'.G iuseppe D e lla Rocca
L’INNOVAZIONE
TECNOLOGICA E LE
RELAZIONI INDUSTRIALI
IN ITALIA
Giuseppe Della Rocca ricercatore della So cietà « Management e Innovazioni » di Mi lano e membro del Comitato Scientifico del
La serie dei Quaderni relativi ai temi del Progetto di ricerca Informa tica, processi innovativi e relazioni industriali è a cura di Giuseppe Berta.
Giuseppe D e lla Rocca
L’innovazione tecnologica e le
relazioni industriali in Italia
© 1985, Fondazione Adriano Olivetti, Roma
INDICE
PP-Capitolo primo
AVVERTENZE INTRODUTTIVE 9
Capitolo secondo
CARATTERISTICHE DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI
IN ITALIA 15
2.1. Il fondamento dell'azione collettiva 15 2.2. La centralizzazione e il pluralismo 16 2.3. L'esclusività del metodo contrattuale 18
Capitolo terzo
CULTURA DEL LAVORO E ORIENTAMENTI CONTRATTUALI PER LA TUTELA DEL
LAVORATORE NELL'ATTIVITÀ' PRODUTTIVA 21 3.1. L'operaio e la grande impresa 21 3.2. La contestazione del lavoro 25
3.3. La rigidità normativa 29
Capitolo quarto
L'INNOVAZIONE TECNOLOGICA NELLE RELAZIONI
INUDSTRIALI 33
4.1. La diffusione delle nuove tecnologie 33 4.2. I limiti della normativa contrattuale 36 4.3. dii accordi sull'organizzazione del
lavoro 38
4.4. I diritti di informazione 42 4.5. Gli orientamenti degli imprenditori 47
Capitolo quinto
L'INFORMAZIONE, LA CONSULTAZIONE E LA PARTECIPAZIONE NEGLI ACCORDI SULLA
ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO 52
5.1. Il campione preso in esame 52
5.2. Principi, e obiettivi 55
5.3. Le procedure 57
Capitolo sesto
ORGANIZZAZIONE E TUTELA DEL LAVORO 65 6.1. Il mutamento dell'organizzazione
del lavoro 65
6.2. I contenuti 69
6.3. Le finalità 75
Capitolo settimo
IL CONTROLLO DELL'INNOVAZIONE TECNOLOGICA
NEL CCNL DEI QUOTIDIANI 80
7.1. L'atipicità delle Relazioni Industriali nel settore e il ruolo dell'innovazione
tecnologica 80
7.2. L'articolo del CCNL sul controllo
dell'innovazione tecnologica 82 7.3. Il tema della demarcazione professionale 87
Capitolo ottavo
I PIANI AZIENDALI DI RISTRUTTURAZIONE
TECNOLOGICA 92
8.1. Il contenuto dei piani 92
8.2. Gli accordi aziendali 100
Capitolo nono
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 105
BIBLIOGRAFIA 130
APPENDICE: TAVOLE SINOTTICHE 135
Capitolo primo
AVVERTENZE INTRODUTTIVE
E' utile, prima di sviluppare l'argo
mentazione e l'analisi su due temi così distanti
tra loro, come la tecnologia e le Relazioni
Industriali, cautelarsi e avvisare il lettore sui
limiti che circoscrivono l'indagine.
Un primo limite è dato dal tipo di
innovazione tecnologica che viene presa in
considerazione. Esistono tipi diversi di innova
zione ognuno dei quali ha applicazioni ed. effetti
diversi dall'altro. In modo schematico si può
sostenere che in questo lavoro non verrà trattata
l'innovazione tecnologica nella trasformazione
delle materie prime ma quella che coinvolge le
macchine e la loro strumentazione. Nel primo caso
le frontiere dell'innovazione oggi sono principal mente quelle della creazione dell'energia e della
biochimica, nel secondo caso si riferiscono prin
cipalmente all'introduzione e allo sviluppo del l'elettronica. Il passaggio nelle macchine e nella
strumentazione da un hardware elettromeccanico
ad uno elettronico ha comportato lo sviluppo di mezzi e processi produttivi in cui è il tratta mento dell'informazione il problema principale e
non più 1'intervento diretto del lavoro umano
nella trasformazione del prodotto.
Sempre su questo tema, si prenderà in
considerazione non l'innovazione dei prodotti
bensì il problema di come è stato trattato dalle Relazioni Industriali il tema dell'introduzione
delle tecnologie informatiche nei processi
produttivi. Se è vero infatti che la carat
teristica principale di questo tipo di innovazione
tecnologica sta nella meccanizzazione delle
informazioni, l'impatto più rilevante lo si può
riscontrare nell'organizzazione, nelle forme di
controllo e gestione della produzione, nelle
risorse occupazionali e modalità di lavoro degli
addetti, aspetti questi ultimi che sono
all'origine di qualsiasi sistema di Relazioni Industriali.
Un secondo limite dell'analisi è che questa si è rivolta alle grandi aziende nei settori più
tradizionali dell'industria. Questo limite, come
si vedrà più avanti, riflette quelli del sindacato
e delle Relazioni Industriali il cui raggio
d'azione su questi temi rimane circoscritto,
mentre al contrario l'innovazione tecnologica
interviene su scala sempre più vasta, non solo
nelle grandi imprese, in settori nuovi e con
utilizzi sempre più diversificati, grazie ad un
numero molto grande di possibilità offerte dalla ricerca scientifica.
Un terzo e forse più importante limite è che l'innovazione tecnologica è stata analizzata non in rapporto agli effetti che ha provocato sul lavoro quanto su come è stata gestita e trattata dalle Relazioni Industriali e in particolar modo
nell'attività contrattuale che intercorre tra
imprenditori e sindacato. L'aspetto forse più
importante, e più compiutamente discusso da tutta
la letteratura sull'automazione, è stato l'impatto
di quest'ultima sul sistema sociale; in
particolare sono stati affrontati i possibili
quantità e qualità dell'occupazione. Si sono su questo terreno confrontate tesi ottimistiche e
pessimistiche, tra chi considerava solo gli
effetti negativi sull'occupazione e sulla qualità del lavoro e chi individuava nuovi sbocchi di
attività, nuove professioni, e la crescita di
nuovi soggetti sociali.
Il presente studio non entra nel merito di
questo dibattito perché considera altrettanto
importante analizzare il grado di accettazione, i comportamenti e le reazioni più istituzionali di fronte all'innovazione tecnologica, in particolare
di quelle istituzioni che interagiscono
nell'ambito del sistema di Relazioni Industriali. Questo lavoro si colloca quindi entro un'area di
questioni di tipo generale che riguardano lo
sviluppo tecnico e scientifico, in particolare in
quella degli studi comparati che si pongono il
problema di cosa determina le sorprendenti
diversità tra società nello sviluppare e applicare tecnologia.
Fra i tanti aspetti del progresso tecno logico, che costituisce in quanto tale un fenomeno
multidimensionale, l'aspetto che qui si contri
buisce ad analizzare non è semplicemente il ritmo, ma piuttosto il modo con cui vengono gestiti i processi di continuo cambiamento e i meccanismi di adattamento di promozione di consenso sociale che vengono individuati.
Inutile sottolineare l'importanza di questo
aspetto, se prendiamo in considerazione i paesi
più forti dal punto di vista tecnologico come
Stati Uniti e Giappone, il loro successo è
originato più dalla capacità del sistema sociale di sviluppare l'utilizzo della ricerca tecnico
scientifica che nelle invenzioni di base. Non ha avuto molta importanza infatti che le tecnologie siano state originate all'interno del paese o
all'estero, ciò che è stato determinante è il
processo di adattamento delle tecnologie, il loro
utilizzo e diffusione sociale (Rosemberg, 1983).
Questi aspetti sono non solo stati individuati ma enfatizzati già da tempo da Landes nella sua storia sulle trasformazioni tecnologiche e sullo sviluppo industriale nell'Europa Occidentale dal
1750 ai giorni nostri, quando si pone il problema
del ritardo della rivoluzione industriale del l'Europa continentale nei confronti della Gran Bretagna.
"Perché gli inglesi sviluppassero queste
capacità prima e più rapidamente di altri, è
un'altra questione. Fu perché i controlli
corporativi sulla produzione e l'apprendistato si erano in gran parte dissolti alla fine del
Seicento, mentre sul continente il persistere
dell'influenza delle associazioni di mestiere e la vigile sorveglianza di governi mercan tilistici ebbero l'effetto di irrigidire i procedimenti tecnici in determinati schemi e di soffocare 1'immaginazione? e un simbolo di questa rigidità è da vedere nell'Encyclopédie, con le sue minuziose descrizioni del modo
giusto di fare questo e quello? 0 fu perché,
le vie dell'ascesa sociale essendo diverse in Inghilterra che nelle monarchie aristocratiche
del continente, le persone di talento erano
più inclini a dedicarsi agli affari, al
progettare e a inventare, di quanto non
Colpisce il fatto che la maggior parte dei
creatori delle prime macchine tessili
provenissero dalla classe media" .
In particolare Landes sottolinea l'impor
tanza della cultura e dei controlli delle
associazioni, degli istituti che regolamentavano i rapporti sociali di lavoro n ell'irrigidire e/o nello sviluppare l'immaginazione di determinati schemi e applicazioni tecnico scientifiche (Landes 1978).
Se si assumono questi presupposti è chiaro quale sia l'importanza del rapporto tra sviluppo tecnologico e Relazioni Industriali che costi tuiscono una parte e un segnale importante del
sistema sociale. Oggi però, a differenza del
periodo analizzato da Landes, l'importanza delle
associazioni nella società appare rilevante a tal punto che ci sembrano improponibili tutte quelle suggestioni che vorrebbero una emarginazione della contrattazione e del potere politico istituzionale
delle organizzazioni professionali. In tutti i
paesi ad elevato sviluppo economico il sindacato e
in generale le forme di associazione sono
contemporaneamente organizzazioni che hanno una funzione di mobilitazione di risorse in quanto strumento di solidarietà e di coesione per chi vi aderisce e una funzione di consenso che concorre alla stabilità della società nel suo complesso. Molte ricerche hanno sottolineato l'importanza di questa -ambivalenza a tal punto da ritenere che in
alcuni contesti societari caratterizzati ad
esempio da un forte potere sindacale si è
realizzato un rapporto privilegiato tra Sindacato e Stato.
Il problema quindi non sembra, almeno per i
paesi europei, quello di una emarginazione del
sistema delle Relazioni Industriali quanto quello . di una sua graduale trasformazione in modo da garantire allo stesso tempo una tutela e un controllo da- parte delle associazioni e dei loro
aderenti e una minore rigidità sociale nei
confronti dell'innovazione tecnologica. . Il pro
blema sta quindi in come evolveranno le Relazioni
Industriali. Il dilemma per il sindacato è come
proteggere e . promuovere gli interessi dei
lavoratori, fino a che punto esserne coinvolto per controllare l'innovazione, quali criteri economici tecnici e sociali adottare per selezionare e adattare lo sviluppo tecnologico proposto. Per gli
imprenditori, il problema è quale ruolo dare
all'innovazione tecnologica. E' stato adottato non a caso il termine di "tecnologie appropriate". Ciò
significa che il grado di efficienza e di
efficacia di una determinata tecnologia non è più riconoscibile entro i ristretti parametri tecnici di impiego. Si chiede alla tecnologia di inserirsi nel contesto economico e sociale e contribuirne
alla crescita utilizzando tutte le risorse
disponibili. Di qui i dilemmi imprenditoriali su
quali modalità di gestione attuare nel processo di innovazione tecnologica, -quali relazioni instau rare con i lavoratori e i sindacati e le asso
ciazioni professionali se esistono, come sembra
Capitolo secondo
CARATTERISTICHE DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI IN ITALIA
2.1. Il fondamento dell'azione collettiva
Il fondamento dell'azione collettiva del
sindacato italiano sta nel primato della politica.
Le difficoltà economiche e sociali, le condizioni
di arretratezza e il limitato sviluppo industriale di gran parte dell'Italia alla fine della Seconda
guerra mondiale hanno reso prioritario, da parte
del sindacato, per il riconoscimento dei propri
diritti di rappresentanza, il ricorso a risorse
politiche. Questo fenomeno è stato spiegato da
Alessandro Pizzorno allo stesso modo con cui Gerschenkon ha definito la nascita e il processo
di industrializzazione nel secolo scorso in
Italia: quando si parte cioè da posizioni di
arretratezza economica e sociale si ha sempre
bisogno anche di un investimento di tipo
ideologico. Nel caso del sindacato, le forti
resistenze poste dalla società italiana al
completo e diffuso riconoscimento di una attività
contrattuale dei lavoratori, ha spinto la
mobilitazione e l'attività rivendicativa su di un terreno esplicitamente politico di confronto anche
con lo Stato, attraverso una elaborazione di
principi di azione anche di tipo ideologico con effetti sull'orientamento e i criteri di scelta delle rivendicazioni sulle modalità e le forme di aggregazione e solidarietà sociale (2).
storia del sindacato in questo paese. Nel primo
periodo, quello della ricostruzione del sindacato
dopo la Seconda guerra mondiale fino a metà degli
anni Sessanta, le capacità associative erano date
da chi aveva il monopolio dell'azione politica,
cioè i partiti, fuori dai partiti non esistevano
interessi ed energie sufficienti per l'azione
collettiva (3). Dalla metà degli anni Sessanta i
sindacati diventano strumenti di partecipazione e organizzazioni sempre più autonome e sfuggono in gran parte ad una diretta dipendenza dai partiti. Tuttavia il pieno riconoscimento dei diritti di contrattazione realizzatosi alla fine degli anni
Sessanta, conquistato grazie ad un'ampia mobili
tazione guidata dalle organizzazioni sindacali e
non più dai partiti politici, è ottenuto grazie a
principi guida e risorse di tipo ideologico e politico.
2.2. La centralizzazione e il pluralismo
Questa concezione della rappresentanza ha contribuito a definire innanzitutto una organiz zazione del sindacato e un sistema di Relazioni
Industriali di tipo centralizzato. Ha consolidato
una concezione dell'organizzazione non determi
nata, come per i sindacati anglosassoni, da una
maturazione spontanea nella società.
Il primato dell'azione politica ha fatto sì che il pluralismo stesso dell'organizzazione dei
sindacati italiani sia un pluralismo di tipo
politico-ideologico più che occupazionale tipico
delle Unions o di altri sindacati europei. La
appartenenza a tre confederazioni sindacali divise da tradizioni politiche e culturali diverse che
organizzano per categorie lavoratori operai e
impiegati appartenenti a tutti i settori
industriali, dall'agricoltura ai servizi (4).
La conquista dei diritti di contrattazione
nei luoghi di lavoro (1969), la diffusione stessa
della contrattazione hanno modificato in parte questo modello centralizzato di organizzazione. La nascita dei delegati di reparto o di ufficio, organizzati in Consigli di Fabbrica o di Ente eletti dai lavoratori non su lista sindacale ha dato un maggiore carattere di spontaneità alle
organizzazioni. I delegati e i Consigli di
Fabbrica rappresentano tutti e tre i sindacati confederali sui luoghi di lavoro con diritto di contrattazione e facoltà di sottoscrivere accordi
a livello di impresa. Il carattere unitario e i
poteri delle rappresentanze di base hanno fatto sì che dagli anni 1969-70 in poi l'organizzazione del sindacato italiano sia stata definita anche come
una organizzazione divisa, dissociata su due
mqdelli tra loro opposti: da un lato una
struttura, fuori dai luoghi di lavoro, centra
lizzata, basata sulle confederazioni e sui
sindacati di industria che stipula accordi
confederali e i contratti nazionali; dall'altro le
rappresentanze sui luoghi di lavoro, unitarie,
elette da tutti i lavoratori indipendentemente dalla loro appartenenza al sindacato e/o alle
diverse confederazioni, con diritto di sotto
scrivere accordi formali in ogni impresa, unità
2.3. L'esclusività del metodo contrattuale
Le Relazioni Industriali sono caratterizzate dall'esclusività del metodo contrattuale senza il
ricorso ad interventi di regolamentazione
legislativa sia sui contenuti che sulle procedure negoziali. In modo specifico, si può sostenere che la contrattazione collettiva è stata in questo paese lo strumento principale per l'affermazione
di un potere negoziale del sindacato sulla
organizzazione, del controllo dei lavoratori sulle loro condizioni di lavoro per il riconoscimento dei diritti di informazione a livello di impresa.
L'orientamento del sindacato e degli
imprenditori è un orientamento di tipo conflit
tuale distributivo. L'azione collettiva e
negoziale è funzionale innanzitutto a difendere gli interessi costituiti e ciascuna parte sociale
è rivolta, almeno fino alla fine degli anni
Settanta, a ottenere sempre maggiori vantaggi
rispetto a quelli già consolidati. Il raggiun
gimento di uno scopo di una delle parti presuppone se non la "sconfitta" comunque una riduzione del
potere economico normativo e rappresentativo
dell'altra.
Questo orientamento è in modo particolare
evidente sui luoghi di lavoro, mentre sul piano
più generale della politica economica, nei
rapporti con lo Stato e il potere pubblico prevale
un atteggiamento più conciliativo. In particolare
nell'ultimo decennio queste differenze si sono
andate accentuando: emergono sempre più tendenze
alla concertazione centrale con un atteggiamento partecipativo delle parti sempre di più rivolto alla soluzione dei problemi economici e sociali,
mentre non esiste nella maggioranza dei casi alcuna attività consolidata di concertazione a livello di impresa.
L'orientamento di tipo conflittuale distri butivo non trova alcuna forma di regolamentazione di base, come l'esistenza di sedi di arbitrato e/o
di procedure formalizzate di contrattazione
esistenti invece in altri paesi in cui i sindacati
e gli imprenditori perseguono tale tipo di
orientamento. L'attività contrattuale ha però un
elevato grado dì formalizzazione nelle grandi e medie imprese per quanto riguarda i contenuti
degli accordi. La formazione di norme e procedure
è circoscritta esclusivamente al controllo e alla tutela del lavoro più che alla definizione di forme di partecipazione e gestione del sistema di
Relazioni Industriali. Esse sono molto spesso
contrattate anche a livello di reparto, in modo da i
impedire una gestione unilaterale della forza lavoro da parte degli imprenditori. Questo aspetto come si vedrà più avanti costituisce una delle
caratteristiche che più contraddistinguono la
realtà italiana da quella di altri paesi europei.
I diritti di informazione costituiscono
l'unica eccezione a questa assenza di concer
tazione a livello di impresa, essi però sono poco
diffusi e applicati con modalità difformi. Il loro utilizzo avviene comunque in assenza di regole e procedure vincolanti per la consultazione tra
lavoratori, sindacato e impresa. Nel settore
industriale la struttura dei delegati e consigli
si configura rigidamente come un modello di
"single unión channel" con funzioni contrattuali e
solo in alcuni casi si intravede una specia
divisione di attività tra ruoli più propriamente negoziali e altri di tipo consultivo.
In conclusione la struttura contrattuale si
presenta per le ragioni suddette come una
struttura bipolare le cui attività prevalenti sono
quelle confederali e di impresa. L'attività
contrattuale decentrata non è però funzionale a
quella centrale per quanto riguarda alcuni
contenuti contrattuali quali ad esempio l'am montare e i tipi di aumenti retributivi.
Esiste dal 1970 in poi una tendenza alla sovrapposizione e ad una rincorsa tra i livelli contrattuali più che una tendenza ad instaurare una divisione e un rapporto funzionale tra i diversi livelli con procedure e istanze definite
nei compiti e nei contenuti che si devono
Capitolo terzo
CULTURA DEL LAVORO E ORIENTAMENTI CONTRATTUALI PER LA TUTELA DEL LAVORATORE
NELL'ATTIVITÀ' PRODUTTIVA
3.1. L'operaio e la grande impresa
La cultura del lavoro nella grande impresa
in Italia è una cultura di tutela normativa. Le
forme di solidarietà non sono circoscritte dalle caratteristiche socio-professionali di chi lavora ma dalle caratteristiche dell'organizzazione del lavoro in cui si trova ad operare il lavoratore in
ogni impresa. Infatti la tutela è realizzata da
istituti costituitisi come risposta alle condi
zioni di lavoro della singola mansione, o di più
mansioni, trasversali anche a più imprese (gli
operai delle linee di montaggio a ritmo vincolato ad esempio) che riflettono lo status operativo di particolari condizioni tecnologico-organizzative. Questa cultura normativa è una cultura che tende a dare priorità più al posto di lavoro che alla
professione, alla rigidità della norma più che
all'innovazione e flessibilità tecnico produttiva,
che intende il lavoro principalmente come la
condizione per avere un reddito e difenderlo che
come possibilità di sviluppo individuale e
collettivo aperto a miglioramenti qualitativi
(Della Rocca, 1982).
Questa cultura del lavoro può essere
spiegata considerando i più aspetti che hanno
contribuito alla sua formazione: le caratte
l'atteggiamento degli imprenditori; le risposte collettive e spontanee dell'operaio industriale a processi radicali di razionalizzazione produttiva
e sociale; il ruolo svolto dal sindacato nel
rappresentare la protesta degli operai
industriali ..
L'orientamento nella tutela del lavoro è il
risultato di un costituirsi, durante gli anni
Cinquanta-Sessanta, di un "nuovo sistema della
forza lavoro" all'interno dell'area della grande
impresa. A determinare i suoi caratteri primari
hanno concorso cause diverse:
- una elevata parcellizzazione e razionalizzazione
del lavoro nelle grandi e medie imprese
superiore per intensità a quella di altri paesi
europei che ha provocato un impoverimento
costante della qualità del lavoro. Non si hanno
ricerche comparative in grado di suffragare
questa affermazione ma rivelatrice di un
processo produttivo così razionalizzato è la perdita di importanza e la scomparsa (se si escludono alcuni settori margine) dell'istituto dell'apprendistato e il ruolo assunto in Italia
dalla formazione professionale (6). Con la
scomparsa dell'apprendistato viene a mancare uno degli istituti che da sempre contraddistinguono
sul mercato del lavoro l'autonomia del
curriculum professionale del lavoratore manuale
dall'organizzazione della produzione. Si ha
negli anni Cinquanta-Sessanta un periodo di
rapida industrializzazione con un sovvertimento
del mercato del lavoro, da una situazione di
primato dell'offerta in cui è la professione che fa il mercato ad una di primato della domanda in
cui è l'organizzazione che stabilisce le
caratteristiche del lavoro e della remune
razione .
- Il basso grado di mobilità verticale del lavoro operaio. Una indagine condotta su un campione' di
lavoratori nella seconda metà degli anni
Sessanta ha messo in luce la crisi della
carriera e la poca rilevanza che essa ha tra i
lavoratori industriali. I risultati di questa
ricerca mettono infatti in evidenza che non
esiste un flusso apprezzabile di passaggi tra
operaio e impiegato, che i flussi di mobilità
ascendente tra questi non sono rilevanti e che
in alcuni casi la mobilità è discendente,
sintomo di un processo di dequalificazione e
anche di sostanziale arbitrarietà cui è
sottoposta l'assegnazione delle qualifiche
formali sul mercato del lavoro interno (Paci, 1972).
Più in generale, si ha nelle grandi imprese una
diminuzione del numero di operai qualificati e specializzati e un aumento degli operai comuni,
fenomeno quest'ultimo dovuto allo sviluppo
dell'attività produttiva, alla sua accentuata
razionalizzazione e all'aumento della manodopera
grazie alla mobilità intersettoriale, ai flussi
migratori che permangono elevati per tutti gli
anni Sessanta con un forte afflusso di
manodopera non qualificata dall'agricoltura
a l l 'industria.
- L'esigenza per ultimo da parte imprenditoriale
di formare nuove identità e nuovi profili
superando obsolescent! criteri di profes
sionalità individuale in corrispondenza dei
cambiamenti tecnico-organizzativi in atto;
l'introduzione e la generalizzazione di forme di socializzazione e solidarietà aziendale di tipo lavorativo ed extra-lavorativo connesse alle
attività aziendali che spezzassero, ove esi
stevano, le tradizionali culture operaie. Ci si
riferisce in questo ultimo caso alla nascita dei
sindacati aziendali e alle liste di C .T . fatte
da indipendenti, allo sviluppo promosso dalle
aziende delle attività assistenziali, sociali e
ricreative, quali l'assistenza sanitaria, i
fondi di assistenza ad iniziative individuali
dei lavoratori, la formazione e addestramento
aziendale per i giovani, la costruzione di case
per i lavoratori ecc. In tutti questi esempi
l'azienda si sostituisce alla mancanza di
pragmatismo delle organizzazioni sindacali e all'assenza di un'attività riformatrice dello
Stato. ''I nuovi operai della grande industria
venivano sospinti ad identificarsi con
l'azienda, con il posto di lavoro che sostituiva il richiamo al patrimonio professionale e alla
qualità della prestazione lavorativa" (Berta,
3.2. La contestazione del lavoro
La cultura normativa è una risposta
dell'operaio industriale a questo "sistema di fabbrica" e il risultato di un sentimento diffuso di rifiuto nella grande impresa razionalizzata del
lavoro. Il ciclo di lotte del periodo 1969-'72 ha
evidenziato questo atteggiamento negativo con una azione collettiva orientata alla contestazione
dell'organizzazione del lavoro, che metteva
innanzitutto in crisi tutti gli istituti di
incentivazione e partecipazione dei lavoratori
all'attività produttiva (7). Le forme di lotta più importanti utilizzate nel periodo costituiscono già in sé l'espressione di un rifiuto immediato di qualsiasi forma di incentivazione ad aumentare la
produzione. Un esempio è dato dalle frequenti
proteste che si basavano sul rallentamento dei ritmi di lavoro (chiamata altrimenti dagli slogans
degli operai in sciopero, autolimitazione della
produzione, diminuzione dei punti etc.) volon
tariamente operato dagli operai di un reparto o di una fabbrica.
La limitazione della produzione non
costituisce un fatto nuovo nella storia dei
rapporti produttivi, il "soldiering" come lo
chiama Taylor è noto da quando esiste la
produzione industriale a ritmi e a intensità del
lavoro imposti da chi non direttamente lavora. Si
tratta di una normale pratica industriale, attuata
per diversi motivi non sempre immediatamente
conflittuali; la modalità però con cui fu attuata
in Italia specialmente negli anni 1968-'69 fu
più apertamente conflittuali esistenti per
tradizione nella fabbrica moderna. In proposito
così si esprime una testimonianza dell'epoca:
"La limitazione della produzione non era una
reazione 'primitiva', una 'guerra privata', ma
si inseriva consapevolmente in un quadro di
lotta formale, collettiva, esplicita, ed
assumeva in questo contesto un significato
molto più ampio. Rappresentava, almeno in
alcune situazioni, non soltanto la riscoperta a livello collettivo e consapevole di una forma
di lotta efficace nel senso stretto della
parola, ma anche la contestazione dei modi
tradizionali di lotta preoccupati del rispetto della produttività e della legalità, il rifiuto
di accettare le leggi della produzione, e anzi
la volontà di infrangerle una volta scoperta l'essenzialità del proprio contributo anche in quelle grandi aziende nella cui produttività il lavoro umano sembrava avere un ruolo così scarso. Significava prefigurare già nella lotta
un modo diverso di lavorare, a ritmi auto
determinati con criteri che non fossero quelli
della produttività come legge tecnica, e
accorgersi che per giungere ad un maggior grado di controllo era necessario rendere permanente quella struttura organizzativa di base che, a
livello informale, riusciva già ora a dirigere
un tipo di lotta così complessa" (Regini e
Reyneri, 1971).
La richiesta degli aumenti uguali per tutti è il contenuto rivendicativo più diffuso, anche se
assume per i lavoratori che entrano molto spesso
spontaneamente in sciopero un significato
decisamente solidaristico. La parola d'ordine
degli aumenti uguali per tutti tende a
sottolineare lo scopo unificante, gli interessi
comuni nello sciopero contro la pratica degli
aumenti assegnati in percentuale, cioè diversi
secondo la categoria, che nuociono all'unità
perché provocano risentimento e divisione tra
gruppi di operai. Si tratta di motivazioni
solidaristiche perché ignorano ogni accenno alla concreta situazione di lavoro dell'operaio nella fabbrica: il volontarismo insito in questo tipo di
presentazione della rivendicazione di aumenti
uguali per tutti sta nel fatto che gli operai
dovrebbero porsi nelle medesime condizioni
salariali prescindendo "a priori" da ciò che sono e fanno nell'organizzazione della produzione.
In secondo luogo questo contenuto riven dicativo che fu sostenuto da centinaia di migliaia
di operai vuole rifiutare il significato
gerarchico delle qualifiche operaie e della scala
retributiva come sistema incentivante e di
motivazione al lavoro. Essa ha implicito un
atteggiamento di rifiuto del lavoro, e una
richiesta di cambiamento avanzata proprio dagli operai inquadrati nei livelli più bassi della scala retributiva.
"... Nelle fabbriche a produzione di massa vi è una massiccia spinta all'egualitarismo sala
riale, cioè a volere lo stesso salario di
coloro che hanno una qualifica superiore. E' la
ribellione al ghetto dei lavoratori non
non professionali non solo di avere più salario, ma di fare una lavoro diverso.
I semi-qualificati, quelli che nella normativa
contrattuale italiana sono prevalentemente
classificati nella 3a e 4a categoria (cioè operai comuni di la e operai comuni di 2a) non accettano più la loro condizione all'ultimo posto della scala gerarchica operaia e quindi la rifiutano come rifiutano il proprio'lavoro"
(Regini e Reyneri, 1971).
La stessa modalità con cui gli operai, ma
molto spesso anche i tecnici e gli impiegati, si
organizzavano nelle, fabbriche rifletteva questo atteggiamento di critica verso l'organizzazione
del lavoro. La costruzione di piattaforme
rivendicative, in cui veniva stabilita la lista
delle richieste da fare all'impresa, avveniva
attraverso una prolungata e capillare consul
tazione di massa che era determinante nella
definizione dei contenuti. "Ci si rese immedia
tamente conto dell'enorme valore di rottura che
queste esperienze hanno nei confronti di uno
schema di rigida divisione tra lavoro direttivo e lavoro esecutivo" in cui nessuno aveva mai pensato
di consultare gli operai. Questo tipo di
esperienza ha di conseguenza comportato all'in terno delle fabbriche un atteggiamento di rifiuto
nei confronti dei portatori dell'autorità
aziendale provocando la crisi dei capi intermedi (Chiaromonte, 1973),
3.3. La rigidità normativa
La contestazione dell'organizzazione come
principio culturale della diffusione del conflitto in fabbrica ha condotto il sindacato a produrre un sistema di garanzie formali rivolto a limitare il
potere dell'azienda su tutte le forme di
incentivazione e motivazione al lavoro oltre che stabilire istituti più propriamente di tutela del
lavoro. Infatti da un lato la strategia sindacale
si è orientata verso una normativa, modellata
sull'organizzazione del lavoro tayloristico, per
tutelare i lavoratori dagli effetti più negativi e
dall'altra ha richiesto l'abolizione e/o ha
completamente modificato tipi e modalità di
retribuzione che consentivano una incentivazione e motivazione al lavoro (8).
Infatti le proposte del sindacato per
orientare il movimento spontaneo di lotta sono quelle dell'abolizione dei cottimi e dell'egua litarismo retributivo. La proposta di abolizione o "congelamento" della retribuzione a cottimo è una linea che si afferma un po' ovunque nelle grandi
imprese del settore industriale (9). Ancora più
diffusa è l'attività mirante a rendere meno
elastico il fattore lavoro: dal controllo dei
ritmi, dei tempi (fino all'abolizione della
pratica della rilevazione dei tempi in alcune
unità produttive), del numero degli organici,
delle pause, alla limitazione dei turni e
all'abolizione degli straordinari.
Con l'egualitarismo il sindacato fa più che
con l'abolizione dèi cottimo una scelta di
confronti degli operai specializzati. Ciò ha permesso dal 1969 l'abolizione del principio degli aumenti in percentuale che sosteneva una politica di incentivazione della professionalità nei CCNL.
La politica egualitaria ha poi condotto a
successivi risultati : in questa direzione con il
restringimento della scala parametrale, la
eliminazione delle categorie più basse,
1'introduzione dei passaggi automatici di
categoria sulla base dell'anzianità aziendale e non sulla base della professionalità e/o della
performance produttiva del singolo operaio o
impiegato (10).
Riflessioni condotte a posteriori hanno
messo in rilievo i principali limiti di questa
attività contrattuale. Innanzitutto il limite
insito nello stesso termine di "contestazione" dell'organizzazione del lavoro che presuppone un atteggiamento negativo e non direttamente proget tuale per un cambiamento della qualità del lavoro.
La strategia negoziale del sindacato si è
orientata verso una normativa contrattuale a
livello aziendale modellata sull'organizzazione
del lavoro preesistente. Questa normativa si pone
come un vincolo e non come fattore di innovazione,
né prevede in sé in quanto norma, possibilità di
sviluppo o di cambiamento dell'attività produt
tiva. La gestione di queste norme, se condotta in
modo rigido senza un orientamento positivo nei confronti dell'organizzazione può condurre, come è
stato sostenuto da alcuni, ad un unico effetto
possibile: la diminuzione della produttività con
conseguenze astoriche, senza creare premesse ed
alternative (Butera, 1972).
le critiche che lamentavano l'assenza non tanto di un modello propositivo di organizzazione quanto la sottovalutazione di un'attività di tipo stra
tegico. L'assenza di una strategia ha condotto
alla produzione di molta ideologia sulla
contestazione dell'organizzazione capitalistica
del lavoro e sul potere del sindacato ma non alla definizione di una linea rivendicativa di lungo
respiro che introducesse il sindacato alla
gestione di strumenti fondamentali come quelli necessari al controllo del mercato del lavoro.
"Le incertezze nei criteri rivendicativi, in
una certa parte non eliminabili, hanno fatto,
ad esempio, permanere criteri eterogenei per la
mobilità professionale. La mancata valutazione
della particolare 'congiuntura' sindacale, ha
portato alla sottovalutazione di tutti i temi
legati al collocamento ed alla formazione
professionale, istituti preziosi quando il
mercato del lavoro tende a rivolgere al brutto.
Come frutto di uno strano miscuglio fra
mitologia dello sviluppo delle forze produttive
e negazione degli effetti dirompenti della
azione sindacale, la mancata previsione degli
effetti 'arretrati' (se è lecito ancora usare questo termine per soluzioni organizzative come
il decentramento produttivo, del che ho molti
dubbi) ha impedito, ad esempio, la predi
sposizione di adeguate trasformazioni orga
nizzative e negoziali per affrontare tutto
l'insieme dei rapporti fra fabbrica e
territorio" (Cella, 1978).
identificati nel rifiuto del sindacato italiano a trovare soluzioni più consolidate di controllo sul lungo periodo. La ragione di questo rifiuto e'/o di questa propensione a v-ista corta va ricercata nell'atteggiamento negativo, imposto dalla cultura
stessa del. .movimento collettivo, verso qualsiasi
forma di partecipazione e corresponsabilizzazione
alla gestione di istituti aziendali e anche
pubblici, sia pure importanti quali quello del
colloc-amento e della formazione professionale.
Questo atteggiamento e questa cultura hanno
costretto il sindacato italiano entro gli stessi ambiti dell'attività contrattuale rivendicativa, in balìa ai cambiamenti nei rapporti di forza sul
mercato e sui luoghi di lavoro, chiusa nella
difesa del dettaglio della norma dell'accordo
sottoscritto con l ’azienda come esclusiva fonte di tutela del lavoratore.
Capitolo quarto
L'INNOVAZIONE TECNOLOGICA NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI
4.1. La diffusione delle nuove tecnologie
Nella normativa contrattuale italiana non esistono clausole specifiche inerenti la regola mentazione e la tutela dei lavoratori a fronte dell'innovazione tecnologica se si esclude l'art. 15 del CCNL per i dipendenti di aziende editrici e stampatrici di giornali quotidiani ed agenzie di stampa.
L'assenza di una normativa e/o di una
legislazione, diffusa su tutto il territorio
nazionale, può essere spiegata da fattori diversi. Un primo gruppo di fattori sono quelli di tipo esogeno all'attività di regolamentazione sociale
dell'innovazione, inerenti al grado di diffusione
delle nuove tecnologie informatiche nella società
italiana. In generale su questo problema si
lamenta l'assenza di dati sulla diffusione e
contemporaneamente si documenta una inferiorità
dell'Italia per quanto riguarda le spese di
Ricerca e Sviluppo, il deficit della Bilancia
tecnologica, una scarsa specializzazione nella
produzione di nuove tecnologie, un sistema
industriale che è un misto di arretratezza con
industrie mature e di settori avanzati. Si
denuncia inoltre il ritardo nell'avvio di grandi
progetti di ricerca per periodi lunghi su
tradurre l'utilizzo di nuove tecnologie in pro
getti integrati tra progettazione, produzione e
distribuzione dei prodotti con cambiamenti nella struttura e nell'organizzazione delle imprese, una inadeguata strategia di cooperazione internazio
nale, e, infine, nelle piccole imprese, si ha una
insufficiente capacità di. innovazione organiz zativa manageriale e la carenza di finanziamenti (Momigliano, 1983).
In base a tutte queste considerazioni si può
innanzitutto sostenere che l'assenza di una
regolamentazione può essere dovuta al fatto che le tecnologie informatiche non sono così diffuse come
in altri paesi, per l'esistenza di cicli diversi
di industrializzazione che hanno visto differenze piuttosto rilevanti nell'inizio della produzione e dell'utilizzo dei calcolatori e delle tecnologie affini (11).
In secondo luogo, che gli interventi
innovativi non sono stati dettati da strategie
globali e settoriali e/o di impresa, né da
politiche esplicite di intervento e di incentiva
zione da parte dei pubblici poteri, ma rispondono
più a processi di tipo adattivo rispetto a
problemi operativi contingenti. L'innovazione
tecnologica in Italia ha -quindi un approccio "incrementale" che richiede competenze diffuse ma
non necessita sovente di . strutture formali di
ricerca, né di grossi investimenti, né per ora
solleva gravi problemi di mobilità e riadeguamento
del personale e dell'organizzazione (Colombo-
Lanzavecchia, 1983).
Indipendentemente dagli effetti e dai
bisogni collaterali per cui si è ancora in un
un'attività pianificata e di vero sforzo collettivo e focalizzato su alcuni risultati di
rilievo in favore del prevalere di logiche
esclusivamente di mercato e quindi obbliga
toriamente più dispersive.
In terzo luogo, per quanto riguarda invece
l'applicazione e 1'implementazione delle nuove
tecnologie, si ritiene che queste vengano
principalmente introdotte tra gli impiegati ma non abbiano ancora raggiunto un completo e razionale
sviluppo tecnico e organizzativo. In uno studio
condotto nel settore bancario, che è stato tra i
primi ad acquistare nuove macchine, si mette in
rilievo come l'utilizzo sia consistito per molto tempo in una semplice meccanizzazione del posto di
lavoro e abbia, solo in un secondo tempo e in
alcuni settori e funzioni del lavoro bancario,
raggiunto potenzialità proprie dei sistemi
operativi integrati (Caselli, 1982). Per questa
ragione nella ricerca citata si ritiene che almeno sino alla fine degli anni Settanta gli effetti dei sistemi EDP nelle banche siano ancora limitati
perché non esiste in modo diffuso una loro
applicazione come tecnologia dell'organizzazione e della gestione sia delle agenzie che dell'insieme
dell'impresa. L 'informatizzazione non si è mai
presentata in queste imprese come un problema di
Relazioni Industriali, i problemi di rigetto da
parte del personale, secondo le direzioni delle
banche, sono risolvibili con soluzioni di tipo
formativo, i problemi più gravi sono quelli di
impostazione (setting) dell'implementazione a
livello macro-organizzativo dei nuovi sistemi, per la diffusione di nuovi servizi, per l'impostazione
di attività gestionali e di coordinamento
dell'impresa (Caselli, 1982).
4.2. I limiti della normativa contrattuale
Un se.condo gruppo di fattori in grado di poter spiegare l'assenza di una normativa sulla innovazione tecnologica è di tipo endogeno alla contrattazione in Italia.
Innanzitutto, la natura "incrementale" della innovazione tecnologica fa sì che essa stessa sia
poco "visibile" entro l'area operativa delle
Relazioni Industriali soggette anche ad altri, e
forse più importanti fattori di turbolenza, quali
la depressione economica, la limitazione dei
mercati, il mutamento dei prodotti e la loro
diversificazione. L'innovazione tecnologica è solo
uno dei fattori della razionalizzazione per
rispondere alla crisi, gli stessi temi relativi
alle richieste imprenditoriali di riduzione
dell'occupazione, di mobilità del lavoro dentro e
fuori le imprese, fenomeni frequenti durante la
crisi economica, sono stati affrontati globalmente e comunque non sono stati direttamente imputati all'innovazione tecnologica in quanto tale.
Di conseguenza gli effetti dell’innovazione tecnologica sono stati trattati entro un quadro di
riferimento di tutela normativa. Numerosissimi
sono gli accordi intercorsi sulla Cassa Inte
grazione Guadagni, sui prepensionamenti, sulla
mobilità del lavoro, sulla riqualificazione del
personale, sulla garanzia delle retribuzioni,
sugli orari e i turni, ma è impossibile
riconoscere tra questi quelli che fanno esclusivo
tecnologica in quanto tale.
Lo sviluppo di una tendenza di tutela
normativa del lavoratore sui luoghi di lavoro, frutto di un orientamento e di una cultura del lavoro che tende ad escludere e ad individuare in
modo negativo qualsiasi istituto e forma di
partecipazione e motivazione all'attività produt
tiva, ha in secondo luogo impedito la formaliz
zazione di accordi orientati, nel loro insieme,
alla gestione dell'introduzione della tecnologia. Per la tradizione contrattuale, come essa è emersa dal ciclo di lotte della fine degli anni Sessanta,
sono risultati secondari i problemi attinenti
l'introduzione, 1'implementazione e lo sviluppo
della tecnologia e dell'organizzazione. Questi
aspetti diventano importanti solo quando hanno
effetti diretti sul posto di lavoro. I problemi
dell'introduzione e della gestione dell'inno
vazione tecnico-organizzativa risultano essere, per questa cultura, un problema degli imprenditori
per cui non è necessaria e deve essere, se
possibile, esclusa una iniziativa del sindacato.
Per questa ragione quindi gli istituti contrat
tuali, realizzati negli anni Sessanta, sono
sufficienti a tutelare il lavoro; procedure di
consultazione e verifica, sono sempre state
vissute, almeno fino al 1975, con sospetto (12).
A differenza di altri paesi europei, in cui
esiste da tempo una attività di regolamentazione
che include un apparato e una struttura
procedurale sia nazionale che aziendale, l'Italia
ha una esperienza opposta per cui l'assenza di procedure conduce a urja dispersione di contenuti e
di clausole negli stessi accordi aziendali.
L'accordo aziendale in Italia non è nella quasi
totalità dei casi, almeno fino al 1975-76, un contratto strutturato con tempi e modalità di applicazione, con fasi di verifica e consultazione
rispetto a uno o a un numero ristretto di
obiettivi. L'accordo è invece una serie di norme
impositive su temi numerosi e molto spesso
distanti tra loro per quanto riguarda i contenuti, da cui viene spesso esclusa ogni possibilità di sperimentazione e verifica a posteriori.
4.3. Gli accordi sull'organizzazione del lavoro
Due sono le eccezioni a questo quadro
interpretativo della contrattazione aziendale in
Italia: gli accordi sulle nuove forme di orga
nizzazione e l'utilizzo dei diritti di informa zione .
Gli accordi sull'OdL rappresentano la prima
delle innovazioni della contrattazione, promossa
dal sindacato e da una parte degli imprenditori, per modificare gli aspetti di maggiore rigidità e staticità del sistema di Relazioni Industriali.
Essi costituiscono un modello, mai esplicitamente
formalizzato, di attività contrattuale e una
modalità con cui il sindacato italiano ha
realizzato un'attività negoziale anche sull'in novazione tecnologica. Pur non avendo come diretto
referente la tecnologia, gli accordi sull'OdL
costituiscono una modalità con cui questa può
essere contrattata per il rapporto di comple mentarietà che esiste tra organizzazione e tecno
logia. In particolare, se si guarda all'in
troduzione dei sistemi informativi automatizzati, l'organizzazione diventa sempre più parte della
progettazione operativa (implementazione). In particolare questo assunto è vero con l'aumentare
dell'automazione, più questa ultima aumenta e più
l'organizzazione influenza le modalità di utilizzo
delle macchine (De Maio et al. 1982) e per questa
ragione è possibile che processi di sviluppo
organizzativo siano parte dei processi di
implementazione dei sistemi informativi (13).
Lo sviluppo di questo modello di attività contrattuale contrasta con quello più proprio della tradizione normativa della contrattazione a
livello di impresa in Italia. Questo tipo di
accordi ha origine nel 1971 quando riappare nel movimento sindacale una riflessione sulla qualità del lavoro che rileva l ’insufficienza delle scelte
sull'egualitarismo salariale (14). La scelta del
sindacato di risolvere il problema della mobilità professionale con i passaggi automatici stabiliti sulla base dell'anzianità aziendale incomincia ad essere considerata come una sottovalutazione dei
problemi reali dell'organizzazione perché, per
realizzare un egualitarismo reale, la richiesta di
categoria più alta fatta dai lavoratori più
dequalificati deve essere accompagnata da un
miglioramento della qualità del lavoro. L'obiet
tivo della mobilità dovrebbe coincidere con quello
dell'unificazione reale dei lavoratori in un
contesto di progressivo e radicale cambiamento
dell'organizzazione del lavoro. In questo modo,
sempre secondo le organizzazioni sindacali, si
verrebbe ad esprimere una linea veramente
egualitaria, mentre un egualitarismo puramente
salariale avrebbe un valore limitato e provvisorio perché riemergerebbero con forza le disuguaglianze strutturali tra i diversi gruppi di lavoratori
(Lettieri, 1972).
Una maggiore aderenza della qualificazione formale all'organizzazione del lavoro presuppone,
a sua volta, un rapporto diverso tra lavoro
operaio e lavoro impiegatizio. Le capacità
professionali e l'apporto alla produzione di un operaio qualificato e operaio specializzato non
devono, secondo il sindacato, essere considerati
inferiori all'apporto espresso da un normale
impiegato amministrativo. Il sindacato critica una classificazione separata operai e impiegati a
totale vantaggio di questi ultimi e propone
1'"inquadramento unico" tra i due gruppi profes sionali; viene applicata una scala retributiva che mette in parte sullo stesso piano le qualifiche degli impiegati e quelle degli operai e prevede un
sistema di mobilità verticale basato su una
normativa che consenta il passaggio di qualifica in caso di rotazione e di arricchimento del lavoro.
Con l'inquadramento unico (1973) l'orga
nizzazione della produzione comincia a non essere più percepita come uno strumento in mano agli
imprenditori, come qualcosa di estraneo a chi
lavora e che bisogna contestare. La critica in
questo caso ha assunto un indirizzo positivo,
dalla contestazione il sindacato cerca, in parte
consapevole dei limiti della politica riven
dicativa degli anni precedenti, di ripristinare
nuovi meccanismi motivazionali al lavoro in grado di migliorarlo e umanizzarlo.
Mentre l'attività contrattuale dell'inqua dramento unico si è persa in una prassi spicciola
e applicativa molto spesso individuale,
esclusivamente funzionale in alcuni casi alle
richieste di passaggi di categoria, fatte dai lavoratori comuni, e alle esigenze di mobilità del
personale, poste dal datore di lavoro, si segna
lano, per la loro importanza, accordi su progetti
di nuove forme di organizzazione del lavoro. La
caratteristica di questi accordi è quella di
riferirsi ad un modello globale e unitario di
organizzazione che, applicato in più fasi, è con
trollato e gestito entro l'ambito delle Relazioni
Industriali. I principi, i fini, le modalità
tecniche e organizzative del progetto, le fasi, le procedure e i contenuti delle condizioni di lavoro
vengono definiti in un contratto. La natura di
questo contratto è quella dell'unitarietà del l'obiettivo e della pluralità dei contenuti e
delle procedure, il suo carattere è un carattere
sperimentale, si richiama a successive verifiche e a possibili accordi che modifichino e correggano
il processo di sperimentazione e applicazione
(15).
L'enfasi progettuale è posta non sulla
tecnologia ma sulla micro-organizzazione del
reparto, intesa però come progetto globale
(inclusa la tecnologia di processo e di prodotto) di un'unità di produzione, e sulla professionalità
collettiva, così chiamata dal sindacato. Sia la
mobilità del lavoro che la nuova professionalità
vengono definite in termini di polivalenza,
maggiore capacità tecnica, conoscenza completa del ciclo, capacità di intervento e di controllo della produzione; tutte queste qualità sono riferite più al gruppo che al singolo lavoratore (Chiaromonte, 1978).
Il gruppo di lavoro, come esperienza di una
nalità e autonomia del lavoratore nell'esercizio
del proprio lavoro, giustifica, per il sindacato,
l'esercizio di alcuni fattori più sopra accennati (quale, ad esempio, la mobilità) che se presi a sé stanti avrebbero dovuto essere considerati come
negativi. Inoltre più che in ogni altro accordo
viene riconosciuto per la prima volta tra le parti
che alcune fondamentali esigenze dell'impren
ditore, quale il miglioramento della produttività, non sono incompatibili con altre quali quelle inerenti il miglioramento della qualità del lavoro o la sua umanizzazione.
Questo tipo di attività contrattuale ha
avuto nelle Relazioni Industriali una diffusione
limitata, non si è mai realizzata l'ipotesi
sostenuta da alcuni che i contenuti, le procedure, la forma di questo tipo di contratto avrebbero potuto essere oggetto di accordi generali tra le parti sociali come é avvenuto in altri paesi (16). Tuttavia a livello di impresa questa esperienza,
dopo una iniziale crisi a metà degli anni
Settanta, ha posto un modello di regole del gioco
per affrontare il cambiamento organizzativo che sarà poi ripreso dall'esperienza dell'utilizzo dei diritti di informazione.
4 .4. I diritti di informazione
Più lineare, definita da una specifica
normativa introdotta nei CCNL a partire dal 1976 e
meno anomala nel panorama europeo, è l'introdu
zione dei diritti di informazione. I diritti di
informazione costituiscono una seconda modalità
prin-cipi diversi da quelli tradizionali, è pervenuto a realizzare una attività negoziale sulle tecno logie.
Durante la crisi economica il sindacato ha chiesto e ottenuto i diritti di informazione con lo specifico intento di stimolare e richiedere un controllo del sindacato sulle prerogative più proprie della funzione imprenditoriale, non quelle relative alla organizzazione della produzione mà
quelle più vicine alle politiche di impresa, in
particolare la capacità di decisione e di inno
vazione. L'ambizione iniziale di queste richieste
non è più la contestazione e la tutela del lavoratore nell'organizzazione del lavoro ma il controllo sulle decisioni degli investimenti a
livello di impresa. Controllo degli investimenti
significa richiesta di un loro sviluppo per
dimostrare un impegno del sindacato, a partire
dalla stessa attività di contrattazione aziendale,
nella politica di ripresa economica. Per il
sindacato lo sviluppo di una politica di inve
stimenti deve anche, e prioritariamente, essere
attuata attraverso un intervento programmato dello Stato che si accomuni a coordinare l'iniziativa assunta da ogni singola impresa.
Con il 1977 i diritti di informazione sono un dato acquisito nella realtà industriale, almeno
per quanto riguarda le grandi imprese. Pur
differendo da categoria a categoria, nella
sostanza tali diritti prevedono informazioni sui
programmi di investimento, sulle innovazioni e
sulle modifiche tecnologiche, sul decentramento
produttivo, sulle localizzazioni dei nuovi
insediamenti, sul ricórso all'appalto e ai lavoro
dibili riflessi sull'occupazione e sull'organiz
zazione del lavoro. Con il diritto alla verifica
ed esami congiunti delle informazioni sui
provvedimenti accennati, il sindacato intende
affermare una sua possibilità di controllo oltre che di conoscenza.
L'aspetto più importante dei diritti di informazione è che essi introducono formalmente nell'attività contrattuale i problemi dell'impresa
senza però realizzare sempre una effettiva
consultazione del sindacato e di chi rappresenta. In molti casi essi sono stati utilizzati solo per informare il sindacato di decisioni già assunte negando di fatto qualsiasi opzione in proposito, oppure solo e con l'esclusivo scopo di introdurre vincoli e problemi dell'azienda stabilendo di fatto un ruolo subordinato della partecipazione sindacale perché circoscritto da vincoli esclu
sivamente di tipo economico-produttivo. Rappre
sentano una svolta nella contrattazione solo nei casi in cui viene istituita una prassi contrat tuale con una propria strumentazione per gestire le informazioni e i diversi processi dì inno vazione e/o di razionalizzazione a cui esse si riferiscono.
Sono questi i casi in cui i diritti di informazione vengono utilizzati in funzione di mutamenti tecnici e. organizzativi (Della Rocca-
Negrelli, 1983). D'altronde, nel caso di infor
mazioni sui mutamenti tecnologici, non poteva che
essere così, come era possibile il perdurare di
una prassi di difesa normativa e di permanente rigidità del lavoro con la richiesta stessa di nuovi investimenti e di maggiore efficienza pro
accordi di innovazione tecnico-produttiva non possono essere di fatto distinti da un effettivo
utilizzo dei diritti di informazione, che si
realizza in questi casi non tanto come forma di pressione per costringere l'azienda a investire in
nuovi insediamenti, né come forma di controllo
dell'attività finanziaria e della politica econo mica dell'impresa quanto invece come strumento di gestione degli effetti sociali della innovazione tecnico-produttiva.
In queste esperienze aziendali i fini del mutamento non sono esclusivamente definiti dai vincoli economici e di mercato ma anche in base ad
aspettative di tipo sociale, vi si individua
inoltre una convergenza delle parti su alcuni obiettivi e regole del mutamento sia dell'impresa che delle Relazioni Industriali la cui realizza zione è prevista su tempi medio lunghi e comporta
per questa ragione una pianificazione della
contrattazione.
Solo entro questo tipo di accordi è stato possibile individuare un'efficacia dei diritti di informazione e un'effettiva partecipazione delle organizzazioni sindacali alla gestione dell'im presa e un cambiamento dei processi contrattuali. La prima e più rilevante innovazione è che i diritti di informazione consentono ad impresa e sindacato di prevedere anche nel breve e medio
periodo il loro reciproco comportamento. Il
mutamento è quindi dato dal passaggio da una
situazione, in cui la regola è la mancanza di
prevedibilità, ad un'altra, in cui il compor
tamento delle parti sia conosciuto. In questo
caso la diffusione e la conoscenza delle
può venire meno.
La seconda innovazione, che i diritti di
informazione introducono, sta quindi nel discutere
preventivamente molti dei mutamenti provocati
dalle strategie imprenditoriali e dalla direzione dell'impresa.
La tèrza novità consiste nello sviluppo dei
rapporti informali tra sindacato e impresa.
L'allungamento delle procedure attraverso una
informazione preventiva stabilisce di fatto un periodo o una sede di attività di consultazione
che precede quella negoziale vera e propria. In
una situazione conflittuale in cui ogni aspetto è
rigorosamente sottoscritto e formalizzato i
diritti di informazione possono introdurre una fase consultiva che non necessariamente si chiude
con un'attività negoziale e che comunque la
precede.
L'attività di consultazione non impegna
formalmente le. parti, non le obbliga a prese di
posizione esplicite come l'attività negoziale, può introdurre una fase di riflessione e progettazione specifica su temi propri dell'attività di gestione aziendale. Questa attività informale non impedisce a sua volta uno sviluppo più completo e maturo dell'attività contrattuale vera e propria.
La quarta novità è data dai mutamenti che ì diritti di informazione introducono nel modo di lavorare e nella stessa struttura della rappre
sentanza sindacale in azienda. Si assiste ad una
divisione del lavoro e a una specializzazione
dell'attività di rappresentanza innanzitutto tra i diversi livelli e soggetti della contrattazione, e
tra l'attività di contrattazione e quella di
specifici preposti a tale attività.
4.5. Gli orientamenti degli imprenditori
Gli orientamenti degli imprenditori nei
confronti di questi atteggiamenti innovativi della cultura industriale dei sindacati italiani sono stati in generale poco analizzati. Le Associazioni imprenditoriali come quelle sindacali non hanno stabilito iniziative con lo specifico proposito di definire il ruolo dell'innovazione tecnologica entro l'area delle Relazioni Industriali. Come per
il sindacato, e con minore enfasi, il tema
trattato è stato quello dell'organizzazione e su tale tema le esperienze e la disponibilità non è identica e non rappresenta uno dei cardini della loro strategia.
Solo le associazioni dell'industria pubblica fanno sì che in parte i progetti di innovazione
tecnico-produttiva siano uno degli aspetti
rilevanti della loro attività nelle Relazioni
Industriali. Negli atti del convegno dell'In-
tersind "Cultura e società industriale" tenuto a Firenze nel maggio del 1980 vi si fanno alcuni
riferimenti nell'ambito di un appello, rivolto al
sindacato, di ritorno alle compatibilità econo
miche con l'impegno dell'impresa di non riuti
lizzare le tecniche e i metodi del passato. Per
cultura industriale gli imprenditori pubblici
intendono una scala generale di valori di
razionalità e di efficienza da cui qualsiasi forma
di sviluppo economico non può prescindere. Si
rileva, criticando 1-e organizzazioni sindacali,
l'incapacità della cultura di queste di