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CAPITOLO IV Diaz e Bolzaneto: la concezione punitiva dell’Ordine Pubblico

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CAPITOLO IV

Diaz e Bolzaneto: la concezione punitiva dell’Ordine Pubblico

A chiudere il quadro delle giornate di Genova restano due eventi uniti da un filo di violenza efferata e gratuita, oltre che in stretto rapporto cronologico tra loro. Il primo è l’epilogo di quei giorni, a cavallo tra il giorno della grande manifestazione internazionale e la chiusura ufficiale del Vertice, in una notte in cui gran parte di coloro che sono scampati agli scontri o agli arresti pensa che il peggio sia ormai passato e si possa in qualche maniera rilassarsi ed organizzare il rientro a casa o continuare a lavorare per denunciare le brutalità di cui sono state vittime tantissime persone nel corso delle manifestazioni. O si pensa a quali debbano essere i prossimi passaggi della strategia politica e valutare errori o sconfitte subite in quei giorni. Oppure ci si abbandona ad un attimo di svago, qualche birra e qualcosa da mangiare prima di stendersi dentro un sacco a pelo. L’epilogo di quelle giornate stravolge questo scenario chiudendo un’escalation cominciata tanti mesi prima, senza sciogliere la continuità fatta di attacchi indiscriminati alle piazze e alle singole persone nelle strade. Nella notte tra il 21 e il 22 Luglio l’irruzione, il “blitz” della scuola “Diaz”, come passerà poi alla storia, porta lo scontro violento nella calda intimità del sonno, nello spazio claustrofobico dei corridoi. L’ondata violenta delle Forze dell’Ordine chiude la settimana di iniziative del Genoa Social Forum e del popolo anti-G8 con una rappresaglia che verrà definita “cilena” all’indomani dell’intervento, dando sfogo alla frustrazione accumulata nel rincorrere i gruppi di devastatori senza mai mettere a segno un intervento decisivo in nessuna delle due giornate di “guerriglia”. Le immagini del blitz entrano, insieme a quelle della tragedia di Piazza Alimonda, nell’immaginario legato al G8 del 2001.

Il secondo evento, che in realtà attraversa le tre giornate del 20, 21 e 22 Luglio, è un luogo simbolo, più che un fatto compiuto in un determinato arco di tempo. Luogo in cui prosegue con metodicità quella violenza iniziata nelle strade e nei locali delle scuole Diaz, in cui si ribadisce il trionfo militare dei Reparti e in cui gli aderenti alle manifestazioni vanno incontro al castigo ritualizzato da parte degli agenti delle varie forze di Polizia. È la caserma di Bolzaneto, la cui realtà inizierà ad emergere solo dopo che i fermati potranno far rientro alle proprie case, passando dalla procura per depositare formalmente le denunce degli abusi subiti.

Questi due luoghi/eventi segnano il passaggio da una gestione dell’ordine pubblico particolarmente rigida e dura, ad una concezione della protesta come scontro tra fazioni, come guerra di annientamento in cui il nemico deve soccombere fisicamente, politicamente e psicologicamente.

Un passaggio di un confine pericoloso che, come si vedrà a chiusura di capitolo, trova pochi precedenti storici in cui cercare analogie o più probabilmente, modelli di comportamento.

4.1 Le scuole “Diaz”

Le scuole, note con il nome dato all’edificio durante l’era fascista, ma oggi dedicate all’ex-presidente della repubblica S.Pertini, costituiscono insieme al complesso Diaz-G.Pascoli, parte delle strutture concesse al Genoa Social Forum dalle istituzioni locali (Provincia e Comune di Genova). Come è stato ricordato nel precedente capitolo di cronaca della settimana di iniziative, l’ormai famosa palestra della scuola Pertini ha ospitato anche la prima sessione di assemblee e seminari in attesa che fosse completata la tensostruttura di Piazzale Kennedy, area concessa dal Comune per ospitare il Public Forum. Nei giorni successivi a Lunedì 16 Luglio le scuole funzionano da dormitorio a cui vengono indirizzate le persone che necessitano di uno spazio per trascorrere la notte e che spesso non fanno capo a nessun gruppo organizzato (Cobas, Centri Sociali e Disobbedienti hanno infatti delle strutture assegnate appositamente). Le scuole Diaz-Pascoli inoltre ospitano le redazioni di Indymedia, Carta e Il Manifesto, i centri di documentazione, l’ambulatorio gestito dai volontari del Social Forum e il quartier generale degli avvocati del Legal Forum. Il centro costituisce anche un punto di riferimento per

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avere notizie dal resto d’Italia e dall’estero dei propri amici e parenti che si sono recati a Genova per le manifestazioni.

Benchè la principale ragione che ha portato all’azione delle Forze dell’Ordine fosse la presenza all’interno dell’edificio di individui riconducibili ai gruppi anarco-insurrezionalisti, l’unico contatto documentato tra Black Bloc e scuole Diaz è quello riportato anche nel capitolo precedente quando nel pomeriggio del 17 Luglio nei locali del Gsf compare il comunicato multilingue firmato dall’International Genoa Offensive (Offensiva Internazionale di Genova) che preannuncia le mobilitazioni per il pomeriggio del 201. Al di là dell’episodio non sono mai esistiti altri tipi di rapporti, tantomeno il Gsf si è mai fatto portatore di contenuti e pratiche riconducibili alle aree più estreme.

Le due sedi scolastiche sono di competenza del Comune e della Provincia di Genova, rispettivamente la scuola Pascoli e la scuola Pertini. L’allora Presidente della Provincia Marta Vincenzi durante l’audizione della Commissione Parlamentare d’Indagine, mette l’accento sul fatto che avesse nutrito diversi dubbi sull’opportunità di affidare la sede della Pertini al Gsf, data la presenza del cantiere per i lavori di ristrutturazione dei locali interni ed esterni, ragione che fece limitarne la concessione esclusivamente al piano terra dell’edificio, adibito, come si è detto, a dormitorio2. Negli spazi comuni sono anche disponibili computer per poter consultare internet e inviare aggiornamenti sul web.

La scuola Pascoli è stata concessa dal Comune nella sua interezza, la struttura è ben più recente rispetto a quella degli anni 30 della scuola Ex-Diaz e gli spazi al suo interno vengono organizzati con più razionalità, dal seminterrato in cui ha sede la sala stampa del Genoa Social Forum, al terzo piano dove si trovano le redazioni dei giornali.

In questa premessa è necessario sottolineare come la destinazione d’uso della scuola fosse ben nota a tutte le istituzioni.

Nel corso della giornata del 21 Luglio la Questura riceve alcune segnalazioni da parte di cittadini residenti in Via Cesare Battisti che riferiscono di persone in abbigliamento scuro intente a radunarsi o ad accumulare cassonetti ed altro materiale in Piazza Merani, nelle immediate vicinanze della scuola. Le segnalazioni non trovano però nessun riscontro.

Nel tardo pomeriggio del 21, come si vedrà, sono numerose le persone che trovano nel dormitorio della scuola Pertini un utile punto di appoggio in attesa di intraprendere il viaggio di ritorno o di avere notizie di amici feriti e ricoverati in ospedale o fermati durante gli scontri. Il quartier generale del Gsf inoltre è ancora immerso nel lavoro di organizzazione per il deflusso, le redazioni stanno ultimando gli aggiornamenti e Radio Gap prosegue le dirette con testimonianze e trasmissioni sui fatti di quei giorni. Per la tarda serata è prevista un’assemblea plenaria del Forum in cui si dovranno tirare le somme delle giornate di Genova. Gli edifici di Via Battisti restano quindi gli ultimi centri del Gsf ancora in attività mentre il resto della città è percorsa da cortei di persone che si recano ai pullman o alla stazione di Brignole, affollata da migliaia di persone che aspettano di poter finalmente rientrare a casa.

4.1.1 Modalità e ragioni dell’intervento

Nella lettura dei fatti bisogna considerare il clima creatosi intorno all’operato della Questura e di tutti gli apparati preposti alla sicurezza. Se da un lato erano già sotto accusa le violenze, testimoniate da tante immagini, messe in atto da numerosi agenti ai danni di manifestanti inermi, dall’altro veniva additata da numerosi media l’incapacità di arginare le devastazioni, isolare le frange violente e reprimerne le azioni. In quest’atmosfera si inserisce la

1 Cfr cap.3 nota 18.

2“[...] c'era il cantiere, naturalmente fu separato il cantiere rispetto alla scuola, però noi vedevamo questo come un pericolo, pensando

alla sicurezza dei ragazzi però, più che altro. Voglio dire, pensavamo al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, ed a lla sicurezza degli ambienti, piuttosto che ad altri aspetti. Ma certo la presenza di un cantiere avrebbe sconsigliato un certo impiego.” Dall’audizione

della Presidente della Provincia di Genova Marta Vincenzi presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta del 7 Agosto 2001, pag. 98.

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necessità di far fronte, con interventi efficaci, alle accuse di inadeguatezza dell’apparato difensivo e repressivo, tanto vantato alla vigilia del vertice.

La decisione di intervenire presso le sedi del complesso scolastico assegnate al Gsf non fu l’unico atto delle Forze dell’Ordine teso ad identificare possibili partecipanti agli scontri e sequestrare materiale utilizzato nel corso delle azioni di devastazione. Nel precedente capitolo è stato fatto cenno alla perquisizione a carico del Network per i diritti globali, presso il campeggio di Via Maggio, e al sequestro del furgone dal quale erano stati visti alcuni aderenti al Network scaricare bastoni ed altro materiale nel corso di un corteo, rivelatosi utilizzato dai servizi d’ordine per tutelare lo spezzone da eventuali infiltrazioni.

Gli scontri del pomeriggio del Sabato, che avevano aumentato considerevolmente la stima dei danni subiti dalla città e dai cittadini, possono aver inciso ulteriormente nell’aumentare la tensione che aleggava tra i vertici delle Forze dell’Ordine. Come emerge inoltre da alcune dichiarazioni dei massimi esponenti della Polizia di Stato un altro elemento che rendeva necessario agire con urgenza era costituito dall’avvicinarsi della fine delle manifestazioni di opposizione al Vertice e gran parte dei dimostranti aveva cominciato il “controesodo” sin dalle ore immediatamente successive allo scioglimento del corteo.3 Tanti dei centri di accoglienza e campeggi che avevano ospitato gli attivisti del Movimento si erano svuotati sin dalla mattina. Il cambiamento di linea nelle modalità di intervento delle Forze dell’Ordine può essere letto anche nell’invio a Genova del Prefetto Arnaldo La Barbera. Su questa decisione del Capo della Polizia De Genaro sono state fatte numerose ipotesi che hanno interpretato l’arrivo di un funzionario superiore come la volontà di “scavalcare” la direzione delle operazioni da parte del Questore. Al di là delle ipotesi è lo stesso Prefetto Ansoino Andreassi a fornire una lettura dei fatti che lascia supporre un lieve mutamento nella linea d’azione delle Forze dell’Ordine:

“La direttiva che incomincia a delinearsi con l’affidamento a Gratteri dell’intervento alla Paul Klee è quella di mobilitare le unità ritenute più efficienti, più rapide, per procedere a degli arresti, visto che la città era stata devastata il giorno precedente da varie azioni successe a ma… dentro e al margine della manifestazione, e che in sostanza la reazione non era stata… la reazione da parte delle forze dell’ordine non era stata abbastanza efficace.[...] ho ritenuto che si volesse passare a una linea più incisiva di quella, fino a quel momento seguita e questo mio convincimento lo trassi, in primo luogo dall’affidamento da parte del capo della Polizia, a Gratteri, dell’intervento alla “Paul Klee”, poi successivamente, con l’invio di La Barbera a Genova. Verso le 14:00 il capo della Polizia mi telefonò e mi disse che avrebbe mandato La Barbera a darmi una mano. La Barbera arrivò in torno alle ore 16:00, quando la manifestazione stava per terminare o era terminata. Quindi, l’invio di La Barbera, non è qualcosa che attiene ad esigenza di gestione dell’ordine pubblico.[...]Più incisiva significa procedere ad arresti, procedere ad arresti per cancellare l’immagine di una Polizia che era rimasta inerte, di fronte a delle azioni di devastazione e di saccheggio della città.[...] Il Prefetto La Barbera, secondo quello che è emerso dall’attività istruttoria, e quello che emerge dalle carte, avrebbe avuto l’incarico da parte del capo della Polizia, di venire a

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“Allora, assumendomi forse responsabilit`a che vanno ben al di là del mio mandato - perchè per me il mandato era concluso, le

manifestazioni erano finite, il mio compito, a volerlo dilatare, era quello dell’ordine pubblico, non quello delle perquisizioni, nè quello degli arresti -, convenni sulla impossibilità di dilazionare questa operazione, perchè, o si faceva subito, oppure era inutile aspettare l’indomani mattina, dopo quello che era successo: se ne sarebbero andati tutti. E, se era vero che all’interno della Diaz c’erano dei violenti, bisognava intervenire.” Dall’audizione del Prefetto Ansoino Andreassi presso la Commissione Parlamentare d’indagine

conoscitiva, seduta del 29 Agosto 2001, pag. 8. La posizione rispetto all’urgenza di un intervento è ribadita anche dal Prefetto La Barbera nel corso della seduta del 28 Agosto a pag. 153: “La necessità di procedere alla perquisizione alla scuola Diaz è emersa, quindi, in un

momento successivo ed è stata condizionata da elementi del tutto autonomi rispetto alla mia presenza nella questura di Genova. Tengo a precisare che, nel frangente, valutate le condizioni di fatto che si presentavano (aggressione di quattro pattuglie in servizio di perlustrazione, la rilevata presenza davanti ai locali della scuola di oltre 200 persone, nella quasi totalità vestite di nero, le manifestazioni per la chiusura del vertice previste per il giorno dopo e il fatto che numerosi black bloc, individuati la ser a precedente a Villa Imperiale - mi riferisco alla sera del 20, come risulta dagli atti - durante la notte erano riusciti a defilarsi, rendendo vano l'intervento delle forze dell'ordine), ho concordato e concordo tutt'oggi con la decisione assunta dal questore di procedere alla perquisizione ai sensi dell'articolo 41.”

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sollecitare gli ufficiali di collegamento a… sollecitare… a spronare gli ufficiali di collegamento delle polizie straniere ad una collaborazione più rapida, in relazione ad arresti di stranieri coinvolti negli scontri.[...] Il problema è questo che il capo della Polizia che mandava La Barbera a darmi una mano, La Barbera a me non parlò mai di ufficiali di collegamento delle polizie collegate, perché tra l’altro c’era Luperi, addetto a questo compito, e oltre tutto, non c’erano… non erano ravvisabili particolari motivi di urgenza, tali da comportare lo spostamento in zona cesarini come si dice… di La Barbera, da Roma a Genova, e quindi quel viene La Barbera a darti una mano, io lo interpretai in relazione ad un’azione tesa a reagire attraverso arresti.”4

In un’atmosfera di tensione generalizzata, in particolare all’interno del Movimento che nelle giornate appena trascorse aveva subito duri attacchi alle proprie manifestazioni da parte dei reparti di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, nel corso della giornata del 21 Luglio la Questura predispone il servizio di diversi “pattuglioni” misti, composti da personale delle Squadre Mobili e dei Reparti con lo scopo di “bonificare” le zone interessate dagli scontri5 e vigilare sul deflusso dei manifestanti dalla città, ma in realtà il servizio si estende a gran parte della zona gialla ed anche al di fuori di essa. Uno di questi pattuglioni transita tra le 20:30 e le 21:306 (le fonti riportano diversi orari, il fatto risulta comunque avvenuto poco prima del tramonto) da via Cesare Battisti e in prossimità degli istituti scolastici sede delle iniziative del Gsf le volanti vengono circondate da numerose persone.

L’agente Weisbord Daniela, a bordo di una delle vetture che componevano la pattuglia, riporta la sua versione del passaggio, da lei stessa ritenuto “anomalo” data la struttura delle strade (“stretta e a senso unico”), fatto che la teste farà notare ad una sua collega della Questura di Genova che componeva lo stesso convoglio. Secondo la Weisbord durante l’accerchiamento delle vetture le persone che occupavano la strada:

“Urlavano e ci dicevano: “Assassini, assassini”[...] non hanno aperto gli sportelli, io avevo il finestrino aperto perché fumavo in macchina, non hanno lanciato roba, facevano... così, come rivolta, cioè cercavano di incuterti paura, non è che c'hanno sballottato, io avevo la Subaru, la Subaru non aveva niente di anomalo.[La dinamica è durata] Neanche un minuto.”7

Secondo altre testimonianze degli agenti in servizio le vetture della Polizia sarebbero state fatte oggetto di lanci di oggetti contundenti e costrette alla fuga, come riporta la testimonianza dell’Assistente Davide Valeri che in quel frangente si trova a bordo del Fiat Magnum, mezzo blindato in dotazione al Reparto Mobile di Napoli e prestato alla Questura di Genova per effettuare il servizio di pattuglia nel poimeriggio del 21 Luglio:

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Dalla deposizione del Prefetto Ansoino Andreassi al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 23 Maggio 2007.

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“[...]nella giornata di sabato, quindi all'indomani della morte di Carlo Giuliani, episodio che fece mutare ulteriormente la situazione

dell'ordine e della sicurezza pubblica, quando ormai si erano concluse le manifestazioni di piazza, con i lavori del summit che sarebbero proseguiti il giorno successivo, si convenne di predisporre 6 pattuglioni a formazione mista con personale DIGOS, squadre mob ili, Servizio centrale operativo, reparti prevenzioni e crimine, reparti mobili, per meglio seguire il deflusso dei manifestanti, prevenire o reprimere eventuali ed ulteriori reati, individuare la presenza di quei gruppi ritenuti più violenti e pericolosi .” Dall’audizione del

Direttore del Servizio Centrale Operativo- Criminalpol, Dott. Francesco Gratteri presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta del 5 Settembre 2001. La creazione di un “pattuglione” per il controllo del territorio `e stata descritta anche dal dirigente della Digos Spartaco Mortola in una relazione inviata il 7 settembre al Comitato parlamentare d’indagine e protocollata dalla Camera dei Deputati in data 7 settembre 2001 con il numero 2001/0036741/GEN/COM. In questo documento Mortola scrive che alle ore 19,30 circa del 21 luglio “ricevo dal Dott. Gratteri, Direttore dello Sco, l’ordine di mettere a disposizione un certo numero di Agenti

Digos con Funzionari della Digos di Genova per creare insieme alla Squadra Mobile di Genova e allo Sco un pattuglione misto con il compito di controllare il territorio e procedere all’identificazione e all’eventuale fermo di manifestanti autori di episodi delittuosi”.

6“[...]verso le 20.00 passa in strada una gazzella della polizia. Da alcune persone in strada viene lanciata una bottiglia di birra vuota

contro la macchina percepita come una presenza provocatoria, ma non vi è alcuna sassaiola o aggressione. Alcuni membri del GSF escono in strada per calmare gli animi, chiedendo alle persone di entrare nei locali e non sostare in strada. Intanto si viene a sapere che nelle poche pizzerie aperte nel quartiere, in cui parte dei manifestanti sta cercando di rifocillarsi, la polizia compie dei blitz, identificando le persone e in alcuni casi procedendo ad arresti. Vengono avvisati gli avvocati perché intervengano e rimangano a disposizione data la tensione del momento.” Dal Memoriale del Genoa Social Forum depositato agli atti della Commissione Parlamentare

d’indagine conoscitiva.

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“[...]materialmente cioè non è che ho visto il sasso arrivare, o una picconata, o altro, ho sentito soltanto botte, ci giravamo e sentivamo botte da tutte le parti, gente che ci faceva così, la macchina, noi non vedevamo più niente, c'avevamo gente sopra al cofano, cioè eravamo coperti, non è che potevo vedere più di tanto, vedevo la faccia de quello che mi diceva: “T'ammazzo, pezzo di merda!”, roba del genere, insomma frasi carine e così.”8

Al di là delle versioni contrastanti degli agenti direttamente coinvolti l’episodio non sembrò di particolare gravità ai cittadini residenti nella via che, sentito il rumore, si affacciano a vedere quel che sta accadendo dalla finestra delle abitazioni. La scena descritta è quella di un assembramento di persone che circondano le vetture e inveiscono contro di loro, vengono descritti dei rumori che probabilmente sono quelli prodotti dal battere delle mani sulle lamiere dei veicoli, non si tratterebbe però di un evento particolarmente allarmante. La percezione degli agenti è evidentemente diversa e rientra, come numerosi episodi descritti nel capitolo precedente, in quella “suggestionabilità” propria degli operatori dell’ordine pubblico nel momento in cui si trovano a dover affrontare gruppi numerosi di persone. La tensione inoltre era particolarmente alta, considerati gli avvenimenti delle giornate precedenti e non è da escludersi che successivamente alla morte di Carlo Giuliani si temesse qualche pericolosa ritorsione da parte dei manifestanti9, elemento che ha spinto i dirigenti a comporre delle pattuglie più consistenti al posto di quelle costituite da singole volanti.10

L’episodio dà modo di ritenere ai dirigenti della questura, di poter intervenire per effettuare una perquisizione sulla base dell’art. 41 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS)11.

L’intervento viene deciso nelle due ore successive nel corso di un primo incontro nell’ufficio del capo della Digos, Spartaco Mortola ( al quale erano presenti anche il Questore il vicecapo vicario della Polizia, Prefetto Andreassi, e il suo segretario dottor Costantino, il direttore della direzione centrale polizia di prevenzione, il Prefetto La Barbera, il primo dirigente Giovanni Fiorentino, il dirigente superiore Giovanni Luperi, il dottor Gratteri, direttore dello Sco, il dottor Gilberto Caldarozzi, dirigente dello Sco, il dottor Di Bernardini e il dottor Murgolo, vicequestore vicario di Bologna) e di una successiva riunione organizzativa tenutasi nella sala riunioni:

“Alle ore 22.20 circa del 21 luglio venivo informato che, mentre transitavano in via Cesare Battisti al comando di un funzionario della squadra mobile di Roma, alcune pattuglie miste della «mobile» e DIGOS (Divisione investigazioni generali e operazioni speciali) erano state oggetto di una aggressione con lanci di pietre e bottiglie nonché a mezzo di calci inferti alle auto, un'aggressione messa in atto da più di cento persone, molte delle quali vestite di nero. Nella circostanza nel mio ufficio erano presenti, tra gli altri, il vicecapo vicario della polizia, prefetto Andreassi, il direttore centrale della polizia di prevenzione, prefetto La Barbera, il dirigente superiore Luperi, il dirigente superiore Gratteri, direttore del servizio centrale operativo.

Il dirigente della DIGOS (Dott. Spartaco Mortola, ndr) fece subito presente che in via Cesare Battisti vi erano degli studi scolastici concessi al Genoa social forum da comune e provincia per insediarvi il centro

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Dalla deposizione di Valeri Davide al Processo a carico di Luperi et altri, 19 Dicembre 2007.

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“E la circostanza ricordo che l’unica raccomandazione che feci, dico, guarda, visto e considerato che dobbiamo andare a fare dei

pattuglioni e non possiamo usare i blindati grossi perché per i pattuglioni non sarebbero stati idonei, di reperire Magnum e blindati perché nel frattempo si era sparsa la voce, che poi risultò una leggenda metropolitana, che comunque qualcuno avrebbe voluto vendicare la morte del Giuliani e per questo mi raccomandai di utilizzare i Magnum blindati, che furono poi reperiti sul posto .” Dalla deposizione

del Dott. Valerio Donnini al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 31 Gennaio 2007.

10In sede processuale il Prefetto Andreassi ribadisce la sua perplessità rispetto all’impiego delle pattuglie in un contesto segnato da grande

tensione:“La mia… la mia valutazione era molto banale ed egoistica, la manifestazione era finita, la gente se ne stava andando, era sazia

di disordini, bisognava solo lasciarla andare via, quindi io ritenni, pensai, ma non lo dissi onestamente, non lo dissi, pensai che questi pattuglioni potevano provocare grane e basta.” Dalla deposizione del Prefetto Ansoino Andreassi al processo a carico di Luperi et altri,

udienza del 23 Maggio 2007.

11“Gli ufficiali e gli agenti della polizia giudiziaria, che abbiano notizia, anche se per indizio, della esistenza, in qualsiasi locale pubblico

o privato o in qualsiasi abitazione di armi, munizioni o materie esplodenti, non denunziate o non consegnate o comunque abusivamente detenute, procedono immediatamente a perquisizione e sequestro” Art. 41 del TULPS.

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stampa: nella circostanza si ritenne utile incaricarlo di compiere un attento sopralluogo. Successivamente, il medesimo dirigente ritornato nel mio ufficio riferiva di aver notato la presenza isolata, all'esterno della scuola, di alcuni ragazzi che osservavano con attenzione, quasi fossero sentinelle, il movimento di persone; inoltre, aggiungeva che tra le due scuole in via Cesare Battisti si notava chiaramente la presenza di almeno centocinquanta persone, molte vestite di nero. Veniva, quindi, chiesto al funzionario di interloquire con i referenti del Genoa social forum per verificare chi effettivamente occupasse la scuola Diaz.[...]Preso atto di queste informazioni12, dopo una attenta riflessione condotta all'interno del mio ufficio con gli interlocutori già citati, si concertava di intervenire13 con una perquisizione ai sensi dell'articolo 41 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, da effettuarsi a cura della DIGOS e della squadra mobile. Si decideva, altresì, di supportare l'attività con l'impiego in ausilio di reparti inquadrati, ritenendosi altamente probabile una forma di resistenza attiva. Un ufficiale di polizia giudiziaria forniva comunicazione preventiva al pubblico ministero ed io, personalmente, informavo il signor capo della Polizia e il prefetto di Genova.[...]Alle ore 23 circa, all'interno della sala riunioni della questura, si svolse una riunione operativa cui presenziai insieme al prefetto La Barbera e nella quale ebbi modo di ribadire a tutti, come di consueto, la raccomandazione impartita a pagina 179 della mia ordinanza del 12 luglio di improntare l'attività alla massima moderazione, cautela e prudenza. Preciso di aver lasciato la riunione prima che fosse terminata la discussione sulle modalità operative dell'attività. Alle ore 23,30 l'operazione aveva inizio[...]”14

La disposizione dell’intervento delle forze a disposizione della Questura avrebbe come unico intento non tanto una generica perquisizione, ma l’identificazione dei presunti responsabili dell’aggressione alla pattuglia mista fatta oggetto di lanci di oggetti e insulti. Una decisione quasi “impulsiva”, come traspare anche dal resoconto fatto dal Dott. Colucci in sede processuale (cfr. Nota 10) seppure mitigata da attente riflessioni di carattere procedurale e logistico. Sempre Colucci riferisce di alcune sue perplessità che sarebbero state però superate dal condizionamento dovuto alla presenza di alti vertici della Polizia di Stato palesemente orientati verso un’intervento deciso.15

L’operazione è interamente predisposta e gestita dalla Poliziadi Stato e il personale dell’Arma, presente alla riunione operativa con due ufficiali, viene impiegato solamente per la messa in sicurezza della zona interessata strutturando dei blocchi nelle vie di accesso. Nelle intenzioni della Questura e dei funzionari presenti al briefing

12“ Il dottor Mortola mi riferiva che un paio di volanti erano state oggetto di lanci di bottiglie vuote, da parte di alcune persone che

stavano lì[...] e mi chiese: “cosa c’è nelle 2 scuole? Cioè, cosa c’è alla Pertini e alla Pascoli?” Gli risposi cosa c’erano nelle 2 scuole, cioè, appunto, alla Pascoli l’ufficio stampa, eccetera, e dall’altra parte l’internet point e alcune persone, alcune decine di persone che dormivano, per i motivi che ho esposto prima. A quel punto io, un po' insospettito gli chiedo cosa sta succedendo, lui mi risponde, citando l’episodio del lancio di alcune bottiglie vuote contro 2 volanti che passavano di lì, e io, a quel punto, un po’ insospettito, gli dissi “non fate cazzate”; e lui mi rispose “no, no, stai tranquillo”. La telefonata finì lì, sostanzialmente, e io, devo dire, con il senno di poi, colpevolmente, non gli diedi grande peso [...]” Dalla deposizione di Stefano Kovac, all’epoca dei fatti responsabile dell’organizzazione

logistica per il Genoa Social Forum, al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 31 Maggio 2006.

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Nel corso della sua deposizione al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 3 Maggio 2007, lo stesso Questore Colucci descrive i momenti in cui venne presa la decisione di effettuare la perquisizione: “il Dottor Calderozzi e il Dottor (incomprensibile) sono venuti da

me (incomprensibile) erano rossi in viso (incomprensibile) era talmente agitato... per cui è stato insito in quel contesto “dobbiamo fare qualche cosa”. Ma non ricordo esattamente. Cioè, è una conseguenza come se uno avesse ricevuto 2 schiaffoni, viene quasi spontaneo dire “dobbiamo fare qualcosa”. Poi ad un cero punto subentra la decisione, con calma, con tranquillità, di rivedere un pochettino se come è possibile... di fare delle verifiche, comunque. Cose che sono state fatte.”

14

Dall’audizione del Questore Francesco Colucci presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, udienza del 28 Agosto 2001.

15 “Indubbiamente in quel contesto, lo ribadisco ancora una volta, si è un po’ condizionati dalla presenza dei vari direttori centrali. È

chiaro che di fronte ad un’aggressione, è chiaro che di fronte agli accertamenti che sono stati fatti, e di fronte alla, diciamo esplicita volontà di voler fare interventi, incominciamo dagli aggressori, dagli aggrediti e poi finirà, insomma, ricordo bene il, Prefetto La Barbera era veramente convinto di fare l’intervento. Non mi sembra che Andreassi abbia parlato in quella determinata circostanza e non ricordo effettivamente che disse il collega (incomprensibile), però praticamente c’è una forma, mia psicologica di condizionamento per cui capì che l’intervento era ben gradito, capì che gli elementi c’erano per fare l’intervento e quindi si decise l’intervento.” Ibidem

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si dovrebbe trattare di un’azione di Polizia Giudiziaria, coordinata da un funzionario. A ricoprire tale incarico è il Dott. Murgolo, all’epoca Vice Questore affiancato al Dott. Colucci per tutta la durata del Vertice. Si tratta però di un atto di Polizia Giudiziaria particolarmente difficile da gestire sia per ragioni di contesto (il numero di persone che al momento si trovano all’interno della struttura e il deflusso in atto che coinvolge la stazione di Brignole, affollata da manifestanti che attendono i treni speciali) e ragioni interne (la concentrazione di alti funzionari della Polizia e la necessità di coordinare il personale dei diversi uffici nonostante la presenza dei rispettivi vertici sul campo che però ufficialmente non avrebbe potuto influenzare le modalità di svolgimento dell’operazione). Per la particolarità dell’intervento viene richiesta anche la presenza di personale dei Reparti Mobili che avrebbero dovuto vincere eventuali resistenze all’interno della struttura o arginare un eventuale assembramento dei manifestanti impegnati nel deflusso. La scelta dei vertici della Questura ricade sul reparto di Roma e in particolare sul VII Nucleo Sperimentale che ha da poco terminato il turno e si trova in quel momento a cena nel ristorante della Fiera.16 Gli uomini del nucleo sperimentale si aggiungono a quelli già mobilitati per il servizio di pattugliamento per un totale di più di cento agenti dei Reparti Mobili. A svolgere poi il successivo intervento di identificazione e perquisizione sarebbe stato il personale delle DIGOS, delle Squadre Mobili e del Servizio Centrale Operativo.Tra i dirigenti presenti sul campo c’è il Comandante del Reparto Mobile di Roma, Vincenzo Canterini che fornisce per la perquisizione i 78 uomini che compongono il VII Nucleo Sperimentale del Reparto di Roma, al comando del funzionario Michelangelo Fournier. Canterini partecipa alla riunione operativa nell’ambito della quale prova a suggerire un tipo di approccio diverso da quello dell’irruzione, che avrebbe potuto comportare rischi maggiori sia per gli occupanti che per gli agenti, e chiede di poter effettuare lo sgombero attraverso l’impiego di lacrimogeni evitando quindi il contatto fisico tra gli agenti e le persone accampate all’interno della scuola. La linea proposta dal dirigente viene scartata immediatamente. Si stabilisce quindi di procedere isolando le principali vie di fuga e irrompendo all’interno della scuola con i reparti che avrebbero dovuto creare le condizioni di sicurezza necessarie allo svolgimento della perquisizione. Canterini al termine del briefing raggiunge il reparto schierato nel piazzale della Questura, ma oltre ai suoi uomini si imbatte in uno scenario diverso da quello prospettato in sede organizzativa:

“Scendo e trovo, e questo me lo ricordo bene con un po’ di meraviglia, un apparato incredibile, una macedonia di Polizia incredibile perché c’eravamo noi, e qua rientra un pochino in ballo il coso delle divise, delle differenze di uniformi, c’era un gruppo di qualche Reparto Mobile perché aveva la tuta da OP, regolare, quella con il cinturone bianco e il casco lucido...”17

Il personale presente viene diviso in due colonne guidate da funzionari della DIGOS di Genova che raggiungono il complesso scolastico da due diverse direzioni per poter chiudere gli accessi a via Cesare Battisti. L’intento è

16“Questa riunione si chiude con la decisione sui reparti da impiegare e cioè si telefonò al Donnini che aveva la… un po’ la supervisione

e la sovrintendenza su tutti i reparti inquadrati della Polizia e gli si chiese chi era disponibile a quell’ora e dovevano essere intorno alle 21:30, e lui ci disse che era disponibile la squadra speciale del reparto mobile di Roma, io fui d’accordo nell’impiego della squadra speciale,[...] Primo, perché la squadra speciale era stata costituita, e ci sono i decreti, attraverso una rigorosa selezione dei volontari che avevano chiesto di far parte di questa unità, costituita per Genova, nell’occasione di Genova, non per Genova, nell’occasione di Genova. Ci fu una commissione che li selezionò, sotto il profilo psicoattitudinale, accertando che non avessero precedenti negativi, nemmeno sotto il profilo disciplinare, accertando che fossero padroni delle proprie reazioni emotive e tutte queste caratteristiche mi davano garanzia di sangue freddo, di lucidità, di misure nell’intervento, prime considerazione. Seconda considerazione la squadra speciale, non doveva andare certo a fare la perquisizione, la squadra speciale era, e credo non ci fosse bisogno di dirlo, un’unità di appoggio, nel caso in cui fosse stato necessario l’impiego, tenute presente delle caratteristiche del reparto, queste considerazioni mi indussero ad approvare l’impiego della squadra speciale.” Dalla deposizione del Prefetto Ansoino Andreassi al processo a carico di

Luperi et altri, udienza del 23 Maggio 2007, cit.

17 Dalla deposizione del Primo Dirigente Dott. Canterini, comandante del Primo Reparto Mobile di Roma al processo a carico di Luperi et

altri, udienza del 6 Giugno 2007. Il particolare estetico del casco in dotazione agli agenti in servizio di ordine pubblico evidenziato da Canterini è da ricondurre all’ossatura principale della difesa di Canterini e degli uomini ai suoi ordini, il cui equipaggiamento si distingue da quello degli altri reparti per la particolarità del casco “U-Bot” opaco invece che lucido, il cinturone blu scuro e non bianco e lo sfollagente tipo “tonfa”. Sottolineando questi elementi Canterini vuole precisare come la responsabilità dell’accaduto possa essere di altri agenti mai identificati e non degli uomini del VII Nucleo.

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quello di effettuare una manovra “a tenaglia” come la definisce il Dott. Fournier durante la sua deposizione al processo che lo vede imputato:

“una manovra a tenaglia perché, perché l'altra squadra, l'altra squadra era arrivata dall'altra parte. Se questa è la Diaz, praticamente in sostanza, un gruppo è arrivato da qua e un gruppo è arrivato dall'altra parte.”18

4.1.2 L’irruzione.

Manca poco alla mezzanotte del 21 Luglio. All’interno della scuola Pertini, dopo un’altra giornata segnata da scontri, ferimenti e inseguimenti, i manifestanti si rilassano, si sistemano per la notte, alcuni stanno già dormendo.

All’esterno i reparti e il personale della Polizia hanno raggiunto il cancello principale che è appena stato chiuso con una pesante catena nel momento in cui gli occupanti si sono resi conto dell’arrivo di un’enorme quantità di poliziotti. Dalla scuola Pascoli, sede del Media Center, vengono effettuate alcune riprese19 dell’arrivo della prima colonna, in cui è presente il comandante Canterini. Gli operatori dei reparti e gli agenti in borghese si accalcano al cancello, lo spintonano per cercare di forzarlo a mano. Davanti al cancello un gruppo di poliziotti incrocia il giornalista britannico Mark Covel, viene colpito ripetutamente dai manganelli e lasciato sulla strada. Il giornalista si trovava al momento del pestaggio all’esterno dell’immobile, verrà comunque accusato di resistenza e violenza. Alla prima aggressione al giornalista ne segue una seconda, che lo ridurrà in fin di vita e gli causerà danni permanenti.

“[...]sono riuscito solo ad attraversare la strada per metà prima di essere colpito sulla spalla, dietro. A questo punto vedevo la prima fila ma c’era anche un signore che io ho visto che dava ordini. Poi tutto è iniziato a succedere molto velocemente. A questo punto tutto è iniziato a succedere molto velocemente e sono stato circondato da Polizia [...] Una delle cose che io mi ricordo è che stavo urlando “Stampa, Press, giornalista”. E un Poliziotto mi ha svolazzato il manganello “Tu non sei un giornalista, sei un black-block e noi ammazzeremo il Black-block” e ha detto questo in inglese. Ero molto scioccato e sapevo che a questo punto avevo un po’ di problemi, avrei avuto un po’ di problemi. A questo punto mi picchiavano da tutte le parti del corpo, ma sono riuscito a rimanere in piedi finché non sono stato caricato da circa quattro Poliziotti con gli scudi, poi mi hanno rispinto indietro verso il muro della scuola Diaz-Pertini. Era in mezzo alla strada. Il primo attacco prima che fossi spinto verso il muro è durato circa due o tre minuti. A quel punto stavo cercando di vedere se riuscivo a correre verso il lato sud della strada ma non c’era nessun modo per fuggire. Quando sono stato spinto verso il muro ha cominciato a darmi manganellate nelle ginocchia e poi sono collassato, sono crollato. A quel punto ho cominciato a notare quanti Poliziotti c’erano per la strada, sembrava che ce ne fossero circa 200 e a quel punto temevo per la mia vita. Mi chiedevo se sarei sopravvissuto a questo. Per circa due o tre minuti sono rimasto sdraiato lì, dai Poliziotti non è mai stato chiesto né di identificarmi e né che sarei stato arrestato, ho visto anche molti Poliziotti che mi correvano davanti, che mi sono corsi davanti, alcuni sono andato nella Diaz-Pascoli e altri hanno formato come una barriera di controllo sul lato sud della strada. A questo punto mi ricordo che un Poliziotto si è staccato da questa fila che c’era al lato sud della strada, me lo ricordo in particolare perché mi ha dato un colpo alla spina dorsale e ho urlato, avevo molto dolore. Il secondo calcio ero agganciato sotto il suo piede, buttato, alzato su per aria col piede e cacciato nella strada. Poi tutti gli altri Poliziotti che erano intorno a me hanno cominciato anche loro, si sono uniti all’altro. E a quel punto 8 costole sul lato sinistro si sono rotte, anche la mia mano era rotta a questo punto. C’era molto rumore intorno a me, però una delle cose che mi ricordo in particolare che i Poliziotti

18

Dalla deposizione del Dott. Michelangelo Fournier al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 13 Giugno 2007.

19

La documentazione video acquisita al processo a carico di Luperi et altri è disponibile sul sito www.processig8.org, ma le riprese dell’irruzione sono visibili in gran parte dei film-documentari che hanno costituito una delle fonti multimediali di questo lavoro.

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ridevano e mi sembrava di essere trattato come un pallone da calcio, che ognuno di loro avesse il loro turno a dare dei calci. Questo è successo per circa 2, 3, 4 minuti. Alla fine di questo mi sembrava di lottare semplicemente per la mia vita. Avevo molto sangue dentro e non riuscivo a respirare. Poi sono stato preso da dietro e mi ha preso dal colletto e mi ha trascinato dove all’inizio mi avevano picchiato nelle ginocchia e urlava agli altri Poliziotti, mi ricordo che lui mi ha preso il polso per sentire le pulsazioni e mi sembra che l’impressione che avessi avuto io è che lui stava cercando di evitare ulteriori attacchi su di me. Non riuscivo a vederlo in faccia questo ufficiale, questo Poliziotto e non so per quanto tempo sia rimasto lì, presumo che poi se ne sia andato. A questo punto ho visto una camionetta della Polizia che veniva lungo la strada e dietro di me c’erano molti Poliziotti che stavano cercando di buttare giù il cancello della Diaz-Pertini. Il camioncino è andato contro il cancello, non c’è riuscito la prima volta, ho sentito poi il motore accelerare e poi questa volta è riuscito a rompere il cancello della Diaz-Pertini. [...] A questo punto mi ricordo che c’era un altro Poliziotto che è arrivato dal lato sud che mi ha raggiunto ed è iniziato il terzo attacco su di me. Non mi ricordo quanti colpi, ma mi ricordo che mi hanno dato dei calci nei denti e i miei denti sono andati da tutte le parti. E a quel punto era molto difficile per me non perdere conoscenza e quasi simultaneamente poi c’è stato un colpo dietro sulla testa ed è lì che sono poi svenuto.”20

Non sembra un’operazione di Polizia Giudiziaria, lo scenario dipinto dai testimoni e ritratto dai filmati si discosta notevolmente da quello di una normale perquisizione, benchè eseguita con urgenza; il gruppo di poliziotti preme disordinatamente sull’ingresso del cortile con impazienza, quasi per assicurarsi la priorità di accesso all’immobile. La porta principale è ancora aperta, ma verrà chiusa subito dall’interno quando il cancello viene forzato da un mezzo della Polizia che funge da “ariete”. Le persone all’interno, che non hanno assistito all’arrivo dei mezzi, vengono colte di sorpresa dai rumori e dalle grida:

“Il mio ragazzo è sceso ancora una volta perché voleva controllare le sue e-mail e invece io ho preparato con il sacco a pelo e ho mandato un SMS, all’improvviso ho sentito delle urla e delle finestre che si spaccavano e allora io sono uscita dall’aula e sono andata fin lì per vedere che cosa succede…[...] io ho visto che in questo momento c’erano già sul cortile diversi poliziotti ma attraverso il cancello entravano altri numerosi poliziotti, anche in quel momento è venuto su le scale il mio ragazzo che era molto, molto agitato e ha detto che ora la scuola deve essere liberata, praticamente era loro che venivano mandati via non sapevano cosa fare, erano agitati, ho continuato a vedere dalla finestra e sono stato in uno stato di shock che non riuscivo a muovermi, avevo in quel momento la sensazione che questi ci ammazzano di botte e si poteva avvertire la violenza, allora correvamo un pochino avanti e indietro su quel corridoio perché non sapevamo cosa fare, poi siamo tornati nell’aula perché pensavamo forse sarebbe meglio saltare dalla finestra.”21

È il momento in cui sta arrivando sul posto la seconda colonna guidata da un funzionario della DIGOS e dal Dott. Fournier che rimane disorientato dal numero di agenti già presenti sul posto. Il personale della Polizia occupa il cortile in modo disordinato e si porta immediatamente davanti ai due accessi della scuola, il portone principale e quello posto alla sinistra. Le immagini testimoniano l’attimo in cui gli agenti invadono l’intero cortile, infilandosi tra il mezzo che ancora sosta sull’ingresso appena forzato, e il cancello aperto. Il portone principale è stato appena chiuso quando gli agenti si accalcano e provano a sfondare dopo aver ricevuto un generico ordine di “aprire i portoni”. All’interno le reazioni sono contrastanti, si pensa a fuggire, si pensa ad ostacolare l’ingresso o quantomeno a ritardarlo e si pensa a non opporre alcuna resistenza:

“io mi ero cambiato e ero in pigiama e mi stavo recando verso il bagno per lavarmi; c’era tana ente, è stato un poco occupato il bagno e mi reco verso il computer, aspettando il mio turno. Altre persone erano

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Dalla deposizione di Mark Covell al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 25 Gennaio 2006.

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nello stesso modo, quindi in pigiama. In quel momento qualcuno hanno urlato “la Polizia”; essendo così rilassato e non avendo niente, non sentendomi colpevole, essendo che la mia filosofia è il dialogo, mi sono recato verso la porta a vedere cosa accadeva. Ho detto “no, bisogna dialogare”; ho guardato dalla finestra ed ho visto un mucchio di Polizia[...]Penso sempre a dialogare, ma da qualche parte ci vuole più coraggio; nello stesso tempo vedo della gente che sicuramente non ha lo stesso coraggio perché hanno iniziato a bloccare la porta. Per essere più preciso si tratta di un ragazzo più muscoloso, il che non è molto difficile, prende una panchina la mette dietro la porta, per bloccarla.> Per me era un imbecille. Pensando questo, una signorina mi sta dicendo che quello che quello che sta facendo non era onorevole, era da imbecille. Mi ricordo che parlava il tedesco, e pensavo fosse la sua ragazza. Volevo dire la stessa cosa ma non ho avuto il tempo; in questo momento è stata sfondata la porta.22

Chi assiste all’irruzione della Polizia all’interno del cortile si rende conto che le probabilità di dialogare sono nulle. A questo punto le persone che hanno il tempo di razionalizzare quello che sta succedendo scappano dal piano terra e cercano rifugio ai piani superiori o valutano la possibilità di abbandonare l’edificio attraverso la via di fuga offera dai ponteggi del cantiere che avvolgono le due ali dell’edificio.

I portoni si aprono quasi simultaneamente e gli agenti si riversano all’interno: la maggior parte accede alla palestra, che costituisce il primo ambiente subito dopo il portone principale, mentre altri si dirigono subito sulle scale che conducono ai piani superiori. Tra le persone colte nel dormiveglia all’interno della palestra c’è Lorenzo Guadagnucci, giornalista del Resto del Carlino, giunto a Genova la mattina del 21 Luglio che ha scelto di dormire alla scuola Pertini per la sua vicinanza al Media Center. Nella sua deposizione descrive con grande precisione la scena dell’irruzione:

“ho visto questi gruppi di agenti che sono entrati di corsa, ricordo che urlavano, si sono diretti subito sulle persone che si sono trovate di fronte, quindi le prime sono quelle che erano sul lato lungo della palestra, in corrispondenza con l’entrata, quindi dirimpetto.Esattamente. Quindi ho visto questi primi agenti che si sono rivolti verso di loro, hanno cominciato a prenderli a calci, a manganellate, urlavano, ricordo che sputavano, insulti, e poi alcune frasi, qualcuna la ricordo, altre no. [...]Le frasi che ricordo sono queste, una era: “Questo è l’ultimo G8 che fate”, un’altra frase che ricordo bene: “Stasera vi divertite meno”, poi ricordo altre frasi con tono insultante, che non ricordo con precisione, però il tono era quello, di rivolgersi a dei figli di papà, per dire: “Vi sistemiamo noi”, questo era il tipo di cosa che risultava da queste frasi. [...]ed hanno cominciato a pestare [...] a calci, a manganellate le persone che si trovavano di fronte. Ovviamente, tutto questo si è svolto mentre entravano, correndo, a passo sostenuto altri agenti, quindi alcuni hanno cominciato anche a dirigersi nella mia direzione. Ricordo che i primi che sono venuti vicino a me, in realtà hanno preso di mira i ragazzi che avevo alla mia destra, la ragazza in particolare che era quella più vicina, proprio affianco… che io avevo affianco, è stata presa con un calcio alla faccia, quindi è stata spinta indietro, è un po’ barcollata, sì è piegata con la schiena all’indietro, il ragazzo che aveva affianco è stato raggiunto da delle manganellate, erano due gli agenti in questo momento che si sono rivolti contro questa coppia. Niente, io mi sono avvicinato alla ragazza per aiutarla, per vedere cosa le fosse successo, se potevo sostenerla in qualche modo, mentre facevo questo però i due poliziotti si sono rivolti verso di me, quindi io in quel momento ovviamente ho pensato prevalentemente a me stesso, oltre tutto avevo la preoccupazione degli occhiali da proteggere, della testa, quindi ho assunto una posizione di protezione, cioè ho alzato le braccia sulla testa ed anche le ginocchia per proteggermi dai colpi. Questi agenti hanno cominciato a colpire ripetutamente mentre io ero in questa posizione, è durato abbastanza, insomma da procurarmi una serie di ferite in varie parti del corpo, prevalentemente sulle braccia perché sono quelle… ovviamente è la cosa che io opponevo ai colpi, sono riuscito a

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proteggere la testa, non ho preso colpi in testa, però ho avuto queste lesioni alle braccia che si sono gonfiate, ho cominciato a sentire il sangue che scorreva, perdevo sangue in particolare da uno squarcio che avevo qui nel braccio, un buco molto profondo, però ho preso colpi anche ad altre parti, all’addome, alla schiena, sanguinava anche un ginocchio che è stato colpito appunto mentre mi proteggevo. Così c’è stato questo pestaggio che è durato, non saprei ovviamente quantificare, insomma un numero congruo di secondi sufficienti a mettermi fuori combattimento. Niente poi questi due agenti si sono allontanati, sono rientrati diciamo verso il centro della palestra.”23

L’unica resistenza incontrata dalle Forze dell’Ordine fino a questo momento è stata la chiusura delle porte e del cancello esterno (lo stesso Questore Colucci la indica nel corso della sua deposizione come forma di resistenza). Sulle persone in piedi o distese ancora nei loro sacchi a pelo si riversa una raffica di colpi di sfollagente, calci e insulti. Chi come Micahel Gieser è riuscito a fuggire ai piani superiori non avrà sorte migliore.

“Eravamo in pigiama; ho visto che c’era la Polizia attaccare con violenza la prima persona che si trovava nel corridoio. Poi si sono mossi sulla seconda persona che era a terra, continuando a picchiare con la stessa intensità, forse anche di più. Li ho visti venire verso di me, e picchiavano più persone, una dopo l’altra. Si provava a rimanere lucidi, considerato che niente è lucido. (voci sovrapposte)... ma devo fare una parentesi. La mia famiglia è ebraica e mi è stato raccontato come sopravvivere “all’arbitrario totale”, il che fa riferimento alla camera a gas, al nazismo; una cosa “sopravvivere”. Ho ricevuto il messaggio “sopravvivere”; così guardavo la situazione e pensavo “devo sopravvivere”, soprattutto perché vedevo picchiare delle teste, non una volta, non per castigare ma per ammazzare; tutti noi sappiamo che la testa è un elemento molto fragile, li ho visti a taglietti, oltre tutte le spiegazioni. Ho visto il sangue e venivano verso di me e così dovevo pensare a proteggere la mia testa; meno male, nella mia deposizione medica, come le immagini che ho preso 40 ore dopo, ho fatto capire che ero in posizione di difesa. Stavo proteggendo la mia testa. Le mie braccia non le sento abbastanza lunghe, ho preso una priorità, ho protetto la mia testa e così sono stato picchiato nelle altre parti del corpo con la stessa violenza, inaudita, enorme[...]Usavano dei bastoni. Penso che si possa dare un colpo col braccio (inc.).. C’erano anche colpi dati con i piedi, ho avuto un colpo di piedi nei denti. A un certo momento ho visto uno stivale sopra di me e secondo me era la morte che vedevo di fronte a me, perché ero sicuro che mi avrebbe colpito verso il basso, e non avrei avuto più la testa. Arrampicato alla porta, ha colpito la porta e lì, suppongo, che l’ufficiale cercava qualcuno nell’altra stanza. [...]Era una sfilata non stop, di poliziotti; suppongo e noi eravamo molte persone, bisogna tenere conto due poliziotti a persona, che si spostavano con velocità. Erano sicuramente più di tre, ero picchiato e vedevo ancora gente picchiata.[...] Nel corridoio ero uno degli ultimi, forse c’era una persona ancora dietro a me, forse due. La polizia continuava a correre nei corridoi, penso anche al secondo piano. Più eravamo testimoni e più ne prendevamo di colpi[...]Anche io sono passato a ricevere colpi a uno stato di massimo... ho pensato a un macello di porci e il suono che si possa sentire. Alle parole del tipo “pietà, per favore fermatevi”, e io chiedevo “perché?” e mi è stato riferito, erano insulti, come se eravamo animali, maiali[...]L’idea di sopravvivenza era sempre nella testa, la scena che vedevo davanti a me era immacolata di sangue, da tutte le parti. C’erano ancora persone picchiate come se non c’è la fine. A un certo punto, non so quanto tempo dopo, un poliziotto, all’inizio del corridoio, ha chiamato e urlato “basta”. La parola “basta” è stata come una finestra di speranza perché da qualche parte una persona ha detto basta; una parola che

23

Dalla deposizione di Lorenzo Guadagnucci al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 16 Novembre 2005. Il racconto dell’esperienza di Guadagnucci, per la sua completezza e lucidità è forse uno dei più ripresi dalle varie pubblicazioni, sia cartacee che video-documentarie. Tra queste si ricorda il libro redatto insieme a Vittorio Agnoletto, “L’eclisse della democrazia”, Feltrinelli, Milano, 2011.e i documentari “Bella Ciao” di Marco Giusti, Sal Mineo e Roberto Torelli; “Blu Notte-Misteri Italiani” puntata del 9 Settembre 2007; “Maledetto G8”, di Roberto Torelli e “Fare un golpe e farla franca” di Beppe Cremagnani e Enrico Deaglio.

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penso di avere capito. Mi è sembrato strano. Purtroppo non si sono fermati. Hanno continuato a picchiare con intensità e con piacere. Si sentiva che erano determinati. Si sono fermati, ma quasi come si leva un gioco a un bambino contro la sua volontà; così qualche colpo è scappato ancora poi si è fermato.”24

Gli agenti percorrono di corsa le scale e occupano piano dopo piano tutto l’edificio. Le parole che Gieser sente risuonare “come una finestra di speranza” sono quelle pronunciate dal dirigente del Settimo Nucleo Fournier, che sebbene si trovi dall’altra parte dello “schieramento” condivide lo stupore per una situazione evidentemente anomala rispetto al normale procedere di operazioni di questo tipo:

“al primo piano, quando sono arrivato, ho trovato in atto delle colluttazioni. Ho trovato in atto delle colluttazioni che non erano tali[...]E cioè che purtroppo, ho trovato, era una situazione di buio, una situazione di semi oscurità, questa è una cosa che viene riferita da tutti e ho tentato di capire che cosa stesse succedendo e mi ero reso conto che le colluttazioni non erano tali, ma che in realtà, cioè se erano colluttazioni erano unilaterali.[...]Posso spiegarlo che c'erano quattro o cinque poliziotti, io questo non sono in grado di riferirlo, due in borghese e uno o due forse con la divisa del Reparto Mobile con la cintura bianca che stavano facendo quello che non doveva essere fatto, cioè una volta praticamente inertizzati stavano, stavano infierendo sui feriti[...] quando ci sono queste colluttazioni, ci vado anch'io e inizio a urlare, anche io “Fermi, fermi” però dopo un po' come ho detto prima, queste colluttazioni erano a senso unico, cioè le facevano solamente questi quattro o cinque energumeni nei confronti di queste persone che ormai erano ridotte in condizioni di non poter, di non potere reagire e io a quel punto ho dovuto urlare “Basta, basta” perché il laringofono di fatto con quelli che non erano del mio personale e che non avevano il laringofono ho dovuto, ho dovuto anzi con qualcuno, mi sono anche spintonato perché ... perché non aveva neanche visto che ero un funzionario. A quel punto e poi racconto sulle condizioni di chi ho trovato lì dentro e di tutto quello che ho fatto, è totalmente sovrapponibile a quanto ho affermato, cioè io dopo mi sono, sono rimasto terrorizzato, basito quando ho trovato la ragazza con la testa aperta.[...] è stato un momento sinceramente più drammatico di tutta la vicenda perché in un primo momento mi ero soffermato su dei ragazzi che erano in prossimità dei bagni, ci sono dei bagni, con un piccolo corridoietto, poco più avanti mi sono imbattuto, nella posizione che ho riportato nello schizzo, in una ragazza alta circa 1 e 80 con un corpo abbastanza mascolino, robusto, probabilmente nordica che giaceva in una pozza di sangue, ma sangue veramente copioso, la cosa più allarmante e che io ho potuto verificare che c'erano dei grumi, grumi che per il ... sul momento, sul momento io ho scambiato per materia cerebrale.25

Vale la pena sottolineare l’enorme differenza nelle modalità di intervento rispetto alla perquisizione avvenuta presso lo Stadio Carlini pochi giorni prima; in quell’occasione, sebbene lo Stadio fosse stato comunque circondato da un considerevole numero di agenti in tenuta antisommossa (si veda il capitolo precedente) i responsabili delle Forze dell’Ordine, dopo aver cercato un contatto con i rappresentanti del Movimento, attesero pazientemente l’arrivo dei legali e procedettero alla perquisizione senza dover far ricorso all’impiego dei Reparti. Alla scuola Pertini la perquisizione, non comunicata a chi alloggiava all’interno dell’edificio ed eseguita in assenza dei legali, viene preceduta da un’irruzione disordinata che ha l’effetto di creare il panico piuttosto che di cercare una qualche forma di dialogo che garantisca sicurezza reciproca.

Mentre i reparti accedono ai piani superiori dall’esterno gli abitanti del quartiere e i membri del Genoa Social Forum che riprendono le scene sentono le urla provenire dall’edificio. Alla centrale operativa tra le 23:57 e le 24:09 giungono diverse segnalazioni dei cittadini che, sentendo le urla e il frastuono, pensano a un’aggressione

24

Dalla deposizione di Micael Gieser al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 5 Dicembre 2007, cit.

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da parte di fazioni rivali e non ad un’operazione della Polizia. Si riportano di seguito alcune telefonate ricevute dal 113 tra le 23:59 e le 00:00:

113: polizia

X: lo sapete che hanno attaccato i ragazzi qui della scuola Diaz? 113: hanno attaccato i ragazzi?

X: hanno attaccato i ragazzi qui alla scuola Diaz 113: sì signora stiamo arrivando

X: eh mio dio sì 113: sì salve (ore 23:59:01) 113: polizia X: eh pronto? 113: si X: guardi... è la polizia ? 113: si

X: guardi in via Cesare Battisti si stanno ammazzando 113: si va bè, arriviamo X: presto! (ore 23:59:54) 113: polizia X: sì, pronto 113: sì

X: eh guardi io sono un abitante di via trento 113: sì

X: e ci sono dei tumulti ora? 113: sì sì sì, sappiamo già, grazie X: prego,

113: salve

X: cosa sta succedendo?

113: eh va bè, ci saranno dei disordini come dei residui X: va bene

113: salve (ore 00:00:18)26

Il centralino della Polizia non rassicura i cittadini spiegando che si tratta in realtà di una normale operazione di Polizia Giudiziaria e raccoglie le segnalazioni come se si trattasse di un fatto a loro sconosciuto. È indicativo come, sebbene dalle finestre gli abitanti notassero benissimo i lampeggianti delle pattuglie e dei mezzi in dotazione alle Forze dell’Ordine, l’impressione data dai rumori provenienti dalla scuola fosse più suggestiva di quella data dal movimento di mezzi della Polizia.

Da quell’istante seguono immagini confuse della massa di agenti che irrompono all’interno della scuola, corrono nei corridoi che sono visibili attraverso le finestre; le scene sono accompagnate da urla che provengono dall’interno.

L’intervento del personale addetto all’Ordine Pubblico dura circa dieci o quindici minuti, al termine dei quali iniziano ad uscire i primi feriti, caricati sulle decine di ambulanze accorse. Una colonna di fermati viene caricata sui mezzi da trasporto dei reparti e il personale della Squadra Mobile e della DIGOS può dare inizio alla perquisizione.

4.1.3 La perquisizione nella scuola Pascoli

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Pochi minuti dopo l’irruzione nell’Istituto Pertini il personale della Squadra Mobile affiancato da alcuni agenti dei reparti fa irruzione anche all’interno della scuola Pascoli, procedendo allo sgombero dello stabile piano per piano, giungendo fino a quello in cui è in corso la diretta di Radio Gap, una radio indipendente formata da alcune emittenti “di movimento” per la cronaca delle giornate genovesi.

“Ho avuto notizie, forse dallo stesso agente della Digos Mortola, che un equipaggio della Polizia credo di una squadra mobile, comunque non di una squadra mobile locale, un’altra del personale aggregato a questo... alla Questura di Genova, abbia sbagliato obiettivo, praticamente, oppure io posso... nel mio immaginario posso anche pensare che quelli di fronte si affacciano, hanno fatto qualche cosa, magari hanno bussato (incomprensibile), non ho idea, non ho... ripeto, sconosco le... conosco solamente il fatto che un equipaggio ha sbagliato, è andato presso quest’istituto di fronte, dopo di che se ne è subito uscito. Le dirò di più: che dicono hanno accusato, poi, che la Polizia ha devastato qualche cosa, poi ho saputo, io perché ho saputo, non so... che addirittura sarebbero scomparsi dei computer; secondo me qualcosa è successo, nel senso che i computer la Polizia non è che se li portava via, questa è una mia considerazione personale.”27

Dello stesso tenore è la deposizione del Dott. Gratteri nel corso della sua audizione presso la Commissione Parlamentare. Anche in questo caso si adduce come motivazione dell’irruzione nel secondo istituto un fraintendimento dovuto ai nomi delle scuole (Diaz è il vecchio nome della scuola Pertini, ma è l’attuale intestazione dell’istituto elementare che accorpato alla scuola Pascoli sul lato opposto di via Cesare Battisti):

“Per quanto attiene la perquisizione all'istituto in cui si trovava il centro stampa, so anche, in ragione di ciò, che personale della Polizia di Stato, che faceva parte di uno dei due gruppi, si recò al centro stampa per mero errore; infatti, colui che faceva da guida condusse per errore il personale che aveva al seguito al centro stampa. Quando giunsi sul posto, ad irruzione già effettuata, mi venne incontro un funzionario che mi disse che personale di Polizia si trovava all'interno del centro stampa; io gli chiesi di raggiungere il centro stampa ed invitare il personale a ritornare in strada.28

Che si sia trattato di un errore è in realtà poco probabile. La perquisizione nei locali del Media Centre avviene successivamente rispetto all’irruzione nella scuola Pertini, dato che alcune persone (tra le quali lo stesso Mark Covell) avevano cercato di trovarvi riparo e che gran parte delle immagini disponibili che testimoniano le dinamiche con le quali viene attuato il blitz sono state girate proprio dai locali dell’istituto Pascoli. Vi è inoltre il racconto radiofonico in diretta effettuato dai cronisti di Radio GAP che interrompe il corso della trasmissione per dedicarsi alla cronaca di ciò che sta accadendo sulla strada sottostante e successivamente negli stessi locali della radio:

“[...]bene, scusami ti interrompiamo ma qua sotto ci sono delle guardie... sentiamo delle urla, noi intanto andiamo avanti e cerchiamo di capire cosa sta succedendo ... c’è una carica qua sotto ... c’è una carica della polizia qua sotto[...] ah ok, stanno entrando all’interno della scuola ...no, io andrei avanti con gli ascoltatori ... chiamateci, fatevi sentire, ne abbiamo bisogno assolutamente in questo momento”(ore 23:57)

“prendiamo la linea ... interrompiamo perché c’è la polizia nell’information center ... ecco allora amici ascoltatori scusate interrompiamo questo microfono aperto per problemi ... manda Luca, dammi il microfono ... Luca sei in onda[...]“chiamiamo gli avvocati ... amici ascoltatori la situazione è grave stanno cercando di entrare all’information center ... via Trento... sono un centinaio, stanno arrivando, sono entrati dentro, stanno al 1° piano... l’ennesima provocazione ... compagni ce l’abbiamo dentro ...stanno dentro è ufficiale ... Luca parla ... no, non riusciamo a comunicare”(ore 23:58)

27

Dalla deposizione del Questore Francesco Colucci al processo a carico di Luperi et altri, udienza del 3 Maggio 2007.

28

Dall’audizione del Dott. Francesco Gratteri presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta del 5 Settembre 2001, cit.

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