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 HLOFRPSRUWDPHQWRGHOO¶$VVHPEOHD /¶LQWHUD]LRQHIUDL &DSLWROR9/¶DQDOLVL  FRQWHQXWLVWLFD  ,, 

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&DSLWROR9/¶DQDOLVLFRQWHQXWLVWLFD ,, 

/¶LQWHUD]LRQHIUDLU KWRUHMHLOFRPSRUWDPHQWR

GHOO¶$VVHPEOHD

/DFRQIOLWWXDOLWjQHOODSROLVGHPRFUDWLFD

1A. L’allegoria della nave da Platone a Demostene

Il fatto che nei 3URRHPLD ricorrano quegli stessi elementi di denunzia – quali la pratica dell’oratoria demagogica, la conflittualità tra gli oratori e la scarsa lungimiranza del GHPRV – che costituiscono l’elemento portante dell’immagine (IeOÉR) della nave, con cui Platone, nel sesto libro della 5HSXEEOLFD, rappresenta quello che egli considera il malgoverno di Atene, giustifica la nostra scelta di istituire in modo sistematico un confronto tra i due autori, scelta comunque non disgiunta dalla consapevolezza delle precipuità di ciascuno di loro. Ma la somiglianza va oltre l’oggetto del biasimo dei due autori ed investe anche i modi per esprimere questo giudizio: infatti, in due orazioni Demostene stesso fa uso dell’allegoria della nave, allegoria che in Platone rappresenta un’immagine coerente ed organica di quelle che appaiono al filosofo come aberrazioni dei rapporti e dei meccanismi democratici. Dichiaratamente desunta da Sofocle ($QW 188-190), ma, nondimeno caratterizzata da innegabili affinità con quella di Platone, è l’immagine che viene impiegata e risemantizzata nell’orazione 6XOODIDOVDDPEDVFHULD(par. 250): l’affondamento della nave per opera di Eschine designa la perdita, da parte dello stato ateniese, di prerogative e di possedimenti territoriali, e la minaccia esiziale alla sua indipendenza, due sventure rese possibili dal tradimento di lui a favore di Filippo1. Nella 7HU]D)LOLSSLFD(par. 69), il RE»XLN, il OYFIVRœXLN e tutto l’equipaggio – che rappresentano i ˜œXSVIN



antimacedoni e, verosimilmente, anche gli Ateniesi che ne sostengono le posizioni – hanno il cómpito di impedire ai sabotatori (ovvero, agli oratori che prendono le parti di Filippo) di far colare a picco l’imbarcazione2. A bordo del naviglio, che rappresenta lo Stato ateniese, si disputa, dunque, un aspro conflitto tra due diverse fazioni, ovvero tra lo schieramento filomacedone e quello antimacedone. Ferme restando le differenze, questa seconda immagine, indubbiamente, è simile a quella platonica del libro VI.

Nella 5HSXEEOLFD, infatti, il GHPRV, che è formalmente depositario della sovranità, viene rappresentato dal RE»OPLVSN, che è il proprietario della nave e che, pur sopravanzando tutto l’equipaggio per forza e prestanza fisica, è sordo e miope; è poco provvisto di

1

Cf. McDowell (2000), 309.

2

C’è da chiedersi se a questo passo si riferisca Aristotele, quando adduce l’esempio di una similitudine usata da Demostene per rappresentare il comportamento del GHPRV (OEi·(LQSWU{RLN IeN"X¶RH¢QSR´XM´QSM³NzWXMR

XSlN zR XSlN TPSfSMN REYXMÏWMR [5KHW III 4. 1407a 6-8]). Lossau (1964), 31 e

Trevett (1996), 371 ritengono verosimile che il filosofo si riferisca all’oratore; e il passo summenzionato potrebbe confermare tale ipotesi, a patto di supporre che Aristotele, limitandosi a ritenere l’identificazione tra città e naviglio, abbia modificato il ruolo dei soggetti agenti. Altri invece (Dufour-Wartelle III, 50 n. 6) si mostrano molto più scettici, ma neppure propendono a ritenere che il riferimento sia al generale ateniese del V sec.

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conoscenze in materia di tecniche di navigazione ed ha scarsa capacità di giudizio (488ab)3. I cattivi politici ateniesi o i demagoghi sono paragonati a marinai, che, tanto come il GHPRV, sono ignoranti in fatto di tecniche di navigazione e sono in perenne conflitto tra loro per contendersi il governo del naviglio (489c). Ciascuno si ritiene in diritto di pilotare, e, senza arretrare di fronte ad alcun mezzo, mira ad ottundere la facoltà di giudizio del nocchiero: lo blandisce con l’abilità oratoria, vuole assecondarne i desiderî, o lo narcotizza con la mandragola o esercita su di lui una pressione psicologica, per indurlo a cedergli il timone; nessuno esiterebbe a ricorrere a metodi violenti per sbarazzarsi dei proprî rivali (488bd) – e un ulteriore indizio della probabile conoscenza, da parte di Demostene, dell’allegoria di Platone è fornito dalla metafora degli effetti ipnotici della mandragola, ricorrente in 4XDUWD)LOLSSLFD, 6, per descrivere lo straniamento degli Ateniesi dalla situazione politica. Il GHPRV, rappresentato dal vecchio nocchiero, diviene alla fine strumento delle ambizioni di potere dei

OHDGHUV politici e cade in balia di questi ultimi. I politici vincitori

s’impossessano della città, si appropriano delle sue ricchezze e, a scopo personale, le sfruttano fino ad esaurirle (488e)4.

Le precipuità del passo della 7HU]D )LOLSSLFD e del brano di Platone sono, tuttavia, evidenti. Mentre Demostene pone se stesso nella fazione che assicurerà una felice navigazione, Platone, con sdegnosa equidistanza, osserva SLschieramenti in lite tra loro; mentre in Demostene la nave rappresenta la città e i piloti, insieme alla ciurma, gli oratori e il popolo, Platone distingue tra RE»OPLVSN ed equipaggio. In entrambi gli autori, nondimeno, si disputa un incessante conflitto tra quanti a vario titolo costituiscono l’equipaggio della nave, che, come detto, rappresenta l’immagine del regime democratico ateniese. I politici, dunque, depredano le ricchezze della città e parlano per compiacere l’uditorio: viene così denunziato quel malcostume che, nel capitolo precedente, è apparso come una grave mancanza di ƒVIXœe di I½RSME. La lotta senza esclusione di colpi che essi ingaggiano tra loro e l’intento che costoro hanno – secondo i nostri autori – di spegnere ogni facoltà di giudizio del GHPRV saranno l’oggetto di analisi del presente capitolo.

1B. Demostene di fronte alla conflittualità dei U KWRUHM

2VVHUYD]LRQLVXL3URRHPP

3

Un’immagine simile ricorre già nei &DYDOLHULdi Aristofane (vv. 40-43), ove il

GHPRV è personificato da un padrone anziano, sordo e bisbetico (HIWT³XLN / †KVSMOSN ²VKœR OYEQSXVÉ\ ƒOV„GSPSN / (¢QSN 4YORfXLN H»WOSPSR KIV³RXMSR/¹T³O[JSR).

4

La metafora della nave per designare le modalità di governo occorre anche in Xen. 0HP., III 9,11. Nel *RUJLDdi Platone, Polo prova un’evidente ammirazione per gli oratori a causa del potere tirannico di cui essi godono nella città, e di cui possono disporre per mandare a morte chi vogliono, confiscare beni e bandire dalla città i loro nemici personali (466bc; 469b); ma Socrate, controbattendo la tesi del suo interlocutore, afferma che essi decidono solo sulla base di opinioni e impressioni e non di chiara volontà e cognizione di causa, perché il ˜œX[Vignora quello che è veramente bene (466be; 467c-468e). Sul tema, si rinvia a Luccioni (1958), 38, 43 s.; Jäger (1942), 219-223, 228-229; Dodds (1959), 232-234; Kucharski (1961), 378-380; Nonvel Pieri (1991), 370 s.; Gastaldi (2003), 195-199.

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Un giudizio negativo sulla conflittualità in cui si dibatte la democrazia ateniese viene formulato nelle orazioni di Isocrate e, fuggevolmente, anche nella 5HWRULFDaristotelica. Secondo il sovrano cipriota Nicocle, sia i regimi oligarchici, sia quelli democratici sono lacerati da rivalità endemiche che danneggiano l’interesse supremo dello Stato (Isocr. 1LF 18 s.); nell’$UHRSDJLWLFR, distinguendo tra

democrazie degeneri e democrazie ben ordinate (OEPÏN

OEUIWXLOYlEM[par. 60], OEPÏNTSPMXIY³QIREM[par. 70]), Isocrate annovera implicitamente tra le prime quella ateniese del suo tempo. Più in particolare, nell’$QWLGRVL afferma che i ˜œXSVIN, senza arretrare di fronte alla menzogna, usano la loro influenza per ostacolare la carriera di strateghi del calibro di Timoteo (par. 136) e sono individui dappoco che inventano sul conto di chiunque ogni sorta di calunnie, cui la moltitudine suole prestar fede (par. 138). Se si pensa che Demostene, in un passo della 4XDUWD )LOLSSLFD, presenta la vita dell’uomo politico come assai irta di rischi, costituiti da accuse e procedimenti giudiziarî (X¶R H~ XÏR TSPMXIYSQ{R[R [VFLO FfSR] JMPEfXMSROEiWJEPIV¶ROEiOEU yO„WXLRšQ{VERƒKÉR[ROEi OEOÏRQIWX³R[par. 70])5

, risulta evidente, fra Isocrate e Demostene, la consapevolezza degli aspetti negativi della democrazia. Ma Isocrate assume una posizione di principio materiata di malanimo, mentre Demostene si astiene da ogni giudizio di merito: ben difficilmente, infatti, gli oratori del IV sec. che siano impegnati nell’arengo politico mettono in discussione i principî della democrazia6. Quanto ad Aristotele, infine, (5KHW III 17. 1418a 27-32), egli osserva che nell’oratoria deliberativa gli attacchi contro l’avversario e la mozione degli DGIHFWXV sono un espediente che quanti non hanno nulla da dire mettono in atto, ´TIVSd %UœRLWM˜œXSVINTSMSÁWM.

Tuttavia, alcuni 3URRHPLDche mi accingo ad esaminare possono far pensare che Demostene in talune occasioni possa essersi trovato a corto di argomenti a propria difesa. Infatti, Anassimene osserva che l’oratore che intenda opporsi ad una TVSXVSTœ precedentemente pronunziata deve ILQ GDOO¶HVRUGLR esporre i punti di dissenso dall’avversario e procedere poi all’appello alla benevolenza e all’attenzione dell’uditorio (XS¾NH~TV¶NX‡N¹J yX{V[RIeVLQ{REN TVSXVST‡N ƒRXMP{KSRXEN TVÏXSR Q~R zR XÚ TVSSMQf. HIl SmN Q{PPSYWMR ƒRXMP{KIMR TVSU{WUEM X‡ H  †PPE OEU  E¹X‡ TVSSMQM„^IWUEM [5KHW $OH[ 34,8. 1440a 4-7])8

. Se si ammette la genuinità di questi brani, non resta che dedurre che il contenuto generico della replica di Demostene rifletta la genericità delle accuse precedentemente mosse dalla controparte o sia dettata da un’imbarazzante situazione dalla quale per lui non è agevole uscire: si concluderebbe, cioè, che quanti siano intervenuti prima dell’oratore abbiano mosso all’indirizzo dello schieramento di quest’ultimo o accuse denigratorie o critiche puntuali e pertinenti, che egli ha interesse a liquidare sorvolando sul loro contenuto e tenendosi sulle 5 Cf. Ober (1989), 109. 6 Cf. Jones (1960), 41 s. 7

Sull’importanza del passo, cf. Fortenbaugh (1992), 236; Yunis (1996), 96.

8

Sul senso di X‡H †PPEOEU E¹X‡TVSSMQM„^IWUEMcf. Chiron (2002), 87 n. 574.

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generali. Lascia invece scettici l’ipotesi del Focke, secondo cui, questi

3URRHPLD, proprio per la loro genericità, non possono che essere spurî.

La rassegna testuale relativa ai 3URRHPLD che ritengo rilevanti confermerà, inoltre, in Demostene l’assenza di un giudizio di principio, che sia organico e coerente, sulla conflittualità tra ˜œXSVIN e il ricorso a scelte tattiche. La presenza di un gruppo di 3URRHPLD, ovverosia di schizzi, in cui Demostene ribadisce, anche servendosi di

WRSRL, il rifiuto dell’invettiva personale o i rischi che il continuo

scambio di accuse può determinare per il funzionamento del dibattito, ci fa pensare che l’oratore senta il bisogno di misurare accuratamente le parole, per affrontare un passaggio assembleare delicato per lui e il suo schieramento. Le critiche che egli muove ai conflitti della SROLV appaiono, dunque, funzionali al raggiungimento di uno scopo concreto ed immediato. La rassegna testuale ci fornirà, inoltre, la riprova che Demostene, sul tema dell’unità della città, assume sul tema una posizione che, vista nella sua evoluzione nel corso degli anni, non è esente da contraddizioni o appelli strumentali: sostanzialmente il suo scopo è sempre stato creare una XQLWj di intenti della città FRQWUR Filippo, DQFKH attaccando pesantemente quegli stessi orientamenti politici cittadini che tale politica non condividono. E le differenze di accento e di toni, che presuppongono una certa qual partecipazione alle sempre mutevoli circostanze politiche che vengono alluse, possono costituire un ulteriore motivo che corrobora la nostra ipotesi dell’autenticità dei brani.

In alcuni casi, come nel 3URRHP. , forse solo per contrattaccare la linea politica avversaria, Demostene stigmatizza la polemica sterile ed improduttiva. Scegliere di criticare le decisioni prese in precedenza, pur avendo avuto la possibilità di rivolgere raccomandazioni, è agire da sicofanti (zKÌ K‡V UEYQ„^[ X¶R XV³TSRX¢NTSPMXIfENX¢NXS»X[RQŠPPSRH šKSÁQEMJEÁPSRIe K‡V z\¶R TEVEMRIlR ´XER WOST¢XI FIFSYPIYQ{R[R OEXLKSVIlR EdVSÁRXEM WYOSJERXÏR }VKSR SºG ÇN JEWfR I½R[R TSMSÁWMR ƒRUVÉT[R



[3URRHP. ]). In altri brani (3URRHP; 3URRHP;

3URRHP ), presumibilmente per nascondere una posizione di

debolezza o difendere tacitamente le mancanze di uomini a lui vicini, Demostene pare condannare da un punto di vista di principio la conflittualità tra ˜œXSVIN, ovvero stornare in modo indiretto e cauto le accuse a lui verosimilmente lanciate in precedenti adunanze assembleari9. L’apparente compostezza e il tono contegnoso dissimulerebbero così l’imbarazzo dell’oratore. Nel 3URRHP , in particolare, Demostene, invitando l’Assemblea ad attenersi all’ordine del giorno, ricorda che essa non è stata convocata per giudicare un colpevole10, ma per prendere una decisione sulla situazione presente (Sº OVMRSÁRXIN OIXI XœQIVSR SºH{RE XÏR ƒHMOS»RX[R ƒPP‡ FSYPIYW³QIRSM TIVi XÏR TEV³RX[R), per cui occorre soprassedere alle accuse (HIlXSfRYRX‡N?AOEXLKSVfEN¹TIVU{WUEMT„WEN); e ribadisce l’opportunità, al presente, non di lanciare calunnie o

9

Cf. Rupprecht (1927), 391 s. Sul tema qui trattato, cf. anche Swoboda (1887), 15 s.; Worthington, 140 s.

10

Secondo Clavaud (1974), 93 n. 2 si tratterebbe di un capo di truppe mercenarie.

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muovere critiche, bensì di deliberare (SºOSÁR Sº PSMHSVfEN SºH~ Q{Q]I[N ± TEVÌR OEMV¶N ƒPP‡ WYQFSYP¢N InREf QSM HSOIl). Anche nelle demegorie reali, Demostene afferma che il cómpito del politico, più che criticare, è proporre le misure da prendere per le circostanze attuali (X¶Q~RSÃRzTMXMQŠRhW[NJœWEMXMN‰R˜HMSR OEi TERX¶N InREM X¶ H  ¹T~V XÏR TEV³RX[R ´ XM HIl TV„XXIMR ƒTSJEfRIWUEM XSÁX  InREM WYQFS»PSY [3ULPD 2OLQWLDFD, 16])11

e nella 7HU]D2OLQWLDFDinvita gli altri oratori a non mettere sotto accusa chi non formula il consiglio migliore, ma a darsi pensiero di formularlo loro stessi (Sº P{KIM XMN X‡F{PXMWXE ƒREWX‡N †PPSN IeT„X[QŸXSÁXSREeXM„WU[[par. 18])12

.

Nel 3URRHP. 10, dunque, l’inopportunità di lanciare accuse è, all’apparenza, dettata da motivazioni di principio. Recriminare sul passato, infatti, è proprio degli accusatori, ma il fornire consigli riguarda il presente ed il futuro, ed è cómpito dei consiglieri (X¶Q~R K‡V OEXLKSVIlR XSlN TITVEKQ{RSMN zKOEPS»RX[R zWXfR X¶ H~ WYQFSYPI»IMR TIVi XÏR TEV³RX[R OEi KIRLWSQ{R[R TVSXfUIXEM)13

. Ora, è fondato ipotizzare che egli abbia utilizzato il proemio in una seduta assembleare, per introdurre un discorso di difesa del proprio operato politico o di un personaggio del proprio

HQWRXUDJH, che potrebbeessere stato messo sotto accusa ed essere in

attesa di giudizio. Tale destinazione è tutt’altro che improbabile, poiché una sua rielaborazione ed ampliamento si riconoscono in un passo della celebre autodifesa 6XOOD FRURQD. Infatti, il pensiero del

3URRHP. 10 e la definizione dell’opera del sicofante in 3URRHP. 34,2

sembrano essere stati riecheggiati, all’interno della suddetta arringa, nella distinzione tra il ruolo del consigliere, che parla pensando al presente e al futuro, e quello del sicofante, che, guardando al passato ma senza aver espresso il proprio parere al momento opportuno, muove critiche tardive ed inoperanti (¤R Q~R XSfRYR XSÁ HMOEfSY TSPfXSYX³XIHIl\EMTŠWMRIhXMXS»X[RInGIR†QIMRSR QŸRÁR zTMXMQŠR±K‡VW»QFSYPSNOEi±WYOSJ„RXLNSºH~XÏR†PP[R SºH~RzSMO³XINzRXS»X.TPIlWXSRƒPPœP[RHMEJ{VSYWMR±Q{R KITV¶XÏRTVEKQ„X[RKRÉQLRƒTSJEfRIXEMOEiHfH[WMRyEYX¶R ¹TI»UYRSRXSlNTIMWUIlWMX®X»G:XÚOEMVÚXÚFSYPSQ{R.± H~ WMKœWEN šRfO  }HIM P{KIMR †R XM H»WOSPSR WYQF® XSÁXS FEWOEfRIM [parr. 188 s.])14

. Sicché – conclude l’oratore – X¶ Q~R TEVIPLPYU¶N ƒIi TEV‡ TŠWMR ƒJIlXEM OEi SºHIiN TIVi XS»XSY TVSXfULWMRSºHEQSÁFSYPœR X¶H~ Q{PPSR¡ X¶ TEV¶R XŸR XSÁ WYQFS»PSYX„\MRƒTEMXIl(par. 192).

Utilizzata da altri due oratori, tale argomentazione è verosimilmente topica. Nell’autodifesa 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD,

11

Il parallelo tra il 3URRHP. 10 e 3ULPD2OLQWLDFD, 16 è stato individuato anche da Swoboda (1887), 77 e Clavaud (1974), 93 n. 4.

12

Cf. Perlman (1963), 344. Anche nella demegoria 3HUODOLEHUWjGHL5RGLHVL, Demostene ha affermato che difficile non è trovare motivi di accusa a carico di quanti prendono le parti degli oligarchici rodiesi o motivi di rimprovero verso quanti dell’uditorio li ascoltano; è ben più difficile (e importante) trovare i mezzi e gli argomenti per migliorare quello che non va (SºG´XMXMNOEXLKSVœWIMXS»X[R¡

XSlN †PPSMN ¹QlR zTMTPœ\IM GEPIT¶R I¹VIlR ƒPP  ƒJ  ±TSf[R P³K[R ¡ TV„\I[NTSfENzTERSVUÉWIXEfXMNˆRÁRSºO²VUÏN}GIMXSÁX }VKSRI¹VIlR

[par. 34]). Per la pertinenza del passo, cf. Swoboda (1887), 77.

13

Sull’importanza del 3URRHP. 10, cf. Swoboda (1887), 16 s.

14

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Eschine osserva che, mentre il buon consigliere indica la soluzione migliore in relazione alle circostanze, colui che accusa in malafede attacca le scelte fatte, senza tener conto del contesto in cui queste sono state operate (X¶R H~ ƒKEU¶R W»QFSYPSR Xf GVŸ TSMIlR Sº X® T³PIMTV¶NX¶TEV¶RX‡F{PXMWXEWYQFSYPI»IMRX¶RH~TSRLV¶R OEXœKSVSR Xf Sº XS¾N OEMVS¾N ƒTSOVYTX³QIRSR X¢N TV„\I[N OEXLKSVIlR [par. 165]). Simile è la funzione che Isocrate, nella fittizia demegoria 6XOOD SDFH, assegna al WYQFSYPI»IMR: egli considera, infatti, dovere dei buoni consiglieri non limitarsi ad accusare il passato, ma indicare agli Ateniesi come possano cambiare il loro giudizio delle vicende storiche per non ripetere gli errori commessi (HfOEMSRH InREM?AXS¾NzT IºRSfZRSYUIXSÁRXENQŸ Q³RSR OEXLKSVIlR XÏR TITVEKQ{R[R ƒPP‡ OEi WYQFSYPI»IMR XfR[RƒTIG³QIRSMOEiTSf[R²VIK³QIRSMTEYWEfQIU ‰RXE»XLR }GSRXINXŸRKRÉQLROEiXSMEÁX z\EQEVX„RSRXIN[parr. 61 s.]); e rimarca la profonda differenza tra il ruolo dei consiglieri e quello degli accusatori, malgrado l’apparente somiglianza reciproca: entrambi usano le stesse parole ma, mentre i primi muovono critiche costruttive, gli accusatori sono solo mossi da malvagità denigratoria (ƒR„KOLH~ XS¾N RSYUIXSÁRXEN OEi XS¾N OEXLKSVSÁRXEN XSlN Q~R P³KSMN GV¢WUEMTEVETPLWfSMNX‡NH~HMERSfEN}GIMRƒPPœPSMNÇNSm³R X zRERXM[X„XEN[par. 72])15

. Resto scettico sul fatto che Demostene abbia ripreso direttamente Isocrate; egli, piuttosto, sfrutta lo stesso

WRSRV che quest’ultimo, autonomamente, rende funzionale alla propria

argomentazione. Isocrate vuole mostrare quanto sia proficuo ed innovativo il proprio discorso e sottolinearne l’eccellenza; dal canto suo, Demostene adatta un WRSRVretorico, preesistente sia a lui che a Isocrate, per esprimere la propria concezione del dibattito assembleare, e, in ultima istanza, imprimere ad esso il corso desiderato16.

Nel 3URRHP  Demostene sostiene l’importanza, nelle deliberazioni, di lasciar perdere accuse e critiche di sorta (HfOEMSRÑ †RHVIN %ULRElSM OEi WYQJ{VIMR ¹QlR šKSÁQEM X‡NQ~REeXfEN OEi X‡N OEXLKSVfEN ´XER FSYPI»IWUEM H{: TEVEPIfTIMR [par. 1]) e di esprimere il parere migliore (TIViXÏRTEV³RX[RH~P{KIMR´ XM F{PXMWXSR |OEWXSN šKIlXEM [par. 1]), e sussume l’accusa nella proposta di misure diverse da quelle in precedenza presentate da altri oratori. Egli afferma, infatti, che formulare la proposta migliore costituirebbe già di per sé un’implicita ma, nondimeno dura, accusa nei confronti di quanti hanno commesso ingiustizie (RSQf^[ OEi OEXLK³VSYN InREM XÏR ƒHMOS»RX[R GEPITS¾N Sº XS¾N zR XSMS»XSMN OEMVSlN z\IX„^SRXEN X‡ TITVEKQ{RE ´X  SºHIQfER

15

Cf. Laistner (1927), 99. Questo concetto viene formulato da Isocrate anche nel

3DQHJLULFR(par. 130): muovere critiche costruttive è di colui che vuole consigliare

per il meglio, lanciare accuse per screditare l’avversario è solo creare sterile polemica. Un pensiero simile era già stato espresso in sede assembleare dai Corinzî all’Assemblea di Sparta: la EeXfE è uno stimolo senza alcun intento ostile, la

OEXLKSVfE è un’accusa rivolta verso chi è considerato nemico (Thuc. I 69,6).

Opportunamente, Hudson-Williams (1948), 76 ha osservato che, più che di diretta ripresa tucididea, si tratta di X³TSMcorrenti.

16

Per il disinvolto sussiego dell’argomentazione, ancorché topica, Rupprecht (1927), 392, ritiene che le parole del proemio tradiscano la mano di un politico navigato.

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HÉWSYWMHfOLRƒPP‡XS¾NXSMSÁX³XMWYQFSYPIÁWEMHYRLU{RXEN ƒJ  SÂ FIPXf[ X‡ TEV³RXE K{RSMX  †R [par. 2]). È chiaro che l’oratore sorvola elegantemente sulle mancanze di un membro del proprio HQWRXUDJH o cerca di attutire il peso delle critiche e delle accuse che gli sono rivolte, come parrebbe di capire anche dalla constatazione ´XMQ~RK„VXMR[REeXf[RµRX[ROEOÏNX‡TV„KQEX  }GIMT„RXINzTMWX„QIUE(par. 1).

L’oratore insiste, così, sul fatto che i discorsi che si limitano allo scambio di accuse sono fuori luogo, mentre sarebbe assai più proficua l’indicazione delle misure atte a migliorare la situazione (XS¾N Q~R SÃR †PPSYN P³KSYN T„RXEN TIVM{VKSYN šKSÁQEM ˆ H  ‰R SnQEM WYRIRIKOIlR TIVi ÐR RYRi WOSTIlXI XEÁX  IeTIlR TIMV„WSQEM [par. 3]). Mantenendosi prudentemente sulla difensiva ed assumendo un tono conciliante e, direi quasi, di bonaria superiorità, Demostene, per non urtare la suscettibilità degli avversarî, si premura di precisare che, se cita episodi o eventi passati, non è per lanciare accuse, ma per evitare che l’assemblea ripeta gli errori in precedenza commessi e ne sconti le stesse conseguenze (‰R †VE XSY QIQRÏQEM XÏR TITVEKQ{R[R, QŸ OEXLKSVfEN Q |RIG šKIlWUI P{KIMR ƒPP  gRE

HIf\ENˆX³U šQ„VXIXIRÁRƒTSXV{][XEºX‡TEUIlR [LELG])17 . Il clima non deve essere certamente a lui propizio, e forse la preparazione scritta del suo intervento è segno di un’impegnativa e ponderata difesa in vista di un delicato momento del dibattito nell’Ecclesia18.

Dal 3URRHP10 e dal 3URRHP. 19 emerge, dunque, che, secondo Demostene, muovere accuse su quanto è già avvenuto è un comodo, ma inopportuno, HVFDPRWDJH per eludere il cómpito più arduo di fornire consigli che riguardano il futuro, e un diversivo se si è a corto di argomenti. E ciò collima con le osservazioni di Aristotele, secondo il qualeX¶H~HLQLKSVIlRGEPITÉXIVSRXSÁHMO„^IWUEMIeO³X[N HM³XMTIViX¶Q{PPSRzOIlH~TIViX¶KIKSR³N(5KHWIII 17. 1418a 21 s.) e per cui, nell’àmbito demegorico, l’oratoreSºO}GIMTSPP‡N HMEXVMF„N SmSR TV¶N ƒRXfHMOSR ¡ TIVi E¹XSÁ ¡ TEULXMO¶R TSMIlR ƒPP  OMWXE T„RX[R z‡R QŸ z\fWXLXEM HIl SÃR ƒTSVSÁRXE XSÁXS TSMIlR ´TIV Sd %UœRLWM ˜œXSVIN TSMSÁWM (1418a 27-30).

Quanto al 3URRHP. ,affermando che il passato è immutabile ed occorre rimediare alla situazione sulla base delle possibilità presenti, Demostene spiega che è fuori luogo muovere accuse e preferisce, invece, fornire i consigli che ritiene più utili (zTIMHŸ H~ X‡ Q~R TEVIPLPYU³X  SºO ‰R †PP[N }GSM HIl H  zO XÏR TEV³RX[R zTEQÁREM XSlN TV„KQEWMR XSÁ Q~R OEXLKSVIlR SºH{RE OEMV¶R ±VÏTIMV„WSQEMH ˆOV„XMWXE RSQf^[WYQFSYPIÁWEM [par. 2]). Anche in questo proemio la dichiarazione di principio dissimula una

17

Come osserva Aristotele a più riprese, l’oratoria demegorica ama ricorrere agli esempî storici, sia perché è in base agli eventi trascorsi che si suole congetturare su quelli futuri (mentre l’entimema è più appannaggio di quella giudiziaria, dal momento che un avvenimento passato richiede una causa e una dimostrazione), sia perché l’argomentazione basata su esempî non sconosciuti risulta, per un pubblico numeroso come quello dell’assemblea, più evidente di quella costituita dalla rigorosa argomentazione entimematica (5KHWI 9.1368a 29-32; II 20.1394a 6-8;III 17.1418a 1-5). Cf. a tal proposito, Labarrière (1994), 233-236, 241 s.

18

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difesa. Il brano è frutto di circostanze politiche e militari riconoscibili: l’esercito ateniese, presumibilmente al comando di Carete, ha riportato una grave sconfitta in uno scontro armato contro Filippo, e in città si sono levate accuse contro i capi militari. Demostene le respinge, scagiona Carete, inviso allo schieramento di Eubulo, ed addossa la responsabilità principale all’Assemblea che ha varato preparativi militari insufficienti (Ie H~ JœWIXI TSPP‡N zKOIGIMVMO{REM HYR„QIMN ˆN PIPYQ„RUEM XS¾N zTMWX„RXEN SºO ƒTSH{\IXEM XSÁU ¹QÏRSºHIfN[par. 1]). Egli prende, in tal modo, una posizione scomoda ed ha certamente motivo di temere una rumorosa protesta dell’Assemblea, magari manovrata dallo schieramento di Eubulo. Di qui la necessità, per Demostene, di prepararsi accuratamente il modo con cui iniziare l’intervento19. Contenendo un preciso riferimento ad un determinato frangente storico, il 3URRHP. 29 può considerarsi, per usare le parole del Rupprecht «ein aktuelles Prooemium».

In altri casi, come nel 3URRHP , ovvero l’esordio «terza posizione», l’oratore critica l’eccessiva faziosità degli schieramenti ed assume una posizione VXSHU SDUWHV, che può rischiare di risultare minoritaria. Demostene sottolinea quanto sia controproducente per Atene che i ˜œXSVIN si dividano in fazioni contrapposte e si scambino accuse senza aver di mira l’interesse supremo della città (ƒQJ³XIVSf QSMHSOSÁWMR‚QEVX„RIMRц %OEiSdXSlN %VO„WMROEiSd XSlN 0EOIHEMQSRfSMN WYRIMVLO³XIN ÊWTIV K‡V ƒJ  yOEX{V[R OSRXIN SºG ¹QÏR µRXIN TV¶N S¿N ƒQJ³XIVSM TVIWFI»SRXEM OEXLKSVSÁWMR OEi HMEF„PPSYWMR ƒPPœPSYN [par. 1]) – pressoché identica è la versione dell’esordio della demegoria 3HU L

0HJDORSROLWDQL(ƒQJ³XIVSfQSMHSOSÁWMR‚QEVX„RIMRц %OEi

Sd XSlN %VO„WMR OEi Sd XSlN 0EOIHEMQSRfSMN WYRIMVLO³XIN ÊWTIVK‡VƒJ yOEX{V[ROSRXINSºG¹QÏRµRXINTSPlXEMTV¶N S¿N ƒQJ³XIVSM TVIWFI»SRXEM OEXLKSVSÁWMR OEi HMEF„PPSYWMR ƒPPœPSYN [par. 1]). Demostene, allora, richiama il dovere, per chi interviene in Assemblea, di parlare nell’interesse generale e di esprimere il parere migliore senza spirito di contesa (X¶ H~ OSMRÏN ¹T~VXÏRTVEKQ„X[RP{KIMROEiX‡F{PXMWU ¹T~V¹QÏRWOSTIlR †RIYJMPSRMOfENXÏRzRU„HIWYQFSYPI»IMRƒ\MS»RX[R[par. 1 =

3HU L 0HJDORSROLWDQL, 1]) e, nell’epilogo della stessa demegoria,

ribadisce di non aver parlato per spirito di parte, ovvero per odio o avversione personale, bensì solo per sostenere ciò che è interesse della città (zKÌ Q~R SÃR Ñ † % Q‡ XS¾N UIS¾N S½XI JMPÏR SºHIX{VSYN S½XI QMWÏR eHfZ IhVLOE ƒPP  ˆ RSQf^[ WYQJ{VIMR ¹QlR[par. 32])20

.

19

Su tutto il proemio, cf. Rupprecht (1927), 379 s., Clavaud (1974), 110 n.5. È forse per questa necessità di implicita difesa che, come il Rupprecht ha scritto, «das Stück geht tatsächlich über den Rahmen eines Prooemiums zum mindesten in formeller Hinsicht hinaus» (p. 380).

20

Rupprecht (1927), 416 ha osservato che l’epilogo dell’orazione 3HU L

0HJDORSROLWDQL doveva già caratterizzare, nella sua brevità, il discorso realmente

recitato. Tuttavia la trasposizione, nella versione pubblicata, di un motivo dello schizzo dell’esordio non comporta necessariamente che un elemento dell’epilogo sia già stato presente nel discorso effettivamente tenuto.

(9)

In altri passi ancora, l’oratore intende, invece, incanalare la conflittualità nella sede giudiziaria (3URRHP; 3URRHP ; 3URRHP ). Nel 3URRHP  Demostene apre uno scorcio su una situazione di incertezza e confusione: l’Assemblea non riesce ad individuare le misure più adatte alla situazione presente, perché la sua funzione viene paralizzata dallo scambio di accuse e contumelie da parte degli oratori (TSPPÏR Ñ † % P³K[R IeVLQ{R[R TEV‡ T„RX[R XÏR WYQFIFSYPIYO³X[RSºH~R¹QŠNRÁR±VϵRXENzKKYX{V[XSÁXf TVEOX{SRL¹V¢WUEM¡TViRIeNXŸRzOOPLWfERƒREF¢REMEhXMSR H~ XS»XSY XE½U  ´TIV SnQEM XSÁ OEOÏN }GIMR X‡ ´PE Sº K‡V TEVEMRSÁWMR¹QlR¹T~VXÏRTEV³RX[RSdP{KSRXINƒPP yEYXÏR OEXLKSVSÁWMOEiPSMHSVSÁRXEM[par. 1]). La motivazione che di tale comportamento Demostene sarcasticamente adduce è paradossale: i politici agirebbero in combutta, affinché, nel caso in cui uno di loro fosse trascinato in giudizio, la reazione di sdegno di coloro che hanno seduto in Assemblea e si troveranno nella giuria del tribunale popolare, sia notevolmente attenuata e mitigata dalla mancanza di novità delle accuse (WYRIUf^SRXIN¹QŠN†RIYOVfWI[N´W[RIeWiR EhXMSMOEOÏRƒOS»IMRgR †RTSX †V IeNƒKÏREOEUMWXÏRXEM QLH~R šKS»QIRSM OEMR¶R ƒOS»IMR ƒPP  ¹T~V ÐR ËVKMWUI TSPP„OMN TVE³XIVSM HMOEWXEi OEi OVMXEi KfKRLWUI XÏR TITVEKQ{R[R EºXSlN [LELG])21

. Nella requisitoria demostenica

&RQWUR $QGUR]LRQH, Diodoro accusa quanti perorano la causa del

Consiglio di mettere in atto HVFDPRWDJHV per difendere il proprio operato in vista del rendiconto (parr. 38 s.): infatti, una volta che siano riusciti ad ottenere l’incoronazione del Consiglio, difficilmente potrebbero venire condannati singolarmente in occasione delle I½UYREM. Quanto all’imputato, la difesa ostinata del suo operato in Assemblea è stata un modo per prepararsi la difesa (par. 59). Parallelamente, nella demegoria 6XLIDWWLGHO&KHUVRQHVR, Demostene afferma che muovere accuse è un espediente escogitato da certi oratori per alzare una cortina fumogena e per nascondere le proprie colpe (XŸR²VKŸR RIeO³NzWXMKIR{WUEMTEV ¹QlR†RXMPYT¢WUIXÚ TSP{Q. IeN XS¾N ¹T~V ¹QÏR P{KSRXEN X‡ F{PXMWXE XV{]EM FS»PSRXEM gRE XS»XSYN OVfRLXI QŸ *fPMTTSR ƒQ»RLWUI OEi OEXLKSVÏWMREºXSfQŸHfOLRHÏWMRÐRTSMSÁWMRÁR[par. 57])22

. E già nelle 6XSSOLFL di Euripide, l’araldo tebano, nel dialogo con Teseo, afferma che in Atene la calunnia è uno stratagemma di ogni oratore per nascondere la propria dappocaggine e sfuggire a condanne (HMEFSPElNR{EMN/OP{]ENX‡TV³WUIWJ„PQEX z\{HYHfOLN[v. 415 s.]).

Cosicché, dopo un dibattito, che Demostene descrive aspro ed improduttivo – forse perché esso non ha sortito decisioni utili o non ha toccato questioni che gli stavano a cuore o forse perché si è mantenuto su temi a lui sgraditi –, egli dichiara di non volere né ricorrere all’accusa o alla calunnia, né promettere alcunché la cui plausibilità e fondatezza non sia dimostrabile immediatamente (zKÌ H S½XI OEXLKSVœW[XœQIVSRSºHIR³NS½U ¹TSWGœWSQEMXSMSÁX SºH~R· QŸ TEVEGV¢Q  zTMHIf\[ [3URRHP 5,2]), ma piuttosto parlare

21

Nella &RQWUR 7LPRFUDWH Demostene accusa TSPPSi XÏR TSPMXIYSQ{R[R di agire di concerto ai danni del popolo (par. 157).

22

(10)

unicamente di ciò che è nell’interesse dello Stato (ˆ F{PXMWXE Q~R XSlN TV„KQEWMR WYQJ{VSRXE H~ XSlN FSYPIYSQ{RSMN ¹QlR šKSÁQEM XEÁXE ?A IeTÉR [LELG])23

. Demostene ostenta, così, disdegno per schermaglie a suo dire strumentali, ma non vuole certo far credere che l’intenzione di porre un freno alla conflittualità in Assemblea sia espressione di un atteggiamento remissivo verso gli altri ˜œXSVIN. Semmai vuol dare a intendere che il dibattito assembleare è la sede impropria per colpire gli avversarî; inchiodare i presunti ˜œXSVIN disonesti alle loro responsabilità – afferma fuggevolmente – è dovere che il popolo deve adempiere con la strada giudiziaria, che sarebbe l’IeWEKKIPfE. La conflittualità inquinerebbe la discussione assembleare, senza, peraltro, garantire che i veri responsabili paghino per aver ingannato il popolo. Solo tramite una OVfWMN, dunque, sarà possibile TEV EºXÏRHfOLRPEFIlR.

Nel 3URRHP.  si denunzia il rischio dei danni prodotti dalla conflittualità, se essa è sterile e non costituisce uno stimolo per l’accertamento delle responsabilità e per la punizione dei colpevoli (X¶ K‡V WXEWM„^IMR TV¶N E¹XS¾N OEi OEXLKSVIlR ƒPPœP[R †RIY OVfWI[N SºHIfN zWXMR S¼X[N ƒKRÉQ[R ´ WXMN Sº JœWIMIR ‰R FP„FLRInREMXSlNPSMTSlNTV„KQEWMR[par. 1]). In questo proemio, che sarebbe opera, secondo il Rupprecht, di un politico consumato, Demostene si augura che gli oratori la smettano di intervenire solo per rivalità personali e di esprimere tutto fuorché quello che loro stessi sanno essere il partito migliore (I½GSQEM H~ XSlN UISlN XS¾N ¡ JMPSRMOfEN¡zTLVIfENžXMRSN†PPLN|RIO EeXfEN†PPSXMTPŸR … TSU  šKSÁRXEM WYQJ{VIMR P{KSRXEN TE»WEWUEM X¶ K‡V OEXEVŠWUEM WYQFSYPI»SRX  hW[N }WX  †XSTSR [par. 2]), e che Atene convogli le sue forze contro i nemici esterni, anziché disperderle in una logorante conflittualità interna (zKÌ H  ShSQEM XS»XSYN Q~R ‰R InREM FIPXfSYN Ie XŸR TV¶N E¹XS¾N JMPSRMOfER zTi XS¾N X¢NT³PI[N zGUVS¾N XV{]ERXIN zHLQLK³VSYR [par. 1]); motivo, quest’ultimo, ricorrente, come vediamo in zKÌH~FS»PSQEM XS¾N zGUVS¾N ¹QŠN ƒQYRSQ{RSYN ²JU¢REM TV³XIVSR ¡ XS¾N TSPfXEN OVfRSRXEN Sº K‡V šQlR EºXSlN TSPIQIlR QŠPPSR ¡ OIfRSMNzWQ~RHfOEMSM (3URRHP. ) e SºGÊWTIVšQIlNOEiHM‡ XS»XSYNOEiXS¾N±QSfSYNXS»XSMN, ƒPPœP[RTIVMKMKR³QIRSMOEi

SºGiXÏRzGUVÏR(3URRHP. )24 .

Il 3URRHP si apre con la dura denunzia del danno arrecato alla città dalle contumelie, dallo scompiglio e dalle reciproche accuse, †RIY OVfWI[N, di malversazione: in questo brano, addirittura, Demostene, servendosi di un paradosso, attacca non i responsabili del

23

Rupprecht, 393.

24

In 3URRHP20,3 non sfuggirà come all’apparente distacco implicito in XS¾N

TSPfXEN subentri un šQlR EºXSlN che unifica nell’afflato nazionale l’pOLWH degli

oratori e la massa dei cittadini. Non vi è, tuttavia, alla base solo una questione sinceramente emotiva, ma anche una deliberata scelta dell’oratore di acquisire autorevolezza, credibilità ed IºQ{RIMEfacendo momentaneamente svanire la linea di demarcazione fra ˜œXSVIN e H¢QSN. Rifacendosi agli studî di Ober, Goldhill (2002), 72 s. ha opportunamente individuato tale artificio – teso a creare complicità con l’uditorio – nell’esordio della 3ULPD 2OLQWLDFD (par. 2), dove alla seconda plurale designante gli Ateniesi subentra la prima (XÏRTVEKQ„X[R¹QlRzOIfR[R

EºXSlN ƒRXMPLTX{SR zWXfR IhTIV ¹T~V W[XLVfEN EºXÏR JVSRXf^IXI šQIlN H  SºOSnH ´RXMR„QSMHSOSÁQIR}GIMRXV³TSRTV¶NEºX„).

(11)

malcostume, ma chi dà loro spazio, ovverosia non la rivalità gli oratori, motivata da prevedibili interessi personali, bensì la deresponsabilizzazione e l’ascolto inebetito, da parte dell’uditorio, di tali risse verbali (šQ~RIe[UYlET„RXEX¶RGV³RSRFP„TXIMRц % XŸR T³PMR PSMHSVfE OEi XEVEGŸ OEi RYRi K{KSRI TEV‡ XÏR EºXÏR ÐRTIV ƒIf †\MSR H  SºG S¼X[ XS»XSMN zTMXMQ¢WEM hW[N K‡V ²VK® OEi JMPSRMOfZ XEÁXE TV„XXSYWM OEi X¶ Q{KMWXSR ‚T„RX[R´XMWYQJ{VIMXEÁXETSMIlREºXSlN ƒPP ¹QlRIeTIVi OSMRÏR Ñ † % TVEKQ„X[R OEi QIK„P[R WYRIMPIKQ{RSM X‡N eHfEN PSMHSVfEN ƒOVSÉQIRSM O„ULWUI OEi Sº H»REWUI TV¶N ¹QŠN EºXS¾N PSKfWEWUEM XSÁU  ´XM Ed XÏR ˜LX³V[R ‚T„RX[R †RIY OVfWI[N TV¶N ƒPPœPSYN PSMHSVfEM ÐR ‰R ƒPPœPSYN z\IP{K\[WMR ¹QŠN X‡N IºU»REN HMH³REM TSMSÁWMR [par. 1])25

. In tal modo è la città tutta che sconta le malefatte per le quali i loro autori, ovvero i ˜œXSVIN, dovrebbero IºU»RENHMH³REM.

Le responsabilità degli oratori, dunque, debbono essere denunziate e perseguite nelle sedi demandate: allo stesso modo, nella requisitoria demostenica &RQWUR 7LPRFUDWH, Diodoro sostiene l’importanza di punire con estremo rigore l’uomo politico, ovvero colui che TSPMXI»IWUEMFS»PLXEMOEiJ®OœHIWUEMX¢NT³PI[N(parr. 192 s.), per impedire che costui commetta prevaricazioni nei confronti della massa dei semplici cittadini26. Se ne deve dedurre, nel gruppo di

3URRHPLDtesté esaminati (, , ), che Demostene non disapprova

in linea di principio la conflittualità politica WRXW FRXUW, ma che, all’apparenza, preferisce dirottarla in altri àmbiti, ovvero in quello giudiziario, anziché lasciarla ristagnare in quello assembleare.

In altre circostanze, oltre a difendersi, Demostene sollecita contro gli avversarî interni un conflitto a tutto campo, anche asperrimo, non già alimentato dal OEXLKSVIlR o dal PSMHSVIlR, bensì condotto con l’ostruzionismo assembleare e con le vie legali. Nel 3URRHP  stigmatizza il meschino spirito di parte di certi oratori, i quali antepongono sentimenti personali di favore o avversione agli interessi supremi della città (SºH{R  ƒRXIMTIlR Ñ † % RSQf^[ ÇN Sº OEOSÁTSPfXSYOEiJE»PSYXŸRKRÉQLRƒRHV³NzWXMRS¼X[XMR‡ QMWIlR¡JMPIlRXÏRzTiX‡OSMR‡TVSWM³RX[RÊWXIXSÁX®T³PIM FIPXfWXSYQLH~RJVSRXf^IMRƒPP‡X‡Q~RTV¶NzTœVIMERX‡H~ TV¶NJMPfERHLQLKSVIlRˆTSMSÁWMR}RMSMXÏRHIYViTEVM³RX[R [par. 1]). Il richiamo, nell’esordio del discorso 6XL IDWWL GHO

&KHUVRQHVR, a pronunziare interventi dettati non dall’odio personale

ma dall’intento di esprimere il parere migliore (}HIM Q{R Ñ † % XS¾N P{KSRXEN …TERXEN QœXI TV¶N }GUVER TSMIlWUEM P³KSR QLH{REQœXITV¶NG„VMRƒPP ·F{PXMWXSR|OEWXSNšKIlXSXSÁX  ƒTSJEfRIWUEM †PP[N XI OEi TIVi OSMRÏR TVEKQ„X[R OEi QIK„P[R¹QÏRFSYPIYSQ{R[RzTIMHŸH }RMSMX‡Q~RJMPSRMOfZ X‡H ¦XMRMHœTSX EeXfZTVS„KSRXEMP{KIMROXP[par. 1]) conferma che nel 3URRHP 11 vi può essere un tentativo di autodifesa27. In questo proemio, Demostene invita, infatti, i membri l’uditorio a non accontentarsi di trascinare i ˜œXSVIN in tribunale (verosimilmente 25 Cf. Swoboda (1887), 14s.. 26 Cf. Ober (1989), 109. 27

Il parallelo tra 3URRHP. 11,1 e l’esordio dell’orazione 6XLIDWWLGHO&KHUVRQHVR è stato rilevato anche da Clavaud (1974), 94 n.1.

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tramite la IeWEKKIPfE), per fare loro scontare i torti commessi verso la città, ma ad evitare di dividersi a sostegno dell’uno o dell’altro di essi e a contrastare con ogni mezzo – e non solo per via giudiziaria – le loro manovre politiche, peraltro dettate solo da faziosità (XS»XSYN ´WSRzWXiRzR¹QlRO[P»IMR[par. 2]).

Anche nel 3URRHP. 11, Demostene, dietro speciose dichiarazioni di principio, attacca lo schieramento avversario per difendere implicitamente la propria linea politica, ed esorta a fermare in tutti i modi gli avversarî politici28. Con maggiore virulenza, al par. 61 dell’orazione 6XL IDWWL GHO &KHUVRQHVR, egli giustifica l’intolleranza verso gli avversarî: non è possibile sconfiggere i nemici esterni – afferma – prima d’aver schiacciato quelli interni (XS¾NTITVEO³XEN E¹XS¾NzOIfR.[VFLO *MPfTT.]QMWIlROEiƒTSXYQTERfWEMSºK‡V }WXMRSºO}WXMRXÏR}\[X¢NT³PI[NzGUVÏROVEX¢WEMTViR‰R XS¾N zR EºX® X® T³PIM OSP„WLX  zGUVS»N). La conflittualità tra ˜œXSVIN appare, quindi, fisiologica ed ognuno di loro rivendica di essere mosso da legittimi motivi nell’attaccare gli altri: persino un oratore come Isocrate, che si è sempre tenuto ai margini della vita politica, ammette come tutta la vita abbia continuato a combattere contro i barbari e ad accusare quelli che non la pensavano come lui (HMEXIX{PIOE T„RXE X¶R GV³RSR TSPIQÏR Q~R XSlN FEVF„VSMN OEXLKSVÏRH~XÏRQŸXŸREºXŸRzQSiKRÉQLRzG³RX[R[)LOLSSR, 130])29. Sul piano storico, poi, tra il partito filomacedone e quello antimacedone la lotta diviene irriducibile, specie dopo il 344/3, quando quest’ultimo ha cercato di far appello all’alleanza con la Persia ma ha visto fallire il proprio progetto per l’opposizione di quanti hanno continuato a vedere nel Re il vero ed unico nemico della Grecia (4XDUWD)LOLSSLFD, 33 s.)30.

Demostene chiude il 3URRHP 11, esortando l’assemblea, che si schiera a favore di questa o di quella fazione, a deporre rivalità, inimicizie o simpatie personali e a mirare al bene supremo dello Stato (OEi EºXS»N ÇN ¹T~V T³PI[N TVSWœOIM FSYPIYSQ{RSYN X‡N eHfENƒRIP³RXENJMPSRMOfENX¶OSMR®F{PXMWXSRWOSTIlWUEM[par. 2]). Nondimeno, anche nell’esordio della demegoria 6XOOD 3DFH, l’oratore, per introdurre un intervento che caldeggia la pace con Filippo e che suscita sospetto da più parti, invita a rinunziare allo strepito e alla rissa, quando si delibera su questioni gravi e importanti come la salvezza della città (‰R zUIPœWLXI XSÁ USVYFIlR OEi JMPSRMOIlRƒTSWX„RXINƒOS»IMRÇN¹T~VT³PI[NFSYPIYSQ{RSMN OEiXLPMOS»X[RTVEKQ„X[RTVSWœOIM[par. 3])31

.

Riesce allora comprensibile che Demostene, nel 3URRHP e nel

3URRHP.  non neghi assolutamente l’opportunità di attaccare gli

avversarî politici. Nel 3URRHP , VROR dopo aver stigmatizzato la condotta personalistica degli strateghi, che si è rivelata assai dannosa per Atene, l’oratore pare ammettere l’inopportunità, XQLFDPHQWH in relazione alle circostanze della recita del discorso, di ricorrere ad accuse e, per converso, l’opportunità di fornire i consigli più utili (XSÁ 28 Rupprecht (1927), 394. 29 Cf. Mathieu (1925), 197 s. 30 Mathieu (1925), 198. 31

(13)

Q~R SÃR OEXLKSVIlR hW[N SºG ± TEVÌR OEMV³N ˆ H  šKSÁQEM WYQJ{VIMR¹QlRXEÁXEWYQFSYPI»W[[par. 3]): la sua è una palese e astuta preterizione, che, come Anassimene di Lampsaco dice, consiste nel dire una cosa fingendo di non dirla (IeV[RIfE H{ zWXM P{KIMRXMQŸP{KIMRTVSWTSMS»QIRSR[5KHW$OH[ 21,1. 1434a 17]). Altrove, la decisione di esporre il parere che l’oratore ritiene utile e per il quale egli è salito sulla tribuna è spiegata con l’impossibilità al presente di denunziare, nella misura che si converrebbe, le bassezze e gli inganni di taluni politici (X¢NQ~RSÃRXS»X[ROEOfENSºO‰RzR XÚ TEV³RXM XMN zR H{SRXM Q„PMWXE OEXLKSVœWIMIR FS»PSQEM H  ¹T~VÐRƒR{WXLRˆRSQf^[WYQJ{VSRX IeTIlR[3URRHP. ]). In questo caso, dunque, Demostene cerca di reprimere il suo malanimo, e la scelta di non ricorrere all’accusa non pare avere motivi etici o di principio, ma di opportunità32.

Valutiamo ora i passi dei 3URRHPLDfin qui esaminati, alla luce di tre ordini di considerazioni.

,  ,OFRPSRUWDPHQWRDVVHPEOHDUH. È proprio di chi deve replicare ad attacchi ammonire dal ricorrere ad accuse e richiamare i criterî della corretta deliberazione. Diodoto, a proposito della sorte da riservare ai Mitilenesi che hanno defezionato, asserisce che quanto gli sta a cuore non è rivolgere accuse, ma prendere una saggia deliberazione (zKÌH~TEV¢PUSRS½XIƒRXIVÏRTIVi1YXMPLREf[R S½XI OEXLKSVœW[R 3º K‡V TIVi X¢N zOIfR[R ƒHMOfEN šQlR ± ƒKÉRIeW[JVSRSÁQIRƒPP‡TIViX¢NšQIX{VENIºFSYPfEN [Thuc. III 44,1])33. Egli intende rivolgere un P³KSN che sia esclusivamente WYQFSYPIYXMO³Nnon giudichi, come in un tribunale, la giustezza di azioni già compiute, ma guardi al futuro e sappia cogliere le opportunità per l’interesse della SROLV; e mira, altresì, a contrastare l’argomentazione fortemente emotiva di Cleone ed il suo esibito anti-intellettualismo. Per questo, egli ricorda come il compito dell’uditorio di un’Assemblea sia GHOLEHUDUH, non pronunziare sentenze, come se essa fosse una corte di giudici. La condanna dell’insulto e del vituperio in sede assembleare riflette, poi, il rispetto di norme sanzionate. In forza di una legge relativa alla IºOSWQfEXÏR˜œX³V[R, citata da Eschine (&RQWUR7LPDUFR, 35) e ritenuta autentica almeno per questo articolo, i proedri, che presiedono le sedute dell’Assemblea e del Consiglio, hanno facoltà di multare ad un’ammenda, che può

32

Cf. Swoboda (1887), 13; Clavaud (1974), 133 n.2.

33

Diodoto si oppone al concetto di giustizia di Cleone, e, ad un tempo, prescinde dalla valutazione dell’entità della colpa dei Mitilenesi (Thuc. III 44,1; 4). Più che farsi portavoce del dovere morale alla mitezza, si fa semmai sostenitore di considerazioni pragmatiche, invitando ad esaminare come le azioni degli isolani possano semmai tornare utili ad Atene. Diodoto si serve degli stessi criterî etici di Cleone (la giustizia è fare del bene agli amici e nuocere ai nemici), ma tali principî di giustizia sono introdotti nella misura in cui sono compatibili con gli interessi di Atene (sterminare gli abitanti dell’isola priverebbe, infatti, Atene delle entrate). Si rinvia a Bodin (1940), 40, 47 s., 50; Moraux (1954), 15, 19-21; Wassermann (1956), 29, 36-38; Andrewes (1962), 72 s.; Winnington-Ingram (1965), 77-79; Kagan (1975), 85, 90 s.; Cagnetta (1983), 425; Cogan (1981), 210; Cohen (1984), 49-51; Yunis (1996), 95, 100; Hesk (2000), 252. Lo stesso Wassermann (p. 39) ha, nondimeno, rimarcato l’astrattezza della replica di Diodoto e la convenzionalità del personaggio.

(14)

ammontare fino a cinquanta dracme, gli oratori che trascendano nell’insulto e nell’offesa personale (XÏR ˜LX³V[R z„R XMNzR X® FSYP®¡zRXÚHœQ.PSMHSV¢XEM¡OEOÏNƒKSVI»:XMR„)34

. Chi è sulla difensiva, dunque, ha interesse a presentare come inopportuna l’azione del giudizio.

Negli anni Quaranta del IV sec., Isocrate formula una valutazione fortemente negativa, e certamente dirompente, sulla conflittualità della vita politica ateniese: rivolgendosi a Filippo di Macedonia, l’oratore, in nome di un ideale soloniano di concordia cittadina, esprime il proprio netto, frontale e deliberato rifiuto alla partecipazione politica attraverso una H[FXVDWLR della propria estraneità all’arengo politico sulla base della scarsa attitudine, ovverosia della debolezza della voce e dell’assoluta mancanza di quella temerarietà, che, per lui, è anche prontezza alla menzogna e all’adulazione insincera, oltreché scarso ritegno, e che è necessaria per affrontare la folla senza disdegnare di insudiciarsi ed accapigliarsi con coloro che salgono sulla tribuna (zKÌ K‡V TV¶N Q~R X¶ TSPMXI»IWUEM T„RX[R ƒJY{WXEXSN zKIR³QLR XÏR TSPMXÏR S½XI K‡V J[RŸR }WGSR dOERŸR S½XI X³PQER HYREQ{RLR µGP. GV¢WUEM OEi QSP»RIWUEM OEi PSMHSVIlWUEM XSlNzTiXSÁFœQEXSNOEPMRHSYQ{RSMN[)LOLSSR, 81]): caratteristiche queste che già possedevano i personaggi politici post-periclei. Quasi dieci anni dopo, nel 3DQDWHQDLFR, Isocrate spiegherà la sua inettitudine alla pratica assembleare del suo tempo con la mancanza di una voce robusta e di un piglio aggressivo (parr. 9 s.)35. La maggior parte dei ˜œXSVIN, denunzia l’oratore, ha l’ardire di salire sulla tribuna e di parlare all’Assemblea non per il bene dello Stato, ma solo per interesse personale (T„RXINhWEWMXÏRQ~R˜LX³V[RXS¾NTSPPS¾N SºG ¹T~V XÏR X® T³PIM WYQJIV³RX[R ƒPP  ¹T~V ÐR EºXSi Pœ]IWUEM TVSWHSOÏWM HLQLKSVIlR XSPQÏRXEN [par. 12]); essi si scambiano insulti per una semplice cauzione, inveiscono contro gli alleati e gettano discredito su chi capita (XS¾NQ~R¡PSMHSVSYQ{RSYN zR XElN zOOPLWfEMN TIVi QIWIKKYœQEXSN WJfWMR EºXSlN ¡ PYQEMRSQ{RSYN XS¾N WYQQ„GSYN ¡ XÏR †PP[R ·R ‰R X»G[WM WYOSJERXSÁRXEN [par. 13]). In tal modo, animate dal reciproco vituperio tra oratori, le adunanze pubbliche (X‡zRXElNTERLK»VIWMR Q„PMWXE PSMHSVS»QIRE) offrono un avvilente spettacolo di QERfE (par. 135)36. I critici della democrazia ateniese, dunque, stigmatizzano (e i protagonisti riconoscono) i rischi di un modo di far politica che è proprio della SROLV democratica. Probabilmente tanta avversione per il ricorso all’offesa in sede assembleare ha una reale ragione di essere, ed a Plutarco deve apparire in un certo qual modo rilevante che Demostene si astenga nelle demegorie da qualsiasi forma di motteggio e di volgarità (OEfXSM KI OEi (LQSWU{RLN zR XÚ HMOERMOÚ X¶

34

Cf. McDowell (1978), 235 – che ritiene genuina la legge – nonché Natalicchio (20012), 114 n. 48; Worthington (2004), 133.

35

Isocr. 3DQDWK 9s.: XŸR H~ J»WMR IeHÌN ?A IeTIlR H~ TIVi XÏR EºXÏR

XS»X[R zR WYPP³K. TSPPÏR ƒRUVÉT[R ‚TEWÏR ÇN }TSN IeTIlR ƒTSPIPIMQQ{RLRS¼X[K‡VzRHIŸNƒQJSX{V[RzKIR³QLRXÏRQIKfWXLRH»REQMR zG³RX[RTEV šQlRJ[R¢NdOER¢NOEiX³PQLNÇNSºOSnH IhXMN†PPSNXÏR TSPMXÏR.

36

Cf. Silvestrini (1978), 169;180 n.1; Masaracchia (1995), 110. Un’attenta disamina del significato di queste motivazioni è condotta da Yun Lee Too (1995), 74 s., 85-87, 89, 98 s., 103, 112.

(15)

PSfHSVSR }GIM Q³RSR Sd H~ *MPMTTMOSi OEUEVI»SYWM OEi WOÉQQEXSN OEi F[QSPSGfEN ‚T„WLN X‡ K‡V XSMEÁXE XÏR ƒOSY³RX[RQŠPPSREeWG»RIMXS¾NP{KSRXEN}XMH~OEiW»KGYWMR ƒTIVK„^IXEM XÏR TVEKQ„X[R OEi HMEXEV„XXIM X‡  FSYPIYXœVME OEiX‡NzOOPLWfEN[0RU810d]).

L’invettiva personale grossolana contraddistingueva, come detto, i successori di Pericle: non più detentori, come quest’ultimo, di una

OHDGHUVKLS incontrastata, essi solevano scambiarsi calunnie per

guadagnarsi il ruolo di protagonisti di fronte al popolo, col risultato di alimentare la conflittualità interna e compromettere l’efficienza delle decisioni politiche e militare (Thuc. II 65,11)37. In particolare, Cleone – dice Aristotele ($WK 5HVS 28,3), che riprende evidentemente la valutazione storica tucididea – divenuto capo del H¢QSN dopo la morte di Pericle, guastò moralmente il popolo con i suoi atteggiamenti intemperanti e scomposti, perché per primo sulla tribuna si mise a urlare ed insultare (TVÏXSN zTi XSÁ FœQEXSN ƒR{OVEKI OEi zPSMHSVœWEXS); e il suo successore, Cleofonte, consolidò la pratica del UVEW»RIWUEMOEiGEVf^IWUEMXSlNTSPPSlNsenz’aver di mira alcuna politica di ampio respiro (LELG, 4)38. Colui che, nei &DYDOLHUL di Aristofane, impersona Cleone, ovvero il Paflagone, non tollera nessun altro uomo politico (ƒTSWSFIlXS¾N˜œXSVEN[v. 60]).

,,  /¶RSLQLRQH GL 'HPRVWHQH VXOOD FRQIOLWWXDOLWj DWHQLHVH. Come si è visto a proposito dell’analisi retorica del 3URRHP, che abbiamo definito un esordio «terza posizione», un’equanime indipendenza di giudizio conferisce autorevolezza all’oratore. Sicché assicurazioni speciose e convenzionali sull’intento di non volere dar sfogo a rivalità personali sono di prammatica. Ad esempio, nella requisitoria 6XOOD

IDOVD DPEDVFHULD, Demostene precisa di non voler muovere accuse

indiscriminate contro i colleghi di ambasceria, a suo avviso inadempienti (zKÌ Q~R K‡V SºH{R T[ P{K[ TIVi SºHIR¶N SºH  EeXMÏQEM[par. 157]) – dichiarazione puramente formale che fa il paio con le parole ƒPP  ¹T¢VG{ QSM TV¶N XSÁXSR [RYYHUR (VFKLQH

O¶LPSXWDWR]ƒT{GUIM„XMNSºHIQfE(par. 221) dello stesso discorso.

Nell’epilogo della sua prima orazione giudiziaria, la &RQWUR/HSWLQH, verosimilmente per ritagliarsi una posizione di credibilità distinguendosi dai proprî avversarî, Demostene lamenta come troppe volte il GHPRV non sia stato adeguatamente informato su quanto era giusto e le decisioni di esso siano state estorte dalle grida, dalla violenza e dalla sfrontatezza degli oratori (TSPP‡ K‡V ¹QIlN Ñ † % TSPP„OMN SºO zHMH„GULU  ÇN }WXM HfOEME ƒPP  ƒJ:V{ULU  ¹T¶X¢NXÏRPIK³RX[ROVEYK¢NOEiFfENOEiƒREMWGYRXfEN [par. 166])39.

Una conflittualità debordante non rappresenta solo un ostacolo al libero confronto di idee, ma paralizza anche il funzionamento della

SROLV democratica. Nell’orazione 3HUODOLEHUWjGHL5RGLHVL(parr.

37

Sulle ricadute pesanti, secondo Tucidide, dei dissidî privati e delle rivalità personali (ovvero delle hHMEM JMPSXMQfEM [65,11], delle hHMEM HMEFSPEf [65,12] e delle hHMEM HMEJSVEf [65,12]) sull’esito, sfavorevole per Atene, della guerra del Peloponneso, rinvio a Hornblower (1997), 344; Fantasia (2003), 485 s., 488, 497, 503 s., 506.

38

Cf. Yunis (1996), 68; Musti (1997), 180, 185, 190, 210, 212.

39

(16)

32), Demostene attribuisce l’incapacità di attuare valide risoluzioni al fatto che gli Ateniesi debbano combattere non solo contro i nemici esterni, ma anche contro quelli interni, ovvero quanti si lasciano corrompere per agire contro gli interessi della città40. Nella 3ULPD

)LOLSSLFD egli si rammarica del danno provocato dagli scambî di

accuse tra oratori (OEiX¶RHIlR EeXM„WEWUEMOEiX¶RHIlR }WXMR X‡ H~ TV„KQEX  zO XS»X[R ƒT³P[PIR [par. 46]) e critica una rissosità che snerva le energie che Atene dovrebbe invece rivolgere contro i nemici esterni: gli strateghi, infatti, preferiscono affrontare processi capitali che non pericoli mortali contro i nemici (RÁRH IeN XSÁU OIMX‡TV„KQEX EeWG»RLNÊWXIXÏRWXVEXLKÏR|OEWXSN HiN OEi XViN OVfRIXEM TEV  ¹QlR TIVi UER„XSY TV¶N H~ XS¾N zGUVS¾N SºHIiN SºH  …TE\ EºXÏR ƒK[RfWEWUEM TIVi UER„XSY XSPQ• [par. 47])41

. L’argomento, a dire il vero, è già isocrateo: fornendoci un’ulteriore riprova dell’infausto permanere di contrasti rovinosi che indeboliscono la SROLV, Isocrate, nell’$UHRSDJLWLFR, rimpiange il buon tempo andato nel quale, sotto la guida dell’Areopago, i cittadini ateniesi, educati alla virtù, non ingaggiavano conflitti intestini e vincevano in guerra tutti gli invasori; nel presente, invece – osserva con rammarico – essi si fanno del male a vicenda e si disinteressano dei preparativi militari (¹T¶ Q~R zOIfRLN X¢N IºXE\fEN S¼X[N zTEMHI»ULWER Sd TSPlXEM TV¶N ƒVIXŸR ÊWXI WJŠNQ~REºXS¾NQŸPYTIlRXS¾NH IeNXŸRGÉVERzQF„PPSRXEN …TERXEN QEG³QIRSM RMOŠR šQIlN H~ XSºRERXfSR ƒPPœPSMN Q~R K‡VOEO‡TEV{GSRXINSºHIQfERšQ{VERHMEPIfTSQIRXÏRH~TIVi X¶RT³PIQSR S¼X[ OEXLQIPœOEQIR ÊWX  SºH  IeN X‡N z\IX„WIMN e{REMXSPQÏQIR¡RQŸPEQF„R[QIRƒVK»VMSR[par. 82])42

.

Nella 6HFRQGD )LOLSSLFD (par. 32), Demostene presenta il trascendere nelle contumelie come un espediente di bassa lega per conquistare la popolarità; nella demegoria 6XL IDWWL GHO &KHUVRQHVR individua nel promuovere accuse, nel parlare per compiacere e nel chiedere confische quei comportamenti che contraddistinguono il cattivo oratore (HYR„QIRSN ‰R hW[N ÊWTIV OEi |XIVSM OEi OEXLKSVIlROEiGEVf^IWUEMOEiHLQI»IMROEiX†PP ˆTSMSÁWMR SÂXSMTSMIlRSºH zJ H`RXS»X[RTÉTSX zQEYX¶R}XE\E [par. 71]) – e, parallelamente, anche per Isocrate i politici corrotti del suo tempo si contraddistinguono per il depredare molti cittadini dei beni ereditati, per il promuovere processi e per l’imporre tributi (6XOODSDFH, parr. 51, 122 s.). Nella demegoria in questione, Demostene deplora il fatto che alcuni politici abbiano reso gli Ateniesi feroci e temibili in Assemblea, ma inerti nei preparativi bellici (TEVIWOIY„OEWMR ¹QŠN XÏR TSPMXIYSQ{R[R }RMSM zR Q~R XElN zOOPLWfEMN JSFIVS¾N OEi GEPITS»NzRH~XElNTEVEWOIYElNXElNXSÁTSP{QSY˜ZU»QSYN OEi IºOEXEJVSRœXSYN [par. 32])43

. Egli desidererebbe che, all’opposto, gli uomini politici avessero abituato i cittadini ad essere 40 Cf. Tuplin (1998), 312. 41 Cf. Harding (1994), 211. 42

Nell’orazione 6XOOD SDFH, Isocrate  individua nella talassocrazia la causa dell’indolenza degli Ateniesi e il fattore che ne ha snervato l’ardore bellico contro i nemici esterni (parr. 75-77). Ma già nel 3DQHJLULFR, rimpiange l’epoca in cui gli avi non si invidiavano reciprocamente per le loro azioni audaci né coltivavano sogni privati di gloria (par. 77).

43

(17)

equilibrati nelle deliberazioni assembleari e temibili nei preparativi bellici, ma l’insensato comportamento che essi si concedono e l’indolenza generale in cui il popolo intorpidisce è la contropartita della loro pratica – nel breve termine fortunata – dell’adulazione (zGV¢R K„V Ñ † % XSºRERXfSR ¡ RÁR …TERXEN XS¾N TSPMXIYSQ{RSYN zR Q~R XElN zOOPLWfEMN TV„SYN OEi JMPERUVÉTSYN ¹QŠN zUf^IMR InREM TV¶N K‡V ¹QŠN EºXS¾N OEi XS¾N WYQQ„GSYN zR XE»XEMN zWXi X‡ HfOEME  zR H~ XElN TEVEWOIYElN XElN XSÁ TSP{QSY JSFIVS¾N OEi GEPITS¾N zTMHIMOR»REM TV¶N K‡V XS¾N zGUVS¾N OEi XS¾N ƒRXMT„PSYN zR zOIfREMN zWU  ± ƒKÉR  RÁR H~ HLQEK[KSÁRXIN ¹QŠN OEi GEVM^³QIRSM OEU  ¹TIVFSPŸR S¼X[ HMEXIUœOEWMR ÊWX  zR Q~R XElNzOOPLWfEMNXVYJŠROEiOSPEOI»IWUEMT„RXETV¶NšHSRŸR ƒOS»SRXENzRH~XSlNTV„KQEWMOEiXSlNKMKRSQ{RSMNTIViXÏR zWG„X[RžHLOMRHYRI»IMR[parr. 33 s.]). L’intolleranza violenta, che certi politici fomentano contro i proprî avversarî, limita necessariamente la TEVVLWfEdi questi ultimi e la meschinità di quelli rende difficile il funzionamento dei meccanismi assembleari44. Ne discende, per Demostene, la conseguenza che gli Ateniesi non reagiscono efficacemente di fronte ad un nemico esterno che possa essere sconfitto solo con le armi. Usando espressioni ed accenti assai simili, anche nella demegoria 6XOO¶RUGLQDPHQWR GHOOR 6WDWR l’oratore ammonisce l’uditorio che occorre essere temibili verso l’esterno, ovvero contro i nemici, e miti all’interno, senza utilizzare i tribunali come arma per delegittimare l’avversario politico (HIl K‡V zR Q~R XSlN ´TPSMN JSFIVS»N zR H~ XSlN HMOEWXLVfSMN JMPERUVÉTSYN InREM [par. 17])45

. Ma nel medesimo discorso, l’oratore rimarca l’inutilità di una lotta contro i nemici esterni, se prima non si «schiacciano» quelli interni, ovvero i filomacedoni (TVSWœOIMXS¾N TITVEO³XEN E¹XS¾N zOIfR. [LH: D )LOLSSR] QMWIlR OƒTSXYQTERfWEMSºK‡V}WXMRSºO}WXMRXÏR}\[X¢NT³PI[N zGUVÏR OVEX¢WEM TViR ‰R XS¾N zR EºX® X® T³PIM OSP„WLX  zGUVS»N [par. 61])46

. L’apparente contraddizione si supera, se si ammette che per Demostene la concordia interna – raggiunta con un consenso, anche forzato, alla linea politica antimacedone – è la condizione preliminare per sconfiggere i nemici esterni.

La dispersione delle energie della città in conflitti di potere tra politici e strateghi, lamenta Demostene nell’esordio della 7HU]D

)LOLSSLFD, si rivela un vantaggio per Filippo (|XIVSMH~XS¾NzTiXSlN

TV„KQEWMR µRXEN EeXMÉQIRSM OEi HMEF„PPSRXIN SºH~R †PPS TSMSÁWMR ¡ ´ T[N š T³PMN TEV  E¹X¢N HfOLR Pœ]IXEM OEi TIVi XSÁX  }WXEM *MPfTT. H  z\{WXEM OEi P{KIMR OEi TV„XXIMR ´ XM FS»PIXEM Ed H~ XSMEÁXEM TSPMXIlEM WYRœUIMN Q{R IeWMR ¹QlR EhXMEMH~XÏROEOÏR[parr. 2 s.])47

. Nell’orazione 6XOODFRURQD egli

44

Cf. Carmignato (1998), 40, 42, 45, 52.

45

Sul motivo della critica demostenica alla conflittualità interna, cf. pure Miller (2002), 412 s.

46

A un dipresso identico alla lettera è il dettato di 4XDUWD )LOLSSLFD, 63 (TVSWœOIMXS¾NTITVEO³XENE¹XS¾NzOIfR.JERIVÏNƒTSXYQTERfWEMSºK‡V

}WXMRSºO}WXMRXÏR}\[X¢NT³PI[NzGUVÏROVEX¢WEMTViR‰RXS¾NzREºX® X®T³PIMOSP„WLX zGUVS»N). Il verbo ƒTSXYQTERfWEMdesigna la violenta (e, per

Demostene, doverosa) reazione di una comunità contro chi la tradisce a favore di un nemico esterno (cf. 6XOODIDOVDDPEDVFHULD, 137;7HU]D)LOLSSLFD, 61).

47

(18)

tradisce un intimo cruccio per la maggior efficienza decisionale del regime monarchico di Filippo, rispetto alla conflittualità che ha paralizzato la politica ateniese: il sovrano ha detenuto, infatti, la direzione degli affari e della condotta bellica, e ha potuto disporre di grandi risorse finanziarie; ha potuto agire a suo arbitrio senza annunziare decreti, senza deliberare pubblicamente, senza essere trascinato in giudizio dai sicofanti, senza incorrere in accuse di illegalità e senza presentare rendiconti, perché il suo potere era assoluto (par. 235). I perenni contrasti interni hanno indebolito Atene di fronte ad un avversario il cui potere era saldo, deciso ed incontrastato, quale era quello di Filippo: la facoltà di parola, infatti, è stata purtroppo concessa anche agli oratori al soldo del Macedone (par. 236). L’arringa si conclude, allora, con un invito fermo a «sterminare» (z\ÉPIMN OEi TVSÉPIMN  TSMœWEXI) quelli come Eschine, ovvero i nemici interni della Patria (par. 324).

Riaffiora, così, in questi passi, l’ambiguità del giudizio della demegoria 6XOO¶RUGLQDPHQWR GHOOR 6WDWR. Se per Isocrate la conflittualità è avvilente, Demostene la ritiene utile o dannosa a seconda delle circostanze. Laddove, nelle demegorie e nei discorsi giudiziarî, essa crea un forte ostacolo a fronte comune antimacedone e l’oratore si sente costretto alla difensiva, allora egli esprime un augurio in termini più astratti e globali criticando le lotte intestine; quando, invece, nei 3URRHPL (ma, occasionalmente anche in taluni discorsi), ha di vista la strategia nel breve termine, stigmatizza la conflittualità, se deve difendere la propria posizione, o la rinfocola (o, perlomeno, non la placa), quando si sente abbastanza sicuro per attaccare gli avversarî politici che colludono con la Macedonia.

Per questo, commentando fenomeni tipici dell’Atene del IV secolo, come la permanente conflittualità interna, il venir meno della stabilità delle leggi e l’uso a scopo politico degli istituti giuridici, la De Romilly ha osservato: «OHV plaidoyers de Lysias et de Démosthène avec VHV plaintes diverses sur toutes les formes d’anarchie, morale ou institutionnelle, laissent l’impression nette d’une démocratie qui se ruine en vaines querelles, tandis que l’ennemi se renforce»48. Situazione che ci viene testimoniata proprio in quei passi dei

3URRHPLD (come nei sopracitati 3URRHP. 20,3;



3URRHP. 30,1 e 3URRHP. 34,3), in cui Demostene, più o meno esplicitamente e

riutilizzando motivi topici, esprime il desiderio che Atene indirizzi le sue forze più contro i nemici esterni, anziché disperderle in una conflittualità logorante.

,,,  6HJQL GL FRQWUDGGL]LRQH GHOOD SROLV L’ambiguità di atteggiamenti di Demostene, ovvero la compresenza di veementi inviti a fermare con ogni mezzo quelli che egli considera i nemici interni di Atene – in genere i filomacedoni – e del tono sussiegoso delle sollecitazioni all’unità cittadina sono moneta corrente nella lotta politica, ma, nondimeno, innegabile segno di contraddizione della

SROLV. Anzitutto, nell’Atene classica, la Patria è identificata con lo

schieramento politico.Inoltre, in virtù dell’iniziativa individuale, che la democrazia sottende, istituti giuridici come la KVEJŸTEVER³Q[Re la IeWEKKIPfE,nati con lo scopo di difendere la legalità e l’interesse

48

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dello Stato ateniese, si prestano a divenire strumento di rivalità politiche e personali; oltre a ciò, le leggi possono non trovare completa ed efficace applicazione o vengono varate per tatticismi del momento. La KVEJŸ TEVER³Q[R può essere essere intentata da qualunque cittadino contro l’autore di una legge ritenuta anticostituzionale, ha effetto sospensivo e frequentemente viene utilizzata con lo scopo di paralizzare l’azione legislativa. La procedura di IeWEKKIPfEè un’accusa di alto tradimento che permette a chiunque di perseguire, dinanzi al Consiglio o all’Assemblea, chi agisca contro la democrazia e lo Stato; anch’essa può essere intentata per paralizzare l’azione di un uomo politico49.

Dalla &RQWUR$QGUR]LRQHdi Demostene sappiamo che Euctemone e Diodoro intentano un’accusa di illegalità contro Androzione; poi, cogliendo un’altra occasione, propongono un decreto relativo alla cattura di navi nel mare Egeo. Gli uomini vicini ad Androzione, allora, attaccano il decreto per illegalità e presentano, tramite Timocrate, una legge destinata a proteggere Androzione. Questa legge, a sua volta, è fatta oggetto di un’ulteriore accusa di illegalità. Eschine nella &RQWUR

7LPDUFR(parr. 178 s.), in merito alla consuetudine diffusa in Atene di

rispondere alle accuse altrui lanciandone altre, contrappone i giudizî emotivi, emessi in un clima concitato, alla stabilità e alla saggezza delle leggi, e prospetta l’impunità generale come conseguenza di una virulenta conflittualità permanente mossa da ragioni anche personalistiche. L’abuso e l’arbitrio divengono così pratica diffusa e ciò compromette gravemente la tenuta della democrazia. Timarco e Demostene accusano Eschine di malversazione nella sua ambasciata; Eschine risponde accusando Timarco di aver perso il diritto di parola a causa dei suoi costumi riprovevoli. Per cui, come ha scritto la De Romilly, da un lato «le régime populaire peut être cause des désordres, sans que la classe populaire y prenne directement part. [...] : en ouvrant la porte aux compétitions, il encourage les ambitions. De là naissent les désordres et l’inconduit», dall’altro «l’anarchie […] se manifeste […] par le biais même des institutions»50.

I ˜œXSVIN, inoltre, hanno interesse ad estendere la competizione politica alle aule di tribunale51. Demostene, infatti, scrive all’inizio della sua carriera orazioni giudiziarie di rilevanza politica, perché anche nei tribunali è possibile contrastare una determinata politica e promuoverne una differente52. I grandi processi politici sono, infatti, mezzi per sancire l’appartenenza ad uno schieramento, stringere alleanze, nonché saggiare lo stato dell’opinione pubblica e il suo

49

Cf. Ober (1989), 133. Sappiamo che erano rari i casi di una riunione dell’Assemblea come giuria per giudicare i casi di IeWEKKIPfE. L’unico caso ci è offerto da Lys. 28.

50

Cf. De Romilly (1975a), 98,105-108.

51

Cf. Mossé (1995a), 69. Gli statisti e gli strateghi venivano chiamati dai membri della loro fazione come testimoni o come intercessori nei processi politici per influenzare il verdetto della giuria (cf. Andoc. 6XLPLVWHUL, 92-95; 132-133; 150; Lys. &RQWUR (UDWRVWHQH, 86; Aeschn. 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 184; &RQWUR

&WHVLIRQWH, 7). Gli oratori potevano tentare di inficiare le testimonianze rese in un

processo politico adducendo la solidarietà e la complicità tra membri dello stesso schieramento (Isae. 5,8; Isocr. 18,51; Dem. 19,216; 29,22-23; 57,52; [Dem.] 48,42; Men. fr. 537 K.). Cf. Perlman (1963), 343; 351.

52

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atteggiamento nei riguardi della linea politica dei gruppi rivali. Un politico dà, inoltre, prova del suo senso dello Stato nell’ z\IX„^IWUEM OEXœKSVSN, ovveropromovendo cause non contro semplici cittadini, bensì contro gli uomini politici che si siano macchiati di colpe verso la città (cf. Dem. &RQWUR$QGUR]LRQH, 66; &RQWUR7LPRFUDWH, 173)53.

La conflittualità tra ˜œXSVINè una forma non ufficiale di controllo reciproco e di contrappeso di potere e consente di instaurare un equilibrio politico precario e provvisorio all’interno della SROLV54.

*OLVFKLHUDPHQWLSROLWLFLLQ$WHQH

2VVHUYD]LRQLVXL3URRHPP

È attorno a due schieramenti contrapposti che spesso si polarizza la disputa politica, come ricaviamo da 3URRHP  (¹TSQIlREM XS¾N P³KSYN ƒQJSX{V[R) e da 3URRHP  (TEVEWG³RXIN hWSYN ƒOVSEX‡N ƒQJSX{VSMN ¹QŠN EºXS»N). In taluni casi, l’oratore amplifica l’isolamento in cui si verrebbe a trovare, se sostenesse una ‘terza via’, come vediamo in 3URRHP  (z‡R X‡ QIXE\» XMN zKGIMV®P{KIMRO—U ¹QIlNQŸTIVMQ{RLXIQEUIlRGEVMIlXEMQ~R SºHIX{VSMNHMEFIFPœWIXEMH~TV¶NƒQJSX{VSYN) e 3URRHP  (Ie H~ TViR QEUIlR ƒTSWXEfLXI K{RSMX  ‰R zQSi QLHIX{VSYN ƒHMOSÁRXM TV¶N ƒQJSX{VSYN HMEFIFP¢WUEM). Nel 3URRHP , infine, dall’affermazione SmN XM HMEQEVX„RIMR Se³QIU šQIlN ¹QŠN (par. 2) ricaviamo la conferma della contrapposizione tra due fazioni. L’impiego in una demegoria fittizia dell’invito al pubblico a mostrarsi ascoltatore equanime dei GXHschieramenti che si fronteggiano (OSMRSi ƒQJSX{VSMNƒOVSEXEf [Isocr., 6XOODSDFH, 11]) rappresenta la riprova di una realtà politica affermata e convalidata. Con toni vibranti, nella

6HFRQGD2OLQWLDFD (par. 29) – e in 6XOO¶RUGLQDPHQWRGHOOR6WDWR, 2055 – Demostene accusa gli Ateniesi di fare politica «per simmorie», ovvero di dividersi tra loro e di schierarsi in GXH fazioni capeggiate ciascuna da un ˜œX[V,che gode di una posizione di strapotere quasi tirannico, e di sostenerne in vario modo la politica; al di sotto del ˜œX[Vvi è uno stratego56 e via via, in posizione subordinata, i «signori dell’urlo», nonché i cittadini (TSPMXI»IWUI OEX‡ WYQQSVfEN ˜œX[V šKIQÉR OEi WXVEXLK¶N ¹T¶ XS»X. OEi Sd FSLW³QIRSM [QIU  yOEX{V[R,

6XOO¶RUGLQDPHQWRGHOOR 6WDWR]SdH †PPSMTVSWRIR{QLWUISdQ~R

ÇN XS»XSYN Sd H  ÇN zOIfRSYN)57

. Mentre l’oratore non ama farsi vedere costantemente legato ad un determinato schieramento politico 53 Perlman (1963), 342 s. 54 Rubinstein (1998), 140 s. 55

Sul tema e sulla identità testuale tra i due brani, cf. Mathieu (1948), 55, 63; Trevett (1994), 185; Milns (2000), 209. Secondo Rupprecht (1927), 423, la ripetizione del concetto nelle due versioni significa che per Demostene esso riveste una particolare importanza, e può lasciare verosimilmente ipotizzare che egli dovesse già averlo espresso nella SHUIRUPDQFHorale della 6HFRQGD2OLQWLDFD.

56

Uno stratego impegnato in una campagna militare può trovarsi nelle condizioni di avere un ˜œX[V che proponga una strategia all’approvazione del popolo (cf. Aeschn. 6XOODIDOVDDPEDVFHULD, 71; Plat. (XWK\G 290cd).

57

In [Dem.] 58,61 il locutore definisce onorevole per il GHPRV non sottomettersi alla volontà degli oratori; e già Aristofane ((FFO. 176) colse il fatto che il popolo avesse abdicato alle sue prerogative e fosse docile ai cattivi oratori ed ai sicofanti. Sul tema cf. anche Tuplin (?), 286 s.

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