri, 1965),32 tutte le altre uscite della rivista avevano privilegiato pellicole dell’orrore, in particolare nella variante gotica del genere. Si trattava soprattutto di produzioni “minori” italiane, con titoli come L’ultima preda del vampiro (Piero Regnoli, 1960), sul secondo numero, Metempsyco (Antonio Boccacci, 1963), sul numero 35, La settima tomba (Garibaldi Serra Caracciolo, 1965), sul numero 52, o il più “importante” La cripta e l’incubo (Camillo Mastrocinque, 1964), sul numero 42;33 ma non mancavano, ovviamente, i film americani, in particolare alcune delle trasposizioni da Edgar Allan Poe firmate Roger Corman;34 era presente inoltre anche qualche film di provenienza britannica, come Il

sangue del vampiro (Blood of the Vampire, Henry Cass, 1958), sul numero 38, o La città dei morti (The City of the Dead, John Llewellyn Moxey, 1960) sul 43, insieme a una nutrita schiera di pellicole appartenenti alla wave gotica messicana, quasi tutte provenienti dalla factory che ruotava attorno alla figura dell’attore, regista e produttore Abel Salazar e alla sua casa di produzione Cinematográfica ABSA.35

Tuttavia, anche questa esperienza, per quanto indiscutibilmente duratura (64 uscite dal 1961 al 1966) non aveva evidentemente ottenuto delle conferme di mercato tali da permettere alla rivista di varcare la soglia del decennio. Alla fine degli anni Sessanta, pertanto, la produzione di cineromanzi sembrava versare in una situazione di esaurimento commerciale, che era andata di pari passo con lo scollamento definitivo dal pubblico generalista. Chiuse le ultime testate “storiche” già dal 1964, la settorializzazione dell’audience di riferimento non sembrava, in effetti, avere risolto le vacillanti sorti del cineromanzo.

32 Sul numero 63, del maggio 1966.

33 La presenza di pellicole italiane si era intensificata negli ultimi numeri della rivista, con titoli come Cinque

tombe per un medium (1965) e Il boia scarlatto (1965), entrambi diretti da Massimo Pupillo (sui numeri 58 e 60), Il mostro di Venezia (Dino Tavella, 1965), sul numero 59 e Amanti d’oltretomba (Mario Caiano, 1965). In un

caso, il cineromanzo aveva “anticipato” il film: si trattava della coproduzione italo-britannica Il lago di Satana (Michael Reeves), proiettato nelle sale italiane a partire dal luglio del 1967 e il cui cineromanzo era uscito, col titolo di lavorazione La sorella di Satana, nell’aprile del 1966 (sul numero 62).

34 Tra gli altri: I maghi del terrore (The Raven, 1963), I vivi e i morti (House of Usher, 1960) o Il pozzo e il

pendolo (ThePit and the Pendulum, 1961), rispettivamente sui numeri 53, 54 e 55.

35 Come ad esempio: La bara del vampiro (El ataúd del Vampiro, 1958) e La stirpe dei vampiri (El vampiro,

1957), diretti da Fernando Méndez (e, rispettivamente, sui numeri 31 e 33) e Il prezzo del demonio (El hombre y

el monstruo, Rafael Baledón, 1959), sul numero 48. In totale, i titoli di provenienza messicana sono 7 su tutte le

(12)

All’inizio degli anni Settanta, anche il tentativo di Pino Ponzoni (il padre di «Killing») di “spremere” il cinema di genere per ottenere risultati significativi in edicola non aveva prodotto degli effetti degni di nota. Delle quattro testate gemelle, inaugurate dall’editore milanese nel 1970, infatti, soltanto «Parà. I più grandi films di guerra» aveva superato (di poco) la decina di uscite. Le altre tre, «Texas. I più grandi films western», «Zatan. I più grandi films della giungla» e «Wampir. I più grandi films del brivido» non erano andate oltre il numero 7.36

Una delle ragioni di questo esito così modesto potrebbe forse essere ricercata nell’inattualità della proposta cinematografica offerta dalle quattro serie, inattualità che, evidentemente, veniva solo in parte mitigata dal richiamo di pubblico fornito dall’appeal del genere cinematografico di appartenenza.

Salvo rari casi, infatti, i titoli trasformati in fotofilm erano stati recuperanti “rastrellando” prevalentemente la produzione degli anni Quaranta e Cinquanta. Su «Parà», ad esempio, nonostante la presenza di film relativamente recenti, come Il giorno più lungo (The Longest Day, Darryl F. Zanuck, Ken Annakin, Bernhard Wicki, 1962) o Marines all’inferno (Iron Angel, Albert Young, 1966),37 si trovavano anche pellicole uscite da più di vent’anni, quali Iwo Jima, deserto di fuoco (Sands of Iwo Jima, Allan Dwan, 1949)38 o Gli eroi del pacifico - La pattuglia invisibile (Back to Bataan, Edward Dmytryk, 1945).39 Per confezionare i cineromanzi presenti su «Texas», invece, si era guardato primariamente al grande western americano classico, con titoli come Il fiume rosso (Red River, Howard Hawks, 1948) e Tamburi lontani (Distant Drums, Raoul Walsh, 1951).40 Per «Zatan» era stata saccheggiata la filmografia del Tarzan per antonomasia, Johnny Weissmuller, a partire da Tarzan e la donna leopardo (Tarzan and the Leopard Woman, Kurt Neumann, 1946),41 fino ad alcune pellicole della serie di Jim della Giungla, come L’isola dei pigmei (Jungle

36 In realtà sia «Parà» che «Wampir» erano state pubblicate precedentemente in Francia, sempre da Ponzoni,

stranamente con una vita editoriale ancora più breve delle successive versioni italiane (almeno stanti i numeri a tutt’oggi reperibili delle due pubblicazioni). La prima, con il titolo «Paras. Photohistoires d’heroisme» era uscita per dieci numeri dall’aprile 1967 al gennaio 1968, mentre della seconda, «Wampir. Photohistoires d’epouvante», sono noti soltanto due numeri (novembre e dicembre 1967). Entrambe erano in formato pocket, i film riprodotti sono gli stessi di quelli pubblicati sulle edizioni nostrane e identiche sono anche le copertine. Queste informazioni sono tratte dal sito francese per appassionati e collezionisti, Ciné-romans (http://bmania.pagesperso-orange.fr/index.html, ultima visita 19 maggio 2011).

37 Pubblicati rispettivamente sulla prima uscita e sul numero 13. 38 Pubblicato sul terzo numero col titolo Iwo Jima.

39 Presentato sul numero 12 col titolo Pattuglia invisibile.

40 Rispettivamente pubblicati sul primo e sull’ultimo numero della serie. 41 Proposto sul terzo numero con il titolo cambiato in Zatan e la donna leopardo.

(13)

Jim in Pygmy Island, William Berke, 1950) e La tigre sacra (Voodoo Tiger, Spencer Gordon Bennet, 1952).42 Infine, «Wampir», che pure presentava tra i suoi titoli un film “contemporaneo” come La cripta e l’incubo (uscito soltanto sei anni prima),43 aveva tuttavia iniziato la propria breve vita editoriale con un classico d’antan prelevato direttamente dal catalogo Universal, La casa degli orrori (House of Dracula, Erle C. Kenton, 1945), e si era attenuto, in generale, alla produzione horror e sci-fi statunitense degli anni Cinquanta, oltre ovviamente all’immancabile incursione nel film di mostri messicano, con Il mostruoso Dr. Crimen (El monstruo resucitado, Chano Urueta, 1953).44

Troppo poco, evidentemente, per dare consistenza a un nucleo di lettori altamente fidelizzato, nonostante la popolarità dei generi in questione fosse ancora ben lontana dall’esaurirsi presso il pubblico cinematografico nostrano45 e anche la

produzione di fumetti di guerra, western e dell’orrore godesse di una vasta diffusione nel periodo considerato.46

Persino la casa editrice che avrebbe dominato il mercato del cineromanzo nei primi anni Settanta, la New EDI.GRA.F.,47 aveva fatto dei tentativi in tal senso, senza ottenere tuttavia risultati molto differenti da quelli delle Edizioni Ponzoni. Nel 1970-71, infatti, aveva creato «Suspense», una serie di cineromanzi horror che riproponeva alcuni titoli ormai “storici”, come La bara del vampiro o Il pozzo e il pendolo, non riuscendo tuttavia ad andare oltre il primo anno di produzione. Tra la fine del 1973 e l’inizio del 1974, dopo aver assunto la denominazione Edirome,

42 Rispettivamente sui numeri 4 e 5. 43 Sul numero 6.

44 Sulla quarta uscita.

45 Per valutare indirettamente, ad esempio, la popolarità del genere western, basti pensare che la produzione

nostrana aveva contato all’incirca ottanta film nel 1968 e, dopo un calo intorno al 1969 (intorno ai trenta titoli), si era attestata sulla cinquantina di pellicole all’anno nei primi anni Settanta. Si veda: M. Giusti, Introduzione, in Id., Dizionario del western all’italiana, Oscar Mondadori, Milano, 2007, p. XXXV.

46 Anche in questo caso, basti pensare alla notevole fortuna di serie come «Guerra d’eroi», della Editoriale Corno

e «Super Eroica», della Editoriale Dardo, oppure alla diffusione di innumerevoli testate ambientate nel vecchio west, a partire dalle avventure dei capostipiti Tex Willer e Capitan Miki, o del più recente Comandante Mark (le cui storie erano state pubblicate a partire dal 1966).

47 Di questa esperienza editoriale dovremo parlare tra breve, in relazione alla sua produzione di cineromanzi sexy.

La New EDI.GRA.F. ha avuto diverse denominazioni nella sua storia produttiva. Nel 1972 si era trasformata in Edirome, e nel 1973 si era suddivisa in due realtà parallele, dando origine anche alla Romana Periodici Illustrati, mentre, a fine 1974, aveva preso il nome di Edigamma, mantenendo comunque sempre la stessa sede, al medesimo indirizzo. La sede della New EDI.GRA.F. si trovava a Roma, in Piazza dei Sanniti, 9. A quell’indirizzo, un edificio adibito a uffici e abitazioni, oggi non si trova alcuna traccia della casa editrice. Oltre ai cineromanzi, l’editore pubblicava una serie di fotoromanzi sexy, come le già citate «Lesbo» e «Super Lesbo», o ancora «Le novelle erotiche illustrate», oltre a pubblicazioni di altro tipo come la rivista di parapsicologia «Medium» (attiva all’incirca nello stesso periodo dei cineromanzi) o le testate umoristiche, già menzionate nel precedente capitolo, «La Battuta» e «Il Mandrillo».

(14)

aveva tentato di approfittare della fortuna del cinema nostrano con «I film del West», la prima (e, a quanto mi risulta, anche unica) rivista interamente dedicata allo spaghetti western, con titoli come Gli fumavano le Colt... lo chiamavano Camposanto (Giuliano Carnimeo, 1971), sul numero 5, e Arizona si scatenò... e li fece fuori tutti (Sergio Martino, 1970), sull’ottavo e ultimo numero.48Nel 1974, inoltre, come Romana Periodici Illustrati, aveva provato un interessante esperimento di sfruttamento dei materiali televisivi, immettendo sul mercato una testata che pubblicava le trasposizioni di alcuni episodi della serie televisiva di produzione britannica UFO, divenuta molto popolare in Italia a partire dai primi anni Settanta.49 Nonostante l’audacia dello spostamento verso la televisione e le sue forme di spettatorialità (con una fidelizzazione seriale sconosciuta al cineromanzo e molto simile, invece, a quella che caratterizzava ad esempio i fumetti), neppure questo esperimento aveva avuto tuttavia degli esiti esaltanti, con soli diciotto numeri nella serie originale e qualche ristampa successiva.

Anche da questa velocissima panoramica, appare comunque chiaro che il binomio “fotoromanzo più film”, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, aveva ormai giocato le sue carte più importanti, nonostante il tentativo di inseguire il cinema nella settorializzazione delle audience, e si era avviato verso un probabile destino di sporadico sfruttamento “piratesco” da parte di editori attivi prevalentemente nei settori più “bassi” del consumo popolare.

Le ragioni del depauperamento di questa sinergia, che solo quindici anni prima aveva prodotto risultati ragguardevoli, parrebbero essere insite nella riconfigurazione sistemica che aveva mutato i rapporti interni alle diverse forme dell’industria culturale italiana: come più volte è stato sottolineato, la perdita di centralità del

48 «Suspense», mensile, prima uscita nel maggio del 1970, probabilmente ultima uscita nel maggio dell’anno

successivo. «I film del West» (da non confondersi con «I films del west», rivista del 1959 menzionata da Pina D’Acquisto nel suo articolo Ondata di calore, a pagina 221), quattordicinale, prima uscita 5 ottobre 1973.

49 La rivista, denominata per l’appunto «I film di UFO», era stata realizzata utilizzando le pellicole originali di

diciotto puntate, che erano giunte in Italia nel 1974 per essere rimontate e trasformate in cinque film per il grande schermo. «I film di UFO», quattordicinale, prima uscita 22 febbraio 1974, ultima 13 ottobre 1974. Tutti i numeri di questa rivista sono stati digitalizzati e sono consultabili su un sito di cultori della serie, Italian Section of

S.H.A.D.O. (http://www.isoshado.org/index.html, ultima visita 26 marzo 2011) all’interno del quale si trovano

anche alcune informazioni sulla pubblicazione. Qualcuno dei fotofilm tratti da UFO sarebbe stato anche ripubblicato su un’altra rivista della Edigamma, «Gli albi per tutti», quattordicinale, 14 numeri dal 29 novembre 1974 al 5 giugno 1975, in coppia con alcuni cineromanzi tratti dalla serie «I film del West» o con alcune storie prelevate da un oscuro fumetto chiamato «Bomba il figlio di Tarzan». «I film di UFO», così come «I film del West», aveva avuto un’effimera vita editoriale anche sul mercato francese, per l’editore Skandia. Le riviste erano denominate rispettivamente «Les film de UFO» e «Western», si presentavano in un formato 26x19, con la stessa grafica delle edizioni italiane e gli stessi contenuti. Nessuna delle due riviste presentava datazione. Si veda il già citato sito per collezionisti Ciné-romans.

(15)

cinema nel panorama dei media post boom economico aveva avuto come principale conseguenza quella di rendere sempre più evanescente tutto il tessuto di interconnessioni (immaginarie e identitarie, ma anche intermediali e strettamente produttive) che avevano avuto proprio nel cinema il ganglio fondamentale.50

Così, in modo del tutto paradossale, alla fine degli ani Sessanta sembrava davvero che il cineromanzo (come medium, prima ancora che come genere) non dovesse più guardare primariamente al cinema (come settore “merceologico” prima ancora che come bacino di raccolta d’immagini) quale referente privilegiato per poter continuare la propria esistenza sul mercato editoriale.

La configurazione della stampa popolare degli anni Sessanta, per come è stata delineata nel precedente capitolo, con l’esplosione dell’erotismo su riviste e fumetti e la proliferazione di prodotti espressamente orientati a un pubblico maschile adulto, sarebbe stata, in realtà, il ricettacolo ideale entro il quale la forma cineromanzo avrebbe dovuto trovare una ricollocazione fruttuosa sul piano meramente commerciale: la rivista sexy, cioè, si era rivelata la nuova e fondamentale controparte per determinare il rinnovato successo delle trasposizioni dei film su carta stampata.

In altri termini, si può dire che il cineromanzo fosse divenuto, in una situazione come quella descritta, semplicemente uno degli ingredienti che andavano a rimpinguare una produzione editoriale indirizzata agli adulti, facendo il paio in questo senso con forme come il fotoromanzo e il fumetto. La specificità mediale del cineromanzo (fotoromanzo tratto da un film), e la sua stessa relazione con il cinema, sembravano essere decisamente passate in secondo piano rispetto alla sua contiguità produttiva con l’alveo del sexy cartaceo.

La progressiva liberalizzazione dei contenuti erotici nel cinema, timidamente cominciata alla fine degli anni Cinquanta e in piena fioritura negli ultimi anni del decennio successivo,51 poteva certamente avere in qualche modo “preparato” un pubblico di potenziali lettori per le varie pubblicazioni, e ovviamente aveva contribuito a fornire degli ottimi materiali di partenza per i fotofilm sexy. Tuttavia, era stato soprattutto l’enorme successo delle riviste maschili, a partire dal 1966, che aveva reso possibile lo sfruttamento commerciale di questo particolare prodotto, creando ex novo il settore di mercato senza il quale le esperienze di cineromanzo

50 Si veda: infra, p…. 51 Si veda: infra, p.…

(16)

erotico sarebbero state forse destinate ai risultati non propriamente esaltanti delle altre forme di fotofilm “al maschile”.

3.3 Solo per adulti

La produzione di cineromanzi sexy era collegata sostanzialmente a tre case editrici, che avevano dato alla luce, tra il 1969 e la metà circa degli anni Settanta, a una discreta quantità di testate rubricabili all’interno del sottogenere. Si trattava della già citata New EDI.GRA.F. (Nuove Edizioni Grandi Films), con sede a Roma, e delle milanesi Edifilm ed Edimax.52

Delle tre, senza dubbio la più prolifica era stata la prima. Non soltanto aveva inaugurato il filone, nel settembre del 1969, con la prima uscita di «Cinesex», ma aveva anche prodotto le testate di gran lunga più durature e con il maggior numero di uscite regolari. Oltre alla rivista capostipite nelle sue varie incarnazioni (che vedremo in seguito), infatti, la casa editrice romana aveva dato alle stampe altre due testate di cineromanzi erotici, «Cinestop» e «Bigfilm», anch’esse suddivise in diverse serie, a seconda dei cambiamenti di denominazione sociale della casa editrice.

«Cinestop»53 presentava una struttura piuttosto semplice e, tutto sommato, abbastanza costante nel tempo. Al fotofilm centrale, che occupava generalmente cinquantasette pagine sulle ottantatré totali, si affiancavano un paio di rubriche fisse, oltre a uno o due articoli dedicati a degli “approfondimenti” su specifici film o singole attrici (solitamente posti nelle ultime pagine della rivista). La prima rubrica, Cinestop Anteprima (a cura di una fantomatica Lily Fhon, attiva anche su «Cinesex»), riempiva solitamente le prime dodici pagine dopo il sommario, ed era dedicata a recensioni cinematografiche e a report dai festival e dalle manifestazioni

52 Di queste realtà produttive, così come delle riviste da esse prodotte, è praticamente impossibile rintracciare

notizie precise. Un prezioso tentativo di ricostruzione è stato condotto, sulla base dei pochissimi dati reperibili, dagli autori di Videoarcheologia.it, sito dedicato al collezionismo home-video, all’interno di una sezione denominata Fotofilm Italiani (realizzata in collaborazione con Andrea Napoli). Si veda: http://www.videoarcheologia.it/ (ultima visita 26 marzo 2011). Alcune informazioni di base sulle singole testate si possono trovare anche sul sito della fondazione palermitana DbCult Film Institute, all’indirizzo http://www.dbcult.com/ (ultima visita 26 marzo 2011).

53 «Cinestop», New EDI.GRA.F., mensile, 15 numeri, dal settembre 1970 al dicembre 1971, 300-350 lire;

«Cinestop Nuova serie», New EDI.GRA.F., mensile, 3 numeri, da marzo 1972 al maggio dello stesso anno, 500 lire; «Cinestop Attualità», Edirome, mensile, 19 numeri, da giugno 1972 a dicembre 1973, 500-600 lire; «Cinestop Super», Romana Periodici Illustrati, mensile, 9 numeri, da gennaio a novembre del 1974, 600 lire; «Cinestop» (ultima serie), Edigamma, mensile, da dicembre 1974 probabilmente fino a novembre 1975 (12 numeri), 400-500 lire.

(17)

dedicate al cinema nel nostro Paese, con una peculiare (e alquanto bizzarra, dato il contesto) predisposizione nei confronti del cinema impegnato e d’avanguardia (soprattutto nei primi numeri: sul secondo, ad esempio, un articolo sulla “presentazione” al pubblico italiano del New American Cinema e dell’underground americano durante gli Incontri Internazionali di Sorrento; sul terzo, la recensione di Necropolis di Franco Brocani; oppure, sul numero 10 un resoconto da Cannes 1971, e così via). La seconda, generalmente posizionata nelle cinque pagine immediatamente successive al cineromanzo, si chiamava Fuori Set, ed era composta da brevi articoli di gossip su attrici e attori, ma anche sui personaggi della musica leggera e sulle figure più scandalose del “bel mondo” (come, ad esempio, alcuni esponenti delle varie famiglie reali europee). Sia le rubriche che gli articoli presentavano, ovviamente, un ricco corredo fotografico, esclusivamente in bianco e nero fino al numero 4 e con l’introduzione di alcune fotografie a colori dal numero 5 in poi.54 Nelle sue vesti successive la rivista era rimasta pressoché identica, portando però il numero di pagine a novanta, a partire dalla nuova serie del 1972 (con un aumento a sessanta/sessantacinque pagine anche dei fotofilm). Con «Cinestop Attualità», la proposta editoriale della rivista prevedeva anche il poster di una diva nuda, oltre a una rubrica sui progetti cinematografici delle varie “star” (Ultimissime, una pagina, a cura di Rossa Saltarelli), e l’introduzione di interviste alle attrici sexy (che in alcuni numeri sostituivano i consueti articoli sui film), in qualche caso spacciando attrici appartenenti all’alveo del B movie europeo per dive di fama internazionale: ad esempio, sul numero di dicembre 1972, l’intervista a Ingrid Steeger55 veniva presentata sulla copertina con il lancio «Nuda la Brigitte Bardot “made in Germany”», con il nome della divina B.B. scritto a lettere cubitali e la specifica “made in Germany” stampata in un carattere notevolmente più piccolo. Il cambiamento più significativo, tuttavia, era avvenuto all’interno della rubrica Fuori Set (su questa serie curata da una misteriosa Lady Bird), che si era trasformata in una sezione di fotografie sempre più spinte di modelle sconosciute, alle quali venivano associati dei brevi e pretestuosi testi di commento. La tendenza ad allontanare il

54 Per questo motivo, infatti, il prezzo della rivista era aumentato dalla 300 lire iniziali a 350 lire, a partire proprio

dal quinto numero. Da notare che in ciascuna delle riviste di cineromanzi della New EDI.GRA.F., Edirome, Romana Periodici Illustrati ed Edigamma, il fotofilm presentava rigorosamente fotografie in bianco e nero.

55 Vera e propria veterana del soft core tedesco, aveva preso parte a una lunga serie di film erotici durante tutti gli

anni Settanta, spesso con la regia del più celebre e prolifico regista e produttore di B movie, Erwin C. Dietrich. In seguito avrebbe avuto una discreta carriera come attrice televisiva.

(18)

fulcro di interesse dalle attrici e dai film si sarebbe fatta sempre più forte nelle ultime due serie, con il cineromanzo accoppiato a racconti erotici e nudi integrali femminili (oltre all’immancabile poster a colori) e con l’inserimento di articoli di piccante “attualità” sessuale.

Ciò che differenziava, innanzitutto, i fotofilm presenti su una rivista come questa dai sopra citati cineromanzi “maschili”, era l’assoluta contemporaneità della proposta cinematografica, contemporaneità motivata almeno in parte dalla recentissima liberalizzazione dei contenuti sessuali sugli schermi italiani. Nella prima versione di «Cinestop» (da settembre 1970 a dicembre 1971),56 ad esempio, su quindici titoli trasposti in fotoromanzo, un terzo erano datati 1971, tre erano usciti nel 1970 e altri sei nel 1969; in un caso, addirittura, sulla rivista era stato pubblicato il cineromanzo tratto da una pellicola che sarebbe uscita nelle sale soltanto nel 1972, anticipando quindi di un anno quella che, a rigore di logica, doveva essere l’esistenza “primaria” di un film.57 E anche nelle versioni successive, come ad esempio su «Cinestop Attualità»,58 la maggior parte dei titoli erano contemporanei al periodo di uscita della serie (da giugno 1972 alla fine del 1973), con al massimo qualche titolo della fine degli anni Sessanta.59 Nell’ultima edizione della testata, si notava invece una maggiore quantità di fotofilm basati su “originali” cinematografici più datati, ma questo distanziamento temporale era comunque dovuto al fatto che si trattava in gran parte di riedizioni di cineromanzi già presentati nelle annate precedenti.60

Come conseguenza di questo stretto legame tra la politica di sfruttamento messa in atto dalla rivista e la circolazione cinematografica coeva, la prima stagione

56 In modo simile anche sulla seconda versione della rivista, «Cinestop Nuova Serie», composta da soli tre numeri

e uscita da marzo a maggio del 1972, i tre film proposti erano piuttosto recenti (un titolo del 1969, uno del 1970 e uno del 1971).

57 Si trattava di La verità secondo Satana (Renato Polselli, 1972), pubblicato con il titolo originale, Il Vangelo

secondo Satana, sul «Cinestop» numero 10 (21 giugno-20 luglio 1971). Il film era stato girato nel 1970 e aveva

dovuto affrontare una serie di vicissitudini censorie prima di poter uscire, ampiamente rimaneggiato (a partire dal titolo stesso) nelle sale.

58 «Cinestop Attualità»; totale fotofilm: diciannove; suddivisione per anno di uscita: 1968 (un titolo), 1971 (un

titolo), 1972 (sette titoli), 1973 (due titoli). Di sei dei fotofilm proposti non è possibile al momento conoscere alcuna notizia, o per irreperibilità del numero in cui erano stati pubblicati, o per impossibilità di risalire al film a partire dalle informazioni fornite sulla rivista.

59 Una situazione analoga anche su «Cinestop Super» (gennaio-novembre 1974); totale fotofilm: nove;

suddivisione per anno di uscita: 1968 (un titolo),1970 (un titolo), 1971 (un titolo), 1973 (tre titoli), 1975 (un film,

Giochi erotici di una famiglia per bene, di Francesco Degli Espinosa, pubblicato però sul numero 3, del marzo

1974, col titolo Mia moglie dentro e fuori; con lo stesso titolo cambiato, sarà anche ripubblicato su «Bigfilm» [ultima serie], numero 6, aprile 1975); nessuna notizia: tre titoli.

60 «Cinestop» (ultima serie, gennaio-novembre 1974); totale fotofilm: dodici; suddivisione per anno di uscita:

1969 (un titolo ripubblicato), 1971 (un titolo ripubblicato), 1972 (tre titoli, di cui uno ripubblicato) 1973 (due titoli ripubblicati), 1974 (due titoli, di cui uno ripubblicato), 1975 (due titoli); nessuna notizia: un titolo.

(19)

presentava soprattutto sexy thriller e film drammatici di produzione italiana,61 mentre la commedia avrebbe fatto il suo ingresso come genere cospicuamente rappresentato solo con «Cinestop Attualità», in linea anche con la diffusione su vasta scala del decamerotico e della commedia scollacciata all’incirca a partire dal 1972, per scomparire poi di nuovo nell’ultima serie, nella quale appunto venivano riproposti dei fotofilm “di seconda mano”, e veniva dunque meno l’attenzione per le uscite del momento.62

Anche rispetto alla provenienza delle pellicole trasformate in fotofilm, è interessante notare come si fosse passati da una schiacciante maggioranza di film italiani nella prima serie a un maggiore equilibrio tra titoli nostrani ed esteri nelle serie successive (eccetto l’ultima, per le ragioni suddette), con un significativo spostamento di interesse verso il cinema di genere internazionale, anche nelle recensioni presenti all’interno della rubrica Anteprima o nei singoli articoli.63 In

alcuni casi, addirittura, la rivista aveva pubblicato fotofilm tratti da pellicole americane che molto probabilmente non erano neppure uscite sui nostri schermi, come ad esempio Keep It Up (Conrad Foxx, 1972), presentato sul numero 5 di «Cinestop Attualità» (ottobre 1972) col titolo Eccitazione senza fine, o Teenage

61 Gli anni tra la fine del decennio Sessanta e l’inizio di quello successivo avevano visto la comparsa delle prime

contaminazioni tra erotismo e giallo, in particolare con una serie di film interpretati dall’attrice americana Carrol Baker, diventata pertanto l’icona del genere. Film come Il dolce corpo di Deborah (Romolo Guerrieri, 1968), o la tripletta di Umberto Lenzi, Orgasmo (1969), Così dolce… così perversa (1969) e Paranoia (1970), peraltro ampiamente rappresentati sulle riviste in oggetto, avevano infatti sancito la produttività del binomio erotismo e assassinio, aprendo la strada alle evoluzioni del decennio successivo, che avrebbe visto un’escalation di violenza (anche in seguito all’influenza del thriller argentiano) e la presenza di scene di sesso sempre più spinte. L’altro ambito dove l’eros aveva messo profonde radici nello stesso periodo era il dramma familiare, spesso caratterizzato da una sottile venatura di critica antiborghese, sulla scia del celeberrimo Grazie, zia (Salvatore Samperi, 1968), dando alla luce torbide storie di ordinaria morbosità domestica come Quarta parete (Adriano Bolzoni, 1968) o Intimità proibita di una giovane sposa (Oscar Brazzi, 1970), entrambi sulla prima serie di «Cinestop», e consacrandosi a tutti gli effetti come sottogenere nel 1973 con Malizia (S. Samperi), abbandonata ormai del tutto ogni pretesa di critica sociale.

62 «Cinestop»: cinque film drammatici, quattro gialli/thriller, due horror/thriller contro quattro commedie.

«Cinestop Nuova Serie»: due film drammatici, un horror. «Cinestop Attualità»: cinque commedie erotiche, un erotico “puro”, tre drammatici, tre gialli/thriller, un horror. «Cinestop Super»: due commedie, due gialli/thriller, due drammatici. «Cinestop» (ultima serie): cinque drammatici, cinque thriller, una commedia. In questo computo mancano, ovviamente, i casi in cui non sono riuscita a reperire notizie sul film riprodotto.

63 «Cinestop»: quattro film italiani, otto coproduzioni (film in lingua italiana), due film tedeschi, una

coproduzione (film originariamente in un’altra lingua). «Cinestop Nuova Serie»: due film italiani, un film francese. «Cinestop Attualità»: sette film italiani, una coproduzione (film in lingua italiana), due film francesi, tre film americani. «Cinestop Super»: due film italiani, tre film americani, un film svedese. «Cinestop» (ultima serie): sei film italiani, due coproduzioni (film in lingua italiana), due film americani. Come nel caso precedente, l’elenco dei film non è completo.

(20)

Bride (Gary Troy, 1970), trasformato in La moglie bambina sul primo numero dell’ultima serie (dicembre 1974).64

Da quest’ultimo dato emerge l’aspetto forse più singolare del cineromanzo sexy, quello cioè di presentarsi in alcuni casi come l’unico modo, per lo spettatore italiano, di poter accedere alla visione di pellicole straniere ad alto tasso di erotismo, altrimenti inaccessibili.65 In questo suo essere traccia tangibile di un’assenza, il cineromanzo sexy sembra palesare un deciso scarto rispetto al cineromanzo generalista, e pone alcune importanti questioni circa la natura dei rapporti tra tali pubblicazioni e il cinema come ipotesto, questioni sulle quali dovremo, in ogni caso, tornare in seguito.

Anche su «Bigfilm»,66 un’altra delle testate prodotte dalla casa editrice romana,

la collazione di materiali cinematografici di partenza era stata caratterizzata da alcune trasformazioni nel corso delle varie serie, in modo non dissimile da come era avvenuto con i fotofilm di «Cinestop». A fronte di una discreta rappresentanza di pellicole prelevate dalla contemporanea produzione di genere italiana, tuttavia, questa rivista parrebbe avere avuto più forti addentellati con l’exploitation statunitense ed europea: già dalla prima serie, infatti, tra i fotofilm proposti si notava una maggiore quantità di pellicole “firmate” da indiscussi signori del soft core, come Erwin C. Dietrich o José Ramón Larraz,67 per continuare nelle serie successive con diversi film legati a nomi di spicco della produzione di B movie internazionale, come Lee Frost e Joe Sarno,68 tutti (o quasi) “autori” che sarebbero confluiti direttamente

64 Altri titoli pubblicati su questa rivista di cui non mi risulta l’uscita italiana sono: The Notorious Cleopatra

(Peter Perry, 1970), «Cinestop Attualità», 8, gennaio 1973 (col titolo Le notti di Cleopatra) e The perfect

arrangement (Ted Leversuch, 1971), «Cinestop Attualità», 19, datazione non disponibile (col titolo Una perfetta intesa).

65 Spesso questo aspetto era enfatizzato dalla comunicazione paratestuale, con lanci come “In esclusiva: il film

proibito in Italia…” e così via.

66 «Bigfilm», New EDI.GRA.F., mensile, 22 numeri, da marzo 1970 a dicembre 1971; «Bigfilm Nuova Serie»,

New EDI.GRA.F., mensile, 3 numeri, febbraio-aprile 1972; «Nuovo Bigfilm», Edirome, mensile, 20 numeri, da maggio 1972 a dicembre 1973; «Bigfilm Extra», Edigamma, mensile, da gennaio ad ottobre 1974, almeno 10 uscite; «Bigfilm» (ultima serie), mensile, da novembre 1974 probabilmente fino a novembre 1975.

67 Entrambi presenti sulla prima serie di «Bigfilm». Il primo con Visone nero su pelle morbida (Schwarzer Nerz

auf zarter Haut, 1969) sul numero 3 (maggio 1970) e con Sesso a domicilio (Ich, ein Groupie, 1970), pubblicato

sul numero 15 (maggio 1971) con il titolo I gruppi (sesso a domicilio); il secondo con Whirlpool (1970), film non uscito nelle sale italiane e pubblicato sul numero 19 (settembre 1971) con il titolo Vortice dei sensi (Whirpool).

68 Due film di Lee Frost erano stati pubblicati per ben due volte sulla rivista. Si trattava dell’inedito in Italia Two

for the money (1972), presentato su «Nuovo Bigfilm» numero 14 (giugno 1973) e su «Bigfilm Extra» numero 6

(agosto 1974) col titolo Quel maledetto giorno di violenza (Two for the money), e di Violentata davanti al marito (Chain gang women, 1971), pubblicato su «Nuovo Bigfilm» numero 18 (ottobre 1973) e su «Bigfilm» (ultima serie) numero 11 (settembre 1975), cambiando il titolo in Le belve del sesso. Il film di Joe Sarno Una ragazza dal

corpo caldo (Någon att älska, 1971) era stato invece trasposto in fotofilm sul numero 15 di «Nuovo Bigfilm» con

(21)

nell’hard di lì a poco, come anche il futuro membro dei Pornocrates francesi, Jean-Marie Pallardy.69 Inoltre, già da «Bigfilm Nuova Serie» saliva notevolmente (sempre in confronto alle varie versioni di «Cinestop») la quantità di trasposizioni realizzate a partire da titoli non pervenuti sul mercato nostrano.70

Un’altra caratteristica che differenziava «Bigfilm» da «Cinestop» era la presentazione, a partire dalla seconda serie della testata, di alcune fotonovelle erotiche, che solitamente occupavano circa 12-14 pagine e andavano ad arricchire l’aspetto, per così dire, “narrativo” della rivista, normalmente rappresentato soltanto dal fotofilm principale.71 Caratterizzate da immagini generalmente più spinte rispetto a quelle dei fotofilm, queste brevi storie piccanti vedevano la partecipazione, insieme a un numero di volti e nomi del tutto sconosciuti, di alcuni personaggi molto attivi nel cinema sexy coevo, come la già citata Ingrid Steeger,72 o addirittura legati a

doppio filo alle produzioni hard core di inizio anni Settanta, come il famigerato Chuck Traynor, marito e agente di Linda “Deep Throat” Lovelace, prima, e di Marilyn “Green Door” Chambers, poi.73 Queste presenze farebbero sorgere degli interrogativi inerenti la reale natura di tali prodotti, se si trattasse cioè di veri e propri fotoromanzi oppure della trasposizione e del rimontaggio di materiali filmici (loop hard spogliati della parti più esplicite, spezzoni di film, e così via) “sotto mentite spoglie”. Purtroppo gli elementi di cui disponiamo sono troppo pochi per azzardare delle conclusioni.

69 Il suo film L'insoddisfatta (L'insatisfaite, 1972) era stato presentato sul numero 5 (marzo 1975) dell’ultima

serie della rivista.

70 «Bigfilm»: 22 film in totale; nazionalità: Italia (9), Germania (2), Svezia (1), USA (1), Canada (1),

coproduzioni (lingua italiana: 3, altra lingua: 5); genere: drammatico (6), thriller (6), commedia (5), horror (2), spionaggio (1), avventura (1), erotico (1); anno di uscita: 1968 (3), 1969 (6), 1970 (9), 1971 (4). «Bigfilm Nuova Serie»: 3 film in totale; nessuna notizia: 1; nazionalità: USA (2, non usciti in Italia); genere: erotico (2); anno di uscita: 1969 (1), 1970 (1). «Nuovo Bigfilm»: 20 film in totale; nessuna notizia: 8; nazionalità: USA (8, di cui solo 2 usciti in Italia), Svezia-USA (1), Grecia (1), UK (1), Francia-Belgio (1); genere: commedia (5), drammatico (4), thriller (2), azione (1); anno di uscita: 1969 (1), 1970 (2), 1971 (2), 1972 (5), 1973 (2).«Bigfilm Extra»: 10 film in totale; nessuna notizia: 4; nazionalità: Italia (3), Italia-USA (1), USA (1, non uscito in Italia), Grecia (1); genere: drammatico (2), thriller (1), commedia (1), poliziesco (1), women in prison (1); anno di uscita: 1972 (2, di cui 1 già pubblicato), 1973 (2), 1974 (2). «Bigfilm» (ultima serie): 13 film in totale; nessuna notizia: 2; nazionalità: coproduzioni (lingua italiana: 3), Italia (2), USA (2, di cui 1 non uscito in Italia), Francia (2), Germania (1), Grecia (1); genere: thriller (3), commedia (2), drammatico (2), erotico (1), poliziesco (1), women in prison (1); anno di uscita: 1969 (1, già pubblicato), 1971 (3, di cui 1 già pubblicato), 1972 (2), 1973 (2, di cui 1 già pubblicato), 1974 (1, già pubblicato), 1975 (2).

71 Che, come sulle altre riviste della stessa casa editrice, si aggirava generalmente intorno alle 60 pagine. 72 Insieme ad altre due attrici della factory di Dietrich, Eveline Traeger e Kathrin Heberle, è protagonista di Le

voglie di una hostess, su «Nuovo Bigfilm», numero 9 (gennaio 1973).

Riferimenti

Documenti correlati

La prevalenza del cinema narrativo sulla produzione sperimentale riguarda sia l’entità delle produzioni che l’elaborazione critica e storiografica; il

Il resto della troupe indulge nei suoi vizi e peccatucci che, accumulandosi tutti assieme, portano sempre più vicino alla catastrofe.. Ma nonostante il pessimismo di fondo, il

The Public Employment Service (AMS), responsible for the labour-market policy of the federal state, emphasises that recognised refugees and persons under subsidiary protection

[r]

Un’equazione differenziale `e correttamente orientata (con una causalit`a di tipo integrale ) se la variabile di uscita del sistema `e quella a cui `e associato il massimo grado

• Per la soluzione delle equazioni differenziali sono di notevole utilit`a le trasformazioni funzionali, in particolare la trasformazione di Laplace.. • Le trasformazioni

• Le equazioni differenziali si trasformano in equazioni algebriche (Problema Immagine), per cui la loro soluzione `e immediata (Solution di Laplace). • Dalla soluzione immagine

Le equazioni differenziali si trasformano in equazioni algebriche (Problema Immagine), per cui la loro soluzione `e immediata (Solution di Laplace). Dalla soluzione immagine si