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R ADIOTELESCOPIO “ C ROCE D EL N ORD” D I R ICEVITORE D IGITALE P ER I L S VILUPPO H ARDWARE

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LETTRONICA

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S VILUPPO H ARDWARE

D I R ICEVITORE D IGITALE P ER I L

R ADIOTELESCOPIO “ C ROCE D EL N ORD”

Tesi di Laurea di: Relatore:

OGNIBENE ANDREA CHIAR.MO PROF. ING. FABIO FILICORI

Correlatori:

DOTT. ING. JADER MONARI DOTT. ING. GERMANO BIANCHI

(2)

Indice

Introduzione 1

Capitolo I IL RADIOTELESCOPIO “CROCE DEL NORD” 5

1.1 Introduzione 5

1.2 Il radiotelescopio “Croce del Nord” 8

1.2.1 Caratteristiche Generali 10

1.2.2 Il ramo Est-Ovest 12

1.2.3 Il ramo Nord-Sud 13

1.2.4 Costruzione dei 3 fasci del ramo Est-Ovest e dei 5 fasci del ramo Nord-Sud 15

1.3 Lo specchio 16

1.4 Sistema sfasamento ad oli per il ramo Nord-Sud 17 1.5 La “Croce del Nord” orientata verso SKA 19

Capitolo II S.K.A Square Kilomatre Array 21

2.1 Introduzione 21

2.1.1 Sensibilità 21

2.1.2 Risoluzione 24

2.1.3 Perdita di coerenza 26

2.2 Proposte per SKA 30

2.2.1 Soluzione australiana con Lune di Luneburg 31

2.2.2 Soluzione australiana con riflettori cilindrico-parabolici 33

2.2.3 Soluzione cinese 34

2.2.4 Soluzione statunitense 35

2.2.5 Soluzione canadese 36

2.2.6 Soluzione olandese 37

(3)

Capitolo III B.E.S.T Basic Element for SKA Training 39

3.1 Introduzione 39

3.2 Beamforming 40

3.3 Adaptive Beamforming 43 3.4 Multibeaming 44

3.5 Possibole Architettura di BEST 46

3.6 Sistema Software 51

3.7 Scheda di Acquisizione Analogico/Digitale ad Alta Velocità con Interfaccia Ethernet 56

3.8 Specifiche di Interfaccia della Scheda con l’esterno 58

Capitolo IV Condizionamento e Adattamento dei Segnali di Ingresso 61 4.1 Funzionamento del Primo Stadio 61

4.2 Generazione on-board dell’alimentazione a 2.5V 64

Capitolo V AD6645 e AD6634 66

5.1 Convertitore Analogico Digitale a 80MSPS: AD6645 66

5.2 Didital Down Converter: AD6634 72

5.3 Connessione tra AD6645 e AD6634 83

5.3.1 Interfacciamento Bus Dati 84

5.3.2 Protocollo e Interfaccia Segnali 85

5.3.3 CLK e Sincronismo 85

Capitolo VI FPSLIC AT94K40 e Moduli di Rete IIM7010A 91

6.1 Elaborazione dei dati in uscita dall’AD6634 91

6.2 FPSLIC AT94K40 – Descrizione Generale 93

6.3 Modulo di Rete IIM7010A – Descrizione Generale 96

6.4 Software FPSLIC – Configurazione 97

6.4.1 Interfaccia AD6634 98

6.4.2 Buffer & Controller 101

6.4.3 Hardware Accessorio 103

6.4.4 Interfaccia IIM7010A 105

6.5 Struttura Finale della Scheda 109

(4)

Capitolo VII Microcontrollore AT90S8515 e IIM7010A in Ricezione 112

7.1 Microcontrollore AT90S8515 112

7.2 Trasmissione dei Comandi dalla Postazione Centrale e

Comunicazione tra AT90S8515↔IIM7010A 114

7.3 Reset Globale della Scheda 117

Capitolo VIII TEST ESEGUITI SULLA BOARD 121

8.1 Testing AD6645-AD6634 121

8.2 Testing sulla Board RADIOTELESCOPIO 129

8.2.1 Testing Primo Stadio 130

8.2.2 Prove di Comunicazione 135

Conclusioni 138

Appendice A TEORIA DEI SEGNALI 142

A.1 Introduzione 142

A.2 Segnali Periodici Tempo-Continui 142

A.3 Segnali Aperiodici Tempo-Continui 144 A.3.1 Proprietà della trasformata di Fourier 146

A.3.2 Ripetizione periodica di una funzione 148

A.4 Segnali Tempo-Discreti o Serie Temporali 149

A.4.1 Teorema del campionamento nel dominio del tempo

(teorema di Shannon) 150

A.4.2 Trasformata Discreta di Fourier (DFT) 151 A.4.3 Fast Fourier Trasform (FFT)

154

Appendice B TEORIA DELLA COVERSIONE ANALOGICO

DIGITALE 156

B.1 Generalità sui Segnali Numerici 156

B.2 Conversione Analogico Digitale 157

B.2.1 Campionamento 157

B.2.1.1 Campionamento al Doppio della Massima

Frequenza 158

B.2.1.2 Oversampling 160

B.2.1.3 Undersampling 161

B.2.2 Quantizzazione 165

(5)

B.2.2.1 Quantizzazione Uniforme 168

B.2.2.2 Quantizzazione Non Uniforme 169

B.2.3 Codifica 175

Appendice C TEORIA FILTRI DIGITALI 176

C.1 Sistemi Lineari Tempo Invarianti Tempo Discreto 176

C.2 Trasformata Z 178

C.3 Filtri Trasversali 180

C.3.1 Filtri IIR 181

C.3.2 Filtri FIR 181

C.3.3 Progetto filtri FIR: Alcuni metodi 183

C.4 Filtri Multirate 186

Appendice D TEORIA RICEVITORI DIGITALI 188

D.1 Generalità sugli Apparati Riceventi 188

D.2 Ricevitore Supereterodina 190

D.3 Ricevitore Digitale 195

D.3.1 Oscillatore Locale Digitale 198

D.3.2 Mixer Digitale 200

D.3.3 Filtro Digitale Passa Basso a Decimazione 202

D.4 Applicazioni dei Ricevitori Digitali 204

Appendice E TEORIA DEL BEAMFORMING 205

E.1 Introduzione al Beamforming 205

E.2 Modello di Riferimento 208

E.3 Classificazione dei Beamformers 217

Schematico completo

Bibliografia

(6)

Ringraziamenti

Ringrazio il Prof. Fabio Filicori per avermi offerto la possibilità di realizzare una tesi su di un argomento così stimolante ed interessante, permettendo in questo modo un arricchimento sia del mio bagaglio culturale che del mio bagaglio tecnico.

Un ringraziamento particolare all’Ing. Jader Monari, un amico prima che un tutore, che con la sua grande disponibilità mi ha seguito durante lo svolgimento della tesi, contribuendo a fornirmi un prezioso bagaglio di conoscenze.

Un grazie sentito anche all’Ing. Germano Bianchi, sempre pronto a dare un consiglio, e a tutto il personale dell’Istituto Radio Astronomico di Medicina, sempre disponibile quando ho avuto bisogno. Grazie anche all’Ing. Augusto Pieracci e all’Ing. Oscar Balducci dello Spin-Off µ-Idea che mi hanno assistito in buona parte del mio lavoro.

Un grazie alla Tete che mi ha accompagnato e sopportato nella fase finale degli studi, sperando che lo faccia ancora per molto tempo.

Infine il ringraziamento più grosso spetta a Luciano e Antonia, i miei genitori, che hanno sempre creduto in me dandomi la fiducia e la serenità necessaria per portare a termine il mio percorso scolastico.

... a tutti voi un grazie di cuore ...

(7)

Introduzione

Nel corso dei secoli fino ad oggi, l’uomo ha sempre cercato di osservare, analizzare, capire e studiare il mondo che lo circonda e le leggi fisiche che lo governano. Per spiegare tali eventi naturali è di fondamentale imporatnza osservare, interpretare ed elaborare la realtà che ci circonda. L’analisi dei segnali è perciò oggi una disciplina di rilevantissima importanza, soprattutto in campo scientifico.

Di per sé la natura è descritta da un insieme di grandezze che assumono valori continui nel tempo e nello spazio; tali grandezze sono dette analogiche. Oggi, ogni disciplina scientifica sfrutta le immense potenzialità messe a disposizione dal calcolo elettronico che si avvale di supporti tecnologici basati sulla logica combinatoria per immagazzinare, elaborare e produrre informazioni. Per questo motivo si è resa necessaria l’introduzione della discretizzazione delle grandezze analogiche. La digitalizzazione del mondo analogico ed i procedimenti di calcolo che da essa ne derivano divengono quindi nodo fondamentale del percorso cognitivo dell’uomo.

La radioastronomia non sfugge ovviamente a tale situazione ma, anzi, s’inserisce in esso in una posizione di primaria importanza poiché le problematiche cui deve far fronte si collocano sul limite di quell’immaginario insieme che costituisce il bagaglio delle conoscenze umane.

La presente tesi di laurea è svolta all’interno dell’Istituto Radio Astronomico (IRA) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Medicina (BO), nel quale sono particolarmente sentiti i problemi inerenti all’acquisizione e l’elaborazione dei

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segnali provenienti dal cosmo. Col seguente lavoro si vuole sviluppare l’hardware di un ricevitore digitale per il radiotelescopio “Croce del Nord” che ne permetterà, grazie al miglioramento del sistema d’acquisizione, un aumento di sensibilità e risoluzione.

L’Istituto di Radio Astronomia, grazie all’esperienza che acquisirà dall’up-grade del radiotelescopio Croce del Nord, intende partecipare attivamente al progetto SKA, acronimo di Square Kilometre Array, un radiotelescopio di nuova concezione che offrirà un milione di metri quadrati d’area collettrice e risolverà parecchi interrogativi ancora aperti nel mondo della radioastronomia. Questo radiotelescopio consentirà, oltre un notevole aumento del potere risolutivo dovuto alla grande area collettrice a disposizione, di raggiungere una sensibilità di due ordini di grandezza superiore a quella degli attuali radiotelescopi e di osservare più porzioni di cielo contemporaneamente potendo contare su un sistema multiusers.

Il maggior potere risolutivo e la superiore qualità del segnale ricevuto dovuta all’aumento della sensibilità sono caratteristiche fondamentali per poter studiare con miglior accuratezza la formazione e lo sviluppo di stelle, galassie e quasar. SKA si propone, infatti, di esaminare i componenti gassosi dell’universo per dare una risposta alle sue origini ed alla sua evoluzione, dando la possibilità agli astronomi di vedere a distanze corrispondenti ad un milione d’anni dopo il Big Bang.

I benefici che si avranno dalla realizzazione di tale progetto, non sono però legate soltanto al mondo della radioastronomia. Trattandosi di un progetto così innovativo, SKA porta con sé notevoli vantaggi dovuti alla ricerca e allo sviluppo di nuove tecnologie che troveranno applicazione nelle telecomunicazioni, nell’information technology e nei settori attigui. Basti pensare, per esempio, che l’elevata sensibilità richiesta dal progetto determina inevitabilmente problemi legati alle interferenze a radiofrequenza richiedendo lo sviluppo di tecniche sempre più all’avanguardia nella loro mitigazione.

Con il progetto del ricevitore digitale si vuole creare un sistema d’acquisizione dati ad alta velocità che riceva in ingresso i segnali d’antenna in forma analogica, modulati su di una portante a 30MHz ed aventi banda pari a 3.5MHz. Tale sistema

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dovrà essere in grado di campionare tali segnali e portarli in banda base con una risoluzione tale da garantire il corretto funzionamento anche alla presenza di forti interferenze captate dall’antenna, che altrimenti manderebbero in saturazione il sistema. Si vuole in oltre che i dati siano inviati in real-time e tramite protocollo IEEE 802.3 alla processor room dove saranno raccolti, riordinati ed interpretati.

I vincoli di progetto che derivano dalle specifiche date sono:

1. acquisizione e conversione A/D ad alta velocità, causa l’elevata frequenza di lavoro con la quale è acquisito il segnale analogico;

2. acquisizione e conversione A/D ad alta risoluzione;

3. trasferimento dati ad alta velocità con protocollo IEEE 802.3;

4. basso costo.

Dai vincoli sopra citati si andrà ad effettuare una ricerca di mercato per scegliere la componentistica adeguata da inserire sulla scheda.

Un ulteriore specifica che si dovrà tenere in considerazione in fase di progetto sarà la possibilità di poter controllare il ricevitore (in real-time) mediante appositi comandi che saranno inviati dalla processor room.

Essendo questa, per l’Istituto di Radio Astronomia, la prima esperienza in merito al progetto del ricevitore digitale, obiettivo del mio lavoro sarà la realizzazione di un primo prototipo che diverrà poi punto di partenza per sviluppi futuri.

L’esposizione del lavoro da me svolto verrà suddivisa in capitoli e tratterà dei seguenti argomenti:

§ una parte descrittiva del radiotelescopio “Croce del Nord”, del suo attuale funzionamento e del suo up-grade;

§ una parte dedicata allo sviluppo del progetto del ricevitore digitale;

§ una parte dedicata ai testing sulla scheda.

Si inserirà inoltre un’ampia appendice contenente i richiami teorici degli argomenti

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che si affronteranno nel corso della dissertazione, inserendo anche i data sheet dei componenti utilizzati.

(11)

CAPITOLO I

IL RADIOTELESCOPIO

CROCE DEL NORD

1.1 Introduzione

La radioastronomia rappresenta quel campo dell’astronomia che si occupa dello studio dei corpi celesti nel range di frequenza delle onde radio, cioè in quella gamma dello spettro elettromagnetico con lunghezza d’onda λcompresa fra poco meno di un millimetro (frequenza f=300GHz) e un centinaio di metri (frequenza f=3MHz).

Nonostante gli oggetti celesti forniscano informazioni distribuite sull’intero spettro elettromagnetico, da terra è possibile ricevere solo una piccola parte di tale spettro di emissione. Questo comprende: il visibile, le microonde e le onde radio. Nella parte alta dello spettro (λ <1cm), le radiazioni elettromagnetiche sono assorbite dall’ossigeno, dall’anidride carbonica e dal vapore acqueo della bassa atmosfera, mentre nella parte bassa dello spettro (λ >10m), le osservazioni sono limitate dalla presenza della ionosfera, che riflette verso lo spazio le onde provenienti da oggetti lontani dal nostro pianeta. Le onde di frequenza compresa tra i 30MHz e i 30GHz , non sono invece assorbite in modo sensibile né dalla materia interstellare, né dall’atmosfera, per cui è possibile, per la radioastronomia, lo studio di oggetti celesti altrimenti invisibili con normali strumenti ottici.

Gli strumenti per l’osservazione radioastronomica, sono chiamati radiotelescopi, ed in linea di massima constano di un’antenna direttiva, un sensibile ricevitore e un sistema di elaborazione ed analisi dei dati: generalmente un calcolatore connesso a varie periferiche. Innanzi tutto va precisato che un radiotelescopio è uno strumento del tutto simile ad un normale telescopio ottico, ma, a differenza di quest’ultimo,

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riceve le emissioni elettromagnetiche delle sorgenti astronomiche nello spettro delle onde radio anziché nello spettro del visibile.

La scoperta delle emissioni radio da parte dei corpi celesti risale ai primi anni ’30 del secolo scorso, quando un ricercatore presso i Bell Telephone Laboratories di Holmdel (NJ), Karl Jansky, costruì uno strumento in grado di rivelare certi “segnali interferenti” che disturbavano le prime comunicazioni radio dell’epoca. Quando ci si rese conto che quei segnali potevano provenire da radiosorgenti astronomiche, sono iniziati i primi studi a frequenze diverse da quelle ottiche. Osservando il cielo a frequenze differenti, è stato possibile catalogare tutti i corpi celesti osservati, in base alla gamma di emissioni prodotta.

Due parametri di fondamentale importanza nella descrizione di un radiotelescopio, sono la sensibilità e la risoluzione. Per sensibilità si intende la minima intensità rilevabile dallo strumento, mentre per risoluzione si intende la minima distanza angolare tra due sorgenti che lo strumento riesce a distinguere. L’analisi dettagliata delle due grandezze è rimandata ai primi paragrafi del Capitolo 2, per il momento è sufficiente ricordare che la sensibilità è strettamente legata all’area collettrice dell’antenna, o della schiera di antenne, che si sta utilizzando, mentre la risoluzione è legata all’apertura (in gradi) del fascio di antenna, legata a sua volta sia dalle dimensioni fisiche dell’antenna che dalla sua frequenza di lavoro. Per chiarire meglio questo concetto, si consideri un’antenna parabolica (Figura 1.1a) nella quale, con una certa area efficace, non è possibile distinguere due radiosorgenti distanti un angolo minore di ϕ. In particolare ϕ =57.3 Dλ, cioè l’angolo di apertura del fascio in gradi è dato dal rapporto tra 57.3 ed il diametro dell’antenna Dλ misurato in lunghezze d’onda.

Per avere una risoluzione migliore, e quindi un angolo ϕ minore, è necessario disporre di un diametro d’antenna maggiore (Figura 1.1b) o lavorare a frequenze più elevate. Da un certo punto in poi non è più plausibile aumentare le dimensioni fisiche dell’antenna, ma conviene porre, sfruttando una nota legge dell’ottica, più antenne singole di dimensioni contenute ad una distanza equivalente al diametro che si avrebbe con un’unica grande antenna. Più lontani vengono posti gli elementi

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riceventi, più stretto sarà il fascio d’antenna risultante.

Figura 1.1: Potere risolutore di un’antenna parabolica al variare del diametro d’antenna Dλ

Per tali motivi, verso la fine degli anni ’70, si concepirono le reti di radiotelescopi come la VLBI (Very Long Baseline Interferometry) europea (Figura 1.2) e la VLBA (Very Long Baseline Array) americana. Osservando una singola radiosorgente con tutti gli elementi della rete, si ottiene un aumento della risoluzione garantito dalle grandi dimensioni della struttura complessiva.

Figura 1.2: Rappresentazione schematica dell’attuale rete VLBI (b) (a)

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E’ da tenere presente però che, poiché la superficie complessiva è data dalla somma delle superfici dei singoli radiotelescopi, la sensibilità è data dalla media geometrica delle singole sensibilità; per questo motivo alla elevata risoluzione spaziale si affianca una bassa sensibilità. Nasce così l’idea di SKA (Square Kilometre Array), un radiotelescopio con area collettrice complessiva di un milione di metri quadrati.

Questo porterà a strumenti aventi potere risolutore paragonabile a quello delle attuali reti VLBI, ma con un considerevole aumento di sensibilità.

Attualmente, per la realizzazione di tale idea, sono state proposte varie soluzioni, come: piccole antenne paraboliche, phased-array piatti, lenti sferiche (lenti di Luneburg) e antenne cilindrico-paraboliche (come la Croce del Nord).

1.2 Il radiotelescopio “Croce del Nord”

L’Istituto di Radio Astronomia (IRA), facente parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), gestisce due osservatori radioastronomici con lo scopo di studiare sorgenti radio nello spazio: uno presso Medicina (BO) (Figura 1.3), e l’altro presso Noto (SR).

Figura 1.3: Mappa IRA Medicina (BO)

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Nella stazione di Medicina si trovano sia il radiotelescopio Croce del Nord che l’antenna parabolica per VLBI (Figura 1.4), quest’ultima è identica all’antenna della stazione di Noto. A questi due osservatori presto se ne aggiungerà uno in Sardegna.

Il radiotelescopio Croce del Nord è il più grande strumento, nel suo genere, di tutto l’emisfero boreale; la sua costruzione è cominciata nel 1960 (Figura 1.5,6) ed opera dal 1964.

Figura 1.4: Vista aerea stazione radioastronomica di Medicina

Figura 1.5: Foto storica costruzione radiotelescopio Croce del Nord

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Figura 1.6: Foto storica costruzione radiotelescopio Croce del Nord

Nel corso degli anni gli sono state apportate numerose modifiche sia nella parte meccanica che nella parte elettrica ed elettronica. Attualmente sono in fase di studio ulteriori migliorie, alcune delle quali sono oggetto di questa tesi.

1.2.1 Caratteristiche Generali

Il radiotelescopio Croce del Nord presenta una struttura detta a “Croce di Mills” nella sua variante a “T” (Mills e Little, 1953). E’ composta da due bracci perpendicolari orientati verso le direzioni cardinali Nord-Sud (ramo NS) e Est-Ovest (ramo EW).

Questa apparecchiatura nasce come strumento di transito orientabile in declinazione, ossia capace di ricevere le radiazione elettromagnetiche provenienti da un punto dello spazio quando questo, per effetto della rotazione terrestre, si trova sul piano del meridiano celeste locale.

Le frequenze ricevute sono centrate sul valore di 408MHz (pari ad una lunghezza d’onda λ=73.5cm) con un’ampiezza di banda di circa 2.7MHz.

I due bracci costituenti la croce del nord sono due array di antenne molto diversi tra loro:

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• il ramo EW (Figura 1.7) è costituito da un’unica antenna con specchio di forma cilindrico-parabolica lungo 564 metri e largo 35. Lungo l’asse focale, parallelo all’asse di rotazione e a distanza di circa 20 metri da esso, si trovano allineati 1536 dipoli tra loro equidistanziati di 36cm (circa λ/2).

Figura 1.7: Ramo Est-Ovest

• il ramo NS (Figura 1.8) è costituito da 64 antenne, anch’esse di forma cilindrico-parabolica, lunghe 23.5 metri e larghe 7.5, disposte parallelamente a 10 metri l’una dall’altra. Sull’asse focale di ogni antenna sono disposti 64 dipoli, in maniera del tutto analoga a quelli del ramo EW, per un totale di 4096 dipoli.

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Figura 1.8: Ramo Nord-Sud

Si può quindi calcolare un’area massima teorica collettrice di 31632m2. La scelta di una struttura così differente per i due rami è dovuta al fatto che sarebbe stato impossibile realizzare un unico cilindro parabolico con asse in direzione NS orientabile in declinazione e coi relativi dipoli paralleli a quelli del ramo EW.

1.2.2 Il ramo Est-Ovest

I 1536 dipoli del ramo EW sono divisi in 6 sezioni da 256 dipoli ciascuna; all’interno di ogni sezione si opera una somma progressiva dei segnali raccolti, con un metodo detto ad albero di Natale (Figura 1.9), che permette di passare da 256 segnali elementari ad un unico segnale mantenendo le specifiche desiderate.

All’interno di ogni sotto sezione costituita da 64 dipoli, il segnale elettrico si propaga all’interno di una linea cava di alluminio, mentre dalle sotto sezioni fino alle cabine si propaga su cavo coassiale rigido. La prima parte è quella più critica, in quanto occorre mantenere il più possibile costanti le condizioni atmosferiche. Per questo motivo, sia i dipoli, sia il primo percorso in cava, sono racchiusi da un involucro in polietilene ad alta densità, trasparente alla radiazione elettromagnetica, che viene riempito con aria secca.

Figura 1.9: Struttura ad albero di Natale ramo EW

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Il segnale radio a (408±1.35)MHz, dove con ±1.35MHz si intende il fatto che attorno alla portante si ha una banda di 2.7MHz, viene convertito, una volta giunto in cabina, a (30±1.35)MHz per ridurre le perdite nel collegamento tra le cabine e la sala di elaborazione. Infatti, si ricorda che le perdite per effetto pelle sono proporzionali alla radice quadrata della frequenza. I segnali a frequenza intermedia (IF) giungono alla stazione di elaborazione tramite cavi coassiali interrati a circa 1.20 metri di profondità, in modo da sottrarli alle rapide variazioni termiche giornaliere che altererebbero le delicate relazioni di fase e ampiezza fra i segnali provenienti dalle 6 cabine (6 canali). Le variazioni termiche lente, stagionali, non comportano causa di errore poiché vengono compensate nelle calibrazioni giornaliere.

1.2.3 Il ramo Nord-Sud

Anche i 4096 dipoli del braccio NS sono divisi in sezioni prima di essere trasmessi alla stanza del ricevitore. Ogni sezione raggruppa 8 antenne (512 dipoli). I segnali provenienti dai dipoli vengono prima sommati in parallelo a gruppi di 8, poi sommati ad albero natale come mostrato in Figura 1.10. Scegliendo un buon compromesso tra efficienza e semplicità realizzativa, i segnali dai dipoli vengono successivamente sommati fino ad avere un singolo segnale per ogni antenna.

Figura 1.10: Struttura ad albero di Natale ramo NS

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Per quanto riguarda la fase di acquisizione del segnale, la situazione si presenta completamente diversa rispetto a quella del ramo EW. Infatti come si vede dalla Figura 1.11 i punti equifase (P1,…,P8) non arrivano in fase sulle singole antenne poiché sono diversi i percorsi in aria (L1,…,L8).

Figura 1.11: a) puntamento allo zenit, b) e c) puntamento in declinazioni differenti

Occorre quindi adottare un sistema di sfasatori (sistema ad oli, paragrafo 1.4), variabili col puntamento, per rimettere in fase i segnali provenienti dalle singole antenne prima di sommarli al fine di ottenere un singolo segnale per sezione. Appena il segnale entra in cabina viene convertito alla frequenza di 30MHz, analogamente a quanto accade per il ramo EW, e tramite cavi coassiali viene trasportato nella stanza di elaborazione.

Ora i 14 segnali devono attraversare opportune linee di ritardo tali da equalizzare i diversi percorsi tra le 14 cabine e la stanza di elaborazione.

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1.2.4 Costruzione dei 3 fasci del ramo Est-Ovest e dei 5 fasci del ramo Nord-Sud Se si sommano in fase i segnali provenienti dalle 6 sezioni del ramo EW si ottiene quello che viene chiamato: fascio B (Figura 1.12). Se si ritardano progressivamente i segnali elettrici che arrivano alle 6 sezioni del ramo EW, quando si andranno a sommare, sarà come sommare segnali provenienti da punti in fase su di una superficie d’onda che non ha la direzione del meridiano, ma è spostata. Se lo spostamento è in anticipo abbiamo il fascio A, se è in ritardo il fascio C.

Per cui, con un semplice arteficio di natura elettrica, è come se invece di una sola antenna puntata verso il meridiano, si abbiano 3 antenne puntate in direzioni progressive. La sorgente, in moto apparente a causa della rotazione terrestre, attraverserà prima il fascio A, poi il fascio B ed infine il fascio C generando tre tracciati identici ma sfasati nel tempo. Un eventuale disturbo di origine terrestre entrerà invece contemporaneamente nei 3 fasci generando tre tracciati identici e non sfasati nel tempo (Figura 1.12).

Analogamente si può operare con i segnali che arrivano dalle 8 sezioni del ramo NS, ottenendo in questo caso 5 fasci puntati elettricamente in 5 direzioni progressivamente spostate da Nord verso Sud, ma tutte alla stessa ascensione retta, quella del meridiano. In questo caso l'artificio permette di esplorare contemporaneamente una zona più estesa di cielo durante una stessa registrazione.

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Figura 1.12: Formazione dei 3 fasci edl ramo EW e transito di radiosorgente con rilevazione di disturbo

1.3 Lo specchio

La forma cilindrico-parabolica dello specchio è scelta per le proprietà matematiche della parabola (Figura 1.13) che permettono di:

• far convergere sul fuoco tutte le radiazioni provenienti da una direzione parallela all’asse della parabola,

• ottenere che tutti i punti di una superficie d’onda (punti equifase) provenienti da tale direzione siano ancora in fase nel fuoco.

La precisione meccanica della struttura non è da considerare in senso assoluto, ma relativamente alla lunghezza d'onda alla quale lo strumento lavora. Se la forma dello specchio non differisce da un profilo parabolico per più di un sedicesimo della lunghezza d'onda (tolleranza che deve comprendere gli effetti di deformazione meccanica dovuta al mutamento degli agenti atmosferici), si può ritenere che tali imperfezioni non influenzino il rendimento dell’antenna.

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Figura 1.13: Parametri fondamentali della parabola e condizione reale che si ha nel ramo EW della Croce del Nord.

Lavorando ad una lunghezza d’onda pari a 73.5cm, è stato possibile costruire lo specchio non a superficie completamente piena, ma utilizzando cavi d’acciaio (Figura1.14) tesi a circa 2cm di distanza l’uno dall’altro.

Questa metodologia costruttiva dello specchio dà il grande vantaggio di non avere una struttura piena che quindi è meno costosa e meno sensibile agli agenti atmosferici (come neve e vento) che potrebbero limitare la precisione dello strumento alterandone il profilo.

Figura 1.14: particolare dei fili d’acciaio dello specchio.

Il potere risolutore è di 4'-5' in direzione NS e di 4' in direzione EW, valori che appaiono ridicoli rispetto a quelli ottenibili con telescopi ottici. Tuttavia, molto maggiore è la quantità di radiazione raccolta dalla Croce, poiché essa è proporzionale alla superficie dello specchio (circa 30000m2). Tale caratteristica permette di ricevere ed individuare radiosorgenti estremamente deboli.

1.4 Sistema sfasamento ad oli per il ramo Nord-Sud

La velocità di propagazione di un segnale in un cavo coassiale è pari : v= εµ dove ε rappresenta la costante dielettrica e µ la permeabilità magnetica del materiale

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interposto fra il conduttore centrale e quello esterno del cavo coassiale. Se il segnale elettrico percorre un cavo coassiale di lunghezza fissa ma diviso in 2 zone, come

mostrato in Figura 1.15a, dove nella prima il dielettrico è l’aria e nella seconda è il kerosene, la velocità di propagazione nelle 2 zone sarà diversa.

Figura 1.15: Sistema di rifasamento ad oli.

Ne segue che il tempo per percorrere l’intero cavo vale:

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c l l l

t =[k1+( − 1)]

dove:

c = velocità della luce nel vuoto,

k = costante che definisce il rallentamento di propagazione dove c’è il dielettrico, l = lunghezza del cavo,

l1= lunghezza della parte di cavo riempita da kerosene.

Al variare di l1 varia il tempo di propagazione del segnale, e quindi il ritardo. La realizzazione pratica è stata fatta utilizzando un cavo coassiale i cui conduttori sono 2 profilati a sezione quadrata in alluminio (Figura 1.15b). Tra i 2 conduttori vi sono 4 tubi circolari di polipropilene che servono a contenere il kerosene. In questo modo non tutto lo spazio tra i conduttori è riempito di liquido, diminuendo l’efficacia del rallentamento del segnale, ma favorendo una più semplice costruzione e un minor disadattamento elettrico tra la parte senza e quella con kerosene. La regolazione della porzione di cavo coassiale riempita di dielettrico, sufficiente a compensare i ritardi di fase, viene svolta variando i livelli di liquido nei cavi.

A 408MHz, per ottenere un ritardo fra un gruppo di 8 antenne ed un altro, pari ad una lunghezza d’onda (360°), occorrono circa 4 metri di percorso in cavo coassiale con dielettrico kerosene.

1.5 La “Croce del Nord” orientata verso SKA

Quanto detto finora riguarda la Croce del Nord nella sua configurazione attuale. Le sue grandi dimensioni le permettono di diventare in ottimo strumento di prova delle tecnologie che saranno sviluppate per il progetto SKA.

Ogni volta che si ha a che fare con schiere di antenne, bisogna tenere in considerazione il ritardo con cui ogni antenna riceve il segnale radioastronomico rispetto a tutte le altre. La giusta calibrazione dei ritardi è quindi molto importante.

Eventuali errori portano a perdite di guadagno indesiderate che si traducono in una

(26)

riduzione della sensibilità dello strumento. Il parametro che rappresenta questo fenomeno prende il nome di perdita di coerenza. Come si vedrà in maggior dettaglio nel Capitolo 2, questo parametro dipende principalmente dalla banda del segnale ricevuto e dal ritardo con cui il fronte d’onda incide sulle antenne della schiera.

Questo tipo di problema si presenta in qualsiasi schiera di antenne, ma dev’essere arginato maggiormente quando si considerano bande molto ampie, oppure tempi di ritardo molto elevati dovuti alla grande distanza tra le antenne, come nel caso del VLBI o del progetto SKA.

(27)

CAPITOLO II

S.K.A.

Square Kilometre Array

2.1 Introduzione

Come anticipato nel precedente capitolo, un radiotelescopio è caratterizzato da alcuni importanti parametri che ne delineano il funzionamento: sensibilità, risoluzione e per schiere di antenne anche perdita di coerenza.

2.1.1 Sensibilità

Per sensibilità s’intende la minima intensità rilevabile dallo strumento e può essere anche interpretata come la minima variazione di potenza rilevabile. Detta p la potenza ricevuta dallo strumento per unità di banda, questa sarà pari a:

[ ]

p=ae⋅Sm W Hz (2.1)

dove ae rappresenta l’area efficace di raccolta delle onde radio, mentre Sm è il flusso di potenza per unità di banda

[

W Hz m 2

]

che si accoppia effettivamente con l’antenna. Si sottolinea che il parametro rappresentante l’area efficace non coincide con l’area fisica dell’apertura dell’antenna e dipende dalla direzione puntata. Va anche osservato che la radiosorgente genera una densità di flusso S, di cui Sm è quella componente con la stessa polarizzazione dell’antenna: solo questa parte di S darà contributo alla potenza che verrà rilevata all’uscita, quindi ae è riferita a questa sola componente. Nel caso di radiazione polarizzata casualmente si ha :

(28)

S S W

m = Hz m





2 2 (2.2)

E’ possibile definire la sensibilità anche in termini di temperatura di sistema, rendendo così più semplici le informazioni da trattare. Per far questo è necessario sostituire l’antenna con una resistenza fittizia ed applicare la relazione di Nyquist:

[ ]

p= ⋅k Ta W Hz (2.3)

dove k=1 38 10. ⋅ 23

[ ]

J K rappresenta la costante di Boltzmann, mentre Ta, detta temperatura d’antenna, indica la temperatura equivalente di rumore del resistore fittizio. Uguagliando la potenza ricevuta dall’antenna (2.1) con quella generata dal resistore (2.3) si ottiene:

[ ]

T S a

k K

a

m e

= ⋅

(2.4)

Bisogna sottolineare che questa grandezza non rappresenta la reale temperatura fisica dell’antenna, ma soltanto l’equivalente di un livello di potenza per unità di banda. In aggiunta al contributo della temperatura di rumore d’antenna, bisogna considerare quello della temperatura di rumore del ricevitore TRX, causata dalla rumorosità degli elementi circuitali all’interno del ricevitore stesso. E’ importante che, qualora sia significativo, in TRX va considerato anche il contributo di un eventuale cavo di collegamento con l’antenna (Figura 2.1). Il procedimento con il quale si ottiene il valore di TRX è il medesimo con il quale si è ricavata la temperatura equivalente di antenna.

(29)

Figura 2.1: Rappresentazione della TRX.

Nello stesso modo la temperatura d’antenna non considera solo il contributo dell’antenna, ma anche quelli dovuti al cielo e al terreno.

La temperatura equivalente di rumore dell’intero sistema antenna-ricevitore TSYS è definita da:

TSYS =Ta +TRX (2.5)

E’ possibile ora definire la sensibilità di un radiotelescopio come la minima variazione di temperatura equivalente di rumore rilevabile dallo strumento:

∆T k T

B K

s SYS

min = ⋅ [ ]

⋅ τ (2.6)

dove ks è una costante (adimensionale) di sensibilità con valore compreso tra 0.6 e 2 a seconda del radiotelescopio e del tipo di osservazione (in particolare ks=1 se il sistema considerato ha banda passante rettangolare). Il parametro B rappresenta la banda del segnale e τ il tempo di integrazione, cioè il tempo di osservazione della radiosorgente.

Volendo indicare la stessa grandezza in termini di minima densità di flusso rilevabile, ricordando la (2.2) e la (2.4), dalla (2.6) si ottiene:

∆ ∆

S k T

a

k k T

a B Jy

e

s SYS e

min

min [ ]

= ⋅

= ⋅ ⋅

⋅ ⋅

2 2

τ (2.7) Ricevitore

Linea di trasmissione Ta

TSY

TRX

(30)

con ovvio significato dei simboli ivi espressi. L’unità di misura utilizzata è il Jansky [Jy], dall’omonimo ricercatore Karl Jansky. Per paragonare la grandezza introdotta con le altre unità di misura si ricorre alla seguente equivalenza:

1Jy 10 26 W 2

⇔ Hz m

2.1.2 Risoluzione

Per risoluzione di un radiotelescopio si intende la minima distanza angolare alla quale due sorgenti radio devono trovarsi per poter essere distinte e non essere rilevate dallo strumento come un’unica entità. Per dare una definizione analitica di risoluzione, è prima opportuno introdurre alcuni concetti basilari sulle antenne in genere, che renderanno più chiaro il concetto di area efficace sopra introdotto.

Con riferimento ad un sistema di coordinate polari

(

r, ,θ ϕ

)

, si definiscono le seguenti funzioni :

• potenza irradiata per unità di superficie =p r dP dS ( , , )θ ϕ = T

• funzione direttività di antenna =d p r

PT r

( , ) ( , , )

θ ϕ θ ϕ

= π

⋅ ⋅ 4 2

dove PT rappresenta la potenza totale trasmessa da un’antenna e dS indica la porzione infinitesima di superficie sferica contenente l’antenna. Ne segue che la quantità PT 4⋅ ⋅π r2 rappresenta la potenza media attiva irradiata attraverso la superficie sferica di raggio r. Per il teorema di reciprocità vale un discorso del tutto analogo per le antenne riceventi, in questo caso la potenza sarà quella ricevuta.

Ora è possibile definire la funzione area efficace come:

ae( , )θ ϕ =(λ2 4⋅ ⋅π) d( , )θ ϕ (2.8)

(31)

Si noti come la funzione area efficace dipenda dalla direzione di puntamento, dalla lunghezza d’onda e sia espressa in metri quadrati. Nella direzione (θ ϕM, M) che massimizza d, e quindi anche ae, si definiscono:

direttività = D = d(θ ϕM, M) area efficace = Ae = ae(θ ϕM, M)

In condizioni ideali di antenna ricevente con rendimento unitario, adattata e senza perdite di polarizzazione, la funzione area efficace rappresenta la costante di proporzionalità tra la potenza ricevuta e la densità del campo elettromagnetico incidente l’antenna, come visto nella (2.1).

Si introduca ora la funzione radiazione espressa in coordinate polari come:

f a

A

d D

e e

( , ) ( , ) ( , )

θ ϕ θ ϕ θ ϕ

= = (2.9)

La funzione di radiazione rappresenta il comportamento dello strumento su una superficie tridimensionale che, sezionata con dei piani secanti, permette di ottenere i diagrammi di radiazione. In ambito radioastronomico è maggiormente diffuso l’impiego del diagramma di potenza (detto anche diagramma di fascio), ricavato tramite l’elevamento a potenza del diagramma di radiazione, come mostrato in Figura 2.2. Per avere buona risoluzione è importante che il lobo principale sia stretto, quindi molto direttivo, e che i lobi secondari non ricevano una quantità di potenza di radiazione troppo elevata, in quanto si avrebbe una perdita d’informazione sulla posizione della radiosorgente.

La risoluzione è per convenzione identificata tramite l’ampiezza angolare del lobo principale a metà potenza HPBW (Half Power Beam Width):

2 BWFN

HPBW ≅ (2.10)

(32)

dove BWFN (Beam width between First Nulls) è la distanza angolare tra i primi nulli del diagramma di radiazione adiacenti al lobo principale.

Figura 2.2: Diagramma di campo e di potenza in coordinate polari.

Questa quantità è anche proporzionale al rapporto tra la lunghezza d’onda di lavoro del radiotelescopio e le dimensioni dello strumento stesso:

d0

HPBWλ (2.11)

2.1.3 Perdita di coerenza

Si analizzi ora il problema relativo alla perdita di coerenza e al tempo di ritardo presenti su una schiera di antenne. Questo problema non si presenterebbe nel caso in cui il fronte d’onda, proveniente dalla sorgente radioastronomica, incidesse perpendicolarmente sul piano formato dalla schiera di antenne. In generale questo non accade: il fronte d’onda incide il piano ideale con un angolo δ, per cui sarà necessario prendere opportuni accorgimenti, tali per cui il ritardo introdotto dal diverso tragitto percorso dalle onde radio in aria sia compensato. Il modo migliore per risolvere questo problema sarebbe quello di introdurre ritardi variabili che riescano a compensare i diversi tempi di acquisizione del fronte d’onda da parte delle

(33)

antenne. Tale operazione è in generale molto difficile da implementare sia via software (ad esempio utilizzando pipeline dedicate) sia via hardware (con l’utilizzo di spezzoni variabili di cavo coassiale) inseribili al variare dell’angolo d’incidenza dell’onda sulla schiera di antenne. Chiamando ∆ la perdita di coerenza, B la banda del segnale che si sta osservando e ∆t la differenza temporale con la quale l’onda radio raggiunge i diversi elementi dell’array, si ha che:

t B

t B sin

− ⋅

=

π

π )

1 ( (2.12)

Data l’impossibilità di avere un numero infinito di ritardi disponibili, si affianca alla compensazione del tempo di ritardo, la compensazione della fase. In questo modo è possibile effettuare una prima compensazione, più grossolana, in tempo e successivamente una seconda compensazione, più fine, in fase. Se il ritardo da compensare fosse di 3.5 volte la lunghezza d’onda λ, ma si disponesse di un ritardo pari a 3λ, si potrebbe poi compensare la mezza lunghezza d’onda rimanente con uno sfasamento di 180°. Non sempre è però possibile disporre di ritardi che compensino esattamente il numero di lunghezze d’onda richieste e di conseguenza si è disposti ad accettare una perdita di coerenza per l’impossibilità materiale di gestire un numero elevatissimo di combinazione di ritardi. Nel caso della Croce del Nord, ad esempio, ci si accontenta di introdurre ritardi tra canale e canale, mentre si utilizza solo un rifasamento tra antenne all’interno dello stesso canale. Per fare qualche esempio numerico, consideriamo cosa comporta tale scelta all’interno di un singolo canale del ramo Nord-Sud del radiotelescopio di Medicina. Come mostrato in Figura 2.3, questo è composto da una schiera lineare di antenne inclinabili di un angolo δ compreso tra ±45°. Sono inoltre messe in evidenza la distanza tra le antenne più lontane ∆D e il cammino aggiuntivo ∆L che il fronte d’onda deve percorrere a causa della sua inclinazione rispetto alla perpendicolare alla schiera . Ora il problema diventa prettamente fisico e geometrico. Partendo da quest’ultimo, si ha che:

(34)

δ

δ D sin

D

L =∆ ⋅ °− =∆ ⋅

∆ cos(90 ) (2.13)

Considerando il caso peggiore, cioè δ =±45°, otteniamo:

2 ) 2

45 ( )

45 cos(

) 45 90

cos( °− ° =∆ ⋅ ° =∆ ⋅ ° =∆ ⋅

=

L D D D sin D (2.14)

Figura 2.3: Singolo canale del ramo Nord-Sud.

Terminato il problema geometrico, cioè determinare quanto spazio percorre in più il fronte d’onda rispetto alla prima antenna, si consideri il problema fisico, cioè quanto tempo impiega a percorrere tale spazio aggiuntivo. Risulta:

c t = ∆L

∆ (2.15)

dove c = 3×108 m/sec rappresenta la velocità con cui l’onda percorre lo spazio ∆L che, essendo aria, può essere approssimata come velocità della luce nel vuoto.

(35)

Dalla (2.14) e (2.15) si ottiene:

[sec]

10 3 . 0 10 2

3 2 10

3

9 8

8

= ∆

⋅ =

= ∆

= ∆

D

D L

c

t L (2.16)

Avendo scelto di non compensare i ritardi all’interno dello stesso canale e considerando che la distanza ∆D tra un’antenna e l’altra è pari a 10m diventa semplice calcolare la perdita di coerenza in funzione della banda utilizzata.

La Tabella 2.1 è stata realizzata considerando le attuali condizioni della Croce del Nord che utilizza una banda B = 2.7MHz e quelle che si vorranno utilizzare nel futuro aggiornamento in prospettiva SKA (B = 5MHz).

Tabella 2.1: Rappresentazione dei tempi di ritardo di ogni singola antenna rispatto all’antenna di riferimento di un singolo canale del ramo Nord-Sud.

Si nota immediatamente che l’aumentare della banda del segnale porta ad un aumento della perdita di coerenza e valori di tale grandezza, che fino ad ora erano tollerati, diventano inaccettabili soprattutto considerando che in futuro saranno richieste bande sempre maggiori. Questo fenomeno è comprensibile se si pensa che lo sfasamento può essere significativo nell’intorno di una frequenza, ma non sicuramente a larga banda. L’aumento di banda del segnale rende quindi necessaria

(36)

una compensazione del ritardo in tempo e non in fase in quanto ci si allontana sempre di più dall’ipotesi di segnale monocromatico. Alcune soluzioni per il futuro sembrano prendere in considerazione anche strade alternative, come ad esempio l’utilizzo di filtri che suddividendo la banda del segnale in piccole sottobande , riducono gli effetti negativi del fenomeno pur conservando i vantaggi di una maggior banda complessiva.

2.2 Proposte per SKA

In questo paragrafo si riassumono le principali soluzioni proposte a livello internazionale per lo studio e la realizzazione del prototipo SKA, un nuovo radiotelescopio che offrirà più di un milione di metri quadrati di area collettrice e risolverà parecchi interrogativi ancora aperti nel mondo della radioastronomia.

L’aumento di area collettrice porterà un notevole innalzamento della sensibilità e permetterà di soddisfare la richiesta di un rapporto tra area efficace e temperatura di sistema pari a 104 m2/K.

La comunità radioastronomica internazionale ha creato un consorzio, chiamato Large Telescope Working Group, per cercare di indirizzare gli sforzi di tutte le nazioni partecipanti verso un obiettivo comune, al quale, molte organizzazioni di diversi paesi hanno già aderito condividendo ricerche e sviluppi tecnologici per la realizzazione di tale progetto.

Una delle peculiarità più interessanti di questo nuovo radiotelescopio sarà l’idea di utilizzo in modalità “multi-user”. Più utenti potranno infatti lavorare simultaneamente e osservare differenti porzioni del cielo alla frequenza desiderata o effettuare contemporaneamente osservazioni a frequenze diverse.

Un’altra importante caratteristica di SKA è la distribuzione dell’intera area collettrice su un ampio numero di stazioni in modo da ottenere, oltre all’elevata sensibilità, anche un’ottima risoluzione dovuta alle dimensioni della schiera complessiva delle stazioni. Dalla Tabella 2.2, che descrive le prestazioni richieste dal nuovo radiotelescopio SKA, è possibile capire come le esigenze teoriche entrino in contrasto con i problemi realizzativi di una struttura di questo tipo. Durante le

(37)

riunioni di aggiornamento sui progressi tecnologici e scientifici raggiunti dalle singole nazioni, sono iniziati a sorgere alcuni dubbi sulla possibilità di realizzare un ricevitore in grado di lavorare in un range di frequenze così ampio. Ecco perché è stato proposto di suddividere la banda totale in tre fasce, ognuna delle quali coperta da un diverso ricevitore. Probabilmente con il progredire dei lavori ci saranno ulteriori problematiche da affrontare, ma questo risulta purtroppo inevitabile in progetti di tali dimensioni.

Aeff / Tsys 2 x 104 m2/K

Total Frequency Range 0.15-20 GHz

Imaging Field of View 1 square deg. @ 1.4GHz Number of Instantaneous Pencil Beams 100

Maximum Primary Beam Separation

low frequency 100 deg.

high frequency 1 deg. @ 1.4GHz

Angular Resolution 0.1 arcsec @ 1.4GHz

Surface Brightness Sensitivity 1K @ 0.1 arcsec

Numbers of spectral Channels 104

Number of Simultaneos Frequency Bands 2

Imaging Dynamic Range 106 @ 1.4GHz

Polarization Purity -40 dB

Tabella 2.2: Prestazioni richieste dal nuovo radiotelescopio SKA

Oltre agli aspetti tecnologici è importante porre l’accento sul principale obiettivo di SKA: migliorare la ricerca in ambito radioastronomico. Alcuni dei principali risultati che si otterranno, grazie alle potenzialità offerte dal nuovo strumento di lavoro, saranno infatti:

1. possibilità di analisi della formazione delle stelle tramite lo studio delle emissioni di particelle H, I, e CO;

(38)

2. studio dei fenomeni magnetici: in particolare della distribuzione, dell’orientamento e della forza dei campi magnetici presenti in altre galassie;

3. analisi dei campi gravitazionali e dell’evoluzione dei buchi neri. Grazie alla maggior sensibilità di SKA sarà infatti possibile captare segnali che gli attuali strumenti radioastronomici non riescono a rilevare;

4. realizzazione di una mappa della Via Lattea e delle galassie vicine più dettagliata rispetto a quelle attuali;

5. studio dei detriti stellari presenti nel sistema solare che potrebbero essere pericolosi nel caso di impatto con il nostro pianeta. Le alte frequenze fornite da SKA renderanno possibile una migliore definizione degli oggetti studiati.

2.2.1 Soluzione australiana con Lune di Luneburg

Il CSIRO (Commonwealth Scientific & Industrial Research Organization) ha proposto lo studio e lo sviluppo di antenne sferiche, anche conosciute come lune di Luneburg. Anche se in ambito commerciale e militare l’utilizzo di queste antenne non è una novità, i ricercatori australiani sono i primi a proporle in campo radioastronomico. Le lune di Lunenburg, vere e proprie lenti sferiche, hanno la proprietà di posizionare il fuoco sia sulla loro superficie che all’esterno della stessa, a seconda della frequenza di lavoro e del valore dell’indice di rifrazione del materiale realizzativo. Una struttura con queste caratteristiche permette quindi una completa visione del cielo tramite un unico strumento. I problemi risiedono nel ricevitore. La posizione del fuoco, infatti, si sposta al variare della frequenza e di conseguenza è necessario che anche l’apparato ricevente sia dotato di un sistema in grado di seguirne gli spostamenti. Rendendo mobile il ricevitore non si è però risolto completamente il problema, in quanto si continua a ricevere un solo fascio per lente.

Sarebbe necessario installare più ricevitori per ogni lente, ognuno dei quali funzionante in una diversa banda di frequenza e situato in posizione tale da ricevere

(39)

il segnale alla frequenza utile. Questo sistema, così modificato, diventerebbe notevolmente più costoso del precedente. Bisogna quindi valutare attentamente i vantaggi apportati in funzione dell’aumento dei costi introdotti. Altri svantaggi sono dovuti alle alte perdite a radiofrequenza e all’elevato peso della struttura complessiva. In Figura 2.4 si riporta l’immagine di come sarà disposta la schiera del prototipo formato dalle lune di Luneburg.

Figura 2.4: Schiera di antenne formata dalle lune di Luneburg.

2.2.2 Soluzione australiana con riflettori cilindrico-parabolici

Un’altra soluzione proposta dagli australiani e sostenuta da un consorzio formato dall’università di Sidney, è quella di realizzare SKA per mezzo di ricevitori cilindrico-parabolici dalle dimensioni relativamente ridotte (111m x 15m).

Tale scelta non è casuale, ma si basa su strutture già esistenti. A Molonglo è infatti già presente un riflettore cilindrico-parabolico, simile al ramo Est-Ovest del radiotelescopio Croce del Nord di Medicina, sul quale i ricercatori australiani hanno intenzione di sperimentare tutte le tecnologie che poi riverseranno sul prototipo SKA (Figura 2.5). Questo permetterebbe loro di utilizzare i fondi ricevuti solo nell’upgrade della struttura già esistente, ottenendo una notevole riduzione dei costi complessivi.

(40)

Figura 2.5: Riflettore cilindtico-parabolico di Molongo

2.2.3 Soluzione cinese

Il modello SKA proposto dal BAO (Beijing Astronomical Observatory) consiste in una schiera di 30 riflettori sferici, ognuno dei quali avente un diametro pari a 200 metri. Date le dimensioni di queste strutture è necessario studiare attentamente la posizione geografica più idonea alla disposizione delle singole antenne. A questo proposito è stata creata la mappa di una zona della Cina rinominata KARST (Kilometre-square Area Radio Synthesis Telescope), ricca di conche naturali.

All’interno di una di queste conche è stato proposto di realizzare un primo prototipo denominato FAST (Five hundred meter Aperture Spherical Telescope) con apertura sferica pari a 500 metri (Figura 2.6).

Il suo funzionamento si basa sul principio secondo il quale una porzione sufficientemente piccola di superficie sferica si differenzia di poco da una superficie parabolica, della quale continuano ad essere valide le proprietà. Quindi, pur avendo a disposizione una semisfera di diametro molto grande, la parte illuminata è solo una piccola porzione di essa che, inoltre, deve essere continuamente modificata per rendere possibile l’inseguimento della radiosorgente. Date le sue dimensioni: 500 metri di apertura sferica e 300 metri di diametro, FAST potrebbe divenire il più grande radiotelescopio a singolo piatto esistente.

(41)

Figura 2.6: Rappresentazione del prototipo cinese FAST

2.2.4 Soluzione statunitense

La proposta statunitense per SKA è chiamata ATA (Allan Telescope Array) e nasce da un progetto comune tra la SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence) ed il laboratorio di radioastronomia dell’università di Barkeley. Il primo prototipo proposto si basa su una schiera di sette antenne paraboliche (Figura 2.7) e su un software limitato alle esigenze di un array di tale dimensioni. L’idea è quella di riuscire a realizzare una struttura che abbia un’area collettrice paragonabile a quella di un’unica antenna parabolica di diametro paria a 100 metri.

Figura 2.7: Rappresentazione del prototipo statunitense ATA

(42)

In questo modo sarebbe possibile ottenere un sistema altamente integrabile anche a livello commerciale, viste le ridotte dimensioni delle singole antenne, quindi finanziabile anche con una parte di fondi privati.

L’inconveniente maggiore dei riflettori parabolici in ambito radioastronomico è la possibilità di osservare il cielo solo nella limitata porzione puntata dalle antenne.

Anche nell’eventualità si realizzassero sistemi meccanici di puntamento che rendessero sincrono il movimento di tutte le antenne, si arriverebbe al massimo all’inseguimento della radiosorgente nel cielo; questo non significherebbe puntare contemporaneamente in due direzioni distinte e quindi avere una visione più ampia del cielo.

2.2.5 Soluzione canadese

Il progetto canadese si basa sugli studi condotti dal NRCA (National Research Council of Astrophysics) per sviluppare un phased-array aereo chiamato LAR (Large Adaptive Reflector). Come mostrato in Figura 2.8 la struttura è formata da più sotto sezioni: un gruppo di piani focali predisposti a terra e un grande phased-array sospeso in aria grazie alla presenza di una piattaforma aerostatica.

Figura 2.8: Rappresentazione prototipo canadese LAR

(43)

Il riflettore principale è formato da una serie di pannelli, regolabili tramite controlli elettronici, che permettono di ottenere una superficie complessiva di forma circolare per un totale di circa 31.000 metri quadrati. Il ricevitore si trova invece nel fuoco a 500 metri di altezza. Grazie alla presenza della struttura aerea, composta da un pallone aerostatico riempito di elio e da due o più tiranti che tengono in equilibrio il phased-array, è possibile posizionare il ricevitore esattamente nel fuoco e mantenerlo in equilibrio nella posizione scelta. Qualsiasi aggiustamento di posizione avviene tramite dei verricelli che modificano la posizione dell’intera struttura aerea. A livello teorico tale sistema offre indubbiamente un’ampia copertura del cielo, anche se rimane il problema di una sola direzione di puntamento. Desta comunque perplessità l’aspetto realizzativo dell’intera struttura aerostatica.

2.2.6 Soluzione olandese

Il modello olandese è uno dei progetti più avanzati a livello europeo in quanto, già dalla metà degli anni ’90, sono stati compiuti studi per la realizzazione di un prototipo che potesse dare risposte concrete ad alcune domande poste dal progetto SKA. Attualmente l’istituto di ricerca NFRA (Netherlands Foundation for Research in Astronomy) è arrivato a proporre il progetto THEA (Thousand Element Array) passando attraverso l’esperienza di altri due progetti sperimentali come: AAD (Adaptive Antenna Demonstrator) e OSMA (One Square Meter Array).

In Figura 2.9 si mostra la struttura di una singolòa antenna del primo prototipo di THEA composto da quattro piastrelle, anziché dalle sedici del progetto finale.

I primi studi sono stati effettuati prevalentemente sul comportamento dell’antenna AAD per capirne il funzionamento anche nei confronti delle interferenze. I risultati di questi test sono stati resi noti nel 1997, anno in cui si è considerato concluso il progetto AAD. L’esperienza acquisita è stata poi immediatamente riversata in un secondo progetto (OSMA), nel quale 64 antenne AAD sono state collegate tra loro formando un unico array capace di visualizzare un doppio fascio di puntamento guidato digitalmente. Questa seconda fase del progetto è terminata nel 1999, anno in cui è iniziato lo studio delle antenne e del software necessario per un sistema di

(44)

dimensioni notevolmente superiori. Ecco come è nata l’idea del prototipo THEA, all’interno del quale ben 1024 antenne permetteranno di guidare diversi fasci in modo digitale.

Figura 2.9: Rappresentazione Singola Antenna prototipo olandese THEA

(45)

CAPITOLO III

B.E.S.T.

Basic Element for SKA Training

3.1 Introduzione

L’istituto di Radioastronomia di Medicina intende partecipare allo SKA mettendo in gioco l’esperienza che potrebbe acquisire dall’up-grade del radiotelescopio “Croce del Nord”. Come visto nel precedente capitolo, le soluzioni tuttora in via di sviluppo proposte dai vari paesi partecipanti al progetto hanno in comune l’utilizzo di tecniche intrferometriche per ottenere alte risoluzioni e strutture meccaniche economiche e modulari. Questo porta inevitabilmente ad una struttura ad array in due dimensioni, con tutte le problematiche che questo comporta in termini di:

• ritardo e sfasamento tra i singoli elementi,

• trasporto ed elaborazione dati,

• calibrazione,

• realizzazione di algoritmi di beamforming e reiezione alle interferenze.

L’upgrade della Croce del Nord può dare contributi direttamente applicabili allo SKA in quanto questo strumento è già un array in due dimensioni esistente e funzionante, su cui si possono realizzare direttamente le sperimentazioni necessarie a risolvere in dettaglio problemi come:

• l’impiego di fibre ottiche in array di antenne,

• l’uso di un grande numero di front-end e la loro implementazione,

(46)

• realizzazione di phase-shifter programmabili per il beamforming,

• algoritmi di null beam steering per ridurre le interferenze.

Non essendo possibili modifiche meccaniche, la risoluzione della Croce del Nord non potrà aumentare, mentre sarà notevole l’incremento di sensibilità. Riportando la formula 2.6 si può notare come migliorare la sensibilità diminuendo la ∆Tmin:

τ

= ⋅

B

T Tmin kS SYS

• abbassando la TSYS , dove TSYS = Ta + TRX , quindi abbassando TRX mediante l’uso di ricevitori poco rumorosi;

• aumentando la banda B di ricezione, quindi modificando il filtraggio del segnale acquisito dall’antenna, purché si provveda ad un’adeguata reiezione alle interferenze; altra soluzione è commutare tra diversi ricevitori operante ciascuno a banda stretta, ma a frequenze diverse;

• aumentando il tempo di transito τ eseguendo un tracking più spinto.

Di seguito descriveremo quindi BEST (Basic Element for the SKA Training), la proposta italiana al progetto SKA, focalizzando l’attenzione sui nuovi dispositivi digitali che permettono l’utilizzo di algoritmi per il beamforming, l’adaptive beamforming e il multibeaming.

3.2 Beamforming

L’idea di realizzare beamforming mediante l’utilizzo di dispositivi digitali come convertitori analogico digitali ad alta velocità e Digital Down Converters, risiede nel minor costo e nella maggior affidabilità dovuta al loro impiego rispetto ai metodi analogici tradizionalmente utilizzati finora. I metodi utilizzati per fare del beamforming sono fondanmentalmente due:

(47)

time delay: essenzialmente basato sull’aggiunta di ritardi temporali indipendentemente dalla frequenza di lavoro o dalla banda passante del radiotelescopio. Tale soluzione è di difficile implementazione sia in campo analogico che in campo digitale, perciò viene utilizzata solo quando strettamente necessario, come nel caso di schiere di antenne di notevole dimensione o di bande passanti elevate;

phase shift: anziché aggiungere un ritardo temporale, si agisce direttamente sulla fase dei segnali ricevuti. Tale soluzione, seppure di facile implementazione, presenta lo svantaggio di una limitazione alla banda del segnale e alla dimensione della schiera .

Si evidenzia che la scelta della tecnica da utilizzare nasce dal compromesso tra la complessità del sistema di rifasamento e la perdita di coerenza che si è disposti ad accettare.

Si consideri un array lineare di N elementi (Figura 3.1, N=8) equispaziati tra loro alla distanza d, sul quale incide un fronte d’onda con angolo di incidenza α.

Figura 3.1: Schema di Arrivo di un Fronte d’Onda su un Array di 8 Elementi

Considerando il primo elemento dell’array, elemento 1, come elemento di riferimento, il segnale ricevuto può essere rappresentato come ritardo temporale dal

(48)

segnale di riferimento. Il ritardo temporale dell’elemento n-esimo è dato dall’espressione:

∆t n d sin

= ( − ⋅ ⋅1)c α

(3.1)

dove c = 3 x 108 m/sec indica la velocità della luce.

Introducendo opportuni ritardi si è quindi in grado di ripristinare la coerenza del segnale ricevuto. Inoltre, grazie all’utilizzo di specifici coefficienti complessi wn chiamati pesi (w=[w0 w1 ... wN-1 ]T), è possibile direzionare il fascio principale in direzione del segnale utile ed i nulli del diagramma di radiazione in direzione degli interferenti (Figura 3.2). Tale diagramma si ottiene eseguendo la FFT (Fast Fourier Transform) dei pesi wn, ed è dato dall’espressione:

S w en

n

N j nd sin

( )α = (λπ α)

= 1

2

(3.2)

dove λ rappresenta la lunghezza d’onda in metri del segnale ricevuto dall’array.

Figura 3.2: Schema a Blocchi Beamformer Analogico

(49)

Lo schema a blocchi di Figura 3.3 rappresenta la struttura di un beamformer digitale.

Il segnale a radio frequenza RF ricevuto dall’antenna viene prima convertito ad uno stadio a frequenza intermedia IF e poi digitalizzato grazie a convertitori anologico digitali. I campioni così ottenuti vengono passati ad un DDC che ne produce una versione complessa in banda base. Dalla computazione tra il segnale in uscita dal DDC e le componenti n-esime del vettore dei pesi w, ottenute da una CPU esterna, dipende la direzione di puntamento del diagramma di radiazione.

Figura 3.3: Schema a Blocchi Beamformer Digitale

3.3 Adaptive Beamforming

Il concetto di adaptive beamforming non si distacca molto da quello di beamforming classico, anzi si può considerare come la sua naturale evoluzione. Se il beamforming ha dei limiti legati alla possibilità di eliminare o ridurre solamente segnali interferenti

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statici, l’adaptive beamforming è in grado di adattarsi alle sorgenti interferenti in movimento. Ciò è possibile grazie ad un calcolo del vettore dei pesi non più statico, ma dinamico, grazie a particolari algoritmi di calcolo predisposti. Fino ad ora sono state adottate tecniche analogiche a livello di radio frequenza, ma attualmente la ricerca si sta orientando verso l’adaptive beamforming digitale (software radio architecture). Il maggior vantaggio di questo cambiamento risiede nella maggior flessibilità del sistema, in quanto la modifica degli algoritmi di calcolo richiede solamente interventi di tipo software e non più di tipo hardware. Un esempio del sistema che si vuole realizzare è schematizzato in Figura 3.4:

Figura 3.4: Schema a Blocchi Adaptive Beamformer Digitale

3.4 Multibeaming

Per quanto concerne il concetto di multibeaming ci sono ancora alcuni punti in sospeso. E’ per l’appunto in fase di studio uno standard che sia accettato da tutte le nazioni partecipanti allo SKA. Attualmente (ISAC comments, Novembre 2002) ne

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sono accettate due definizioni:

⇒ multibeaming: formazione multipla dei beams all’interno dello stesso fascio FOV (Field Of View) (Figura 3.5), che può essere ottenuta:

a) on line: grazie all’utilizzo di beamformer digitali o analigici,

b) off line: grazie all’utilizzo di correlatori, chiamati sintetizzatori di beams.

Figura 3.5: FOV singolo

⇒ multibeaming (multiple field of view): formazione multipla di beams all’interno di più FOV simultanei che spaziano il cielo (Figura 3.6).

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Figura 3.6: FOV multiplo

3.5 Possibile Architettura di BEST

Il primo obiettivo che si vuole raggiungere è la realizzazione di un prototipo di ricevitore, su un piccolo numero di linee focali (massimo 8 su un totale di 64) del ramo NS (Figura 3.7), che possa fornire informazioni utili con una spesa contenuta, per poi ampliare il progetto su tutto il ramo NS, ed eventualmente su tutta la Croce del Nord, nel caso che le indicazioni fornite dai primi esperimenti concordino con i risultati attesi.

Le tre configurazioni possibili per ogni antenna sono:

• 4 ricevitori (per un totale di 64x4=256 ricevitori, 256 calate),

• 4 gruppi di due ricevitori (per un totale di 64x8=512 ricevitori, 256 calate),

• 8 ricevitori (per un totale di 64x8=512 ricevitori, 512 calate).

Le principali differenze tra queste soluzioni riguardano: l’architettura e la formazione dei fasci di puntamento, anche se concettualmente eseguono operazioni molto simili tra loro. In particolare nelle Figure 3.8 e 3.10 si ha un beamforming completamente

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software, mentre nello schema di figura 3.9 è presente un primo beamforming analogico a livello RF seguito da un adaptive beamforming software. Il vantaggio di queste tre configurazioni sta nel fatto che la parte digitale, che inizia con i convertitori A/D e arriva sino al cluster di PC, non cambia da uno schema all’altro.

Figura 3.7: Panoramica per BEST

Figura 3.8: Schema a 4 Ricevitori

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