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analisi del luogo Milano città pubblica, case popolari

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Academic year: 2021

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analisi del luogo

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Milano città pubblica

La case di via Gola appartengono alla città pubblica milanese. Con città pubblica si intende, come abbiamo detto, quell’insieme di quar-tieri e interventi residenziali che sono stati costruiti da attori pubblici o con finalità pubblica (Comune, IACP, Ina casa, Gescal e i vari isti-tuti che si sono succeduti nel tempo) nel corso del Novecento. Oggi questo insieme di quartieri non corrisponde più a quell’insieme che attualmente appartiene o è gestito dall’attore pubblico.

Alla base di questa trasformazione ci sono stati processi di alienazio-ne, quali la vendita di immobili, o la cessione a privati secondo la for-mula dell’alloggio “a riscatto”.

Tuttavia per ragionare intorno alle forme dell’alloggio, ai modelli in-sediativi dei quartieri, al rapporto con il contesto urbano e ai processi di crescita della città è fondamentale assumere come campo di indagi-ne la città pubblica indagi-nella sua accezioindagi-ne più vasta.

La città pubblica milanese si presenta come un insieme eterogeneo di tipologie edilizie, impianti insediativi, rapporti con il contesto e qua-lità abitativa. Infatti è l’esito di una storia complessa che si dispiega entro un arco temporale che va dalla fine dell’Ottocento fino ai nostri giorni. Nell’arco di questo lungo periodo le condizioni politiche, so-ciali, economiche e l’estensione territoriale della città sono profonda-mente mutate e questo ha influenzato i modelli di riferimento adot-tati, le idee riguardo all’abitazione, le tecniche costruttive e i canoni estetici. Emergono così alcuni principali periodi: si passa dalla conti-guità fisica con il resto della città e l’aderenza al modello insediativo proposto dai piani per l’espansione della città, alla politica di quartiere, all’idea cioè di un’edilizia pubblica vista come strumento per costruire parti autonome e autosufficienti; si prosegue poi con la sperimenta-zione di nuove tecniche edilizie e si affermano modelli residenziali di grandi dimensioni; si presta infine grande attenzione alla questione del recupero e si considera la casa popolare come servizio.

Le case di via Gola sono state costruite tra gli anni 1929, 1933, cioè al termine della prima stagione di edilizia economica e popolare che ini-zia sotto la guida del comune nei primi anni del Novecento e termina proprio in quegli anni.

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sul limite assorbiti 9.750.000 mq 8,4 % superficie urbanizzata della città pubblica del territorio comunale 1 km

Case Aler via Gola

Anno di costruzione: 1929 Progetto: ICP Superficie territoriale: 40.000 mq Superficie coperta: 25.085 mq 1 km 2 km

via Gola via Gola

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1904-1938 1939-1948 1949-1962 1969-1978 1979-1992 1999-2006 2007-1 km

La costruzione di edilizia pub-blica a Milano iniziò già nella seconda metà dell’Ottocento con i primi alloggi popolari realizzati da istituzione benefiche e assi-stenziali. Tuttavia fu con l’inizio del nuovo secolo che questa atti-vità prese ufficialmente l’avvio. Alla fine dell’Ottocento Milano contava circa 400.000 abitanti e nel giro di poco meno che un ventennio vide la sua popolazione più che raddoppiata, con circa 200.000 persone impiegate nelle industrie manifatturiere. La città fu sottoposta a grandi pressioni sia per la crescita industriale, che conferì a Milano il ruolo di

Le stagioni della città

pubblica milanese

principale centro economico del paese, sia per l’aumento demo-grafico, che pose con urgenza la questione abitativa e la pianifica-zione urbana.

I soggetti impegnati nella rea-lizzazione di edilizia pubblica furono principalmente alcuni enti morali senza fini di lucro, come la Società edificatrice di case ope-raie e lavatoi pubblici, la Società Umanitaria e lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari). L’edilizia pubblica, costruita in questi primi decenni, vide da un lato la riproposizione di tipologie di edilizia ereditate dalla tradizio-ne della città ottocentesca, dall’al-1904-1938 1939-1948 1949-1962 1969-1978 1979-1992 1999-2006 2007-1904-1938 Quartieri dentro la maglia del piano

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I. Casali, Tipi originali di casette popolari, 1923, Schizzi prospettici

tro le prime sperimentazioni dei modelli razionalisti.

I moti di Milano del 1898, cul-minati con gli eccidi del maggio, le cinque giornate dello sciopero generale proclamato dalla Came-ra del Lavoro di Milano, ma este-sosi a livello nazionale nel 1904, avevano posto con urgenza, a livello nazionale, il problema del pauperismo diffuso nella classe operaia e avevano spinto il gover-no italiagover-no a una riflessione sulla questione degli alloggi popolari, anche se il fallimento dello scio-pero aveva mostrato la debolezza e divisione del movimento stesso, spingendo Giolitti all’abbandono di una linea politica riformista. L’urgenza di risolvere il problema in cui versavano i ceti popolari veniva comunque sentito da più parti, tanto che si era formato un composito Comitato nazionale per l’edilizia popolare, compren-dente politici, ingegneri, igienisti, economisti, che confrontavano e discutevano i rispettivi punti di vista e mettevano a disposizione le proprie competenze, animati dall’idea, di matrice positivista, che l’educazione della classe operaia passasse attraverso l’in-serimento dei suoi componenti in una casa salubre. Venivano divulgate le esperienze delle garden cities e si discusse sull’op-portunità di costruire case che

fossero una soluzione intermedia tra i cottages e i casermoni. Si pensava comunque da più parti che uno dei problemi più ur-genti per milioni di operai, fosse quello della casa, in quanto questi lavoratori vivevano in condizioni igienico-sanitarie pericolose. La legge Luzzatti, per le case popolari, emanata nel 1903 e modificata successivamente nel 1907-08, era il risultato di que-sto particolare conteque-sto que-storico e rispondeva anche all’esigenza sempre più impellente di una ri-forma in questo settore, esigenza messa in luce dal censimento del 1901. Fino ad allora l’intervento pubblico si era infatti limitato alla concessione di agevolazioni dirette, che lasciavano spazio alla speculazione e demandavano gli interventi a iniziative paternali-stiche e filantropiche.

La questione delle case popolari era già stata sollevata nell’ul-timo decennio dell’Ottocento ed era stata posta in Consiglio comunale. Nel 1903 il Consiglio comunale approvò l’istituzione di un’Azienda speciale per la costru-zione di case popolari; vennero però stanziati solo quattro milio-ni per la realizzazione, in via spe-rimentale, di 148 alloggi, quantità decisamente sproporzionata al fabbisogno. L’insuccesso dello

sciopero generale del 1904 ebbe ripercussioni sul piano politico, che portarono all’interruzione dell’attività edilizia, nonostante da più parti si ponesse il proble-ma del dilagante fenomeno del pauperismo. Infine nel 1908 si deliberò a Milano la fondazione dell’Istituto per le case popolari, eretto in ente morale col concor-so in capitali, oltre che del Co-mune, della Cassa di Risparmio, di altri istituti di credito e, in ma-niera esigua, di azionisti privati. Nel primo quartiere comunale del 1904, in via Ripamonti, gli alloggi erano ancora disimpe-gnati in brevi ballatoi, i prospetti interni erano del tutto disadorni, mentre pochi elementi decorativi cercavano di attenuare la mono-tonia delle fronti verso strada. I servizi comuni erano limitati a un piccolo edificio per bagni e lavatoio. Gli alloggi erano tutti dotati di latrina interna. I blocchi semiaperti garantivano areazione e soleggiamento.

Il quartiere Ripamonti presen-tava alcune incerte innovazioni, mentre il complesso costruito dalla Società edificatrice di Case per Operai in via Benedetto Marcello aveva la stessa organiz-zazione delle case di ringhiera, caratteristiche delle case popolari milanesi, con ballatoi continui su ogni piano, gabinetti esterni in

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comune, alloggi da uno a tre locali con rudimentale distribu-zione a corpo doppio.

Le innovazioni del complesso Ripamonti furono riprese e ampliate nel quartiere di via Solari realizzato negli stessi anni dalla Società Umanitaria, che si proponeva di elevare moralmente gli operai, dando loro la possibilità di istruirsi. L’architetto Broglio fu incari-cato di eseguire il progetto. Il primo quartiere, di 240 alloggi per 480 locali, suddiviso in undici corpi di fabbrica, realiz-zato in via Solari, nella zona di Porta Macello, periferica, ma già collegata al centro da una

Concorso per il quartiere in via Solari (1909).

Innocenzo Costantini, Carlo De Mattia: primo premio

linea tranviaria, si sviluppava intorno a due cortili, in ognuno dei quali era previsto un padi-glione, per il “ricreatorio laico”. Per gli altri servizi a uso degli inquilini, bagni docce, lavatoi, biblioteca, sale di riunione, scuole di disegno, erano desti-nati il seminterrato e il piano rialzato di uno dei fabbricati. Nell’interno e nell’esterno le facciate erano uguali, con grande semplicità di sporgenze e con uso di piastrelle e maio-liche.

Questa tipologia di quartiere divenne un concreto prototipo per le realizzazioni successive. Tra il 1907 e il 1908 la Giun-ta, incalzata dalla pressione popolare, deliberava la ripresa dell’attività edilizia. Vennero così costruiti e portati a ter-mine i quartieri Mac Mahon, Tibaldi, Spaventa, Lulli, ubicati agli estremi opposti della città. Le strutture costruite dall’U-manitaria raggiunsero un grado di coerenza per le soluzioni architettoniche e ideologiche che divenne modello per le costruzioni successive. Tra il 1911 e il 1913 vennero ultimati i quartieri Lombardia, Cialdini, Niguarda e completati i quartieri Ripamonti e Spa-venta.

Parallelamente a questi progetti e grazie al miglioramento delle vie di comunicazione ferroviaria, si de-finì la realizzazione di una zona di espansione suburbana, per porre un argine all’asfissiante concentrazione di Milano, ispirandosi alle garden cities. La maggioranza socialista, insediatasi a Palazzo Marino dopo le elezioni a suffragio universale del 1913, dovette ben presto far fronte allo stato di emergenza imposto dalla guerra.

I quattro villaggi giardino, in real-tà agglomerati di casette per oltre 2000 locali, furono rapidamente realizzati nel 1919-1920, nella zona di via Vitra e Porta Vittoria. La formula della città giardino1 ha una

connotazione piccolo borghese e, a causa dei costi più elevati e delle maggiori difficoltà di realizzazione, fu adottata solo in due altri casi, collocati nel Quartiere Industriale Nord Milano. Durante la gestione socialista l’Istituto per le case popo-lari aveva costruito, tra il 1919 e il 1922 oltre 4.500 locali, circa la metà di quali nei villaggi giardino.

Dopo l’occupazione fascista di pa-lazzo Marino e lo scioglimento del Consiglio Comunale, l’Istituto di-venta ICP e i Consigli degli inqui-lini vengono sostituiti da controllori incaricati di sorvegliare la disciplina. Nel 1928 la parola d’ordine di Mus-solini fu “facilitare con ogni mezzo, anche coercitivo, l’esodo dai centri

urbani; difficoltare l’abbandono delle campagne”2. Le costruzioni

dell’ICP erano classificate dal 1925 in tre categorie: case popo-lari di tipo comune da assegnare in semplice affitto e da destinare ai lavoratori in cerca di abitazio-ne; case popolari, ma adatte ai piccoli ceti medi e destinate alla futura cessione in proprietà agli inquilini; case ultra-popolari per i poverissimi. Le aree meno salubri e accessibili all’estrema periferia meridionale erano riservate agli “sfrattati di infima condizione”, per i quali si arriverà ad allestire, nel 1929, due case albergo, vere e proprie caserme. Nelle zone meno disagiate si procedeva invece a un accurato dosaggio di abitazioni per i ceti medi e per quelli popolari più abbienti. In piazza Prealpi si aggiungeva al quartiere Mac Mahon il quartiere Villapizzone, destinato in gran parte alla futura cessione. Nei cri-teri non viene introdotta alcuna revisione dei canoni compositivi. Si procedette a qualche modifica nelle case ultra-popolari: nel quartiere XXVIII Ottobre per esempio si ripiegò sull’adozione di ballatoi e di angusti cavedi. I quartieri realizzati tra il 1900 e il 1924 si collocavano dunque entro le maglie viarie disegnate dai Piani Beruto e Pavia-Masera, che delimitavano gli isolati e

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det-Case nei villaggi giardino Campo dei Fiori costruite dall’Istituto dal 1919-1920

Planimetria del villaggio giardino Campo dei Fiori, 1919-20

tavano le regole di ubicazione. I quartieri, pur essendo ai margini, erano contigui alla città e adotta-vano uno stile architettonico che imitava la città borghese di quel periodo con una tipologia a bloc-co e in alcuni casi bloc-con elementi decorativi in stile Liberty. Alcune realizzazioni, come i quartieri Mac Mahon, Lulli e Spaventa diventarono veri e pro-pri avamposti dell’urbanizzazione che in tempi successivi ingloberà i quartieri. Tale tipologia e la continuità con il tessuto urbaniz-zato erano la regola.

Alcune eccezioni si ebbero in altri insediamenti che si ispira-vano al modello delle città giar-dino (Postelegrafonica, Campo dei Fiori, ora demolito e Borgo Pirelli).

Negli anni venti trenta, durante il regime fascista, avvenne uno scarto importante nei tipi resi-denziali adottati, nel linguaggio architettonico e nel disegno dello spazio aperto di pertinenza. Nel 1926 il primo scritto del

gruppo 7, il cauto manifesto del razionalismo italiano, affermava la necessità di produrre pochi tipi fondamentali e il postulato della costruzione in serie. Queste teorie vennero realizzate con le officine di Terragni, il garage e la Casa del dopolavoro di Figini e Pollini. La maggior parte di progetti di case popolari, presen-tati al concorso indetto dall’ICP nel 1932 per il quartiere Baracca erano razionalisti. Si inaugurava così la stagione del Razionalismo a Milano e vennero realizzati i primi quartieri ispirati a questo movimento, anche se rimanevano presenti in molte costruzioni vec-chie tipologie edilizie ed elementi Liberty.

Nonostante in quegli anni si fosse aperta la stagione del Razionalismo a Milano, le case di via Gola appartengono a quei quartieri, come anche il quartiere di Stadera del 1929, che manten-gono elementi formali degli anni precedenti.

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Planimetria dei quartieri Mac-Ma-lon (1908-09); Quartiere Tibaldi (1910); Quartiere Lombardia (1911).

Sopra, Quartiere “Alla Fontana”, Mila-no 1927-28. Vista del corpo su strada e pianta del quartiere

Planimetria dei quartieri Geno-va (1919-25); Quartiere Vittoria (1919-25); Quartiere Tiepolo e Pascoli (1922-23).

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Fronti e soluzioni d’angolo nei quar-tieri: Genova 1919-25 Lipari 1926-27 Pascoli 1922-23 Tiepolo 1922-23

XVIII Ottobre (oggi stadera) 1927-29 Regina Elena 1925-28

Crespi 1927-28

Fronti e soluzioni d’angolo nei quar-tieri:

Giambologna 1926-27 Villapizzone 1926-28

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Cortile al Quartiere Vanvitelli, 1926-27

cortile al Quartiere XVIII Ottobre (oggi Stadera) 1927-29

Cavedio al Quartiere Solari, 1925-27; Cortile al Quartiere Giovinezza (oggi Piola), 1926-27

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Impianti di bagni e doccie. Quartiere Cialdini, 1912

Servizi igienici interni nell’alloggio,

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In alto, De Simone, Studi di aggrega-zione tipologica, 1937

A lato, G.Pagano, “Studi di tipologie per abitazioni minime e loro possibili aggregazioni da realizzarsi con ele-menti costruttivi in cemento del ‘siste-ma Ferrero’” , 1938.

F.Albini, G. Palanti, Quartiere Filzi, 1837-38.

Dal film Rocco e i suoi fratelli, di Lu-chino Visconti 1960

Interni del cortile del quartiere Filzi, 1837-38. F.Albini, G. Palanti, Q

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A lato, F. Albini, R. Camus, G. Palan-ti, Quartiere PonPalan-ti, 1940-42

In basso, F. Albini, R. Camus, G. Pa-lanti, Quartiere D’Annunzio, 1942

Con il termine città giardino si indica una città ideale a misura d’uomo. Il nome “città giardino” deriva dall’inglese “garden city”, che stava ad in-dicare dei quartieri immersi completamente nel verde. L’idea inglese della “garden city” si sviluppò a causa dell’aumento della popolazione nei centri urbani, che avevano creato un forte degrado alle città con conseguenti disagi e abbruttimenti durante la metà del XIX secolo. In quel periodo, il crescente sviluppo delle industrie non conciliarono con la vita dell’uomo. Letchworth è stata la prima città giardino d’Europa, fondata nel 1903 a circa 50 km da Londra. Questa distanza doveva garantire la creazione di una fascia verde con un duplice scopo: fornire tutto il necessario alla sopravvivenza dei cittadini e frenare di conseguenza l’espansione incon-trollata della città stessa.

Tratto dall’articolo “Sfollare le città”, comparso il 22 dicembre 1928 sulle colonne de Il Popolo d’Italia, Benito Mussolini esprimeva la posizione del regime di fronte al fenomeno.

Cfr. anche L.TESTA, La città negata: urbanesimo e ruralità nell’Italia fascista, aulalettere.scuola.zanichelli.it/come-te-lo-spiego/2015 1

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Edilizia popolare dal secondo dopoguerra

Dopo il periodo bellico durante in quale gli interventi furono modesti, gli anni cinquanta, animati dalla ripresa economica e dalla crescita demografica, rap-presentarono uno dei periodi più attivi nella produzione di edilizia pubblica. Milano infatti divenne un fondamentale motore econo-mico capace di attrarre notevoli flussi migratori specialmente dal Sud Italia.

Le linee di tendenza degli orientamenti progettuali sono principalmente due: da una parte la linea in continuità con il razionalismo, con il contribu-to di figure di rilievo come Gio Ponti1; dall’altra il tentativo di

combinare gli elementi archi-tettonici moderni a quelli della tradizione italiana ispirandosi ai borghi medievali e all’architettura mediterranea, grazie al contributo di architetti come Franco Albini2

e lo studio BBPR3.

Tra gli anni sessanta e settanta si

assiste alla realizzazione di nume-rosi interventi caratterizzati dal mito della “grande dimensione”, come il quartiere Gratosoglio con il quartiere e le Torri bian-che. Sul finire degli anni settanta Milano inizia a perdere abitanti e, cambiando le esigenze, si passa a diverse concezioni, si comincia a pensare cioè alla sostituzione e alla riqualificazione del pa-trimonio edilizio esistente. Gli interventi furono consistenti e isolati rispetto al tessuto urbano limitrofo.

Negli ultimi anni, grazie anche a nuovi strumenti procedurali, come i Programmi di riqualifica-zione urbana, si sta cercando di rendere abitabili aree dismesse. Inoltre il tema del recupero edili-zio è fortemente intrecciato con la messa in campo di azioni, volte al trattamento di problemi di natura sociale.

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Cenni di Cambiamento è un complesso di Housing sociale di Milano, inau-gurato nel 2013, ed è il più grande intervento di architettura residenziale in classe A con struttura autoportante in legno, realizzato in Europa.

Architetto: Studio Rossi Prodi Associati

Soggetti coinvolti:

Investitori: Fondazione Cariplo, Regione Lombardia, Cassa Depositi e Prestiti, Intesa Sanpaolo, Banca Popolare di Milano, Assicurazioni Generali, Cassa Ita-liana Geometri, Prelios, Telecom Italia e Fondo Investimenti per l’Abitare (gesti-to da CDP Investimenti SGR).

Gestore del fondo: Investire Immobiliare SGR (già Polaris Real Estate SGR) Advisor tecnico e sociale: Fondazione Housing Sociale

Partner pubblico: Comune di Milano

Giovanni Ponti, detto Giò[1][2] (Milano, 18 novembre 1891 – Milano, 16 settembre 1979), è stato un architetto, designer e saggista italiano, tra i maggiori del XX secolo. Ha disegnato moltissimi oggetti nei più svariati campi, dalle scenografie teatrali, alle lampade, alle sedie, agli oggetti da cucina, agli interni di transatlantici. Inizialmente nelle ceramiche il suo disegno rifletteva la Secessione viennese e sosteneva che decorazione tra-dizionale e arte moderna non fossero incompatibili. Negli anni cinquanta, lo stile di Ponti si fece più innovativo e, pur rimanendo classicheggiante nel secondo palazzo per uffici della Montecatini (1951), si espresse piena-mente nel suo edificio più significativo: il Grattacielo Pirelli (1955-1958).

BBPR è l’acronimo che indica il gruppo di architetti italiani costituito nel 1932 da:

• Gian Luigi Banfi (Milano, 1910 - Gusen, 1945)

• Lodovico Barbiano di Belgiojoso (Milano, 1909 - Milano 2004) • Enrico Peressutti (Pinzano al Tagliamento, 1908 - Milano 1976) • Ernesto Nathan Rogers (Trieste, 1909 - Gardone Riviera, 1969). Franco Albini (Robbiate, 17 ottobre 1905 – Milano, 1º novembre 1977) è stato un architettoe designer italiano; è stato uno dei più importanti e ri-gorosi architetti italiani del XX secolo, aderente al Razionalismo italiano, riconosciuto internazionalmente attraverso un’ampia pubblicistica delle sue opere. Nel 1945 fu tra i fondatori di Movimento Studi Architettura, un importante momento di rinascita culturale. Nei primi anni ‘50 ebbe i primi incarichi che ottennero ampio riscontro di critica. La sistemazione delle Gallerie comunali di Palazzo Bianco a Genova fu uno dei primi musei realizzati all’interno di una struttura storica e impostato secondo i principi del Movimento Moderno, realizzato con interventi in netto contrasto con l’edificio preesistente, ma che rappresentano comunque un “felice inserimento”. Questo progetto inaugura una serie di progetti, di cui quattro a Genova, che renderanno Albini un maestro della museografia. Albini affiancò all’attività di architetto quella di designer, soprattutto di elementi d’arredo, per tutta la carriera.

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3 2

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Nella città pubblica milanese si possono riconoscere quattro famiglie di tipologie urbane ricorrenti.1

La casa a corte è un complesso edilizio costituito generalmente da edifici di quattro o cinque piani con cortile interno quasi sempre pavimentato e portinerie all’ingresso. Presenta tipologie che imitano, certe volte, la “casa borghese” recuperando l’impian-to del palazzo nobiliare inl’impian-torno al cortile (questo è il caso delle palazzine di via Gola), altre, la casa “di ringhiera”2, con alloggi di

due stanze, distribuiti dal ballato-io comune (quartiere Calvairate, Mazzini, MacMahon).

I recinti residenziali sono assai ri-correnti, ma presentano notevoli differenziazioni nell’altezza (dagli edifici in linea di 4\5 piani come nel caso del quartiere Filzi o Lorenteggio, alle palazzine di 7/8

piani come nel quartiere Inganni) e negli spazi comuni (pavimen-tati e di dimensioni contenute, trattate a prato, di dimensioni maggiori e recintati.

L’edilizia aperta entro spazi non recintati possono vedersi declina-ti in molteplici variazioni dovute alla tipologia della costruzione e alle sue dimensioni. Il dato più importante è la natura pubblica dello spazio aperto. Sono in pre-valenza torri o edifici in linea di 7/8 piani con attorno spazi aperti, spesso attraversabili non solo dai residenti (quartiere Feltre, Forlanini Nuovo, Gratosoglio o Gallaratese).

Meno evidenti, ma comunque presenti, sono i villini di uno o due piani, isolati e circondati da orti e giardini (Borgo Pirelli e villaggio Postelegrafonica).

Tipologie di case popolari

Le quattro tipologie Casa a corte Recinti

residenziali

L’edilizia aperta entro spazi non recintati

Villini

Le case di ringhiera sono caseggiati con lunghi ballatoi a ringhiera da cui si accede agli appartamenti e ai servizi igienici, tipica dell’edilizia popolare di fine ‘800, soprattutto a Milano.

Cfr. M. GRANDI, A. PRACCHI, Guida all’architettura moderna e Francesco Infussi, Dal recinto al territorio

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Ciò che articola questa varietà di materiali urbani della città pubblica è senza dubbio il modo in cui viene declinato lo spazio aperto.

Questo infatti connota lo spazio abitabile: non è riconducibile ad un’unica forma, dimensione o trattamento e assume potenzialità diverse anche a seconda del grado di “privatezza” e del livello di condivisione che offre.

Così lo spazio aperto è general-mente privato e a uso esclusivo dei residenti in quegli interventi entro gli isolati dei piani di matri-ce ottomatri-centesca.

Nella casa a corte lo spazio aperto è introverso e viene protetto dagli edifici.

Nei recinti residenziali lo

spa-zio aperto confina con il limite dell’isolato, rivolto verso l’esterno e contenuto dalle recinzioni. In questi casi comunque lo spazio aperto rappresenta per il resto della città un fattore percettivo, di arredo urbano e non d’uso.

Diverso è il caso dei quartieri di edilizia pubblica in cui gli edifici sono disposti in modo più libero entro lotti non recintati (Feltre, Gratosoglio, QT8). Qui lo spazio aperto supera la dimensione pri-vata: diventa pubblico, attraver-sabile, utilizzabile da popolazioni diverse e per questo materiale prezioso e da salvaguardare per la qualità della città stessa. 1

Lo spazio aperto

atrio

d’ingresso condominialerecinto condominiale spazio aperto valore percettivo spazio aperto collettivo spazio aperto pubblico spazio aperto pubblico e servizi corte

Case di via Gola

V. AA.VV. Dal recinto al territorio. Milano, esplorazioni nella città pub-blica. Bruno Mondadori, Torino, 2011

1 N edifici di completamento del lotto Giardini recintati assegnati ai residenti (in parte abusivi)

corte con valore percettivo privato recinti condominiali atrio

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Stigma

Lo stigma1, ovvero la visione

negativa che ha accompagnato l’immaginario collettivo e la storia della città pubblica, è stato di tali proporzioni da sovrastare qualsiasi azione tesa a contra-starlo. Si tratta dell’esito di un intricato insieme di giudizi che ambiguamente trasformano le percezioni in “fatti” e i caratteri individuali in tipi.

Così alcuni stessi progetti di riqualificazione riproducono cri-ticità che vorrebbero eliminare. Così gli stereotipi vengono usati per creare rappresentazioni e quindi sono necessari, riduttivi e allo stesso tempo subdoli per-ché selezionano i fatti in modo tendenzioso e intenzionale. Di fronte a una realtà percepi-ta come complessa, degradapercepi-ta, contraddittoria, lo stigma ne facilita la rappresentazione, ha un effetto tranquillizzante di fronte all’incertezza all’indeter-minatezza ed eventualmente alla paura che connota l’oggetto. Si tratta quindi di rappresentazioni troppo generalizzanti e superfi-ciali.

Occorrerebbe quindi non solo differenziare lo studio del luogo, trattando le diverse specificità, ma anche evitare atteggiamenti progettuali precostituiti, con-cettualmente analoghi a quello stigma al quale sono destinati a fornire risposte.

Mutamento dei contesti

Il diffondersi delle infrastrutture, l’aumento dei flussi, esito di re-centi processi di riqualificazione e sostituzione, hanno contribuito a inserire i quartieri di edilizia pub-blica nell’immaginario urbano condiviso e nelle mappe dell’uso quotidiano della città2. Non

sem-pre però lo stigma che impronta questi luoghi è stato superato. In molte aree industriali, a seguito della dismissione, sono stati realizzati poli di eccellenza e sedi di funzioni attrattive metro-politane, terziari e commerciali; cave riqualificate sono immer-se all’interno di grandi parchi urbani; corsi d’acqua una volta inquinati oggi sono supporto per importanti risorse ambientali. Con differente intensità e varietà di effetti, ciò succede lungo l’asse

Città pubblica

milanese oggi

di viale Zara, a Lorenteggio, a Gratosoglio e lungo il Lambro.

Non è un fenomeno solo milane-se, anche se nel capoluogo lom-bardo si manifesta con particolare evidenza.

Alcuni interpretano questi processi come fenomeni di radicale frammentazione loca-le, che costruiscono “mondi di vita separati, privi di contatto e di interscambio fra loro” realiz-zando un “mondo frammentato, fatto di logiche, tempi, velocità, orientamenti diversi, destinati a non incontrarsi perché fra loro incompatibili.” 3 .

Processi fondati sulla realizza-zione di “eterotopie funzionali” perpetuerebbero così le disugua-glianze già presenti ed emerge-rebbero nuovi fenomeni analoghi, mantenendo quei microcosmi degradati, dove di fatto si con-centrano le situazioni

problema-tiche.

L’approccio usato in passato nei progetti di housing sociale è stato governato dalla convinzione che la perifericità della città pubblica consista innanzitutto in una serie di mancanze tali da essere colma-te, entro un’interpretazione Mila-no-centrica, solo aumentando le possibilità di collegamento con il centro che l’ha gemmata, stabi-lendo o ristabistabi-lendo quei legami che sembrano essere insufficienti. Se oltrepassiamo però i confini comunali e consideriamo un ter-ritorio più ampio, vediamo che la posizione dei quartieri di edilizia pubblica è diventata centrale e cerniera tra il cuore della città consolidata e l’arcipelago dei nuovi luoghi di interesse colletti-vo che affollano i territori attorno al perimetro comunale, lungo le tangenziali e le strade radiali mi-lanesi di continuità territoriale.

IBIDEM

Cfr. M. GRANDI, A. PRACCHI, Guida all’architettura moderna e Francesco Infussi, Dal recinto al territorio

2 1

M. MAGATTI, La città abbandonata. Dove sono e come cambiano le periferie italiane, Il Mulino, Bologna 2007, pag.118-119

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La periferia in quanto zona marginale, isolata e lontana dal centro

porta con sé un’accezione negativa:

degrado fisico degrado sociale

Principi per la rigenerazione: 1 nuovi segni spaziali

2 rigenerazione attraverso nuove funzioni

Da tempo nella riflessione sul-la città contemporanea è stato messo in discussione il concetto di periferia1 e il fatto che esso

possa essere ricondotto alla mi-surazione della distanza fisica dal core urbano. Il concetto stesso di centro, inteso come luogo in cui si concentrano attività, pratiche e funzioni, che contraddistinguo-no una società o una comunità, rischia di perdere il suo significa-to, di fronte a un contesto urbano che sta diventando sempre più fluido e dove le innovazioni na-scono nei luoghi più impensati. Anche a Milano, città caratteriz-zata da un centro particolarmente riconoscibile, grazie alla sostan-ziale coincidenza tra core urbano, centro storico, luogo con valori immobiliari più elevati e spazio di localizzazione di funzioni pre-giate, i processi di marginalizza-zione delle aree centrali sono più visibili che in un recente passato. I quartieri di edilizia sociale, storicamente localizzati al mar-gine della città al momento della costruzione, infatti possono oggi trovare una collocazione in aree oggi riqualificate.

Milano appare come un unicum territoriale, dove non ha più senso dividere in modo rigoroso

la città dal suo intorno. Aree, un tempo ritenute marginali, fre-quentate da soggetti malavitosi, come ad esempio il quartiere di Quarto Oggiaro, oggi, grazie a interventi di vario tipo, sono di-venute poli magnetici importanti. Giocano un ruolo fondamentale i collegamenti, linee ATM, tan-genziali, che rendono possibili gli spostamenti in modo veloce. Al contrario zone più prossime al centro hanno subito un processo di degradazione.

Per questo oggi è stato introdotto il concetto di periferia al centro, in senso provocatorio e facendo cadere la distinzione spaziale, geografica tra centro e periferia. La periferia infatti porta con sé un’accezione negativa, in quan-to luogo marginale e degrada-to: fenomeni di degrado fisico ambientale, dovuti all’abbandono, all’incuria, a mancate politiche, o a politiche che non hanno saputo interpretare il territorio; degrado sociale, come i fenomeni di stress psicologico per cui si innescano dinamiche di occupazione illecita o spaccio. È questo il caso di via Gola: una periferia perfettamente integrata con il tessuto centrale urbano, trovandosi a soli due chilometri dal Duomo.

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Il 17 febbraio del 2015 il Corriere del-la Sera esce con questo titolo: “Nell’in-ferno di via Gola droga e sbandati sono la legge”. L’articolo viene scritto dopoché una bomba carta era stata fatta esplodere in un bar della zona e dà un’immagine negativa dell’area “I «padroni della strada» sono gli spac-ciatori magrebini che dall’imbrunire e fino al mattino inoltrato, occupano l’angolo di strada che si affaccia sul Naviglio. Molti pusher, grazie al so-stegno di alcuni gruppi di «cani sciolti anarchici» oggi impegnati soprattutto nella lotta agli sfratti, hanno occupato case e cantine. Con loro anche famiglie di ex nomadi dei campi del Musocco.” Articoli con lo stesso tono appaiono su altri giornali e descrivono una situa-zione, in cui la legge non ha più potere

e gli abitanti allestiscono sui marcia-piedi barricate di mobili e bancali con-tro la polizia, mentre le vittime sono gli anziani e le madri che ancora vivo-no nelle case Aler. Questa situazione di degrado in pieno centro viene forse esa-gerata dalla penna del giornalista. Nel suo libro Gentrification Semi sottolinea che il discredito di alcuni quartieri prelude a processi di speculazione edili-zia: gli edifici acquistati a prezzi bassi vengono poi riqualificati e venduti con largo margine di guadagno. Certamen-te via Gola soffre di una situazione di disagio, ma probabilmente si rientra anche nel meccanismo descritto da Semi.

Cfr. S. BOERI, L’anticittà, Edizioni Laterza, Bari, 2011 1

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Negli anni recenti il Comune di Milano, Aler e Regione Lombardia hanno avviato numerosi programmi di intervento sulla città pubblica, spesso in partnership con altri soggetti appartenenti al settore privato e al privato sociale.

Una prima forma di trattamento è relativa alla riqualificazione urba-na: attraverso diversi strumenti (PRU, Contratto di quartiere I e II, Programma Urbano) molti quartieri sono stati investiti da interventi di natura integrata, riguardanti sia la ristrutturazione degli alloggi e dei caseggiati, sia il tema dello spazio pubblico, delle infrastrutture e della partecipazione sociale. All’interno del PRU Stadera ad esempio è di particolare rilevanza il progetto “Le quattro corti”, che ha previsto la ristrutturazione degli edifici e l’introduzione di abitanti italiani e stranieri, sotto la responsabilità delle cooperative Famiglia e Dar Casa. Questi progetti puntano alla riqualificazione del patrimonio immo-biliare, attraverso opere di manutenzione edilizia. Così i concorsi internazionali Abitare a Milano I e II sono stati avviati nel 2005 al fine di realizzare nuovi insediamenti di edilizia residenziale sociale in otto aree di proprietà del Comune di Milano. Il primo è rappresentato da un bando finalizzato alla concessione a operatori immobiliari privati, per lo sviluppo di progetti in cui si punta a un mix di diversi regimi di utilizzo: residenza sociale, in locazione e in vendita convenzionata. Il secondo riguarda concorsi di progettazione per l’housing sociale a Milano.

Accanto a queste politiche di nuova edificazione Comune di Milano e Aler hanno promosso forme più minimali e frammentate di interven-to, che possono essere definite di restituzione degli alloggi all’abitabi-lità.

Nelle politiche attuate manca comunque una visione strategica uni-taria in merito alle periferie. I differenti quartieri della città pubblica non vengono collocati né all’interno di un disegno riguardante l’edi-lizia pubblica, né entro un quadro più generale dei modi dell’abitare sociale.

Politiche della casa:

caso del Quartiere Stadera

Anno: 1929 Progetto: ICP St: 61.612 mq Sc: 26.206 mq n° edifici: 32 n° piani: 4/5 n° alloggi: 1866 n° famiglie: 1150 n°abitanti: 1487 Quartiere Stadera

* Il dato si riferisce al progetto origi-nario, che compredeva 523 monolocali al di sotto degli attuali standard abi-tativi.

Dopo il progetto di riqualificazione realizzato nell’ambito del PRU in coerenza con il Programma regionale di edilizia residenziale pubblica per il triennio 2002-2004, il numero degli alloggi attraverso accorpamenti è stato portato a 1423 di cui 273 nuovi allog-gi disponibili.

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Il quartiere di Stadera, costru-ito con il nome di “Quartiere XXVIII Ottobre” tra il 1927 e il 1929 su progetto dell’Istituto Case Popolari diretto dall’Ar-chitetto Giovanni Broglio., è un complesso edilizio ben strutturato e ideato con coerenza ideologica e stilistica, che si colloca tra l’asse stradale S.Gottardo- Meda- Montegani e il parallelo Naviglio Pavese. Il 50% degli alloggi fu progettato con superficie inferiore ai mq. 50, il 30% con superficie inferiore ai mq. 28, per immet-tere sul mercato case con affitti accessibili anche ai più disagiati. Ogni unità immobiliare fu dotata di servizi sanitari indispensabili, lavabo e W.C., e un cucinino. Ogni cortile aveva bagni comu-ni e lavatoi, servizi che furono smantellati alla fine degli anni

sessanta, Il quartiere fu realizzato contemporaneamente ad altri complessi residenziali analoghi. Questi complessi da un lato sono ben localizzati per quanto ri-guarda l’accessibilità ai servizi, la qualità urbana e quindi il valo-re immobiliavalo-re derivante dalla posizione. Per le qualità estetiche e tecniche gli edifici meritano in-terventi di risanamento conserva-tivo. D’altra parte ci troviamo di fronte ad alti livelli di degrado e di stress sociale. Gli alloggi sfitti sono spesso occupati da persone in condizioni disperate e talvolta controllate dalla malavita. I lavori di manutenzione degli stabili non possono essere coperti dagli affitti minimi.

Il caso del recupero di Stadera è una caso emblematico all’interno del panorama della città

pubbli-ca milanese e fu scelto nel 1985 come oggetto di studio per for-mulare una proposta di progetto sperimentale. Nello specifico, di seguito sono riportate le analogie con il caso di via Gola, l’analisi del progetto, l’articolazione dei soggetti partecipanti e la linea di finanziamento1.

V. P.R.U. Stadera, Milano 1999

1

Vedute del Quartiere Stadera: I prospetti su strada presentano ele-menti stilistici a quelli di via Gola; particolare di un cortile interno, da notare la distribuzione tramite vano scala ripetuto come nel caso di via Gola; interno in una delle quattro corti, dove si nota l’edificio che un tempo alloggia-va i servizi comuni delle alloggia-vasche, oggi recuperato come spazio comune.

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Analogie con le case

di via Gola Appartenente alla prima stagione di case popolari (1900-1932)dall’ICP di

Milano, nato nel 1908 come Opera pia, attualmente Ente Pubblico Regio-nale denominato A.L.E.R.

TIPOLOGIA

ANNO DI COSTRUZIONE

CONNOTATI DI DEGRADO

distribuzione mediante scala interna e pianerottolo al piano; facciate su strada decorate;

servizi e locali comuni (vecchie lavanderie, bagni collettivi) stanno su strada; alloggi (50% progettato con superficie inferiore ai 50 mq, il 30% con super-ficie inferiore ai 28 mq) di ridotte dimensioni, motivate dalla necessità di immettere sul mercato case con affitti accessibili anche ai più disagiati; ogni unità immobiliare fu dotata di servizi sanitari indispensabili, lavabo +Wc e un cucinino;

ogni cortile fu dotato di bagni comuni con servizio di acqua calda e di la-vatoi collettivi per il bucato. Questi servizi furono smantellati alla fine degli anni sessanta, quando al complesso edilizio venne aggiunto l’impianto di riscaldamento centralizzato;

la crescita esponenziale dei costi di manutenzione non può essere coperta dalle minime entrate degli affitti, mediamente molto bassi;

Almeno un quarto delle unità immobiliari presenta dimensioni inferiori a quelle stabilite dalle norme attuali e perciò non potrebbe più essere utilizza-ta, qualora rilasciautilizza-ta, per nuove affittanze (in caso di ristrutturazione buona parte degli alloggi verrebbe fusa per poter realizzare unità di superficie comunque maggiore, con una riduzione del numero totale di alloggi pari a circa il 25%);

il degrado fisico porta a situazioni di stress sociale: succede che gli alloggi sfitti vengano occupati abusivamente da persone in condizioni disperate, talvolta controllate dalla malavita locale, spesso extracomunitari.

FINANZIAMENTI PUBBLICI ALER 50% Aler (mutuo) 25% Solidarnosc 25% Dar=Casa SINERGIA PUBBLICO\PRIVATO SOLIDARNOSC E DAR=CASA Attraverso il Programma di recupero

urbano PRU, il quale si presenta come strumento per trasformare tessuti urbani consolidati al fine di eliminare le condizioni di abbando-no e di degrado edilizio, ambientale e sociale.

Il programma di recupero investe l’intero quartiere

Aler ristruttura la pelle di questi edifici.

Attraverso lo strumento mutuali-stico, ristruttura due delle corti e ne mantiene la gestione.

L’apporto di risorse private è reso possibile da accordi di programma, conferenze di servizi, tra comune e privati, in grado di assicurare deci-sioni in tempi certi e accelerati. Al soggetto privato è però richiesto di contribuire finanziariamente alla realizzazione di opere pubbliche in misura ulteriore a quanto già previsto per legge e in maniera proporzionale ai benefici economici che consegue.

La misura di tale contribuzione non è stabilita “a priori” ma determinata dal Comune attraverso valutazioni che fanno capo a parametri di tipo economico, ma che tengano

prioritariamente conto della propria strategia urbanistica.

Due cooperative, molto diverse per struttura, ottengono dal Comune la gestione di due delle quattro palaz-zine (le restanti sono rimaste sotto l’amministrazione Aler) per la durata di venticinque anni, con l’impegno di garantire bassi affitti a canone concordato incentivando, nello stesso tempo, l’integrazione.

Una parte dell’affitto va corrisposta ai veri proprietari dell’immobile (Aler o Comune in questo caso specifico), in media una cifra di 60 euro su 350. Linea di finanziamento

Protagonisti

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CANONE SOCIALE CANONE CONVENZIONATO Contratti stabiliti con famiglie,

con gravi disagi economici, tramite liste ERP del comune. (graduatorie tramite ISEE)

Canone concordato che può essere richiesto al Comune, alle Aler, alle Cooperative e imprese che realizza-no gli interventi.

La graduatoria si forma sulla base di priorità:

- nuclei familiari sottoposti a prov-vedimenti esecutivi di sfratto - nuclei familiari comprendenti soggetti portatori di handicap per-manenti che occupano alloggi con barriere architettoniche

- famiglie di nuova formazione stu-denti universitari fuori sede

- altri nuclei socialmente deboli, soggetti a grave disagio abitativo.

Canoni

Contratti 4+4 anni liste

ERP privatiBandi

Una cooperativa a proprietà indivisa nata nel 1991 con l’obiettivo di facilitare e garantire ai molti stranieri presenti a Milano l’accesso a una delle tante unità abitative Erp, rimaste fuori dalle liste d’assegnazio-ne delle case popolari. La fascia di popolaziod’assegnazio-ne di cui si occupa Dar=Casa risulta svantaggiata nella ricerca di una casa in affitto: gli stranieri vengono infatti considerati dei soggetti potenzialmente morosi e coloro che non hanno

grandi disponibilità economiche rischiano di rimanere per strada, in attesa di ottenere una delle poche case popolari disponibili.

Appartamenti sotto soglia per lo più: monolocali, di proprietà dell’Aler o del Comune, con dimensioni inferiori ai 30m².

Il sistema si è dimostrato capace non solo di combattere lo sfitto che era l’obiettivo principale, ma anche di promuovere una gestione più vicina a soci

e inquilini. Dar=Casa si occupa di tutto: stipula dei contratti, lavori di ristrutturazione, riscossione dell’affitto, valorizzazione degli spazi –, e

molto diversa da quella precedente.

Il cambiamento è evidente sia nell’aspetto che nella sostan-za: gli spazi comuni non restano vuoti ma vengono

utilizzati per dare il via a progetti indipendenti e a basso costo.

DAR=CASA

Consorzio Cooperative Lavoratori, promosso dalle ACLI e dalla CISL milanesi e associato a Federabitazione

Confcooperative, lavora per soddi-sfare bisogni dei soci attraverso

30 cooperative di abitazione sul territorio di Milano e

provincia.

CCL

SOLIDARNOSC

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Vedute di interni delle quattro corti: nuova pavimentazione all’interno di una corte; si può notare nel caso delle corti la distribuzione degli alloggi segue il modello della “casa di ringhiera”; particolare di un ascensore previsto nel progetto che distribuisce sulle ringhiere; ex lavatoi, oggi recuperato come spazio comune;

particolare dell’interno.

Cercando di valutare i pro e i contro di questo modello, cer-chiamo di capire ad oggi come funziona il quartiere.

L’introduzione all’interno della gestione di queste case popolari di cooperative private ha sicu-ramente portato dei vantaggi, sopperendo prima di tutto alle mancanze economiche di Aler. Le soluzioni tecnologiche, dall’aggiornamento degli impian-ti all’inserimento di ascensori, hanno reso fruibili e confortevoli le abitazioni e gli spazi comuni. Allo stesso tempo è stato reso possibile l’immissione di nuove abitazioni, superando le condi-zioni iniziali di non abitabilità. A livello sociale è stato creato un meccanismo che innescasse un Conclusioni

mix sociale, attraverso un rias-sortimento di abitanti: a fianco di abitanti con redditi bassi, con i bandi privati e i canoni con-venzionati, è inserita una nuova popolazione con reddito me-dio-basso (ad esempio stranieri o studenti) che contribuiscono così a diversificare, creare scambi, dialogo tra diverse culture.

Gli spazi comuni creano le occasioni, e il terreno per im-postare proprio questo dialogo: funzionano, sono utilizzati dagli abitanti come spazi per svolgere collettivamente attività, o per eventi particolari, con prenota-zione diventano luoghi di feste per bambini, o ricevimenti. Ciò è stato possibile grazie in primo luogo al controllo diretto e alla gestione attiva sul territorio delle

Cooperative stesse.

Questo è però avvenuto a disca-pito dell’allontanamento della popolazione storica residente, che quindi per poter iniziare i lavori, è stata trasferita altrove.

È quindi possibile realizzare con-dizioni favorevoli di mix sociale, senza sradicare abitanti storici, che spesso vivono da decenni questi spazi (anziani, famiglie che hanno fatto scelte precise di vita)?

O si tratta di una condizione, quella della mobilità, della pre-carietà, della transizione, che l’uomo contemporaneo deve fare propria?

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Ruolo degli incubatori

sociali

MODELLO OPERATIVO prevede il coordinamento di residenze artistiche temporanee che dialogano con la progettazione sociale, per generare contenuti e servizi che abbiano un forte impatto sui territori per i quali sono stati pensati. Esperti italiani ed internazionali

sono invitati a curare la produzione artistica di teatro, danza, cinema, arti visive, musica e

cultura digitale per favorire l’interazione e la contaminazione.

FINANZIAMENTI Dal finanziamento privato, alle URBACT per lo svilup-po urbano integrato e

sosteni-bile, ovvero piani a carico del fondo europeo di sviluppo

regionale.

Mare culturale

urbano SEDI

La programmazione di Mare prende vita in due spazi vicini tra loro: cascina Torrette di Trenno – aperto a maggio 2016 – e via Novara 75 – in co-struzione nel 2016. sono circa 7700 mq aperti 365 giorni all’anno, 7 giorni su 7, dalle 8 alle 2 di notte, che comprendono: cinema, sale teatrali e per concerti, co-working, studi di

registrazio-ne e sale prova musica, atelier e spazi di prova e formazione, spazi per la comunità, caffé

e bistrot, una corte, una grande area di verde pubblico e un passaggio sempre

aperto sulla città.

OBIETTIVI Centro di produzione ar-tistica alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo territoriale delle periferie: partendo da un forte legame con la dimensione locale,

sviluppa scambi a livello internazio-nale e attiva processi di inclusione

sociale, rigenerazione urbana e innovazione culturale.

A Milano le politiche pubbliche di gestione del territorio comunale si intrecciano con quelle degli operatori privati, specie nella soluzione di problematiche riguardanti il degrado fisico ambientale e sociale. Tra questi operatori, vediamo il caso di Mare Culturale Urbano, associazione no profit che sul territorio sta ottenendo buoni risultati, sopperendo al contempo alle mancanze di gestione del Comune.

Alcuni laboratori promossi da Mare tra cui il corso di ballo, falegnameria e cucito.

Quartiere generale nella Cascina Tor-retta, in zona 7 vicino al complesso di housing sociale Cenni; a giugno sono terminati i lavori di recupero.

Progetto per la sede di via Novara 75. Alcuni momenti durante un ritrovo serale.

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