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ALLESTIMENTO DEL NUOVO TEATRO DELL’OPERA ALLE TERME DI CARACALLA

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Academic year: 2021

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POLITECNICO DIMILANO Facoltà diArchitettura e Società

Corso diLaurea in Architettura degliInterni

Corso diLaurea in Progettazione Architettonica ed Urbana

ALLESTI

MENTO

DEL

NUOVO

TEATRO

DELL’

OPERA

ALLE

TERME

DI

CARACALLA

Relatore Prof.PierFederico Mauro Caliari Correlatori Prof.Francesco Leoni

Arch.Alessia Chiapperino Arch.Paolo Conforti Arch.Michele DiSanctis Arch.Sara Ghirardini Arch.Samuele Ossola Arch.Sergio Savini

TesidiLaurea di Paolo Simone Poggio 725780 Luca Poiani 725781 Anno Accademico 2011-2012

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INDICE

ABSTRACT

INDICE DELLE TAVOLE 1_LE TERME ROMANE

1.1_Storia e funzione sociale degli ambienti termali nel mondo Romano. 1.2_L’Architettura termale: struttura e funzionamento.

1.3_Le terme di Caracalla.

1.3.1_Storia del complesso. 1.3.2_Il cantiere e l'architettura. 2_IL TEATRO

2.1_Evoluzione storica del Teatro. 2.2_Caso studio: il Teatro Farnese.

2.2.1_ Genesi del teatro e cultura teatrale dell’epoca. 2.2.2_Eredità culturale del teatro.

3_IL PROGETTO

3.1_Obiettivi.

3.2_Descrizione dell’intervento: un teatro alle terme di Caracalla. 3.3_Il progetto di allestimento in situ.

3.3.1_Le decorazioni e le opere d’arte.

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ABSTRACT

Il nostro lavoro di Tesi di Laurea si pone come obiettivo la musealizzazione del sito archeologico delle Terme di Caracalla, mediante le realizzazione di una soluzione stabile, ma reversibile per l'attuale utilizzo teatrale di una parte del sito, che rende oggi le Terme un riferimento fondamentale della stagione estiva del Teatro dell' Opera di Roma.

Fin dal 1937 le Terme di Caracalla fungono da scenario suggestivo per spettacoli teatrali e grandi eventi, grazie alla disponibilità di spazi ampi e di grandissimo impatto scenografico e teatrale, che ne fanno in assoluto uno dei luoghi maggiormente suggestivi tra le aree archeologiche del centro di Roma

Allo scopo di valorizzare questo forte carattere scenografico nel corso degli anni sono state molteplici le strutture temporanee realizzate e successivamente smontate in diversi ambienti delle Terme; in particolare ricordiamo l'impianto del palcoscenico che ha occupato stabilmente il

calidarium dal 1938 al 1993.

Attualmente le terme ospitano la stagione lirica mediante l'allestimento di un palcoscenico temporaneo che viene montato ad una certa distanza dalle rovine, nella zona aperta del cortile termale.

Le forme del teatro di cui la nostra tesi propone la realizzazione nascono dalla necessità di fornire una struttura il più possibile stabile ed adeguata alle realizzazione di grandi eventi, ponendo una particolare attenzione alla funzione teatrale connessa con l'esperienza del Teatro dell'Opera, e allo stesso tempo dalla volontà di musealizzare le imponenti rovine andando a ricostituire l'originale volumetria del calidarium, ambiente circolare che caratterizzava il lato sud delle Terme e che oggi non è più percepibile se non mediante gli scarsi resti murari a livello del terreno, che poco risaltano rispetto al resto delle imponenti rovine.

La struttura del teatro assume quindi le stesse proporzioni del volume originale, ospitando circa duemila persone.

La scelta tipologica ha come riferimento i differenti elementi dell'esperienza architettonica teatrale:in particolare la scaene frons del teatro romano viene realizzata tramite la ricostruzione del fronte della natatio, la grande piscina all'aperto situata in fondo al lungo un asse fisico e visivo che va dal Calidarium alla Natatio, mediato da una serie di quinte scenografiche costituite dalle rovine esistenti articolate in profondità lungo questo importante asse.

Allo scopo di completare ed enfatizzare il progetto di musealizzazione delle Terme, all'interno del

frigidarium e del tiepidarium, viene infine allestita una collezione statuaria composta da copie

realizzate ad hoc sui modelli dalla collezione originale appartenente al corredo statuario delle terme, che attualmente sono conservati in diversi musei, tra cui in particolare alcuni pezzi della collezione Farnese del Museo archeologico di Napoli, oltre ad alcuni grandi frammenti di mosaici e oggetti conservati nei sotterranei delle Terme.

INDICE DELLE TAVOLE

1_Inquadramento

2_Planimentria dello stato di fatto 3_Planimetria di progetto

4_Pianta delle Terme 5_Sezioni delle Terme 6_Piante del teatro 7_Prospetti

8_Sezione del teatro

9_Pianta e sezione della natatio 10_Pianta e prospetto della natatio 11_Collezione e allestimento

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1_LE TERME ROMANE

1.1_Storia e funzione sociale degli ambienti termali nel mondo Romano

"Ecco che da ogni parte mi risuonano attorno clamori di ogni genere; abito proprio sopra il bagno pubblico. Ora immagina tutte le specie di suoni che possono farci detestare le orecchie; quando i più robusti si esercitano e agitano le mani cariche di palle di piombo oppure fanno sforzi o fingono di farne, odo i loro sospiri, ogni volta che emettono il fiato trattenuto, e i sibili e la respirazione oltremodo sgradevole; quando capita un qualche pigrone che si accontenta di essere unto alla maniera più comune, odo il rumore della mano che batte sulle spalle, diverso secondo che la mano è aperta o è chiusa. Se poi sopraggiunge il giocatore di palla e comincia a contare i punti, è finita. Ora aggiungi un attaccabrighe e un ladro sorpreso in flagrante e quel tale che si compiace ad ascoltare la sua voce nel bagno: aggiungi quelli che saltano nella vasca con gran rumore dell’acqua sollevata. Oltre a costoro, le cui voci sono almeno di tono uguale, pensa al depilatore che emette continuamente una voce esile e acuta, perché più facilmente venga percepita e sta solo zitto mentre strappa i peli delle ascelle e costringe un altro a strillare in vece sua: pensa alle diverse grida del venditore di bibite, al venditore di salsicce e al pasticciere e a tutti gli imbonitori delle taverne che raccomandano la loro merce con una particolare intonazione di voce". La famosa lettera di Seneca a Lucilio da Baia (Epistole, 56, 1-2) è ancora oggi la più vivace rappresentazione della vita nelle terme romane e se in quel caso si tratta di piccoli bagni di una cittadina di provincia, si può immaginare quale confusione ci dovesse essere in bagni grandi e frequentati come quelli di Caracalla. Le parole di Seneca, insieme a un celebre epitaffio sulla tomba di un romano d’età imperiale che dice "I bagni, i vini, Venere corrompono i nostri corpi, ma sono la vita, i bagni, i vini, Venere". testimoniano dell’importanza che le terme avevano per la vita dei cittadini. Ma non era stato sempre così: durante l'età repubblicana, infatti, il bagno era considerato una mollezza greca alla quale gli uomini, sia i patrizi che gli schiavi, si dovevano accostare il meno possibile per non perdere la forza fisica; anzi il bagno (lavatrina) delle case dei ricchi era situato in un angolo nascosto della casa. Sempre Seneca, descrivendo il bagno di Scipione Africano nella sua villa di Literno, paragonava i costumi repubblicani alle mollezze della sua epoca: "In quell’angolo [...] colui che era stato il terrore di Cartagine lavava il suo corpo stanco dalle fatiche campestri sotto un tetto sordido e su un poverissimo pavimento [...] mentre ai nostri giorni nessuno sopporterebbe di lavarsi così [...]oggi le pareti sono splendenti di marmi rari dell’Egitto e della Numidia [...] la volta ricoperta da ricchissime dorature [...] e il marmo tasio che un tempo si ammirava in rarissimi templi, oggi fascia le piscine nelle quali vanno a tuffarsi i corpi affievoliti dall’eccessivo sudore prodotto dalle stufe". Intorno al II secolo a.C. alcuni intraprendenti imprenditori costruirono bagni pubblici (balnea), dandoli in appalto a gestori, i quali, pur facendo pagare una modesta tassa d’ingresso, il balneaticum, ebbero subito forti guadagni.

Il rituale del bagno comprendeva tradizionalmente una sauna, un bagno caldo, uno freddo e il massaggio, in ambienti o in orari diversi per uomini e donne; a questo si accompagnò da subito l’esercizio fisico, che consisteva in ginnastica, lotta, gioco della palla. Tra le terme più antiche in Italia (in Grecia quelle di Olimpia risalgono nelle loro prime fasi alla meta del V secolo a.C.), ci sono quelle stabiane di Pompei, risalenti al IV secolo a.C., e quelle celeberrime di Baia, favorite dalla presenza di sorgenti termominerali e vapori naturali della zona vulcanica dei Campi Flegrei. Anzi fu proprio un imprenditore di Baia, Sergio Orata che, alla fine del II secolo a.C., secondo la tradizione, ebbe la felice idea di riprodurre artificialmente il fenomeno naturale dell`acqua e del vapore caldi, inventando il sistema di riscaldamento artificiale dell'acqua convogliata sotto il pavimento e nelle pareti

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degli ambienti termali. Il termine "ipocausto" definiva lo spazio sotto il pavimento in cui si accendeva un forno a legna. Il calore di combustione veniva convogliato sotto il pavimento sollevato su pilastrini (suspensurae) che così rimaneva caldo, mentre contemporaneamente l'acqua riscaldata serviva per il bagno caldo nelle vasche (solia o alvei). L`idea determinò il successo del sistema termale in tutto il mondo romano. Nel 33 a.C. a Roma esistevano non meno di centosettanta bagni, secondo un censimento eseguito da Agrippa, il genero di Augusto che, circa dieci anni dopo, inaugurò le terme che da lui presero nome in Campo Marzio, con accesso gratuito in perpetuo per i cittadini, la cui planimetria presenta ancora, però, una disposizione casuale degli ambienti intorno alla sala rotonda centrale, tipica degli edifici termali di età repubblicana. Nella stessa regio, nel 62 d.C. Nerone costruì le sue bellissime terme, celebrate da Marziale (Epigrammi, VII, 34, 4); "Cosa c’e di peggio di Nerone? Cosa c’e di meglio delle sue terme?”.

E' questo il primo bagno in cui gli ambienti termali veri e propri (frigidarium, tepidarium, Calidarium) sono disposti lungo un asse centrale, mentre palestre e annessi sono collocati ortogonalmente a essi. Nell’80 d.C. Tito inaugurò le sue terme nella zona della Domus Aurea neroniana, ma di esse abbiamo pochissimi resti e solo qualche disegno rinascimentale. A Nord-Est di esse, nel 110 d.C. Traiano inaugurò i lussuosissimi bagni che da lui presero nome e che inglobarono parti della reggia di Nerone. In esse si canonizzò il tipo delle "grandi terme imperiali", luogo per il bagno, ma anche ricco di portici, giardini, biblioteche, viali, in cui le strutture termali vere e proprie erano collocate nel corpo centrale, separato dal giardino dalle sale di lettura e di ritrovo, che erano a ridosso degli alti muri di cinta che separavano l'edificio dalla città. Il complesso era perfettamente orientato Nord-Est/Sud-Ovest, per sfruttare al massimo l’insolazione, accorgimento che sarà adottato anche in seguito in altri edifici termali. Un secolo dopo i Romani assistettero all'inaugurazione del bagno, che apparve subito come il più sontuoso e grandioso mai costruito, le Terme di Caracalla, superate in grandezza, ma non in magnificenza, dalle Terme di Diocleziano, inaugurate circa novant’anni dopo.

Tutte le terme erano centri di ritrovo e il luogo dove passare il tempo libero, fare esercizio fisico, curare il corpo, ma anche mangiare, incontrare amici e conoscenti e dove si poteva passare tutto il pomeriggio, dall’apertura (dalle dodici alle quattordici) alla chiusura (al tramonto). Erano frequentate da tutti i ceti sociali, dai più umili ai più ricchi, e anche gli imperatori le frequentavano volentieri: Augusto e Vespasiano vi giocavano a palla, anzi quest’ultimo, dice Svetonio (Vespasiano, 20), si tratteneva molto tempo nello sferisterio. Tra i giocatori di palla c’erano anche veri e propri idoli delle folle, come Ursus, noto da un’iscrizione del II secolo d.C.

(CIL VI, 9797) in cui ricorda: "Il popolo mi lodava e alte grida risuonavano nelle Terme di Traiano, nelle Terme di Agrippa e di Tito, molte anche nelle Terme di Nerone: credetemi pure, sono io, venite a festeggiarmi, o giocatori di palla e adornate, amici, di fiori, viole e rose la mia statua".

Ovviamente c’erano anche i parassiti, come quello noto da un epigramma di Marziale (XII, 82): "Nelle terme e nei luoghi accanto ai bagni non e possibile scansare Menogene, pur ricorrendo a ogni espediente. Afferrerà il pallone, sudaticcio con la destra o la sinistra, le sue prese per fare segnare in tuo favore. Raccoglierà dalla polvere la palla lì caduta e te la porterà anche s’egli abbia già fatto il bagno e si sia calzati i sandali [...]. Ti loderà e ammirerà in tutto, fintanto che tu, dopo aver sopportato mille noie, non gli dirai vieni a mangiare con me". Essendo molto frequentate, le terme erano oggetto delle visite dei ladri, i fures balnearii che approfittavano della confusione per introdursi negli spogliatoi (apodyteria) e impadronirsi degli oggetti lasciati incustoditi. Tanto frequenti erano i furti che i ricchi andavano al bagno con uno schiavo che lasciavano a sorvegliare i vestiti.

Le donne amavano andare alle terme: infatti già dal II secolo a.C. sono noti bagni con ambienti rigidamente divisi per i due sessi, come sappiamo da Varrone (Della lingua latina,

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I, 1, 9, 68). Ma già Cicerone lamentava che la separazione tra i due sessi non fosse sempre rispettata (Dei doveri, I, 35, 129) e la stessa abitudine ai bagni "promiscui" scandalizza anche Plinio il Vecchio (Storia naturale, XXXIII, 153), mentre Marziale li accettava come specchio della licenziosa società del suo tempo (Epigrammi, III, 51, 72; XI, 47, 75). L'imperatore Adriano, per fare cessare questo scandalo, stabilì la rigida separazione dei sessi, prescrivendo ambienti separati o adottando orari differenziati (Scrittori della Storia augusta, Vita di Adriano, 18, 10); lo stesso provvedimento fu adottato da Marco Aurelio (Scrittori della Storia augusta, Vita di Marco Aurelio, 23, 8) e da Severo Alessandro (Scrittori della Storia augusta, Vita di Severo Alessandro, 24, 2), per contrastarne uno opposto del vizioso Eliogabalo.

Gli orari d’apertura delle terme erano in genere, come si è detto, concentrati tra mezzogiorno e le quattordici e il tramonto, anche se esistono sicuramente le prove che a Pompei e in Lusitania le terme potevano rimanere aperte anche la notte. La tassa d’ingresso era varia, ma sicuramente si trattava di una cifra molto modesta: Orazio (Satire, I, 3, 37) e Marziale (Epigrammi, II, 52; III, 30, 4) parlano di un quadrans, il quarto di un asse, la moneta più piccola battuta al loro tempo, quando per un asse e mezzo si comprava un litro di vino e una forma di pane. All’epoca di Diocleziano il prezzo era di due denarii, il pezzo più piccolo della serie bronzea, con il quale si pagava anche la custodia delle vesti all’interno delle terme. In occasioni o in edifici termali particolari l’ingresso era gratuito, un espediente usato da uomini pubblici per conquistarsi la benevolenza dei cittadini.

1.2_L’Architettura termale: struttura e funzionamento

Le terme romane erano edifici pubblici dotati di impianti che oggi chiameremmo igienico-sanitari, e rappresentavano uno dei principali luoghi di ritrovo nella Roma antica, a partire dal II secolo a.C.

Le prime terme nacquero in luoghi dove era possibile sfruttare le sorgenti naturali di acque calde o dotate di particolari doti curative. Col tempo, soprattutto in età imperiale, si diffusero anche dentro le città, grazie allo sviluppo di tecniche di riscaldamento delle acque sempre più evolute.

Il primo esempio di terme può essere fatte risalire ai tempi di Appio Claudio, intorno alla metà del V secolo a.C. quando questi fece condurre in città le acque sorgive di Preneste per mezzo dei primi acquedotti. Per le prime “vere” terme, propriamente dette, fu invece necessario attendere il 27 a.C. quando Marco Vipsanio Agrippa fece realizzare nel Campo Marzio, un complesso termale; non costituito dai solamente bagni, ma unito a un importante complesso di sale e vasti cortili recinti da portici per esercizi ginnici. La magnificenza di queste terme aveva tuttavia una estensione assai limitata se proporzionata a quelle che vennero realizzate in seguito. Lo stile era quello repubblicano, con i vari ambienti disposti senza un ordine preciso, attorno a una vasta sala rotonda centrale. Tutti gli imperatori che succedettero le presero d'esempio e ne costruirono sempre di più grandi e complesse. Così quelle di Nerone,che costituiscono il primo esempio di grandi terme imperiali, in cui gli ambienti termali sono disposti secondo un asse ed il resto degli ambienti disposti simmetricamente lungo un asse orientato secondo la direzione nord – sud. Altri esempi da citare sono le Terme di Tito (80 d.C.), di Traiano (110 d.C.), delimitate da edifici perimetrali ed orientate secondo l'asse nord-est / sud-ovest che ne garantiva l'ottimizzazione dell'insolazione, caratteristica questa ripresa sia dalle Terme di Caracalla (216 d.C.) che di Diocleziano. Lo sviluppo interno tipico era quello di una successione di stanze, che veniva dettata da norme fisse basate su criteri fisici e

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medici legati ai presunti benefici provocati dai repentini cambi di temperatura. Così da una disposizione dei locali di tipo lineare, tipica dell'epoca repubblicana si passa ad un percorso anulare e dunque a quelle dotate di doppio percorso simmetrico, favorendo in tal modo la divisione fra uomini e donne.I frequentatori erano soliti procedere attraverso i vari ambienti delle terme secondo un percorso stabilito. Accedendo quindi dagli ingressisi passava agli spogliatoi (apodyterium) quindi a sale dedicate alla preparazione alla ginnastica (elaeothaesium). Prima di accedere all'acqua era consuetudine passare da ambienti per il raschiamento, ovvero della pulizia del corpo (destrictarium), e l'unzione con oli (elaeothaesium). Il cuore delle terme era costituito dagli ambienti dotati di vasche d'acqua. A seconda delle temperature si distinguevano tepidarium, frigidarium, e calidarium, anch'essi frequentati secondo un ordine prestabilito, ordine che prevedeva anche il passaggio attraverso la saune (laconicum). Il percorso terminava con un bagno nella natatio, ovvero la piscina natatoria scoperta.

IL CALIDARIUM

Il calidarium era la parte delle antiche termedestinata ai bagni in acqua calda e ai bagni di vapore. Esso poteva avere forma rotonda o rettangolare, con una o più vasche (piscinae) di acqua calda, o bagni individuali. Generalmente era posto nel lato sudosud-ovest delle terme, allo scopo di sfruttare il calore naturale del sole. Nelle strutture più antiche il calore era ottenuto con semplici bracieri. Col tempo venne sempre più utilizzato dai Romani un sistema di riscaldamento per mezzo di aria calda circolante sotto il pavimento e attraverso le pareti, l'ipocausto, la cui ideazione veniva attribuita a Sergio Orata. Il pavimento del calidarium era formato da uno strato di calcestruzzo, che poggiava su pilastri di mattoni (suspensura) in uno spazio cavo destinato alla circolazione dell'aria calda. Questo sistema poteva essere completato trasportando l'aria calda anche nelle pareti del calidario per mezzo di condotti in laterizio (tubuli). Negli scavi archeologici, la presenza delle strutture dell'ipocausto (le suspensure in mattoni e i tubuli nelle pareti), permettono di identificare i locali dotati di riscaldamento. Il calidarium poteva comprendere il laconico, cioè il sudatorio (ambienti surriscaldati per provocare la sudorazione) e l'alveo (vasca per il bagno in acqua calda).

Non è nota con sicurezza la temperatura che veniva ottenuta di solito nei caldari. La temperatura nei moderni bagni turchi è dell'ordine di 35 °C mentre nelle saune finlandesi si possono raggiungere i 70 °C. È noto che i Romani calzavano sandali con suola di legno; poiché queste calzature dovevano resistere alla temperatura dei calidari, si ritiene che la temperatura in un determinato calidario non potesse superare la temperatura di 50-55 °C. IL FRIGIDARIUM

Il frigidarium era la parte delle terme dove potevano essere effettuati bagni in acqua fredda. Il frigidario poteva avere forma rotonda (come nelle Terme Stabiane a Pompei), o più spesso rettangolare, con uno o più vasche (piscinae) di acqua fredda. Nella sala si giungeva attraverso il calidarium e tepidarium. Per mantenere la temperatura ottimale, i frigidari erano esposti generalmente al lato nord delle terme, con piccolissime aperture verso l'esterno, quel tanto che era sufficiente per garantire l'illuminazione e a impedire il riscaldamento attraverso il calore solare. A differenza della piscina natatoria, il frigidario era generalmente coperto. Se necessario, l'acqua era mantenuta fresca con l'aggiunta di neve.I più grandi frigidari che ci sono pervenuti dall'antichità sono nel complesso delle terme di Caracalla (il frigidarium misura 58 x 24m) e in quelle di Diocleziano, coperto da una volta a crociera, in prossimità del piccolo chiostro.

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IL TEPIDARIUM

Il tepidarium era la parte delle terme destinata ai bagni in acqua tiepida, spesso situato tra il frigidarium e il calidarium, e mantenuta a temperatura moderata. Riscaldato moderatamente da una corrente d'aria calda che passava sotto il pavimento sorretto da suspensura, il tepidario era un ambiente di passaggio tra le sale del calidario, destinate ai bagni caldi e alla sudorazione, e al frigidario, la sala destinata ai bagni freddi, dunque fungeva da filtro per questioni legate al cambio di temperatura. Ricordiamo che dal tepidarium delle terme di Diocleziano è stata ricavata l'attuale basilica di Santa Maria degli Angeli.

1.3_Le terme di Caracalla 1.3.1_Storia del complesso

Le Terme di Caracalla sono uno dei più grandi e meglio conservati complessi termali dell’antichità. I ruderi delle Terme, che si ammirano ancora per la notevole altezza di oltre 30 metri in alcuni punti, ci danno oggi solo l’idea della grandiosità del complesso termale - secondo per grandezza solo a quello, successivo di quasi un secolo, delle Terme di Diocleziano – ma le dimensioni dell’edificio e la monumentalità degli ambienti, conservati per due piani in alzato e per due livelli sotto terra, ci permettono di immaginarne la fastosità.

Concepite probabilmente da Settimio Severo, le Terme furono inaugurate nel 216 d.C., sotto il regno del figlio, Marcello Aurelio Antonino Bassiano, detto Caracalla, nella XII regio, Piscina Pubblica, posta nella parte meridionale della città, abbellita e monumentalizzata dai Severi con la Via Nova, tracciata da Caracalla in direzione delle nuove terme e il Septizodium, un grandioso Ninfeo a più piani, simile alla scena di un teatro ellenistico, voluto da Settimio Severo sulle pendici sud-occidentali del Palatino, come quinta monumentale della Via Appia. Elio Sparziano nella sua “Vita di Caracalla” ci informa che l’imperatore costruì “thermas eximias et magnificientissimas”, ma sappiamo da altri autori che esse furono completate, nei porticati ed in alcune decorazioni, dai suoi successori, Eliogabalo e Severo Alessandro, e quindi si poterono dire ultimate nel 235 d.C. Restauri furono eseguiti da Aureliano, dopo un incendio, e da Diocleziano, che intervenne con lavori sull’acquedotto (Aqua Antoniniana), che da lui prese il nome di forma Iobia. Costantino modificò il Calidarium, con l’inserimento di un’abside semicircolare, lasciando testimonianza del suo intervento in un'iscrizione conservata nei sotterranei dell’edificio. Nel V secolo d.C. le Terme erano perfettamente funzionanti, come è documentato dalle parole di Polemio Silvio, che le cita come una delle sette meraviglie di Roma, famose per la ricchezza delle loro decorazioni e delle opere che le abbellivano, e di Olimpiodoro, che parla della loro grandiosità, misurabile anche dai milleseicento "sedili" per il pubblico che vi si trovavano. Che le Terme fossero perfettamente funzionanti in quel periodo é dimostrato anche dai dati di recenti scavi nelle gallerie, che hanno testimoniato lavori risalenti a quegli armi.

Le Terme vissero solo tre secoli, in quanto furono definitivamente abbandonate dopo il 537 d. C., a seguito dell’assedio di Roma ad opera di Vitige, re dei Goti, il quale tagliò gli acquedotti per prendere la città per sete. Da quel momento il complesso termale perse di importanza, anche a causa della pericolosità della sua posizione, troppo fuorimano rispetto al centro, dove si andavano concentrando gli abitanti per la paura degli invasori. Giunsero quindi gli anni dell’oblio, nei quali forse il monumento fu il cimitero dei pellegrini ammalatisi durante i viaggi per Roma e ricoverati nel vicino Xenodochium dei Santi Nereo

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e Achilleo: il ritrovamento in anni recenti di alcune povere tombe del VI-VII secolo all’interno del recinto perimetrale ha fatto supporre che nelle Terme fossero seppelliti appunto i pellegrini. Ci sono testimonianze, nel Liber Pontificalis, di restauri all’acquedotto, almeno fino al IX secolo, da parte dei papi Adriano I, Sergio II e Nicolò I, che, insieme alle tracce evidenti di calcare negli alloggiamenti dei tubi, quando questi erano già stati asportati, e di concrezioni massicce nelle gallerie, dimostrano che comunque l’acqua continuò a fluire qui, liberamente per secoli. Già nel XII secolo le Terme furono cava di materiali per la decorazione di chiese e palazzi: tre capitelli con le aquile e i fulmini, simboli di Zeus, provenienti dalla palestra orientale, furono posti in opera, nel duomo di Pisa, dopo opportuni riadattamenti. La medesima sorte subirono, nello stesso secolo, gli otto capitelli con Iside, Serapide e Arpocrate provenienti dalle biblioteche e riutilizzati nella chiesa di Santa Maria in Trastevere.

Nei protocolli notarili del XIV secolo il luogo era detto Palatium Antonianum ed era sicuramente adibito a vigne ed orti, vista anche la grande quantità d'acqua disponibile. Ma ancora nel XV secolo le sue importanti rovine suscitavano l’entusiasmo dei rari visitatori, quali Poggio Fiorentino, che nel 1450 scriveva: “Delle terme del figlio di Severo, Antonino, grandissime vestigia restano, più che delle altre, le quali attirano grande ammirazione dei riguardanti che non sanno farsi un’idea a quale uso fosse stata innalzata quella mole così portentosa di fabbricati, e l’apparato ti tante colonne così grandi e di marmi così diversi”. Durante il pontificato di Giulio II, nei primi anni del XVI secolo, ancora restavano in piedi, anche se sepolte dalle rovine, molte colonne e la parte centrale delle Terme era visitabile. Pochi anni dopo la situazione precipitò, a seguito degli scavi di papa Paolo III Farnese, per la costruzione del suo nuovo palazzo, momento fondamentale per la storia delle Terme. Nel 1545-1547 grandi statue, oggetti preziosi, bronzi, gruppi colossali, furono rinvenuti all’ “Antoniniana”, suscitando grande interesse nei contemporanei. Dopo gli scavi Farnese, le Terme di Caracalla vissero un lungo periodo di abbandono: nella seconda metà del XVI secolo sappiamo che papa Paolo V le concesse in proprietà ai Gesuiti del seminario romano per portarvi i ragazzi a giocare nei giorni di festa. Si disse anche che Filippo Neri conducesse alle Terme i ragazzi del suo oratorio e che sia stato lui a far dipingere l’affresco della Vergine sorretta da un angelo ancora visibile in un ambiente prospiciente la natatio. Tra il XVI ed il XVII secolo, l'interesse per la grandiosa architettura dell'edificio ci ha lasciato disegni di celebri autori, quali il Falda, Giuliano da Sangallo, il Palladio, il Piranesi ed il Nolli.

Nel 1824 scavi sistematici furono iniziati nel corpo centrale dal conte Egidio Di Velo: essi portarono alla luce, tra

l’altro, i famosi mosaici pavimentali con gli atleti, attualmente conservati ai Musei Vaticani. Gli scavi continuarono fino alla metà del secolo a opera di Canina nel frigidarium e poi a opera di Guidi nel 1860-1867. Quest’ultimo rinvenne, nell’angolo sud-orientale delle Terme, a una quota di circa 8 metri sotto l’attuale livello di calpestio, una ricca domus di età adrianea, con pavimenti a mosaico e affreschi di II stile alle pareti.

Quelli della stanza più interessante, il lararium, sono stati staccati e restaurati nel 1975 ed ora sono collocati in un ambiente della palestra orientale.

Negli anni 1866-1869 fu scavato il corpo centrale dell’edificio e furono rinvenuti i celebri capitelli figurati, colonne di porfido ed un torso di Eracle. Altre ricerche furono compiute nel 1870, anno in cui il monumento divenne proprietà del governo italiano, da Pietro Rosa, che si concentrò sulla palestra orientale, mentre nel 1878-1879 Fiorelli scoprì il pavimento in opus sectile marmoreo del Calidarium e quello a mosaico della palestra occidentale, che venne completamente scavata.

Nei primi anni del Novecento si procedette all’esplorazione del recinto perimetrale e di parte dei sotterranei; questi scavi portarono alla scoperta dei vani compresi nella grande

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esedra occidentale, della biblioteca e, nel sottosuolo, del Mitreo e di quello che recenti studi hanno identificato come un mulino ad acqua.

L’esplorazione sistematica delle gallerie, in parte già note dal Settecento e dall'Ottocento, iniziò nel 1901, per proseguire ad est negli anni 1937-1938, in occasione dei restauri delle stesse per l’impianto del palcoscenico del Teatro dell’Opera nel Calidarium. I restauri furono eseguiti dal Governatorato della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, ma di essi esiste purtroppo solo una esigua documentazione.

Dopo questo periodo, i lavori più importanti nel monumento sono stati senz’altro quelli degli anni ottanta, quando il recinto meridionale è stato completamente liberato dalla fitta vegetazione e dalle case abusive che ancora lo occupavano parzialmente ed il complesso, restaurato nel lato sud, nelle cisterne e nella biblioteca sud-ovest, e in quello est, nel cosiddetto Tempio di Giove, è stato finalmente restituito nella sua pianta originaria. Per gli anni Novanta un momento significativo della storia delle Terme può senz’altro essere individuato nel 1993, anno dell’ultima stagione lirica estiva del Teatro dell’Opera nel Calidarium, dopo un'occupazione che risaliva al 1938. Nel 1996, infine, risale l'ultimo ritrovamento statuario nelle Terme di Caracalla: una statua di Artemide acefala, stante, vestita di corto chitone, utilizzata come basolo di strada della pavimentazione delle gallerie sotterranee. La statua è esposta, dall’Aprile del 1997, nell’aula ottagona (ex Planetario) delle Terme di Diocleziano, insieme a numerose altre prove delle Terme.

Nel 1998 le Terme sono state liberate, con un lavoro attento, da tutte le strutture arrugginite del vecchio palcoscenico del Teatro dell’Opera che risalivano al 1938. I lavori sono durati circa un anno, ed a questi si sono susseguiti i lavori per il Giubileo, con la costruzione di nuovi servizi per il pubblico e di una nuova recinzione.

Nel 2001 le Terme sono state riaperte alla musica classica, ospitando per due anni la stagione estiva dell’Accademia di Santa Cecilia, ed alla lirica, accogliendo di nuovo la stagione del Teatro dell’Opera, con un palcoscenico all’aperto temporaneo e rimovibile, lontano dalle strutture del Calidarium, e nel pieno rispetto del monumento che, in molti casi, è stato preferito dai registi come unica, monumentale scenografia.

CARACALLA

Marco Aurelio Antonino Bassiano nacque a Lugdunum, il 4 aprile del 188 d.C., quando suo padre, Settimio Severo, era governatore della provincia gallica. Quest’ultimo, un ambizioso senatore di origine africana, fu acclamato imperatore dalle legioni del Danubio nel 193 e rimase unico padrone del l’impero nel 197 dopo essersi liberato di tutti gli altri pretendenti. La madre di Bassiano, Giulia Domna, era la figlia del sommo sacerdote di El Gabal a Emesa: a lei gli oroscopi avevano predetto che avrebbe sposato un re; Caracalla aveva un fratello, Geta, con il quale i rapporti furono difficili sin dal l’infanzia. Era, cosi almeno narrano le fonti, un giovinetto amabile, intelligente, affabile e sempre pronto ad atti di benevolenza, sed haec puer, ma questo riguarda la sua fanciullezza.

Quando aveva quindici anni, nel 203, Severo gli fece sposare Plautilla, figlia del suo favorito Plautianus e cinque anni più tardi lo porto con sé in Britannia. Lì Bassiano, che aveva già mutato profondamente carattere diventando più torvo , severo e ossessionato dalla volontà di somigliare ad Alessandro Magno, prese parte con il padre e il fratello Geta alla guerra contro i Caledoni. Nel febbraio del 211 Settimio Severo morì a Eboracum e i suoi due figli si affrettarono a concludere la pace e a tornare a Roma, con la madre Giulia Domna, ai primi di maggio per assumere insieme le redini dell’impero. Erodiano racconta che il palazzo imperiale sul Palatino fu addirittura diviso in due, con ingressi e vestiboli indipendenti, per evitare che i fratelli si incontrassero. Anche l’impero fu diviso a metà e Caracalla tenne per sé la parte occidentale.

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Nel febbraio del 212 Geta morì ucciso dal fratello tra le braccia della madre. Gli autori antichi narrano che, dopo aver compiuto il delitto, Caracalla si rifugiò presso l’esercito, quasi fosse scampato ad un attentato ordito da Geta; successivamente, convincendo i pretoriani a forza di donativi e di promesse, riuscì a farsi proclamare unico imperatore e cominciò a uccidere gli amici e i partigiani del fratello. Più di mille vittime perirono in questo modo, e tra questi il celebre giurista Papiniano, grande amico del padre, al quale si era rivolto per farsi difendere dall’accusa di fratricidio e dal quale aveva avuto uno sdegnoso rifiuto con il pretesto che scusare un tale delitto non era altrettanto facile che commetterlo. Caracalla si abbandonò quindi a una serie di atti sanguinari alternati da atti di religiosità morbosa, in uno dei quali decretò l’apoteosi del fratello, mentre prima ne aveva ordinato la damnatio memoriae, e cioè la sparizione di ogni effigie e di ogni ricordo scritto. Scriveva al Senato che in lui abitava lo spirito di Alessandro Magno, tanto che camminava sempre con la testa reclinata verso destra, come nei ritratti più noti del macedone. Caracalla affidò tutta la gestione della politica interna al consilium principis, presieduto dalla madre, che fu in tutto e per tutto l’imperatrice regnante e la responsabile dell’impero, mentre il figlio si occupava solo dell’amatissimo esercito.

Giulia Domna, che regnò incontrastata come imperatrice madre, aveva la direzione e il controllo dei problemi amministrativi, dei registri, della corrispondenza imperiale greca e latina. I suoi titoli Pia e Felix, riservati sino a quel momento agli imperatori, la garantivano e la legittimavano in nome della pietas imperiale e del carisma augusteo. Governò il mondo in qualità di madre della patria, forse non amando il figlio fratricida, ma sicura che egli avrebbe regnato per un tempo assai lungo, sostenuto dall’appoggio incondizionato dell’esercito. Mentre la madre di fatto governava l’impero, Caracalla compiva numerose imprese militari, sia per difendere i confini dalle invasioni sia per cercare nuove entrate economiche; le imprese si svolsero in Europa e in Oriente.

Nella primavera-estate del 213 egli partì per le Gallie dove, a Narbona, condannò a morte un gran numero di cittadini e il governatore della provincia. Da questa zona probabilmente aveva importato la veste che poi gli diede il soprannome, il mantello detto “caracalla”, dotato di un ampio cappuccio che egli amava indossare e che fece distribuire ai cittadini romani. Partì poi per la Germania per fare la guerra ai Catti e agli Alemandi, ma ne uscì sconfitto e dovette comprarsi la pace a peso d’oro. L’anno dopo andò in Tracia a combattere contro i Geti e da li passò in Asia Minore. Fondò una colonia a Edessa e, dopo aver saputo che gli abitanti di Alessandria parlavano di lui con disprezzo e lo disapprovavano per l’uccisione di Geta, fece mettere la città a ferro e fuoco. Infine, nel 215 si recò ad Antiochia per preparare la guerra ai Parti, saccheggiò il paese, disperse le ossa dei re e ne saccheggiò i sepolcri. Tornò quindi a Edessa a passare l’inverno (216-217) e celebrò nelle monete la vittoria partica.

Nel 212 durante il viaggio tra Edessa e Carre, dove si stava recando a visitare il tempio del dio Luno, un soldato lo pugnalò mentre scendeva da cavallo per ordine del suo prefetto Macrino, che si fece proclamare imperatore dai militari.

Questa, in sintesi, la biografia di Caracalla secondo Dione Cassio e l’Historia Augusta, ma la sua vita e le sue opere devono essere considerate anche in base a dati storici certi. Se gli autori antichi sono poco generosi con l’imperatore, descrivendolo come un folle e sanguinario fratricida, la storia gli deve atto di un provvedimento di straordinaria importanza per l’evoluzione dell’impero: la politica di Caracalla fu quella di raggiungere l'unificazione interna ponendo nella stessa condizione tutti gli abitanti dello Stato. Conseguenza e strumento di questo disegno politico fu la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti delle province, la Constitutio Anroniniana. L’impero versava, inoltre, in una grave crisi politica ed economica: le larghissime elargizioni di denaro destinate ai militari richiedevano infatti un continuo flusso di moneta, in parte procurata dal raddoppio delle tasse sulle eredità e sulle manomissioni, in parte con le nuove

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provvidenze monetarie che riducevano il valore del denaro; in quel periodo fu istituita la figura del Corrector Italiae, con l’incarico di riorganizzare le finanze dei municipi d’Italia. La Constitutio Antoniniana è a stento ricordata dagli storici: Dione Cassio, personaggio non secondario e testimone diretto di quegli anni, la cita solo in un passo che descrive le misure vessatorie con cui Caracalla cercava di accrescere le entrate dello Stato per poter arricchire i soldati, da sempre i suoi prediletti; Erodiano, altro autore all’incirca coetaneo di Caracalla e funzionario imperiale, non ne fa minimamente cenno; lo stesso dicasi per l’Historia Augusta, nella quale si trovano informazioni anche spicciole sull’imperatore, ma non questa. Ma l’indifferenza o la poca comprensione per la portata storica dell’editto non ci devono stupire, poiché spesso le grandi trasformazioni della storia non vengono capite dai contemporanei, ma solo dai posteri. Con la Constitutio Antoniniana, infatti, l’impero diventa patria di tutti quelli che vi abitano e che si riconoscono nel titolo comune di civis Romanus sotto leggi che sono le stesse per tutti, in ogni angolo dell’impero e per tutti i suoi abitanti. L’altro provvedimento da lui adottato fu la creazione dell'antoninianus, una moneta contenente tanto argento quanto se ne trovava nel denarius, ma che valeva una volta e mezzo quest’ultimo, destinato a diventare, nel corso del III secolo, la moneta cardine del sistema (una soluzione geniale, una svalutazione attuata non diminuendo la percentuale di metallo nobile, ma il suo standard ponderale). Si trattò di un provvedimento che tendeva a stabilizzare il sistema monetario con la coniazione di un nominale argenteo che fosse meno sopravvalutato del denarius rispetto al suo contenuto di metallo fine. In realtà sembra che la riforma monetaria di Caracalla, oggetto di divergenti interpretazioni da parte degli storici, sia stata causata dalla volontà di ristabilire la "fiducia" nella moneta imperiale, fortemente indebolitasi dopo la drastica svalutazione attuata da Settimio Severo, padre di Caracalla, ma che non bastò a risolvere la crisi inflazionistica nella quale versava lo Stato. Le spese generali erano infatti cresciute moltissimo con l'aumento del numero delle legioni voluto da Settimio Severo, ma la persistenza del pericolo sul fronte renano-danubiano e su quello orientale rendeva improponibile ogni ipotesi di contenimento della spesa militare. Se la tradizione letteraria filo-senatoria ha infatti sempre dipinto Caracalla come l’imperatore che spendeva patrimoni per l’esercito, tuttavia è vero che il potere imperiale, in questo modo, prendeva atto del ruolo decisivo che, ancor più che in passato, giocava l’elemento militare. Le spese per gli armamenti erano, cioè, incomprimibili e a esse si era anche aggiunta la voce dei tributi per comprare la pace dai barbari. Inoltre erano cresciute le spese per le opere pubbliche e quelle per l’annona della capitale. In conclusione, dobbiamo rivalutare la figura di questo imperatore "maledetto" alla luce di quelli che sono stati i suoi numerosi meriti storici, non ultima la costruzione delle Terme, e considerando il breve e travagliato periodo del suo regno.

1.3.2_Il cantiere e l'architettura

Le Terme di Caracalla occupano una superficie rettangolare di circa 337x328 metri. Il cantiere di costruzione fu un'opera di grande ingegneria: per costruire la piattaforma e colmare il dislivello tra il colle del piccolo Aventirio e la valle delle Camene fu progettato un cantiere a tre grandi terrazze digradanti, che nella parte più settentrionale era costituito da archi in laterizio, che al tempo stesso costituivano la sostruzione della piattaforma e i sotterranei per i servizi. La parte più a monte era invece circondata dal muro di cinta che sostruiva e conteneva il colle che fu scavato e che in parte servì da materiale di costruzione dell’edificio. La differenza di quota tra il livello più basso e quello più alto era di circa 14 metri, ma il primo livello fu parzialmente riempito con terra compattata sino a raggiungere il piano di calpestio di 26 metri sul livello del mare. Nel livello più basso si

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trovavano tutte le gallerie di servizio, i cunicoli e le fogne, oltre alle aree di immagazzinaggio.

Si è calcolato che alla costruzione dell’edificio abbiano lavorato novemila operai al giorno per circa cinque anni, contando tutti coloro che hanno cavato o prodotto i materiali, li hanno trasportati sul posto e quanti hanno materialmente costruito e poi decorato l’edificio. Solo i laterizi dei sotterranei e del sopraterra dovevano essere milioni. C’erano almeno duecentocinquantadue (252) colonne, sedici delle quali alte più di 12 metri.

L'approvvigionamento idrico era assicurato dall’acquedotto fatto costruire da Caracalla come derivazione dell’aqua Marcia, arricchita con la captazione di nuove sorgenti, che prese il nome di aqua Nova Antoniniana dall’imperatore.

L'edificazione dell’acquedotto deve avere necessariamente costituito uno dei momenti prioritari del programma costruttivo. La sua datazione è resa possibile dal ritrovamento dell’iscrizione dedicatoria del nuovo braccio, che ci riporta all’anno 212 d.C., secondo del regno del solo Caracalla. Il percorso dell’acquedotto non è ricostruibile con certezza, tranne che per il tratto già noto da tempo che va dal cosiddetto Arco di Druso, un sovrapassaggio dell’acquedotto sulle Mura Aureliane di fronte a Porta Appia, alle Terme, ma alcuni segmenti sono stati definitivamente riconosciuti, quali un tratto alla circonvallazione Appia, lungo 5 metri, e un altro in piazza Galeria, lungo 4,5 metri; un altro è costituito dall’incrocio con le Mura Aureliane mentre quelli in sotterraneo sono molto meno conosciuti. Dopo il cosiddetto Arco di Druso, un altro segmento lungo circa 6 metri è conservato a largo delle Terme di Caracalla. L’arrivo dell’acquedotto (castellum aquae) era situato sul lato meridionale delle Terme, dove sono ancora conservate in parte le diciotto cisterne che garantivano una maggiore portata d’acqua nei momenti di necessità (manutenzioni, svuotamento delle piscine, sostituzione delle tubature in piombo, lavaggio degli ambienti prima e dopo l’arrivo del pubblico ecc.).

Recenti studi sul sistema idrico delle Terme hanno rivelato la complessità del progetto e del funzionamento dei sistemi di approvvigionamento idrico, riscaldamento e scarico.

L'adduzione dell’acqua era garantita, come detto, dall’Acquedotto Antoniniano: dalle cisterne si dipartivano i tubi in piombo, che rifornivano tutte le utenze dell’edificio, con vari percorsi e differenti diramazioni che raggiungevano tutte le vasche e le fontane sparse nelle Terme.

Probabilmente le vasche del frigidarium e della natatio erano alimentate in continuo, a differenza di quelle d’acqua calda che erano riempite e svuotate di volta in volta. Il sistema fognario era articolato intorno ad una grande galleria centrale profonda circa 10 metri sotto il piano di calpestio delle Terme, nella quale confluivano tutti gli scarichi e le acque piovane. Il sistema sotterraneo di manutenzione era garantito da una fitta rete di gallerie che raggiungeva tutte le parti dell’edificio; nei sotterranei al di sotto del Calidarium era collocato tutto il sistema di riscaldamento con i praefurnia (ve ne dovevano essere circa cinquanta, dei quali ventiquattro sono conservati, ed altrettanti sono ipotizzabili grazie alle tracce nelle murature, per un calcolo di simmetria) e le caldaie per il riscaldamento dell’acqua. I forni consumavano in media 10 tonnellate al giorno di legname, che era conservato in alcune parti delle gallerie, adibite proprio a deposito (è stato calcolato che nei sotterranei fosse possibile accumulare oltre 2000 tonnellate di legna, pari alle necessita di consumo di sette mesi).

Un momento preliminare essenziale alla costruzione dell’edificio deve essere stato, oltre all’impianto dell‘acquedotto, la creazione della nuova viabilità d’accesso alle Terme, la via Nova Antoniniana, che correva davanti al lato Nord del complesso, collegando il Circo Massimo con la via Appia. La strada, che gli autori antichi ricordano per la sua bellezza, era molto ampia e costituiva sicuramente il degno accesso a quelle che erano le Terme più belle della città ed uno degli edifici più ricchi di opere d’arte dell’epoca, ma fu anche una facile via di trasporto dei materiali da costruzione che, portati in grande quantità, dovevano

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essere immagazzinati nello stesso cantiere. Mentre probabilmente quattro erano gli accessi sul lato principale (Nord) dell’edificio, un solo ingresso è oggi riconoscibile sul lato Sud-Ovest: esso consisteva in un monumentale scalone d’accesso dal lato del colle del piccolo Aventino e uno scalone simmetrico doveva essere sul lato opposto.

Lo schema planimetrico del complesso è quello delle "grandi terme imperiali", non solo edificio per il bagno, ma anche luogo per il passeggio e lo studio, oltre che per lo sport e la cura del corpo. Orientato Nord-Est/Sud-Ovest, il blocco centrale, il vero e proprio edificio termale, è completamente staccato dal recinto che le circonda, dove erano collocate a Sud le cisterne e le due biblioteche simmetriche, a Ovest e a Est due grandi esedre racchiudenti ambienti caldi e di ritrovo, a nord gli accessi principali e le tabernae inserite nel recinto perimetrale. Nel lato Sud davanti alle cisterne correva una gradinata, interpretabile forse, più che come uno stadio, secondo l'identificazione tradizionale, come una cascata d'acqua. Nell’angolo Sud-Ovest del complesso, una monumentale scalinata costituiva l’accesso alle Terme dal colle Aventino. Accanto ad essa é ancora oggi riconoscibile l’unica superstite delle due biblioteche, oggetto di compiute indagini di scavo negli anni ottanta, dopo i primi saggi del 1912 che portarono alla sua scoperta. L'ambiente, a pianta rettangolare di 38x22 metri, presenta tre pareti coperte da nicchie, in numero di trentadue, che dovevano servire per l'alloggiamento degli armaria lignei per contenere i libri; in una nicchia più grande, al centro della parete Sud, doveva invece essere collocata la statua di Atena od un qualche gruppo scultoreo. Davanti alle tre pareti correva una "banchina" di muratura che doveva essere una specie di sedile per la consultazione dei volumina. Il pavimento della biblioteca è un bell’esempio di opus sectile marmoreo con motivo a quadrati e rettangoli con dischi inscritti, dei quali sono stati trovati molti frammenti di marmi colorati ancora in situ.

Il recinto delle Terme, circondato di portici, era diviso dal corpo centrale per mezzo di un grande xystus o giardino per il passeggio e la conversazione. Dello xystus ci parlano Vitruvio e Plinio dicendoci che esso era il giardino preferito vicino alle ville e ai palazzi più sontuosi ed aveva la caratteristica di essere circondato da portici su uno o più lati.

La pianta del corpo centrale si presenta come un volume rettangolare chiuso di circa 214x110 metri, dal quale sporgono solo il Calidarium circolare e due piccole esedre laterali, inglobate in due ambienti rettangolari simmetrici che sono riconosciute, anche da confronti planimetrici con altri edifici termali, come palestre, circondate da portici e forse coperte al centro. Altri ambienti dalla chiara destinazione d’uso sono gli apodyteria o spogliatoi, la natatio o piscina scoperta, il frigidarium, grande aula coperta con quattro vasche di acqua fredda sui lati lunghi, il tepidarium con due vasche e il Calidarium con sette vasche per i bagni d’acqua calda. Ai lati del Calidarium si trovavano gli ambienti per le sudationes, i laconica. L'edificio si articolava su due piani, almeno nelle palestre, negli ambienti ad esse annessi e negli apodyteria, in due dei quali sono ancora conservate le scale d’accesso al piano superiore illuminate da strette finestre. Nel secondo piano dovevano collocarsi ambienti la cui destinazione d’uso è difficilmente ricostruibile, ma che possiamo immaginare destinati al massaggio, all’elioterapia, alla depilazione.

Analizzando la pianta dell’edificio in maniera più dettagliata si nota che esso presenta i vestibula, ingressi sul lato Nord, gli apodyteria e le palestre, doppi e simmetrici rispetto al corpo termale vero e proprio; in quest’ultimo invece la natatio, il frigidarium, il tepidarium e il Calidarium sono disposti su un unico asse, per evitare al massimo la dispersione di calore e al contempo sfruttare appieno l’insolazione e l'esposizione ad occidente delle zone calde, dove d’estate il sole batte fino al tramonto.

Un ambiente di grande rilevanza architettonica e monumentale è il frigidarium, un grande salone che rappresentava il vero e proprio centro dell’edificio, compreso tra natatio e Calidarium e che costituiva con quest’ultimo la parte più notevole del complesso termale. Il frigidarium era una vasta aula, di 58x24 metri, coperta da tre grandi crociere che

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poggiavano su otto colossali colonne di granito grigio egiziano addossate alle parati, che in realtà ne sostenevano la spinta e contemporaneamente collegavano l'ambiente a quelli vicini, mentre sul lato Nord il prospetto si presentava scandito da tre grandi archi che incorniciavano la bellissima parete a nicchie della natatio. Tutti i pilastri arano collegati tra loro da due ordini di arcate, delle quali il superiore aveva grandi finestre. I lati lunghi erano occupati alle estremità da quattro nicchioni in cui si trovavano la vasche per l‘acqua fredda, aperte verso l'interno del grande salone con due colonne di porfido e sovrastate da grandi arcate.

La grande sala aveva una pavimentazione in opus sectile marmoreo, a lastroni di marmo con dischi di granito e porfido entro quadrati, mentre le pareti erano ricoperte da una zoccolatura marmorea policroma, della quale ora resta solo la preparazione. Probabilmente nelle nicchie alle pareti, dove erano collocate le statue, c'era un rivestimento di mosaici di pasta vitrea che creavano un effetto iridescente con l’acqua. Il frigidarium aveva la funzione principale di raccolta e di smistamento dei frequentatori delle Terme da una sala all’altra dell’edificio, in quanto la sua posizione centrale lo rendeva il fulcro dei percorsi dei bagnanti, ma aveva anche la funzione di piscina fredda coperta, per la presenza delle quattro grandi vasche, due delle quali comunicanti con il tepidarium sul lato Sud, e le altre due invece collegate, probabilmente con un gioco di cascata, con la natatio sul lato Nord. Su quest‘ultimo, al centro tra le due grandi vasche in muratura, è riconoscibile l'alloggiamento di una grande vasca-fontana circolare, ora conservata al Museo Archeologico di Napoli.

La monumentale aula di tipo basilicale del frigidarium ha ispirato l’architettura di molti altri importanti edifici pubblici successivi, quali le Terme di Diocleziano e la Basilica di Massenzio, ma la sua influenza non si fermò agli edifici imperiali; infatti, gli architetti che costruirono nell’Ottocento le stazioni ferroviarie di Chicago e la Pennsylvania Station di New York copiarono esattamente la sua architettura.

Altro ambiente di grande rilevanza monumentale e architettonica era il Calidarium, a pianta circolare, pavimentato di marmo, coperto da una cupola di quasi 36 metri di diametro, di poco più piccola di quella del Pantheon. Le pareti erano attraversate da una doppia serie di archi che scaricavano solo su otto pilastri in muratura il peso della cupola; sotto gli archi si aprivano ampie finestre a vetri, che con la loro grande dimensione dovevano contribuire notevolmente al riscaldamento dell’ambiente tramite irraggiamento solare e, contemporaneamente, alleggerire il peso dell’intera struttura. Il Calidarium comunicava, attraverso un passaggio, con il tepidarium e mediante due porte laterali con le saune (laconica). Al di sotto dell’ambiente si trovavano i forni per il riscaldamento dell‘acqua che riempiva le sette vasche di marmo (9x5x1 metri) della sala. Di tali vasche, sei sono ancora riconoscibili, la settima deve essere stata sostituita da una piccola abside posta sul lato sud, durante il già citato restauro di Costantino. Un passo dell’Historia Augusta, relativo ad una cellam solearem dall’ardita struttura di bronzo, ha creato molte discussioni sull’identificazione di tale ambiente nell’edificio, ma possiamo ormai definitivamente riconoscervi il Calidarium o cella soliaris (dal latino solium = vasca) con una volta metallica al di sotto della cupola.

Anche la natatio, vera e propria piscina olimpionica, doveva essere un ambiente di grande impatto monumentale: la sua facciata Nord era divisa in tre parti da gigantesche colonne di granito grigio; ogni parte conteneva sei nicchie per statue, tre per ognuno dei due livelli, divisi da due ordini, il più basso con rocchi di marmo caristio, il più alto di granito del Foro; nella fila di nicchie del piano inferiore sono ancora riconoscibili i condotti dell’acqua che alimentavano a cascata la piscina.

L'ambiente era di dimensioni imponenti (50x22 metri) e con pareti di oltre 20 metri d’altezza; sui lati corti si entrava, per mezzo di una scalinata, nella vasca, che non doveva essere molto alta e quindi poco adatta ai tuffi. Un confronto stilistico per questo ambiente é

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possibile con le frontes scenae dei teatri ellenistici, ma soprattutto con un monumento anche molto vicino topograficamente e cronologicamente, il Septizodium costruito dal padre di Caracalla, Settimio Severo.

La parte senz’altro meno nota delle Terme è costituita dai sotterranei di servizio, un dedalo di grandi gallerie carrozzabili (6 metri di altezza per 6 metri di larghezza) che corre sotto buona parte dell'edificio, dove si trovavano tutti i depositi di legname, un mulino, il Mitreo, l'impianto di riscaldamento i forni e le caldaie, ma anche quello idrico, una fitta rete di piccole gallerie che serviva per la posa delle tubazioni in piombo e la gestione dell’adduzione e della distribuzione dell'acqua.

L`impianto idrico doveva essere d’altronde perfettamente organizzato per permettere agli inservienti di sopperire alle necessità del funzionamento di un complesso termale così grande e con un numero di frequentatori che, come si è già accennato, calcolando le dimensioni delle vasche e degli ambienti, e il tempo medio di sosta per le fasi della ginnastica, della sauna, del bagno caldo e freddo, raggiungeva facilmente le seimila - ottomila persone al giorno, se non oltre.

Le gallerie più grandi, quelle del riscaldamento, correvano per centinaia di metri sotto tutto l’edificio ed erano illuminate da lucernai, che permettevano anche la circolazione d’aria ed impedivano al legname lì conservato di marcire.

Le loro grandi dimensioni erano legate alla necessità che vi transitassero i carri carichi di legna trainati da cavalli; per questi ultimi erano stati previsti nelle pareti alcuni abbeveratoi, riconoscibili in tre nicchie foderate di cocciopesto in una delle pareti delle tre gallerie simmetriche del lato occidentale. Le volte a botte che coprivano i sotterranei erano foderate da mattoni quadrati (bessales), dalle misure di 19x19 centimetri, a loro volta foderati da bipedali.

Il mulino, iniziato a scavare nel 1912 fu all’inizio erroneamente datato alla tarda antichità o al Medioevo. Solo recentemente due studiosi svedesi, Schiøler e Wikander, ne hanno correttamente ricostruito il funzionamento e lo hanno convincentemente datato, sulla base della tecnica edilizia - del tutto omogenea con quella delle Terme di Caracalla - e di alcuni ritrovamenti ceramici, agli anni della costruzione dell'edificio.

E' d'altronde credibile che esso fosse una installazione originale e necessaria del complesso termale, vista la grande quantità di bagnanti che vi trascorrevano la giornata e le loro numerose necessità. Probabilmente bruciò intorno alla seconda metà del III secolo, e fu successivamente ricostruito con alcune variazioni nella pianta. Sicuramente fu attivo almeno fino al V secolo periodo in cui le Terme erano ancora perfettamente funzionanti come attestano gli autori antichi (Polemio, Silvio e Olimpiodoro) e i dati di scavo anche recenti.

Il Mitreo fu scavato in occasione dei grandi sterri eseguiti nella zona all’inizio del Novecento e pubblicato dal suo scopritore Ettore Ghislanzoni. Ad esso si accede dall'ingresso che si affaccia sulla via Antoniniana e dal quale si entra anche nelle gallerie, separate però da una porta o da un cancello.

I sotterranei si articolano in una serie di cinque ambienti, il primo dei quali è una sorta di vestibolo d'ingresso e al tempo stesso di sottoscala di una grandinata che scendeva dal piano delle terme. Questo ambiente presenta, sul lato corto settentrionale, una piccola vasca semicircolare, coperta a semicupola, rivestita in cocciopesto. Da questo, oltrepassando una soglia in travertino (una delle numerose conservate nel Mitreo) ed un passaggio, si giunge in un altro ambiente, chiuso anch'esso da una porta o da un cancello, dove fu trovata, nel 1912, una statua di Afrodite Anadioneme, ora conservata nell'ex Planetario. Si entra quindi nel Mitreo vero e proprio, il più grande di Roma, costituito da un grande ambiente rettangolare, coperto con volte a crociera, pavimentato a mosaico bianco e nero, e con banchine sui lati lunghi. All'inizio dell'ambiente è visibile, scavata nel

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pavimento, una fossa circolare, coperta da una lastra piana di marmo, nella quale era interrata la grande olla di terracotta contente le spighe.

Nella parete lunga occidentale è ancora riconoscibile un affresco rappresentante Mitra o un dadoforo con copricapo frigio e disco solare sul ventre. Ma l’elemento senz’altro più interessante dell’ambiente, peraltro quasi completamente spoglio della decorazione, tranne che per un blocco di marmo, di fattura molto rozza, che doveva rappresentare la petra genetrix, con un serpente tra le rocce, dalla quale era nato il dio. Essa era collegata, attraverso uno stretto passaggio ed una scaletta, con un altro ambiente attiguo, aperto a sua volta su quella che possiamo ritenere una "sagrestia", fornita di un bancone di rozza cortina laterizia sullo sfondo e di una vaschetta circolare con gradini che doveva servire alle abluzioni connesse con il sacrificio.

Sull’uso della buca rettangolare, un unicum nei Mitrei conosciuti, le interpretazioni sono diverse, ma si possono così riassumere: la gran parte degli studiosi, ritiene che in essa debba riconoscersi la fossa sanguinis per il sacrificio del toro (taurobolium), che veniva ucciso su una grata in ferro posta sopra la buca, dentro la quale si trovava l'indiziato, vestito con una toga candida, pronto a ricevere il bagno del sangue dell’animale. Altri ritengono invece che fosse una botola per qualche "apparizione spettacolare". Ma più convincente appare la prima ipotesi, che ben si collega con la religiosità di Caracalla e della sua famiglia, indirizzata ad un sincretismo che quasi accomunava divinità classiche e orientali in un unico culto e che mescolava, nello stesso edificio, già all’interno di un

bagno imperiale, una statua di Afrodite, un’iscrizione dedicata a Serapide Kosmokrator a cui poi e stato eraso il nome del dio egizio per sostituirlo con quello di Mitra, e infine la fossa per il taurobolium connessa con il culto di Mitra e con quello di Attis.

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2_IL TEATRO

2.1_Evoluzione storica del Teatro L’eredità greca

Premessa

Il teatro greco ha un triplice interesse. I cittadini degli stati greci furono le prime comunità europee a innalzare gli spettacoli drammatici a livello di arte, e i drammaturgi che fissarono le forme della tragedia e della commedia- Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane- hanno sempre mantenuto intatta fino ad oggi la loro rilevanza. Tali drammaturghi esercitarono un potente stimolo, e dozzine di autori moderni hanno trovato vigore nell’adattare i loro temi leggendari alle condizioni moderne. Allo stesso modo, anche la forma dei teatri classici non rimane un semplice oggetto di studio. In secondo luogo è rilevante il fatto che gli spettacoli festivi a Epidauro e in altri luoghi non sono cose da museo: il teatro moderno in gran parte delle sue linee di sviluppo deriva dai Greci o comunque ha elaborato nuove forme basate sull’analisi di quelle antiche. In terzo luogo c’è il fatto che, dal Rinascimento in poi, le forme e le convenzioni degli edifici teatrali classici hanno condizionato totalmente quelle dei teatri moderni: un teatro d’Opera francese del Settecento, un teatro reale inglese dell’Ottocento e un teatro americano costruito nel ventesimo secolo possono sembrare lontanissimi dai modelli classici, tuttavia, a guardar più da vicino, ci si accorge che tutti derivano da quella unica tradizione.

È necessario però ricordare che quando si parla del “teatro greco” ci si riferisce non a una, ma a parecchie realtà. Di solito usando questo termine si ha in mente il grande teatro greco di Atene; ma accanto a questa costruzione famosa vi erano molti altri edifici teatrali eretti in diversi luoghi, lungo un considerevole arco di tempo. Non ci può quindi essere nessun ideale assoluto di teatro greco, anche se, per comodità, possiamo dividere gli edifici esistenti , o quelli per i quali abbiamo qualche prova archeologica sicura, in quattro tipi principali.

1. Il primo tipo ha solo un’importanza storica: i teatri in legno prima di Eschilo che, secondo alcune ricerche recenti, sembra fossero costruiti con pianta trapezoidale e non circolare. Ordini di gradoni messi ad angolo erano disposti in modo da circondare quasi completamente il luogo della danza, forse anch’esso di forma trapezoidale, noto come orchestra.

2. Non si può stabilire con sicurezza il momento preciso in cui apparvero per la prima volta i teatri in legno anteriori ad Eschilo, ma certamente cominciarono a delinearsi molto tempo prima che prendesse corpo, nel V secolo a.C., il secondo tipo, quello ateniese classico.

3. Questo, a sua volta, cedette il passo a quello ellenistico, così detto poiché è il tipo di teatro eretto dal quarto secolo in poi, soprattutto nei territori al di fuori della Grecia vera e propria, sebbene gravitanti nella cultura greca o ellenica. Nell’arte teatrale, questo tipo di teatro fa da riscontro a quel movimento che, nella storia, è simboleggiato dalle conquiste di Alessandro Magno.

4. E infine, nel momento in cui la declinante civiltà greca incontra la cultura romana in rapida espansione, in questa società sorge un quarto tipo di teatro, che per convenzione è chiamato greco-romano. Il teatro prima di Eschilo, il teatro classico ateniese, il teatro ellenistico e quello greco-romano vanno tenuti distinti, anche se fra l’uno e l’altro non vi è soluzione di continuità e certi edifici teatrali appartengono a un momento di passaggio.

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Il secondo tipo di teatro, foss’ anche solo per i suoi legami con i maestri dell’antica tragedia e commedia greca, ha indiscutibilmente il più grande interesse intrinseco, ma dal nostro punto di vista i due tipi posteriori hanno un valore eguale, se non maggiore, poiché è attraverso di loro che il modello ellenico fu trasmesso in epoche posteriori.

Bisogna comunque ricordare che alcune questioni rimangono tuttora insolute, poiché molti elementi, anche importanti, non possono essere accertati da indagini esclusivamente archeologiche, e bisogna ricorrere ad altre fonti di informazione, quelle letterarie. Fra queste le principali sono due. La prima ci è fornita dalle annotazioni sulla costruzione dell’edificio teatrale e sui modi della rappresentazione di Vitruvio e di Polluce, autori che fornirono agli architetti del Rinascimento quasi tutte le notizie allora note sul teatro classico, e i cui scritti hanno ancora un’importanza primaria. Tuttavia, sebbene tali opere siano di inestimabile valore, non risultano attendibili quando i dati che forniscono sono in contrasto con le prove raccolte da altre fonti. La seconda fonte di informazione è costituita dai drammi stessi, ideati in modo da permettere una facile rappresentazione scenica. Bisogna evitare comunque conclusioni tassative circa la presentazione di una data scena in un dato modo, ma restare disponibili a possibilità diverse da quelle che forse ci vengono in mente per prime.

L’antico teatro di Atene

Dal sorgere delle due forme drammatiche principali nei secoli IV e V a.c., la tragedia e la commedia, le rappresentazioni teatrali, colorite di sentimento religioso, si rivolsero a tutta la comunità, e quando si arrivò a costruire i teatri, la necessità primaria fu quella di un ampio spazio per ospitare il pubblico. È anche evidente che il coro era un elemento di base dei drammi, l’area di azione, quindi, doveva essere sufficientemente larga per permettere al coro di fare quegli elaborati movimenti di danza che erano connessi con il canto dei versi lirici. In rapporto a queste due esigenze è presumibile che i teatri più antichi non fossero altro che uno spazio livellato, circolare per gli interpreti, posto, per comodità degli spettatori, ai piedi del declivio di una collina. Lo spazio livellato, con al centro un altare, era conosciuto come “orchestra”: fino ad allora il termine “teatro”, derivato dal verbo “vedere”, si riferiva non a un luogo ma semplicemente al gruppo convenuto degli spettatori. Non esisteva una parola per denotare al tempo stesso l’orchestra e l’auditorio. Partendo da questa semplice struttura, in cui un luogo circolare per la danza era ciò che tramutava il terreno naturale in luogo per la rappresentazione, il teatro greco si sviluppò facilmente e logicamente. Dapprima ci furono pochi sedili di legno sul bordo della orchestra, destinati alle personalità più importanti della comunità e per gli ospiti d’onore: più tardi altri sedili di legno, o “ikria”, disposti su per il fianco della collina, crearono un vero e proprio luogo per il pubblico. È evidente, per quanto si è detto, che questi sedili in legno dovevano avere una struttura angolare; quando la pietra soppiantò il legno, ad inizio del V sec., sia l’orchestra che i sedili per il pubblico furono modellati in forma circolare. Poiché il declivio della collina era rivolto solo verso una parte e perfino nel tipo più primitivo di rappresentazione drammatica l’azione presentava un unico fronte visivo, i sedili non circondavano completamente l’orchestra; comunque gli spettatori potevano avere ancora una buona visuale degli interpreti anche se le file dei sedili si prolungavano un po’ oltre un emiciclo esatto, con i lati terminali obliqui rispetto al diametro dell’orchestra.

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